venerdì 19 Settembre 2025
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Lo sciopero generale spontaneo dei lavoratori americani

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I media statunitensi non hanno dato molto peso al grande sciopero che sta avendo luogo nel paese. È disorganizzato, praticamente privo di presenza sindacale, e quasi non si potrebbe chiamare uno sciopero generale, ma è la prima volta in decenni che i lavoratori americani si stanno davvero mobilitando, in massa e in lungo e in largo in tutto il paese. Dalle miniere di carbone dell’Alabama al personale degli ospedali californiani al mondo del cinema e della televisione. È la più grande ondata di fermento che gli USA abbiano visto almeno negli ultimi tre anni.

Si è parlato di “carenza di forza lavoro“, ma la realtà è ben più complessa. Secondo il report appena rilasciato dal dipartimento del lavoro, al termine di questo anno e mezzo di pandemia, è cresciuto esponenzialmente il numero di offerte di lavoro (+62%), ma allo stesso tempo si assume poco. Molti poi lasciano il proprio posto (circa 4 milioni di persone al mese, da aprile ad oggi) e diversi hanno optato per il prepensionamento. A motivare questa spinta sono le condizioni lavorative, spesso pessime. Salari bassi, pochi benefit a livello sociale, capi irrispettosi. E la pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Come ha riportato un recente sondaggio realizzato dal sito di annunci Monster.com su un campione di 649 lavoratori statunitensi, il 95% degli intervistati si dichiara intenzionato a lasciare il proprio posto di lavoro, e la prima ragione è il burnout (in un terzo dei casi). Solo ad agosto, 4,3 milioni di persone (il 2,9% di tutta la forza lavoro) si sono licenziate, il dato più alto dal 2000.

Parliamo quindi di milioni di lavoratori, per lo più impiegati in settori poco retribuiti e non organizzati in sindacati, che si stanno mobilitando in vari stati per ottenere salari più dignitosi e migliori condizioni lavorative. Si stanno licenziando in massa in numerosi settori, dall’educazione al settore sanitario, passando per i lavori manuali. Un vero e proprio sciopero di milioni di persone che spesso lasciando il proprio impiego stanno rimanendo senza nulla.

Persino Hollywood è stata coinvolta – non le star, ma tutti i personaggi che lavorano dietro le quinte, come gli operatori di ripresa, i truccatori e gli assistenti, cui sono stati imposte modalità di lavoro estreme dopo lo stallo della pandemia. Questi lavoratori chiedono non solo una maggiore retribuzione, ma anche di avere delle vere pause pranzo e dei momenti di riposo tra i vari turni. Come loro anche i medici e soprattutto gli infermieri, esasperati dai turni, diventati particolarmente duri durante la pandemia. Ma anche gli insegnanti, i minatori e migliaia di dipendenti Kellog’s, costretti a turni estenuanti e privati dei giorni di malattia.

Uno sciopero non organizzato a livello sindacale, ma sicuramente organico, perché sta interessando moltissimi stati, moltissime categorie di lavoratori. Disorganizzato solamente perché spontaneo, generato naturalmente dalla frustrazione e lo scontento di milioni di persone.

[di Anita Ishaq]

La sperimentazione del vaccino Pfizer sarebbe stata viziata da falsificazioni e violazioni delle procedure

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Una ex dirigente della Ventavia Research Group, organizzazione di ricerca impegnata nelle prime sperimentazioni del vaccino anti-Covid prodotto da Pfizer, ha denunciato una lunga serie di cattive pratiche messe in atto nel corso della sperimentazione. Tra queste: falsificazione dei dati, violazione delle procedure di ricerca e cattiva conservazione dei vaccini. Le dichiarazioni rilasciate a The BMJ, prestigiosa rivista medica britannica, sollevano non pochi dubbi sull’integrità dei dati e sulla regolarità delle supervisioni che vengono effettuate all’interno di queste aziende.

Brook Jackson è stata per un breve periodo direttore regionale del gruppo di ricerca texano Ventavia, il quale nell’estate 2020 ha cominciato i trial clinici per la sperimentazione del vaccino Pfizer contro il Covid-19. Durante il breve periodo in cui Jackson ha ricoperto tale incarico ha riscontrato diverse problematiche nelle metodologie di conduzione dello studio, dalla falsificazione dei dati alla non adeguata preparazione degli impiegati che somministravano il vaccino, alla violazione delle procedure che avrebbero garantito lo svolgimento in cieco dello studio. Con il termine “in cieco” si definiscono quegli studi condotti senza che il paziente che si è prestato alla sperimentazione sappia se sta ricevendo il medicinale o il placebo, garantendo così l’autenticità dei risultati ottenuti. L’efficacia dello studio aumenta quando condotta “in doppio cieco”, ovvero quando nemmeno il ricercatore sa quale delle due sostanze sta somministrando.

Dopo vari tentativi inascoltati di notifica delle irregolarità ai dirigenti di Ventavia, Jackson ha inviato una mail di notifica dei fatti alla FDA, ovvero l’ente statunitense che si occupa dell’approvazione dei farmaci: la mattina dopo, il 25 settembre 2020, è stata licenziata da Ventavia in quanto “persona non idonea” per l’incarico. Jackson, esperta nel coordinamento e nella gestione della ricerca clinica, con 15 anni di esperienza alle spalle, ha così deciso di fornire a The BMJ un’enorme quantità di foto e documenti che comprovano le accuse da lei rivolte all’azienda. Alcune foto mostrano l’inadatto smistamento degli aghi usati, gettati in sacchetti di plastica per rifiuti biologici (col rischio di bucarli e ferire il personale) invece che negli appositi contenitori, altre i materiali di imballaggio del vaccino con i numeri di identificazione dei partecipanti alla sperimentazione scritti sopra e lasciati incustoditi, col rischio potenziale di compromettere lo studio in cieco.

Quest’ultima violazione, potenzialmente in grado di compromettere risultati della sperimentazione, potrebbe essere avvenuta su scala molto più ampia: Jackson ha dichiarato infatti che le stampe di conferma dell’assegnazione del farmaco sono state lasciate nelle cartelle dei partecipanti, in tal modo visibili per il personale medico. Come misura correttiva, presa a distanza di due mesi dall’inizio del trial, è stato semplicemente intimato al personale medico di rimuoverle.

Tra le irregolarità registrate da Jackson vi sono poi la cattiva conservazione dei vaccini a temperature non idonee, errori nell’etichettare i campioni di laboratorio, il non monitoraggio da parte del personale medico dei pazienti che avevano subito l’iniezione e il mancato follow up di coloro che avevano sperimentato reazioni avverse. Jackson riporta che coloro che hanno denunciato la mala gestione sono stati vessati dall’azienda, nonostante i dirigenti sapessero che gli errori commessi fossero “significativi”, come emerge da una registrazione di fine settembre 2020. Due ex dipendenti hanno accettato di parlare con BMJ in forma anonima, confermando tutto quanto era stato rivelato da Jackson. I documenti dimostrano che i problemi sono continuati per settimane, già prima che Jackson fosse assunta.

FDA (la quale, come abbiamo scritto qui, è piena di medici legati a Pfizer) una volta ricevuta la segnalazione di Jackson, ha deciso però di non portare avanti un’ispezione. Un documento informativo redatto da Pfizer e presentato a una riunione del comitato consultivo FDA tenutasi il 10 dicembre, durante la quale si è discusso dell’autorizzazione all’uso di emergenza del vaccino, non ha menzionato i problemi riscontrati a Ventavia. Il giorno dopo, FDA rilascia l’autorizzazione per il vaccino. Quando, ad agosto 2021, FDA pubblicherà la lista dei siti di sperimentazione ispezionati (9 su 153) quelli di Ventavia non vi figureranno: ad oggi ancora nessuna ispezione è stata fatta.

Da quando Jackson è stata licenziata, Pfizer ha subappaltato altri quattro studi clinici sui vaccini a Ventavia: uno sugli effetti su bambini e giovani adulti, uno sulle donne incinte e un terzo sulla somministrazione della dose booster.

[di Valeria Casolaro]

Whirlpool, rigettato il ricorso: via libera a 340 licenziamenti

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Confermati i licenziamenti di 340 operai dello stabilimento Whirlpool di Napoli, dopo che il Tribunale ha rigettato il ricorso per condotta antisindacale presentata da Fim, Fiom e Uilm riguardo alla chiusura della struttura di via Argine. La decisione è arrivata stamattina, ma l’azienda ha cominciato a inviare le prime lettere già ieri pomeriggio, dopo che nei giorni scorsi non era stata trovata una soluzione per assicurare la continuità occupazionale. I sindacati hanno diffuso nella serata di ieri una nota nella quale hanno accusato il governo e il Ministero dello Sviluppo Economico di non aver saputo tutelare i lavoratori e “non avere nessun progetto concreto” per scongiurare i licenziamenti degli ormai ex dipendenti della Whirlpool.

Latti vegetali: quali sono i migliori e sono davvero indicati per tutti?

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Le bevande vegetali, considerate oggi un’alternativa più salutare al latte vaccino, non sono in realtà indicate per tutti. Inoltre non si tratta affatto di “ottima alternativa” al latte in quanto i nutrienti che contengono le due bevande sono completamente differenti e diverso è anche l’impatto nutrizionale, come è ovvio che sia. Approfondiamo nei dettagli le varie tipologie di bevanda vegetale e vediamo per quali categorie di persone questi “latti” non sono particolarmente indicati.

Latte vegetale di riso

Apparentemente è la bevanda più delicata e innocua che ci sia. In realtà, ha un elevatissimo contenuto di zuccheri (anche senza che venga aggiunto dello zucchero dalla azienda che mette in commercio il prodotto o dal consumatore a casa). In medi contiene 9-10 grammi di zuccheri ogni 100 ml di bevanda, il che significa che in un bicchiere standard di latte (200 ml) abbiamo già la bellezza di 18-20 grammi di zuccheri (corrispondono a 4-5 cucchiaini di zucchero). In questo caso parliamo di zuccheri semplici di rapida assimilazione nell’organismo, non di amidi che sono a più lento assorbimento. Si veda l’etichetta di una qualsiasi confezione di latte di riso, e si legga il valore degli zuccheri per rintracciare la quantità.

Questi zuccheri sono di conseguenza anche ad alto indice glicemico dal momento che sono a rapido assorbimento e perchè il latte di riso non contiene fibre. Pertanto il consumo di questa bevanda non è adatto a tutte quelle persone che presentano problemi di glicemia alterata, diabete di tipo 1 e di tipo 2, e insulino-resistenza (pre-diabete). Non è adatta neppure alle persone in sovrappeso che cercano il dimagrimento, perché l’alto indice glicemico del latte di riso farà alzare i livelli di insulina in maniera importante e quindi spegnerà in automatico l’interruttore del dimagrimento nell’organismo (è noto infatti che con livelli di insulina elevati è impedita la lipolisi dei grassi nell’organismo). Pensate ad una colazione dove già mettiamo in circolo 18-20 grammi di zucchero solo con il latte di riso, magari mangiamo anche delle fette biscottate con marmellata o dei biscotti e il carico di zuccheri aumenta ancora…ecco che abbiamo preparato per il nostro corpo qualcosa di assolutamente non funzionale per lo stato di salute!

Non adatto alla colazione dei bambini

Per queste ragioni il latte di riso non è adatto nemmeno per la colazione dei più piccoli, specialmente se il pasto è impostato, come da tradizione italiana, a base di zuccheri, biscotti, brioche da inzuppare e succhi di frutta anch’essi pieni di zucchero. Questo tipo di colazione – è stato dimostrato da numerosi studi – è svantaggiosa per la salute dei bambini, portando ad una stimolazione eccessiva del sistema nervoso con sintomi come eccitazione ed euforia (nella fase di glicemia alta nelle prime 2 ore), irrequietezza, noi, apatia e sindrome da deficit di attenzione che influenza anche il rendimento scolastico (nella fase successiva di ribasso glicemico).
La causa di tutto questo sconvolgimento ormonale è l’enorme carico di zucchero mattutino non bilanciato da un adeguato introito di proteine, fibre e grassi sani. Per i bambini tale bevanda potrà andare bene solo dopo l’attività fisica, perché la ricchezza in zuccheri non produrrà scompensi e turbamenti a carico di fegato e pancreas (dopo un lavoro fisico e muscolare gli zuccheri assunti vanno a ripristinare le scorte di glicogeno muscolare e non si accumulano sotto forma di calorie in eccesso e grassi). Vedremo come per i bambini a colazione è molto più adatto il latte di avena o di miglio, per esempio. Un’altra categoria di persone (donne) che non dovrebbero consumare questa bevanda ricca di zuccheri sono coloro che soffrono di candidosi. La proliferazione del batterio della Candida Albicans aumenta, infatti, in presenza di una alimentazione ricca di zuccheri.

Per chi è adatto allora il latte di riso?

Senz’altro per tutti gli sportivi, una categoria di individui che ha un aumentato fabbisogno di carboidrati e zuccheri rispetto alla persona comune e sedentaria. Gli sportivi hanno una sensibilità insulinica molto buona, tutto il tessuto muscolare diventa più recettivo agli zuccheri (proprio con un aumento del numero di recettori nel muscolo) rispetto a quello delle persone comuni che non svolgono attività fisica. Il metabolismo dello sportivo è molto elevato e quindi più attivo, questo comporta che il corpo di uno sportivo non solo può permettersi di assumere più cibi a base di carboidrati rispetto al sedentario, ma che addirittura ne ha bisogno per continuare a mantenere la prestazione fisica a determinati livelli e il metabolismo sempre alla massima efficienza (il metabolismo rimane più elevato di quello del sedentario sia che la persona stia praticando sport, sia quando è a riposo nelle ore successive all’attività fisica).
Infine, a mio avviso il latte di riso è ottimo per la preparazione di frullati (purché non si aggiunga frutta e zucchero, chiaramente), nella preparazione di dolci fatti in casa, oppure per macchiare il caffè quando ci si vuole abituare a non zuccherarlo.

Latte vegetale di avena, meno zuccheri

Passando al latte di avena, il contenuto in carboidrati e zuccheri di questa bevanda è invece inferiore rispetto al latte di riso, circa la metà. Quindi diventa già una bevanda accettabile per la colazione, anche per i diabetici, perché al contrario del latte di riso contiene anche un certo quantitativo di fibra. Inoltre il latte di avena contiene anche una piccola percentuale di proteine, che il latte di riso invece non presenta. Anche questo aspetto contribuisce ad avere un impatto glicemico più basso sull’organismo e a rallentare l’assorbimento dei carboidrati dell’avena.

Latte di soia

Questo latte vegetale, essendo ottenuto da un legume, al contrario del latte di riso o di avena che provengono dai cereali, presenta delle caratteristiche differenti. Innanzitutto abbiamo un bassissimo contenuto in zuccheri e carboidrati, pari a circa 1 gr di carboidrati per 100 ml di bevanda (10g soltanto di carboidrati per litro). Questo elimina alla radice la preoccupazione riguardo gli sbalzi glicemici e gli aumenti di insulina. Inoltre, il latte di soia ha un buon contenuto di proteine, circa 3,5 grammi per 100 ml, pertanto un bicchiere normale di bevanda da 200 ml apporterà circa 7g di proteine, che se assunte a colazione, saranno un toccasana per l’italiano medio, abituato ad una colazione dolce ricca di zuccheri e priva di proteine.

Occhio alle allergie

Per contro il latte di soia può scatenare episodi allergici in alcune persone, dal momento che questo legume contiene diverse sostanze allergizzanti (allergeni).

Problemi ormonali

La soia contiene delle sostanze chiamate isoflavoni, che funzionano come fitoestrogeni, ovvero composti di origine vegetale che possono attivare i recettori degli ormoni estrogeni nel corpo umano. In gergo medico-nutrizionale si dice che queste sostanze sono appunto dotate di attività estrogenica. L’assunzione in eccesso o troppo frequente di latte di soia e altri alimenti derivati della soia (tofu, hamburger di soia ecc.) può provocare pertanto squilibri ormonali, specialmente negli uomini in cui possono verificarsi episodi di ginecomastia (aumento della ghiandola mammaria), calo della libido e diminuzione della conta spermatica (calo degli spermatozoi). Queste problematiche ormonali sono state già rilevate in vari studi scientifici sulla soia.
Gli isoflavoni della soia possono aumentare il rischio di cancro al seno, specialmente nelle donne che hanno già avuto episodi di tumore al seno. Alcuni studi hanno evidenziato che gli isoflavoni della soia possono stimolare la proliferazione e l’attività delle cellule tumorali nel seno.

Le buone notizie

Ma non ci sono solo notizie negative sulla soia: infatti gli studi scientifici sulla soia e sugli isoflavoni (in particolare uno dei suoi isoflavoni, la genisteina) hanno mostrato anche degli effetti positivi per le donne in menopausa. Poi ci sono studi che mostrano l’utilità nell’abbassare i livelli di colesterolo cattivo e per ridurre il rischio di cancro alla prostata.
Vediamo meglio alcuni di questi studi: nelle donne in età post menopausale, in cui l’attività degli ormoni estrogeni viene meno in maniera fisiologica e naturale, un’integrazione della dieta a base di soia e di isoflavoni della soia ha mostrato di recare benefici con diminuzione significativa dello stato d’ansia, della depressione, dei sintomi vasomotori (vampate di calore) e della perdita di interesse sessuale.
Alcuni scienziati hanno messo in evidenza come l’utilizzo di isoflavoni di soia possa costituire addirittura un metodo alternativo e valido alla terapia ormonale sostitutiva farmacologica (TOS) per la donna in menopausa.

Coltivazioni di soia: problemi di etica ambientale?

Di recente abbiamo assistito ad un grande clamore mediatico a livello istituzionale sull’olio di palma e sulle questioni di etica ambientale che la produzione di questo alimento comporta. Anche sulle coltivazioni di soia si discute da anni a livello internazionale, in quanto sono emersi problemi di tipo ambientale ed etico. Non siamo arrivati ad una presa di posizione ufficiale e sanzionatoria come nel caso dell’olio di palma, tuttavia ritengo che in breve tempo anche questa questione verrà portata alla ribalta definitivamente.
La produzione di soia infatti ha dietro di sé una scia di sangue e di crimini ambientali su cui andrebbe fatta una riflessione molto seria: si tratta di una coltivazione molto controversa perché legata alla sofferenza e a volte anche all’uccisione degli Indios, alla distruzione di aree della foresta Amazzonica grandi come nazioni o allo sfruttamento della popolazione rurale cinese.

[di Gianpaolo Usai]

EMA, prorogata di un anno commercializzazione vaccino Pfizer

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La Commissione Europea ha dato il via libera per il rinnovo di un altro anno dell’autorizzazione alla commercializzazione condizionata del vaccino Comirnaty di Pfizer/BioNTech contro il Covid-19. Si tratta di una procedura concepita appositamente per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali d’emergenza in caso di situazioni eccezionali come l’attuale pandemia. A comunicarlo è il sito dell’EMA, che ha anche pubblicato i dati a supporto dell’estensione di Cominraty per includerne l’uso nei giovani tra 12 e 15 anni.

 

Etiopia, si estende il conflitto: dopo il Tigrè i ribelli puntano la capitale

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Soldiers belonging to the Ethiopian Naitonal Defense Forces put on African Union berets and craverts during a ceremony in Baidoa, Somalia, to welcome them into the African Union peace keeping mission on January 22. AU UN IST PHOTO / Tobin Jones

Continua ad aggravarsi la situazione in Etiopia, dove martedì il governo capeggiato da Abiy Ahmed ha dichiarato lo stato di emergenza nell’intero paese. Il primo ministro ha immediatamente esortato i cittadini ad armarsi e tenersi pronti a difendere la capitale Addis Abeba dall’attacco di due gruppi ribelli: i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF) e l’Esercito di liberazione degli Oromo (OLA), alleatisi lo scorso agosto con l’intento di portare la guerra al di fuori della regione del Tigrè. E così è stato. Ai loro colpi hanno già ceduto le città di Dessiè e Combolcià, posizionate lungo l’autostrada che collega la regione del Tigrè, a nord dell’Etiopia, alla capitale. Per questo motivo il governo teme proprio che il prossimo obiettivo possa essere Addis Abeba.

Quella del governo sembra essere stata una mossa necessaria. Attraverso lo stato di emergenza, infatti, Abiy Ahmed nei prossimi sei mesi può decidere di adottare misure che in altre situazioni non potrebbe autorizzare. Si parla di checkpoint e coprifuochi, chiamata alle armi per tutti i cittadini in età per combattere e trasferimento di alcuni poteri nelle mani delle forze di sicurezza. E ancora, possibilità di arrestare senza mandato chiunque sia anche solo sospettato di aiutare o avere legami con i gruppi ribelli.

Non è facile, però, tirare le fila della situazione, in un contesto confuso, caotico e in cui anche la stampa fa fatica a reperire informazioni chiare. Sconcerta soprattutto il fatto che l’Etiopia sia finita nel baratro della guerriglia nel giro di poco più di un anno, dopo essere stata per molto tempo considerata la regione più stabile del Corno D’Africa. Nel 2019 Abiy Ahmed aveva perfino vinto il Nobel per la Pace grazie alla diplomazia adottata negli accordi di pace con l’Eritrea e alle sue riforme democratiche.

Un anno in cui è praticamente cambiato tutto e che ha visto l’esercito federale scontrarsi duramente nella regione settentrionale del Tigrè con i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF), a capo dell’area. I ribelli del TPLF non sono nuovi all’Etiopia. Anzi, sono stati per molti anni una fazione dominante all’interno del governo federale, offuscati però poi dall’arrivo al governo di Abiy, nel 2018. Una supremazia che il primo ministro sperava di mantenere anche grazie all’intervento dell’esercito eritreo, sceso al fianco di quello etiope. E invece, dopo una serie di sconfitte, i ribelli erano riusciti a giugno a riconquistare gran parte della regione, dimostrando grande abilità militare, anche grazie all’aiuto degli alleati: l’Esercito di liberazione degli Oromo. Questi ribelli dicono di battersi in difesa degli Oromo, il più grande gruppo etnico dell’Etiopia: molti dei loro leader politici sono stati imprigionati proprio sotto il governo di Abiy.

L’estrema violenza con cui si sono svolti i combattimenti non ha risparmiato i civili: molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani continuano a parlare di gravi crimini di guerra e contro l’umanità. Atrocità su cui non si riesce a far luce con chiarezza, dal momento che l’Etiopia ha cercato di limitare un’indagine sui diritti umani condotta dalle Nazioni Unite e il governo nazionale ha vietato ad alcuni organismi come Human Rights Watch e Amnesty International di entrare nella regione assediata. L’unico compromesso accettato è quello di intraprendere un’indagine congiunta fra Nazioni Unite e Commissione etiope per i diritti umani (EHRC), creata dal governo. Al momento potrebbe essere l’unica fonte ufficiale al mondo di informazioni sulle atrocità della guerra. Seppur forse non totalmente “limpida”.

La situazione, comunque, si evolve di giorno in giorno ma è difficile verificare in maniera indipendente la situazione attuale, viste le grosse limitazioni imposte dal governo etiope all’attività dei giornalisti internazionali.

[di Gloria Ferrari]

Le prove scientifiche sull’origine antropica dei cambiamenti climatici

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Praticamente la totalità degli studi è d’accordo: le attività antropiche sono responsabili dei cambiamenti climatici globali. Oltre il 99,9% degli articoli scientifici sottoposti a revisione paritaria concorda infatti che la crisi climatica in atto sia stata causata principalmente dalle attività antropiche. Per giungere a queste conclusioni, una recente review della letteratura scientifica disponibile ha analizzato 88.125 studi sul clima. La ricerca ha aggiornato un precedente studio del 2013 dal quale era già emerso che il 97% degli studi pubblicati tra il 1991 e il 2012 supportava l’origine antropogenica del riscaldamento globale [1]. Eppure, gli scetticismi a riguardo sono ancora duri a morire. Cercando così di rispondere con dovizia di fonti alle principali perplessità, abbiamo interrogato il Dott. Antonello Pasini, scienziato del cambiamento climatico tra i massimi esperti internazionali sul tema.

Dott. Pasini, il clima è sempre cambiato, che senso ha parlare di cambiamenti climatici?

Questo argomento è stato il primo cavallo di battaglia dei “deniers”, cioè di coloro che negano le evidenze scientifiche rispetto al cambiamento climatico recente. Quando i dati hanno cominciato a mostrare un aumento veramente deciso della temperatura media globale, almeno dagli anni ’60 del secolo scorso, e non si poteva più negare che ciò stesse avvenendo, questi signori hanno cominciato a dire che il clima è sempre cambiato, sia nelle ere geologiche che negli ultimi secoli: chi non si ricorda che a scuola ci insegnavano che Annibale aveva attraversato le Alpi con gli elefanti o che la Groenlandia si chiama così (green land = terra verde) perché ai tempi della sua colonizzazione da parte di Erik il Rosso doveva essere priva di ghiacci? Ebbene, i riscaldamenti passati erano molto diversi da quello cui assistiamo oggi. Innanzi tutto, è vero che le nostre “carote” di ghiaccio estratte da Antartide e Groenlandia mostrano come negli ultimi ottocentomila anni il clima della Terra sia passato più volte da ere glaciali a periodi caldi interglaciali, ma allora si riscontrava un aumento di circa 1ºC ogni mille anni, mentre adesso l’aumento è stato di 1ºC in soli 100 anni, dunque il riscaldamento è molto più rapido. Inoltre, uno studio recente di Neukom e colleghi [2], facendo uso di dati di carote di ghiaccio, pollini, anelli degli alberi, sedimenti lacustri e marini, stalattiti e stalagmiti, ha stimato su tutto il globo la temperatura degli ultimi duemila anni. I risultati hanno mostrato chiaramente che il riscaldamento recente interessa il 98% della superficie terrestre ed è avvenuto tutto negli ultimi decenni, dunque è ubiquitario e sincrono. In passato si vedono certamente riscaldamenti locali (in Europa ai tempi di Annibale, in Groenlandia ai tempi di Erik il Rosso), ma negli stessi periodi altrove questo non si verificava. Questi ricercatori mostrano in particolare come questi riscaldamenti locali (che non sono né ubiquitari né sincroni) possano essere spiegati da una variabilità naturale del clima, mentre quello globale degli ultimi decenni debba avere una causa esterna che “forza” tutto il mondo a cambiare la sua temperatura.

L’effetto serra è un fenomeno naturale, quindi, perché allarmarsi?

Sappiamo bene che la presenza di gas ad effetto serra in atmosfera (anidride carbonica, metano, vapore acqueo e altri) ha consentito la vita sul pianeta e la sua diffusione così come la conosciamo: senza questi gas la temperatura media alla superficie sarebbe di 33ºC inferiore all’attuale. Il problema è che noi ora, con le nostre emissioni di questi gas, stiamo aumentando l’effetto serra naturale e stiamo riscaldando mari e aria. Non c’è un problema di tossicità dell’anidride carbonica a queste concentrazioni, ma sono gli effetti sulla temperatura [3]che ci rendono preoccupati.

Se è in corso un riscaldamento globale, perché si hanno frequenti picchi di freddo estremo? 

In questa affermazione ci sono due aspetti di fraintendimento. Da un lato, si confonde tra tempo meteorologico e clima. Il clima è un concetto statistico e rappresenta il tempo meteorologico medio che fa su una certa zona per un certo numero di anni (solitamente almeno 30 anni), insieme ad un valutazione della sua variabilità. Il tempo è quello che capita in una certa giornata o addirittura ad una determinata ora. È chiaro che il clima possiede una sua variabilità naturale per cui, anche se mediamente siamo in periodo di riscaldamento climatico globale, ci possono essere brevi periodi di freddo. Dall’altro lato, studi recenti [4] mostrano come alle nostre latitudini il riscaldamento globale possa favorire localmente certi inverni freddi. Si è visto infatti che la fusione dei ghiacci al Polo Nord (dove abbiamo perso più di 3 milioni di chilometri quadrati di superficie ghiacciata negli ultimi 40 anni) spesso non permette più il confinamento di aria fredda al Polo, ma in inverno la fa scendere alle medie latitudini in America, Europa e Asia. La temperatura media globale aumenta, ma aumenta anche la sua variabilità. In tal modo, sicuramente aumentano e diventano più probabili i casi di caldo estremo, mentre i casi di freddo diventano un po’ meno probabili ma non scompaiono.

Su che base i modelli che valutano le variazioni di temperatura sono affidabili?

I modelli climatici standard si basano sulla nostra conoscenza teorica del funzionamento dei singoli sottosistemi (i “pezzi”) del sistema clima. Questa conoscenza è ben posta perché acquisita in laboratorio. Ma quando vogliamo studiare l’intero sistema, cioè tutti i pezzi in interazione tra loro, non riusciamo a farlo in laboratorio, anche per problemi di scala: ci vorrebbe una Terra gemella su cui fare esperimenti, ma non ce la possiamo permettere… Inoltre, non abbiamo il controllo di tutti gli elementi. Allora, da qualche decennio si simula il funzionamento del sistema clima in un laboratorio virtuale, il computer. Qui abbiamo sviluppato modelli al calcolatore che sono in grado di ricostruire il clima passato e, facendo esperimenti in questo laboratorio virtuale, capiamo anche che la responsabilità del riscaldamento globale recente è delle nostre azioni in termini di combustioni fossili, deforestazione e cattivo uso del suolo. Ovviamente tali modelli climatici standard sono validati sul passato e ci permettono di ottenere dati previsti di temperatura e altre variabili anche per il futuro sotto la spinta di diversi scenari di emissione di gas serra. Ma alcuni deniers sostengono che la nostra conoscenza, inserita in questi modelli, è ancora incerta e potrebbe portare a risultati sbagliati. Allora, con alcuni colleghi abbiamo applicato altri modelli [5] Ccome sistemi di intelligenza artificiale) che sono in grado di imparare le “leggi” di funzionamento del sistema clima solo analizzando i dati, senza nessun apporto di conoscenza da parte nostra. Ebbene, anche tutti questi modelli mostrano chiaramente come il riscaldamento globale recente sia stato creato soprattutto dalle nostre azioni antropiche. La nostra conoscenza scientifica risulta dunque molto robusta e affidabile.

Perché mai 2-3°C in più dovrebbero fare la differenza?

Il vero problema non è certo il fatto di sudare un po’ di più, ma sono le conseguenze di questo aumento di temperatura sul cambiamento del clima e gli impatti sui territori, gli ecosistemi e l’uomo che vanno attentamente considerati, ad esempio le variazioni indotte sulla violenza degli eventi di precipitazione che stiamo tristemente vedendo in Italia in questo autunno caratterizzato da un Mar Mediterraneo molto caldo. Ciò fornisce un surplus di energia ai sistemi atmosferici, i quali non possono far altro che scaricarlo sui territori, con piogge estremamente intense e venti forti. In altre zone del mondo, ad esempio nei paesi della fascia del Sahel, che non hanno responsabilità nell’aumento di temperatura in quanto emettono pochissimi gas serra, gli impatti sono ancora più gravi, con perdite di raccolti, lotte per le risorse, innesco di conflitti ed infine migrazioni. Questi fenomeni si vedono già oggi ma in futuro, se non riusciremo a ridurre le nostre emissioni, la deforestazione e un’agricoltura non sostenibile, tali impatti sono destinati ad aggravarsi.

In quest’ultimo caso mi permetto di segnalare i miei due ultimi libri: “Effetto serra, effetto guerra” [6] e “L’equazione dei disastri” [7]. In entrambi c’è una buona quantità di riferimenti ad articoli pubblicati su riviste internazionali.

[di Simone Valeri]

Riferimenti

1: Lynas et al. (2021). Greater than 99% consensus on human caused climate change in the peer-reviewed scientific literature. Environmental Research Letters, volume 16, numero 11.

2: Neukom et al. (2019). No evidence for globally coherent warm and cold periods over the preindustrial Common Era. Nature, volume 571, pagine 550–554.

3: Arrhenius (1896). On the Influence of Carbonic Acid in the Air upon the Temperature of the Ground. Philosophical Magazine and Journal of Science Series 5, Volume 41, pagine 237-276.

4: Mori et al. (2019). A reconciled estimate of the influence of Arctic sea-ice loss on recent Eurasian cooling. Nature Climate Change volume 9, pagine 123–129.

5: Mazzocchi e Pasini (2017). Climate model pluralism beyond dynamical ensembles. WIREs Climate Change, Volume 8, Issue 6 e477.

6: Mastrojeni e Pasini (2020). Effetto serra, effetto guerra. Casa Editrice: Chiarelettere, pagine: 176, ISBN: 8832963000.

7: Pasini (2020). L’equazione dei disastri. Casa Editrice: Codice, Pagine: 184, ISBN: 9788875788650.

 

In Italia gli stipendi crollano a una velocità sconosciuta nel resto di Europa

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Italia fanalino di coda nell’Unione Europea. Come già due anni prima, ancora peggio adesso dopo la pandemia. La Fondazione Di Vittorio della Cgil, ha presentato ieri un report in cui si analizza la situazione dei salari italiani in relazione agli ammortizzatori sociali e agli effetti del Covid, confrontando i dati con quelli dei principali paesi europei. Ciò che emerge è assai preoccupante. La massa salariale, cioè la quantità di denaro complessivo che in Italia viene impiegata nei salari, nel 2020 è calata. E questo ce lo attendevamo. Ma mentre nell’eurozona la flessione generale è del 2,4%, in Italia si conta un -7,2%. Non è andata meglio sull’occupazione. Con un -1,3% in Europa e un -1,7% nel nostro paese.

Il massiccio utilizzo della Cassa Integrazione e di misure di sostegno ha attutito abbastanza la caduta dei salari (portando la loro massa a un effettivo 3,9%), tuttavia la sostanza non cambia. Se consideriamo che anche gli altri paesi hanno adottato interventi di tutela e che nazioni come la Germania hanno avuto peggioramenti molto più lievi del livello dei salari (-0,7%). Tutto ciò è particolarmente negativo a maggior ragione che l’Italia era l’unica nazione tra le maggiori sei dell’eurozona a non aver ancora recuperato i livelli salariali pre-crisi del 2008. La Fondazione non ha ancora i dati completi del 2021, anno in cui si prevede un rialzo del Pil del 6% e un riequilibrio (se ne parla in quest’articolo de L’Indipendente). Posto che la stima sarà azzeccata, e sulle stime non bisogna mai essere troppo fiduciosi, va appunto tenuto a mente che l’Italia parte comunque da molto più in basso.

Il 2019 pure non fa sorridere. Allora il salario medio italiano era inferiore di circa 9.000 euro rispetto a quello francese e di oltre 12.000 euro su quello tedesco. Inoltre, è nocivo che su salari mediamente più bassi come quelli italiani, la pressione fiscale sia maggiore. Questo erode ancora di più la capacità di spesa e di investimento. Quest’anno sul fronte dell’occupazione le cose vanno meglio seppur altalenanti, nel recupero delle posizioni lavorative dipendenti tra agosto 2020 e agosto 2021 l’80% è a termine. L’occupazione è 9 punti inferiore rispetto alla media dell’eurozona. Ma se il tasso di occupazione italiano è cosi più basso della media europea, a pesare anche l’enorme numero di inattivi (in merito segnaliamo la categoria dei cosiddetti Neet) su cui siamo al primo posto in Europa. Tutto ciò fa pensare che il tasso di disoccupazione sia in realtà maggiore del 9,2% ufficiale, attestandosi su un 14,5%. Secondo la Cgil un problema sta anche nell’eccessiva concentrazione di lavori a bassa qualifica, così come il minor numero di laureati. Fattori che possono incidere sul salario.

Il precariato ormai strutturale, i troppi tempi vuoti lavorativamente, dunque scarsa continuità contributiva, costituiscono la tempesta perfetta. La Fondazione Di Vittorio quest’anno ha analizzato che, in un ampio campione di persone entrate al lavoro dal 1996 e osservate fino al 2016 con meno di 40 anni di età, dopo 20 anni solo il 45% di loro ha più di 16 anni di contributi versati. Sia nella crisi del 2008 sia in quella pandemica la scelta è stata quella di non rinnovare i contratti o di tendere a rapporti a termine. Ma i circa 3 milioni di lavoratori con contratti a tempo determinato rappresentano davvero un numero eccessivo e una zavorra per la crescita economica, al netto di quanto ne pensino i tanti economisti conservatori che ad ogni periodo di difficoltà consigliano di flessibilizzare il mercato del lavoro per favorire le imprese. Le medesime imprese che, poi, per alleggerirsi spingono a part-time involontari (il 66,2% contro il 24,7% in eurozona) livellando ancora di più la massa salariale. Secondo Cgil un recupero dei livelli salariali in futuro si potrà avere solo se, nelle prime otto fasce delle diverse posizioni contrattuali, ogni dipendente guadagnerà più di 10.000 euro annui. Una prospettiva difficile, ancorché si parla sempre di lavoro subordinato e non si conta la vasta platea di autonomi (anch’essi magari involontari o anomali).

Le associazioni imprenditoriali, infatti, fanno sempre finta di non vedere che la produttività italiana è al lumicino se la valutiamo dal 1995 al 2019. Con uno 0,3% rispetto al 1,6% dell’UE. Sarà forse tutta colpa dei lavoratori? O un lavoratore precario sarà sempre meno formato e meno propenso ad affinarsi per il bene dell’azienda in cui sa che rimarrà? Insomma un quadro impietoso. Che è destinato a restare irrisolto se non si comprende che un’economia in salute si raggiunge anche attraverso standard alti di condizioni lavorative, senza continuare a puntare solo sul contenimento dei costi, anziché sulla qualità del prodotto, la formazione, l’innovazione tecnologica.

[di Giampiero Cinelli]

Dopo Trieste, anche Udine e Treviso vietano i cortei democratici con il pretesto dei contagi

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Dopo che a Trieste sono state vietate le manifestazioni in Piazza Unità d’Italia fino al 31 dicembre, adesso anche in altre città italiane i sindaci hanno annunciato provvedimenti simili. Mario Conte, il sindaco di Treviso, secondo quanto riportato da alcuni quotidiani locali ha infatti recentemente comunicato che Piazza dei Signori «non sarà più a disposizione per questo tipo di manifestazioni», alludendo in tal modo alle proteste contro il Green Pass. Inoltre, anche ad Udine il sindaco Pietro Fontanini ritiene necessario porre un freno alle manifestazioni ed in maniera particolare si dichiara a favore dell’interdizione di piazza Libertà.

Nello specifico, a Trieste il divieto di manifestare al momento consisterà semplicemente nel dire “no” ad eventuali richieste di autorizzazione delle proteste. Esso tuttavia potrebbe divenire più drastico nel periodo natalizio: «Speriamo di non dover arrivare al punto di fare un’ordinanza», ha affermato il sindaco Conte. La repressione infatti viene giustificata con l’esigenza non solo di preservare l’ordine pubblico ma soprattutto di garantire ai commercianti di poter lavorare tranquillamente in un periodo fondamentale in ottica affari. «Sacrosanto è il diritto di protestare, come sacrosanto è il diritto per tutti gli altri cittadini di vivere la città, di poter lavorare e fare shopping in serenità», ha aggiunto.

Per quanto riguarda Udine invece, il sindaco come detto vuole soprattutto interdire piazza Libertà. In tal senso, come riportano i giornali locali, il suo intento è quello di far arrivare le manifestazioni solo fino a piazza Primo Maggio o in alternativa organizzare cortei nella zona dello stadio: piazza Libertà secondo Fontanini è «troppo piccola per contenere la massa di persone che abbiamo visto nelle varie manifestazioni che si sono susseguite nelle ultime settimane». Fontanini nella giornata di ieri si è anche incontrato con il presidente della Regione Massimiliano Fedriga e il prefetto Massimo Marchiesello ed ha anticipato tali richieste, che sono giustificate dalla necessità di tutelare «la sicurezza e la salute». È per tale motivo infatti che il sindaco non vuole solo limitarsi ad impedire le manifestazioni in piazza Libertà, ma vuole anche inasprire i controlli sul distanziamento e l’uso delle mascherine durante i cortei.

Detto ciò, Fontanini non è comunque l’unico sindaco ad aver discusso con Fedriga del divieto delle manifestazioni: secondo quanto riportato da Tgr Friuli Venezia Giulia, il presidente della Regione ed il commissario di Governo Valenti si sono confrontati con il sindaco di Udine e con quello di Trieste nonché con quelli di Pordenone e Gorizia. L’intento, a quanto pare, è quello di adottare una linea di azione comune, seppur calibrata in base alle esigenze di ciascun territorio.

[di Raffaele De Luca]

Vaccini Covid, sottosegretario Costa: “Pronti a considerare obbligo per alcune categorie”

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«L’obbligo vaccinale per alcune categorie non è assolutamente un tabù e siamo pronti a prenderlo in considerazione». Sono queste le parole pronunciate dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ai microfoni della trasmissione Restart 264 su Cusano Italia TV. «Adesso affrontiamo queste settimane, vediamo quali saranno i dati delle vaccinazioni, dopodiché ci auguriamo che vi sia un senso di responsabilità che prevalga», ha aggiunto Costa a tal proposito.