domenica 15 Giugno 2025
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Nell’attacco contro l’Iran l’Occidente si è schierato compatto con Israele

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Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, Israele ha condotto un massiccio attacco contro numerosi obiettivi militari e nucleari iraniani, in quella che le autorità israeliane hanno definito una «operazione preventiva» per neutralizzare la minaccia di un imminente programma di armamento atomico. Tuttavia, è solamente dopo che l’Iran ha risposto a sua volta con un attacco missilistico che il Consiglio di Sicurezza ONU ha deciso di riunirsi per discutere della situazione, solo per lanciare un appello alla stabilità e alla de-escalation in Medioriente e sottolineare ancora una volta il “diritto di Israele a difendersi”.

Pur riconoscendo che gli attacchi israeliani hanno causato «danni significativi» e decine di vittime civili, a prevalere nell’assemblea del Consiglio di Sicurezza sembra essere stata la linea che sostiene gli interessi di Israele. Una delle poche voci sollevatesi contro le azioni di Tel Aviv è stata quella dell’Algeria, che ha sottolineato come Israele operi al di fuori del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari e come abbia sempre rifiutato di partecipare a colloqui per negoziare la creazione di una zona libera da armi nucleari in Medioriente. Il rappresentante algerino ha inoltre insistito sulla strana tempistica degli attacchi, che sono stati portati a termine proprio durante i colloqui tra Teheran e gli Stati Uniti sul nucleare – il prossimo round avrebbe dovuto svolgersi domenica 15 giugno. All’Algeria si è aggiunto il Pakistan, che ha definito «ripugnanti» le azioni di Israele proprio in ragione della tempistica.

Per il resto, a prevalere è stata la linea che impone che all’Iran non sia concesso di acquisire armi nucleari e che rivendica il diritto di Israele a difendersi dalle minacce esterne – una retorica mutuata dal genocidio in corso a Gaza e ormai divenuta il mantra di pressochè tutto l’Occidente. Gli Stati Uniti, che erano stati avvertiti da Israele degli imminenti attacchi (e avevano disposto un parziale ritiro del proprio contingente dalle basi in Medioriente il giorno precedente, ma che sostengono di non aver avuto alcun ruolo nell’attacco), hanno dichiarato che «non si può permettere a questo pericoloso regime [l’Iran, ndr] di avere armi nucleari». A fronte della minaccia di un attacco contro le basi statunitensi, la rappresentante USA ha avvisato che le conseguenze per Teheran sarebbero «terribili». In maniera simile, la Francia ha dichiarato che il programma nucleare iraniano «non ha alcuna giustificazione civile plausibile», mentre il presidente Macron, durante una conferenza stampa, ha ribadito il diritto di Israele a difendersi dalle minacce, come ha fatto la stessa presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. In Germania, il cancelliere Merz ha ribadito la sua «preoccupazione» per il programma nucleare iraniano e come le minacce dell’Iran di accelerare l’arricchimento dell’uranio violino le disposizioni del Trattato di non proliferazione (del quale Israele non è firmatario). Questo rappresenterebbe una minaccia per tutto il Medioriente, riferisce Merz, «in particolare per Israele».

Nel corso della riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza è intervenuto anche l’Iran, che ha definito Israele «il Paese più pericoloso e terrorista del Medioriente» e detto che le sue azioni equivalgono a una dichiarazione di guerra. Dal canto suo, il rappresentate israeliano ha detto che il suo Paese ha agito per «autodifesa» contro l’Iran, che ha dichiarato «il suo intento di distruggerci».

In questo contesto, l’Italia ha sposato (in maniera del tutto aspettata) la posizione statunitense. Di fronte alle Commissioni di Camera e Senato, il ministro degli Esteri Tajani ha infatti dichiarato che «di fronte a una minaccia nucleare non può esservi alcuna ambiguità: l’Iran non può dotarsi di una bomba atomica. Secondo l’intelligence di Israele Teheran avrebbe potuto avere 10 bombe atomiche entro sei mesi». Una posizione che rispecchia in pieno quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha dichiarato che in nessun caso l’Iran può dotarsi di un’arma nucleare.

La logica adottata in maniera pressochè univoca dall’Occidente piega ancora una volta il diritto internazionale agli interessi di Israele e degli Stati che lo sostengono, in maniera del tutto analoga a quanto già accaduto nell’ambito del conflitto israelo-palestinese. Tel Aviv non ha infatti mai reso noto con precisione il numero di armi atomiche in suo possesso, posizione politicamente strategica che le ha evitato critiche nel tempo. Tuttavia, una stima dell’ICAN (la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari) ritiene che siano circa 90 le armi nucleari in Israele e che il Paese sia in possesso delle risorse per costruirne altre 200. Un dettaglio che, evidentemente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno deciso ancora una volta di ignorare.

DIRETTA – Guerra in Medio Oriente – Israele attacca l’Iran: uccisi decine di civili e venti ufficiali – Missili iraniani bucano Iron Dome

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Sabato 14 giugno, secondo giorno di guerra tra Iran e Israele. Continua anche oggi la nostra diretta. Potete consultare gli aggiornamenti precedenti qui.


Il primo ministro inglese Keir Starmer ha dichiarato ai giornalisti che l’Inghilterra sta inviando mezzi militari, tra i quali anche jet da combattimento, nella regione mediorientale «per fornire supporto alla regione». Secondo quanto riferito da un portavoce del primo ministro, gli spostamenti sono iniziati già nella mattinata di venerdì 13 giugno, a poche ore dall’inizio dell’attacco israeliano.


Il presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin hanno avuto una conversazione telefonica di circa 50 minuti, nel corso della quale avrebbero discusso del conflitto tra Israele e Iran. Lo riporta l’agenzia di stampa statale russa, che riferisce come, nel corso della telefonata, Putin avrebbe condannato l’operazione militare di Israele contro l’Iran e dichiarato che Mosca è pronta a porsi come intermediaria nel conflitto in corso. Trump, invece, avrebbe definito «efficaci» gli attacchi di Tel Aviv contro Teheran. Entrambe non avrebbero escluso un ritorno ai negoziati per la questione iraniana.


Secondo numerosi media iraniani, Israele avrebbe bombardato giacimenti di gas e le infrastrutture di South Pars, nella provincia meridionale di Bushehr. Si tratta di uno dei più grandi giacimenti di gas al mondo, che rappresenta quasi l’80% della produzione totale di gas dell’Iran. Sul posto si sarebbe sviluppato un incendio.


L’esercito israeliano ha riferito di aver eliminato oltre 20 comandanti iraniani dall’inizio dell’attacco, tra i quali il capo della Direzione dell’Intelligence delle forze armate, Gholam-Reza Marhabi, e un ufficiale del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), Mohammad Bagheri. Marhabi era considerato il più alto ufficiale dell’intelligence israeliana, scrive l’IDF, ed avrebbe avuto un ruolo chiave negli attacchi contro Israele nell’ultimo anno e in quelli precedenti. Bagheri, invece, si occupava di supervisionare le capacità dei missili superficie-superficie e da crociera a lungo raggio, principali strumenti offensivi dell’Iran contro Israele.

Attraverso una comunicazione avvenuta tramite i propri canali radiofonici e citata da Al Jazeera, l’esercito israeliano ha inoltre riferito di aspettarsi nuovi attacchi dall’Iran questa notte.


In una comunicazione diffusa ai prefetti delle varie regioni francesi e visionata dai media francesi, il primo ministro Bruno Retailleau ha dato ordine di aumentare la sicurezza in tutti quei siti che potrebbero essere oggetto di «attacchi terroristici o dolosi da parte di una potenza straniera», in particolare luoghi di culto, scuole, edifici statali e istituzionali e siti ad alto traffico quali raduni festivi, culturali o religiosi. Il ministro avrebbe dato indicazioni di monitorare in particolare le persone «di nazionalità iraniana o con legami con l’Iran».


L’esercito israeliano ha riferito di aver eliminato 9 scienziati che stavano lavorando al programma nucleare iraniano. «Tutti gli scienziati e gli esperti eliminati, in base alle informazioni di intelligence, sono stati fattori chiave nello sviluppo delle armi nucleari iraniane», riferisce il comunicato, «la loro eliminazione rappresenta un duro colpo per la capacità del regime di acquisire armi di distruzione di massa».


Il governo iraniano ha lanciato un monito contro gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna, avvertendoli di ripercussioni in caso tentino di impedire gli attacchi contro Israele. Lo riporta Al Jazeera, citando l’agenzia di stampa iraniana Mehr. «Qualsiasi Paese che partecipi a respingere gli attacchi iraniani contro Israele sarà soggetto al bersaglio di tutte le basi regionali del governo complice, comprese le basi militari nei Paesi del Golfo Persico e le navi e le imbarcazioni navali nel Golfo Persico e nel Mar Rosso da parte delle forze iraniane» riporta il comunicato.


Almeno 60 persone, delle quali 20 bambini, sarebbero state uccise nel crollo di un edificio residenziale colpito dagli attacchi israeliani. Tra le vittime degli attacchi si contano anche due vicecomandanti dello Stato Maggiore, il generale Gholamreza Mehrabi e il generale Mehdi Rabbani.

Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa iraniana FARS, che cita fonti informate iraniane, la guerra si estenderà anche nei prossimi giorni e «includerà anche basi statunitensi nella regione», dove «gli aggressori saranno l’obiettivo di una risposta iraniana decisa e su vasta scala». Questa mattina, l’Iran ha annunciato la sospensione di tutti i voli nazionali fino a nuovo avviso.


Nel corso di una riunione d’emergenza tenutasi dopo l’inizio dell’attacco israeliano contro l’Iran, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha esortato entrambe le parti «alla de-escalation e alla diplomazia» per non aggravare la già fragile situazione in Medioriente. «La tempistica degli attacchi israeliani segna un nuovo, preoccupante anello nella “catena di tensioni” che minaccia la stabilità regionale e globale» riporta un comunicato.

Poche le condanne a Israele, la maggior parte delle quali accompagnate da dichiarazioni che rimarcano il «diritto di Israele a difendersi». Gli Stati europei, in particolare, hanno sposato la linea degli Stati Uniti, che hanno condannato l’esistenza di un programma nucleare in Iran. Il rappresentante dell’Iran ha definito Israele «il regime più pericoloso e terroristico al mondo» e ha condannato la complicità di USA e Occidente.


Nella notte sono proseguiti gli scontri tra Israele e Iran, ormai in guerra aperta. Diversi bombardamenti israeliani hanno colpito Teheran, prendendo di mira anche l’aeroporto. Numerosi video mostrano dense colonne di fumo levarsi dallo scalo internazionale della capitale. Esplosioni sono state segnalate anche nelle città di Isfahan e Kermanshah.

All’alba, una nuova ondata di missili iraniani ha colpito Israele; almeno uno è riuscito a superare lo scudo difensivo Iron Dome. Gli attacchi iraniani hanno causato la morte di almeno tre persone e il ferimento di ottanta, alcune delle quali in gravi condizioni.


L’attacco lanciato da Israele contro l’Iran nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno segue mesi di crescenti tensioni, culminati negli scorsi giorni con la pubblicazione da parte dell’AIEA di un rapporto che segnalava «irregolarità» nel monitoraggio delle centrifughe iraniane. Il presidente USA Donald Trump, pur ribadendo che Washington non ha preso parte all’operazione, ha espresso preoccupazione per il possibile coinvolgimento di forze americane sul terreno, invitando entrambe le parti alla massima moderazione. Il tycoon ha dichiarato che l’attacco gli era stato annunciato da Netanyahu. La comunità internazionale guarda con apprensione ai prossimi giorni, temendo che la crisi possa degenerare in un conflitto su larga scala. Gli investitori hanno già fatto salire il prezzo del petrolio, e i mercati regionali riflettono una volatilità mai vista dall’ultimo conflitto israeliano-libanese. Poco fa, le autorità di Teheran hanno dichiarato che, alla luce dell’attacco israeliano, l’Iran non parteciperà al sesto round di negoziati con gli USA sulla questione del nucleare, previsto per domenica a Muscat, in Oman.

 

Disney e Universal si muovono contro i plagi via IA

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Da anni ormai, autori e artisti intentano piccole e medie cause legali per far valere i propri diritti nei confronti delle intelligenze artificiali generative, strumenti spesso accusati di essere addestrati in maniera illecita, sfruttando contenuti protetti dal diritto d’autore. Mercoledì 11 giugno, però, sono scesi in campo anche Disney e Universal: due colossi di Hollywood che hanno unito le forze per fare causa a Midjourney, noto generatore di immagini che tende a riprodurre con sorprendente fedeltà lo stile visivo su cui si basa il proprio modello.

Le carte del tribunale – 110 pagine dense di esempi – illustrano nel dettaglio come l’IA in questione “stravolga gli incentivi fondamentali della legge sul copyright degli Stati Uniti”. “Midjourney è la quintessenza dello scroccone del copyright, un pozzo senza fondo di plagio”, si legge nei documenti, dove si parla di una “violazione calcolata e intenzionale”, con contenuti che riproducono in modo fin troppo evidente le opere originali. Horacio Gutierrez, vicepresidente esecutivo e Chief Legal Officer di Disney, ha parlato apertamente di “pirateria”.

Le due major non si dichiarano contrarie all’intelligenza artificiale – tutt’altro – ma contestano duramente il fatto che gli output della IA generativa in questione richiamino in modo esplicito marchi come Star Wars, Shrek e Marvel. Uno scontento che, a detta dell’accusa, era già comunicata a Midjourney per via legale, ma che sarebbe stato ignorato: l’azienda avrebbe semplicemente guadagnato tempo, continuando nel frattempo a rilasciare nuove versioni dei suoi modelli.

L’azione legale coinvolge sette entità aziendali interne a Disney e Universal e chiede un’ingiunzione immediata contro Midjourney, così da impedirle di continuare a distribuire immagini legate ai brand citati nei documenti. Contestualmente, viene richiesto un risarcimento danni, di cui però non è ancora stato specificato l’ammontare. Richieste che ricordano da vicino le cause viste negli ultimi anni, ma con una differenza sostanziale: questa volta non si tratta di una class action portata avanti da scrittori, illustratori o testate giornalistiche con risorse relativamente limitate, bensì di due titani dotati di team legali notoriamente aggressivi ed estremamente preparati.

In tal senso, si tratta di un caso senza precedenti, che potrebbe incidere in modo significativo sul futuro delle IA generative, stabilendo un precedente legale rilevante. Si sospetta che molti dei modelli oggi in commercio sono stati addestrati impiegando materiali trafugati o comunque utilizzati senza il consenso dei detentori dei diritti, una prassi che viene difesa invocando il principio del fair use, sostenendo che i contenuti generati siano “trasformativi” a sufficienza da non configurare un plagio diretto. Un punto di vista che viene difeso anche con strategie di lobby mirate a chiedere alla Casa Bianca che il diritto a cannibalizzare il materiale protetto da diritti d’autore sia “preservato“.

Disney e Universal non si spingono fino a chiedere la rimozione delle proprie opere dagli archivi di addestramento – una richiesta che avrebbe conseguenze dirompenti sull’intero settore –, bensì chiedono che Midjourney smetta immediatamente di generare immagini riconducibili ai loro prodotti. E che lo faccia prima di lanciare il suo nuovo sistema di generazione video

 

Rifiuti, il Consiglio di Stato approva maxi-discarica tra Canosa e Minervino

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Il Consiglio di Stato ha approvato l’ampliamento della maxi-discarica del Comune di Minervino Murge, legittimando la decisione della provincia di Barletta-Andria-Trani (BAT) che ne aveva precedentemente autorizzato i lavori. La discarica Ex-BLUE triplicherà così la sua volumetria dei rifiuti, superando quota 1,135 milioni di metri cubi. Per farsi un’idea dell’estensione dell’impianto si pensi che l’Empire State Building ha un volume di circa 900 milioni di metri cubi. La decisione dei giudici ha provocato l’indignazione di cittadini e associazioni, a partire da Italia Nostra e Legambiente, cui si aggiunge il Comitato No Discarica. Quest’ultimo è stato fondato nel 2017 per contrastare l’ampliamento di una struttura presente in un’area compromessa — quella della contrada Tufarelle, divisa dal torrente Locone — che ospita altre tre discariche, tra inquinamento e processi ancora in corso.

Dopo il via libera alla soprelevazione della discarica Ex-BLUE (oggi Dupont Energetica) da parte della provincia, e una prima pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), il Comune di Canosa si è rivolto al Consiglio di Stato, che ha confermato la legittimità della decisione, nonostante i dati e i processi sull’inquinamento dell’area — su cui insiste un carico ambientale complessivo di circa 2 milioni di metri cubi di rifiuti. Preoccupa particolarmente la discarica per rifiuti speciali COBEMA, chiusa nel 2005 in maniera inadeguata, come stabilito dal TAR in due sentenze, del 2012 e del 2021. “L’accertata condizione di non impermeabilità della discarica abbandonata dal gestore” — scrive la Procura di Trani — ha causato nel corso degli anni un diffuso fenomeno di inquinamento ambientale, con copiosa presenza di percolato, accertato sia al di sotto della discarica che lungo i fianchi, riversandosi in direzione dei circostanti uliveti”.

Alle indagini su inquinamento ambientale e omessa bonifica si sono aggiunti, nel 2022, il sequestro della discarica e l’avvio di un nuovo filone investigativo che vede ipotizzati i reati di truffa aggravata, corruzione e subappalti non autorizzati, con al centro il finanziamento di 4,2 milioni di euro stanziato dal Fondo europeo per lo Sviluppo e la Coesione alla provincia BAT per l’adeguata chiusura della discarica. Al momento i lavori non risultano conclusi, ma 2,3 milioni di euro sono stati impegnati. Con ogni probabilità si avranno aggiornamenti con l’avanzamento dei due processi. Nel frattempo risultano esposti decine di migliaia di cittadini a pericoli vari per la salute. Già «nel 2008, l’ASL ha certificato un aumento di tumori al fegato dovuti ai danni ambientali», ha dichiarato la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Grazia Di Bari, riprendendo le conclusioni di Renato Nitti, procuratore capo di Trani. Di Bari ha poi chiesto un incontro tra Regione, Provincia e ASL per mettere in discussione il progetto di ampliamento della discarica di Minervino e fare il punto della situazione su salute e ambiente, in un Paese con un evidente problema di gestione dei rifiuti e di bonifica del territorio inquinato.

Localizzazione delle 4 discariche tra Canosa e Minervino Murge, crediti: Italia Nostra Canosa.

Sulla salute della contrada Tufarelle, area rurale individuata come sito di stoccaggio dei rifiuti, è intervenuta anche Italia Nostra Canosa, ricostruendo le denunce d’inquinamento registrate negli ultimi 30 anni. Già «nel maggio 2004, il docente universitario Marco De Bertoldi effettuò delle indagini per conto del Tribunale di Trani. Il risultato delle analisi condotte sulle acque dei pozzi e sul terreno certificarono l’inquinamento, con valori oltre i limiti di legge per il ferro, il manganese, il cloro, l’alluminio, e in alcuni pozzi anche per gli idrocarburi. La denuncia del Professor De Bertoldi cadde nel vuoto, senza alcun seguito da parte dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA)», che soltanto nel 2010 ha effettuato dei controlli riscontrando in alcuni pozzi valori oltre i limiti di legge del ferro e del manganese. Nel frattempo ha preso corpo un lungo braccio di ferro tra enti locali, autorità giudiziarie, privati e associazioni cittadine che si snoda sino ad oggi, all’ampliamento della discarica di Minervino deciso dalla provincia BAT con parere positivo dell’ARPA.

Texas, inondazioni provocano 11 morti e vari dispersi

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Inondazioni causate da intense piogge negli ultimi giorni hanno provocato 11 morti e alcuni dispersi nel Texas. Il bilancio è stato aggiornato nelle ultime ore dalle autorità. Forti acquazzoni hanno colpito in particolare la città di San Antonio, causando inondazioni lampo nelle strade che hanno spinto i veicoli dentro il letto di un torrente. L’emittente televisiva locale KENS5 ha reso noto che il San Antonio Fire Department sta ricercando almeno quattro persone scomparse. Oltre 70 persone sono state salvate dalle acque dell’alluvione e la maggior parte di loro è stata estratta dai propri veicoli in panne.

Israele ha attaccato l’Iran

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È cominciata la risposta militare iraniana all’attacco lanciato da Israele. In due diverse ondate, sono stati lanciati almeno 150 missili balistici dall’Iran su tutto il territorio israeliano. I media locali riferiscono dell’attivazione delle sirene d’allarme in tutto il Paese, da nord a sud.

Alcuni missili sono riusciti a superare il sistema difensivo dello Stato ebraico. Il quotidiano Haaretz riporta almeno 14 israeliani feriti, tra Tel Aviv e Ramat Gan, nel centro del Paese.

Le autorità iraniane hanno inoltre dichiarato di aver abbattuto due aerei militari israeliani e di aver catturato la pilota di uno dei jet.


Sono arrivate le prime reazioni russe all’azione israeliana contro l’alleato iraniano. Il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, ha definito «categoricamente inaccettabili» gli attacchi israeliani. Una condanna formalmente netta, ma sterile nella sostanza, poiché — almeno per ora — la Russia non prospetta alcuna possibile azione di ritorsione sul piano politico o diplomatico, limitandosi a invitare entrambe le parti «a dar prova di moderazione».

L’organo di stampa ufficiale cinese Global Times ha invece riportato la posizione di Pechino. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso «forte preoccupazione» per gli attacchi di Israele contro l’Iran e per le potenziali gravi conseguenze, sottolineando che la Cina «si oppone a qualsiasi violazione della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale dell’Iran» ed esorta le parti «a fare di più per promuovere la pace e la stabilità».


Secondo i media iraniani, 78 persone sono state uccise e 329 ferite negli attacchi israeliani contro aree residenziali a Teheran.

Tra gli alti funzionari iraniani uccisi figurano il comandante in capo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Hossein Salam; il capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, Mohammad Bagheri; Gholam Ali Rashid, comandante del quartier generale di Khatam-al Anbiya e gli scienziati nucleari Fereidoun Abbasi e Mohammad Mehdi Tehranchi. Ali Shamkhani, alto consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei, è rimasto gravemente ferito.


Da Tel Aviv giungono dichiarazioni sulla reale natura dell’attacco che aprono le porte a una guerra prolungata contro l’Iran. Un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato al quotidiano Ynet che gli israeliani devono prepararsi «a un’operazione prolungata, poiché l’azione militare è ancora nelle sue fasi iniziali», precisando che «non si tratta di un’operazione, ma di una guerra, pianificata e condotta a 1.500 chilometri da casa».

Il presidente statunitense Donald Trump, intervistato dall’emittente ABC, ha indirettamente confermato la situazione, affermando che «ci saranno altri attacchi, molti altri». Trump ha inoltre dichiarato che Israele sta svolgendo un lavoro «eccellente».


In cima alla moschea di Jamkaran, nei pressi della città santa di Qom, è stata issata la bandiera rossa, simbolo utilizzato dal governo iraniano per commemorare il sangue dei martiri e, al tempo stesso, promettere vendetta. La stessa bandiera era stata issata anche il 3 gennaio 2020, in seguito all’uccisione del generale Qassem Suleimani in un attacco aereo statunitense. In risposta, l’Iran lanciò missili contro due basi militari in Iraq che ospitavano truppe americane.

Nel frattempo, le immagini trasmesse dalla televisione di Stato mostrano manifestazioni popolari molto partecipate contro Israele.

Il ministro della Difesa iraniano, Aziz Nasirzadeh, ha dichiarato che «i criminali sionisti devono sicuramente aspettarsi una risposta schiacciante e dolorosa dalle nostre forze armate».


La televisione di Stato iraniana ha riferito di ulteriori attacchi israeliani contro alcune aree periferiche delle città di Tabriz e Shiraz e contro il sito nucleare di Natanz, dove si trova una struttura sotterranea per l’arricchimento dell’uranio, già danneggiata dagli attacchi condotti nella notte. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha dichiarato che, almeno per ora, non si è verificata alcuna contaminazione nucleare a seguito degli attacchi.


Con un post sul social network Truth il presidente USA Donald Trump ha detto la sua sull’attaccato, incolpando l’Iran dell’attacco subito. Trump ha minacciato Teheran che la rinuncia al programma nucleare è l’unico modo per evitare che «attacchi già pianificati, ancora più brutali, abbiano luogo», specificando che gli Stati Uniti continueranno a fornire a Israele il «migliore e più letale equipaggiamento militare al mondo».

Questo il testo completo, tradotto in italiano e con le maiuscole originali, del comunicato di Trump: «Ho dato all’Iran occasione dopo occasione per concludere un accordo. Gli ho detto, con le parole più forti, di “farlo e basta”, ma nonostante tutti i loro sforzi, nonostante quanto ci siano andati vicini, non ci sono riusciti. Gli ho detto che sarebbe stato molto peggio di qualsiasi cosa conoscessero, prevedessero o di cui fossero stati avvertiti, che gli Stati Uniti producono il miglior e più letale equipaggiamento militare al mondo, DI GRAN LUNGA, e che Israele ne possiede molto, con ancora di più in arrivo – e sanno come usarlo. Alcuni falchi iraniani hanno parlato con coraggio, ma non sapevano cosa stava per succedere. Ora sono tutti MORTI, e la situazione peggiorerà ancora!

C’è già stata una grande quantità di morti e distruzione, ma c’è ancora tempo per mettere fine a questo massacro, prima che gli attacchi già pianificati, ancora più brutali, abbiano luogo. L’Iran deve fare un accordo, prima che non rimanga più nulla, e salvare ciò che un tempo era conosciuto come l’Impero Persiano. Niente più morti, niente più distruzione, FATELO E BASTA, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. Che Dio vi benedica tutti!»


Arrivano scene da lockdown da Israele, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza nel timore di una risposta militare iraniana. Gran parte degli scali aerei del Paese sono chiusi. Ai cittadini è stato comunicato di uscire dai rifugi solo in caso di urgenza e necessità.

Secondo quanto riferito dal quotidiano israeliano Haaretz tutti gli ospedali «hanno trasferito le operazioni in aree sotterranee protette, procedendo ad annullare gli interventi differibili e dimettendo i pazienti non urgenti».

Un’immagine di Tel Aviv pubblicata questa mattina, con le strade deserte e a bordo strada le bandiere del Pride che avrebbe dovuto svolgersi oggi ma è stato annullato.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato «qualsiasi escalation militare in Medio Oriente» e si è detto «particolarmente preoccupato per gli attacchi israeliani contro installazioni nucleari in Iran».

L’Iran ha già richiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

La Turchia ha duramente condannato Israele, con il vicepresidente Yilmaz che ha definito l’attacco «perpetrato mentre aumentava la pressione internazionale contro le politiche genocide attuate a Gaza e mentre proseguivano i negoziati sul nucleare con l’Iran, è un atteggiamento barbarico che esclude i valori umani e la diplomazia».


L’esercito israeliano ha dichiarato che l’attacco contro l’Iran è parte di un piano preparato da tempo. «Questo è un attacco che abbiamo preparato per molti lunghi mesi, anche mentre operavamo contemporaneamente a Gaza, in Libano e contro lo Yemen» ha dichiarato l’esercito israeliano in una nota.

Secondo quanto riferito, l’operazione aveva come obiettivo alti funzionari del regime iraniano, importanti scienziati nucleari e infrastrutture militari strategiche. «Le condizioni operative sono state scelte con cura e il momento è ottimale per raggiungere i nostri obiettivi e cogliere di sorpresa il nemico» si legge nella dichiarazione.


Nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno, Israele ha lanciato un massiccio attacco contro numerosi obiettivi militari e nucleari iraniani, in quella che le autorità di Tel Aviv hanno definito una «operazione preventiva» per neutralizzare la minaccia di un imminente programma di armamento atomico.

  • Secondo fonti ufficiali dell’IDF, oltre 200 aerei da combattimento hanno colpito circa 100 siti in tutto il territorio iraniano, inclusi impianti di arricchimento dell’uranio a Natanz e complessi legati alla produzione di missili balistici. Il bilancio provvisorio parla di decine di vittime tra il personale militare iraniano e – secondo media di Teheran – numerosi scienziati nucleari di alto profilo, tra cui Fereydoun Abbasi-Davani e Mohammad Mehdi Tehranchi, oltre al capo dei Guardiani della Rivoluzione Hossein Salami, il cui decesso è stato confermato dalle agenzie di Stato. 
  • L’Iran ha subito risposto lanciando altre cento droni contro Israele. Il corpo d’élite delle Guardie Rivoluzionarie iraniane ha dichiarato che diversi bambini sono stati uccisi in un attacco in una zona residenziale della capitale. La Guida suprema iraniana ha dichiarato di aver dato «libertà d’azione» alle forze armate del Paese per rispondere agli attacchi israeliani. L’esercito ha infatti risposto lanciando in territorio israeliano decine di droni e missili, attivando altissime sirene d’allarme in tutto il paese e costringendo migliaia di civili a cercare riparo in strutture protette.
  • I cieli di Israele, Iran, Iraq e Giordania sono stati temporaneamente chiusi, con voli internazionali dirottati e aeroporti in stallo. Le autorità israeliane hanno imposto lo stato di emergenza: scuole e uffici pubblici resteranno chiusi fino a nuovo avviso, mentre l’esercito ha cominciato a mobilitare riserve e rinforzare i pattugliamenti lungo il confine settentrionale. 

Lombardia, caccia sui valichi montani: Consiglio di Stato conferma il divieto

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Il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di sospensiva presentata dalla Regione Lombardia contro la sentenza del Tar che, lo scorso 2 maggio, ha vietato la caccia in 475 valichi montani (oltre 110 mila ettari). Il ricorso, sostenuto anche dalla lobby dei cacciatori, mirava a bloccare l’esecutività del divieto, già recepito – non senza tensioni – dal Consiglio regionale. Il divieto riguarda tutte le specie, inclusi i cinghiali. La decisione rinvia tutto al giudizio di merito, lasciando intatto, per ora, il divieto. L’opposizione esprime soddisfazione, mentre i cacciatori e la giunta Fontana si dicono contrariati per il verdetto.

Un’altra Europa

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Mi sentirò solo, pazienza. Griderò al vento, pazienza. Ma è l’ora di gettare in faccia a chi comanda in Europa le sue stesse parole sconsiderate.

Non dobbiamo tollerare, noi Europei, che si parli di guerra mondiale imminente con toni quasi provocatori, ignoranti della storia e della realtà, restando silenziosi e succubi dei mali reali del mondo e invece pronti a disegnare scenari apocalittici come inevitabili.

Non possiamo riconoscerci nelle analisi, nelle prospettive, nei modi fintamente oggettivi ma cinicamente arroganti, drammaticamente offensivi verso ogni politica, che vengono espressi da chi dirige l’Europa.

Io ripudio tutti coloro che danno il loro sì in assemblea a una visione scellerata che getterà nebbie oscure sul futuro dei nostri figli. Mi sento totalmente estraneo ai rappresentanti del mio Paese che si allineano a pensieri e progetti di guerra, a programmi apparentemente difensivi che in realtà risultano potenzialmente minacciosi.

Voglio tornare a sentirmi Europeo, figlio e nipote di quegli Europei che hanno rimosso le macerie, ricostruito e dato lavoro e speranza, che si sono sentiti uniti nel rigettare le dittature e nel pensare i confini sempre aperti, pronti ad ascoltare, a confrontarsi anche duramente.

Agli Europei che hanno unito le tradizioni ai cambiamenti, che hanno ripudiato le schiavitù. Voglio politici veri, non ciarlatani al servizio di interessi oscuri.

Io non mi sento concittadino d’Europa di chi getta sotto i piedi le nostre nobili tradizioni, la nostra visione umana e responsabile, la forza del dialogo che ci è stata insegnata dagli Antichi, il senso divino da riconoscere alla vita di ognuno, il senso invincibile di un dovere da compiere, di un servizio da rendere da parte di chi governa.

Si può essere credenti in diverso modo, si può essere scettici o critici, si può voler seguire l’esempio dei migliori o il programma di un Amore ultraterreno, di una pace dono di Dio, ma nessuno dovrà sentirsi cristiano né musulmano né ebreo né buddista, ma nemmeno ateo o agnostico, ecc. ecc., per convenienza.

Chi governa l’Europa ha un unico obbligo sacro, ineludibile, invalicabile, ultimativo: rispettare noi cittadini europei. Noi tutti che non vogliamo la pace come una rinuncia o come un dato di fatto, ma sappiamo che la pace costa quotidiana fatica e impegno.

Vogliamo uno sviluppo civile, la diffusione a tutti dei beni necessari, la protezione dei più deboli, la crescita con pari dignità di chi è meno favorito, lo sforzo epocale verso i popoli e le persone – a cominciare dalle bambine e dai bambini – che soffrono, ridotti al pianto non soltanto dal dolore ma dalla necessità.

Chi dirige l’Europa cambi rotta, senta il coraggio di chi ha in mano destini, si senta degno del proprio compito.

Io invece mi sento e mi dichiaro totalmente estraneo, mille miglia lontano da un’Europa che si dichiara minacciata, alla caccia di nemici come se si trattasse di un programma di marketing che deve crearsi i suoi clienti potenziali.

Giusto. Il marketing, gli affari: quale altro scenario sono in grado di immaginare e gestire questi governanti? Nessun altro.

A proposito di nemici, io continuo a sentirmi amico del Regno Unito come della Russia, dell’Irlanda come della Francia, della Romania come della Croazia, della Germania come della Grecia. Anche se amo la mia terra, il mio cielo e il mio mare italiani con l’affetto di un figlio.

Io vorrei un’Europa consapevole, aperta e generosa ma ferma e irremovibile sui doveri da chiedere a chi diventa nostro ospite e poi nostro cittadino.

Noi Europei dobbiamo poter esprimere tutto il nostro potenziale ideale, propositivo e anche rivoluzionario quando occorre. Dobbiamo lavorare per una nuova epoca storica, dando orizzonti alla nuova antropologia che si sta formando.

Noi Europei, insomma, se Europei dobbiamo e vogliamo rimanere, avremmo bisogno il prima possibile di un’altra classe dirigente.

Il Burkina Faso continua sulla strada delle nazionalizzazioni

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Il governo del Burkina Faso ha completato ufficialmente il trasferimento di cinque beni legati all’estrazione dell’oro alla società mineraria statale, consolidando così il processo di controllo nazionale sulle risorse naturali avviato nell’agosto scorso. Nell’ambito di questa riforma, il Paese ha rivisto il proprio codice minerario e istituito la Société de Participation Minière du Burkina (SOPAMIB), ente statale incaricato di detenere, gestire e sviluppare risorse minerarie strategiche. I cinque beni trasferiti comprendono due miniere d’oro operative e tre licenze di esplorazione, precedentemente in mano a sussidiarie della compagnia britannica Endeavour Mining e della società Lilium. «Questa acquisizione è in linea con la politica dello Stato di proprietà sovrana delle risorse minerarie per ottimizzarne lo sfruttamento a beneficio della popolazione», si legge nel testo del decreto emanato mercoledì.

Il Burkina Faso è il quarto produttore di oro dell’Africa, con una produzione di oltre 57 tonnellate di oro nel 2023: considerato che il metallo giallo è il principale prodotto di esportazione del Burkina Faso, nazionalizzare le miniere significa dirottare i profitti a beneficio dello sviluppo nazionale piuttosto che di aziende straniere. Specialmente in questo periodo, si prevede che le nazionalizzazioni porteranno introiti ancora maggiori alle casse statali, in quanto il prezzo dell’oro è aumentato del 27%. Nel Paese africano la produzione di oro ha registrato un incremento del 74% dal 2016 al 2021, benché la crescente insicurezza e le tensioni geopolitiche abbiano rallentato l’estrazione del minerale prezioso negli ultimi anni.

Secondo i dati governativi, la produzione di oro nei primi nove mesi del 2023 fino a settembre è diminuita del 4% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 41,9 tonnellate. Questo dopo che la produzione di uno dei maggiori produttori africani era diminuita del 13%, attestandosi a 58,2 tonnellate nel 2022. Il che ha indotto il capo della giunta Burkinabé a sostituire il precedente ministro delle miniere e dell’energia, Simon-Pierre Boussim, con Yacouba Zabre Gouba. Lo stesso Boussim, però, prima di essere rimosso, aveva dichiarato che i ricavi dell’esportazione dell’oro erano stimati in aumento a 2099,1 miliardi di Cfa (3,5 miliardi di dollari) nel 2022, rappresentando il 73,86% dei ricavi delle esportazioni e consolidando la sua posizione di primo prodotto di esportazione del Paese dal 2009. La rivista Africa riporta che secondo i dati del ministero dell’energia e delle miniere, le entrate dirette al bilancio statale sono passate da 430,916 miliardi di franchi Cfa (718 milioni di dollari) nel 2021 a 540,984 miliardi di franchi Cfa (902 milioni di dollari) nel 2022, con un aumento di 110,068 miliardi di franchi Cfa (183 milioni di dollari) in termini assoluti. Si comprende, dunque, come la nazionalizzazione del settore possa incrementare lo sviluppo nazionale a scapito delle multinazionali straniere. Non a caso, le riforme hanno allarmato gli investitori occidentali, tra cui anche la canadese Iamgold, Nordgold e Australia’s West African Resources Ltd.

Il programma di nazionalizzazioni è uno dei pilastri della giunta militare del Paese africano guidato dal capitano Ibrahim Traorè, che ha preso il potere con il colpo di Stato del 30 settembre 2022 rovesciando il precedente governo filoccidentale. Traorè già nei mesi scorsi aveva esternato la volontà di prendere il controllo dell’economia nazionale sfruttando la conoscenza locale: «Sappiamo come estrarre il nostro oro e non capisco perché dovremmo permettere alle multinazionali di venire a estrarlo» aveva detto. In occasione dell’inaugurazione della prima raffineria d’oro nazionale del Paese, alla fine del 2023, il capo della giunta aveva spiegato che «È una questione di sovranità, prima di tutto. Siamo un Paese produttore di oro, ma non abbiamo alcun controllo sull’oro che produciamo. Non porteremo più il nostro oro all’estero per la raffinazione». In tale contesto, nel 2024 il codice minerario del Burkina Faso è stato modificato per garantire che lo Stato abbia una quota maggiore nei progetti minerari, raggiungendo il 15% dell’azionariato.

Le nazionalizzazioni delle miniere si inseriscono in un più ampio contesto di decolonizzazione che sta interessando molti Paesi dell’Africa Subsahariana e di cui Traorè è uno degli esponenti politici più importanti. Con l’intenzione di riacquisire la sovranità politica, economica e militare contro gli interessi degli ex Paesi colonizzatori occidentali, dal 2020 in avanti si sono susseguiti diversi colpi di Stato in molte nazioni del Sahel, tra cui Burkina Faso, Mali e Niger. In ciascuno di questi Stati, i governi filoccidentali sono stati sostituiti da giunte militari ostili alle ingerenze politiche europee – e in particolare francesi – e americane nell’area, e nel febbraio del 2023, la giunta burkinabè ha espulso dal suo territorio le truppe francesi. Con la nazionalizzazione delle miniere, oltre alla sovranità politica e militare, il Burkina Faso sta riconquistando anche la sua sovranità economica, a lungo annientata dalle politiche liberiste del Fondo monetario internazionale (FMI) e dai poteri finanziari occidentali, contro i quali aveva lottato coraggiosamente l’eroe africano Thomas Sankara, simbolo dell’antimperialismo.

Lettonia, vietato a parlamentari e funzionari di andare in Russia e Bielorussia

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Il parlamento della Lettonia ha approvato una legge che vieta a deputati e funzionari pubblici di recarsi in Russia e Bielorussia, Paesi confinanti, per motivi di sicurezza. Il divieto coinvolge anche diplomatici, giudici e chi ha accesso a segreti di Stato o infrastrutture critiche. Sono previste eccezioni per compiti ufficiali o circostanze particolari, come funerali. Per chi viola la norma è previsto il licenziamento. Come riferito dal presidente della Commissione per la sicurezza nazionale, Ainars Latkovskis, la misura nasce dall’aumento, negli ultimi due anni, dei tentativi di reclutamento da parte dei servizi segreti russi e bielorussi.