domenica 15 Giugno 2025
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USA, giudice federale dichiara “illegale” l’invio di truppe a Los Angeles

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Il dispiegamento della Guardia Nazionale ordinato dal presidente USA Trump a Los Angeles per sedare presunte rivolte è stato giudicato illegale da un giudice federale, che ieri sera ha definito l’intervento incostituzionale e lo ha bloccato, affermando che le proteste sono «ben lontane dal concetto di “ribellione”». Il controllo delle truppe sarebbe dovuto tornare al governatore Newsom, ma l’amministrazione Trump ha presentato ricorso contro la sentenza. La Corte d’Appello ha sospeso temporaneamente il verdetto, mantenendo per ora il potere federale sullo schieramento. La decisione definitiva è attesa nei prossimi giorni.

Istat, ad aprile cala export italiano con crollo extra UE

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Ad aprile 2025 l’export italiano è calato del 2,8% su base mensile, risentendo della flessione delle vendite extra UE, che segna un -7%. Lo ha reso noto l’Istat, specificando che, al netto di operazioni straordinarie nei mezzi navali, il calo si riduce a -0,6%, con una crescita tendenziale del +1,7%. L’export aumenta dello 0,4% in valore annuo, ma cala in volume (-3,7%). I farmaci trainano sia export (+30,1%) che import (+76,9%). Tra gennaio e aprile 2025, le esportazioni crescono del 2,5%, ma l’avanzo commerciale cala a 11,3 miliardi (da 17,6 nel 2024). I prezzi all’import diminuiscono dell’1,2% su base mensile e dell’1,5% annua.

 

La Corte Costituzionale ha stabilito nuovi limiti per tutelare i cittadini dai TSO

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Con la sentenza n. 76 del 2025, la Corte Costituzionale è intervenuta in maniera pregnante sulla normativa sul trattamento sanitario obbligatorio (TSO), giudicando parzialmente illegittimo l’articolo 35 della legge 833/1978. I giudici hanno stabilito che da ora in poi, infatti, il provvedimento del sindaco dovrà essere comunicato al paziente, che dovrà essere ascoltato dal giudice tutelare prima della convalida, e ricevere notifica del decreto. La Consulta ha stabilito che tali passaggi sono essenziali, anche in caso di infermità psichica, perché nessuno può essere privato dei propri diritti costituzionali. Le nuove garanzie si estendono anche alle proroghe del TSO. Resta però aperto il nodo applicativo: i colloqui da remoto, specie con pazienti sedati, rischiano di svuotare la riforma di efficacia.

Si tratta di una sentenza additiva, che aggiunge cioè elementi a una legge che, senza quegli elementi, presenta profili di incostituzionalità. Secondo la Consulta, i TSO sono illegittimi ove non siano effettuati davanti a un giudice. I giudici hanno infatti ritenuto incostituzionale la parte relativa al ricovero disposto, secondo la norma del 1978, dal sindaco. «L’audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare prima della convalida assolve a diverse funzioni», spiega la Corte. «L’audizione è presidio giurisdizionale minimo, parte dello statuto costituzionale della libertà personale ai sensi degli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione. In secondo luogo, svolgendosi presso il luogo in cui la persona si trova – normalmente un reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura – è garanzia che il trattamento venga eseguito nel rispetto del divieto di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale (articolo 13, quarto comma, della Costituzione) e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana (articolo 32, secondo comma, della Costituzione)». In ultimo, aggiungono i giudici, «costituisce uno strumento di primo contatto, che consente al giudice tutelare di conoscere le condizioni in cui versa la persona interessata, anche dal punto di vista dell’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale», ed è «funzionale all’adozione, se del caso, dei provvedimenti provvisori in via d’urgenza di cui all’articolo 35, sesto comma, della legge numero 833 del 1978, rivolti, in base a una lettura costituzionalmente orientata, non solo alla conservazione del patrimonio, ma anche alla cura della persona».

A ogni modo, l’efficacia delle nuove garanzie previste dalla Consulta dipende in gran parte dall’effettiva possibilità per la persona sottoposta a TSO di partecipare al procedimento di convalida. Attualmente non esistono disposizioni chiare sulle modalità di questo “incontro” con il giudice tutelare: ad esempio, il Tribunale di Trento ha stabilito che l’audizione avvenga via videochiamata. Questo solleva due criticità principali. Primo, il collegamento a distanza può risultare inadeguato dal punto di vista tecnico (scarsa qualità audio/video, interruzioni) e relazionale, rendendo difficile un vero dialogo e la comprensione dello stato psico-fisico del paziente. Secondo, e più grave, è il rischio che l’udienza diventi un mero adempimento formale (“udienza pro-forma”) se il soggetto è sotto effetto di sedativi o psicofarmaci: in tali condizioni, l’interessato non può esprimersi consapevolmente né partecipare al contraddittorio, vanificando la tutela dei diritti di difesa e della libertà personale che la Corte ha voluto rafforzare.

Come evidenziato dal Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Melegnano e della Martesana, Federico Durbano, il verdetto ha suscitato reazioni contrastanti tra i colleghi: da un lato si apprezza il rafforzamento delle garanzie costituzionali, dall’altro emergono dubbi su ruoli, responsabilità e procedure. In particolare, oltre ai rischi di “udienze pro‑forma”si segnalano criticità organizzative (spazi, piattaforme per video‑audizioni, coordinamento Tribunali‑Dipartimenti di salute mentale) e incertezze legali (gestione del paziente se manca la convalida entro 48  ore, divisione di responsabilità tra operatori, Polizie locali e giudici). Le risorse disomogenee tra territori aggravano il problema. Tra le proposte avanzate ci sono protocolli operativi coordinati a livello regionale/nazionale, investimenti per formazione e infrastrutture, maggiore integrazione fra sanità, giustizia e servizi sociali e promozione di una cultura giuridica nei professionisti. L’obiettivo condiviso è infatti quello di tradurre le novità costituzionali in prassi sostenibili e tutelanti per pazienti e operatori.

Ex ILVA, governo stanzia 200 milioni per continuità produttiva

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Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri un decreto-legge che destina 200 milioni di euro ad Acciaierie d’Italia (ex ILVA), il principale impianto siderurgico del Paese, situato a Taranto. Il finanziamento servirà a garantire la continuità produttiva, coprendo stipendi e manutenzioni. L’azienda è attualmente sotto amministrazione straordinaria. Il decreto prevede anche un commissario per autorizzare investimenti esteri strategici: in corso una trattativa con Baku Steel, società azera interessata a espandersi in Europa. L’intervento del governo mira a evitare il blocco dell’impianto e ad attrarre investitori per il rilancio industriale.

California: il governo riconosce la sovranità indigena sulle proprie fonti d’acqua

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In un paesaggio arido, dove ogni goccia d'acqua è preziosa, è stata siglata un'intesa che promette di riscrivere le regole della gestione delle risorse idriche: in California, è stato siglato un accordo epocale tra la Agua Caliente Band of Cahuilla Indians e i distretti idrici locali, il Coachella Valley Water District (CVWD) e il Desert Water Agency (DWA). Non si tratta solo della risoluzione di annose controversie legali sui diritti idrici, che riconosce la sovranità tribale sull'acqua che attraversa i territori ancestrali, ma da inizio ad un capitolo di collaborazione, che stabilisce un mod...

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Congo, si ribaltano due imbarcazioni: decine di morti e dispersi

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Almeno 32 persone sono rimaste uccise e decine risultano disperse nella provincia dell’Equatore, nella Repubblica Democratica del Congo, dopo che due imbarcazioni con a bordo oltre un centinaio di passeggeri si sono capovolte nel lago Tumba. Lo hanno riferito oggi le autorità locali. Le imbarcazioni sono partite dal porto di Bikoro, sulla sponda orientale del lago, mercoledì pomeriggio, nonostante «un evidente sovraccarico e condizioni meteorologiche instabili», secondo una dichiarazione del Coordinamento provinciale del gruppo di esperti della società civile di Equateur.

Dazi, cosa sappiamo dell’accordo raggiunto da Stati Uniti e Cina

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Dopo intense trattative dell’ultimo mese, Cina e Stati Uniti sembrano aver raggiunto un’intesa che, almeno per ora, mette in pausa l’escalation dei dazi reciproci causata dalla guerra commerciale che Trump ha dichiarato, in particolare, alla Cina. Le clausole specifiche dovranno essere concordate nel dettaglio e approvate dai due presidenti, ma la quadra sembra essere stata trovata. L’accordo di tregua commerciale suggerisce un significativo disgelo nelle relazioni bilaterali. Il segretario al Tesoro USA, Scott Bessent, ha dichiarato alla stampa che i colloqui sono stati strettamente focalizzati e che un accordo più completo avrebbe necessitato di tempo. «Sarà un processo molto lungo», ha detto Bessent. Questo sviluppo apre uno spiraglio di speranza per la ristabilizzazione economica globale. Tuttavia, la situazione rimane estremamente fluida e carica di incertezze. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato che «Ora che è stato raggiunto un consenso, entrambe le parti dovrebbero rispettarlo».

Secondo quanto scritto da Trump sul suo social Truth, l’accordo dovrà certamente riguardare la questione dei minerali e delle terre rare. Questi elementi sono vitali per la produzione di veicoli elettrici, smartphone, missili e altre tecnologie avanzate, e la Cina controlla gran parte della loro estrazione e lavorazione a livello mondiale. La Cina, nell’aprile scorso, aveva introdotto un regime di licenze per l’esportazione di alcuni metalli e delle terre rare, in particolare di sei metalli pesanti e dei magneti a base di terre rare. La mossa rientrava nell’escalation della guerra commerciale, cui Pechino stava rispondendo. Questo ha costituito sicuramente un problema per gli Stati Uniti, vista la posizione dominante della Cina sul mercato mondiale di questi elementi così preziosi per le tecnologie odierne. Come parte della tregua, dunque, la Cina dovrebbe rimuove le barriere all’export di minerali e terre rare

Le decisioni sembrano essere in linea con quanto era stato riferito dopo gli ultimi colloqui di Ginevra, nella maggio scorso, come aveva riferito la Casa Bianca. La Cina si sarebbe impegnata a ridurre al 10% i dazi sui beni americani mentre gli Stati Uniti abbasserebbero le proprie tariffe dal 145% al 30% ed eliminerebbero le restrizioni sui chip. Nell’accordo dovrebbe poi rientrare la questione dei permessi di studio negli Stati Uniti agli studenti cinesi, ora che il Presidente sta scuotendo gli atenei statunitensi con il blocco per gli studenti stranieri, nel tentativo di reprimere le manifestazioni pro-Palestina. Con un altro post, Trump annuncia poi anche l’intenzione di voler lavorare con il Presidente cinese, Xi Jinping, per aprire il mercato della Cina ai prodotti made in US

Insomma, l’accordo tra Stati Uniti e Cina, per quanto avvolto in un velo di riserbo sui dettagli, potrebbe rappresentare un passo cruciale verso la de-escalation della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Trump. Tuttavia, la cautela è d’obbligo. In primis, il processo avrà bisogno di tempo e la tregua attuale potrebbe essere solo il preludio a negoziati ben più complessi e potenzialmente turbolenti. La partita per una pace commerciale duratura è appena iniziata. 

Blitz dei Nas nei centri estetici: 132 irregolarità, 14 strutture sequestrate

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Controlli a tappeto dei Carabinieri del Nas, in collaborazione con il Ministero della Salute, hanno portato a 1.160 ispezioni in centri estetici e studi medici da Nord a Sud. Scoperte 132 irregolarità, con 104 titolari/operatori deferiti, 14 strutture sequestrate e diversi siti oscurati. In molti casi, interventi estetici venivano eseguiti da personale non qualificato, in ambienti privi dei requisiti minimi. Il ministro della Salute Schillaci, dopo tre morti sospette a Roma, ha invitato i cittadini a non affidarsi ai social per scelte delicate e a rivolgersi sempre a medici esperti.

Freedom Flotilla: Israele rimpatria 10 membri dell’equipaggio, due rimangono in carcere

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A 72 ore dall’agguato e la cattura in acque internazionali da parte delle Forze di Difesa israeliane della nave Madleen facente parte della Freedom Flotilla, la quale trasportava aiuti umanitari a Gaza, è stato annunciato il rimpatrio di altri sei membri dell’equipaggio che Israele ha sequestrato in acque internazionali (dove non ha giusrisdizione) e portato in maniera coatta dentro i propri confini. Sono ancora due i membri dell’equipaggio che si trovano in stato di detenzione nel carcere israeliano di Ramla: Pascal Maurieras e Yanis Mhmadi. Secondo la legge israeliana, chi viene costretto ad un ordine di rimpatrio è obbligato a rimanere in uno stato di detenzione per un minimo di 72 ore prima di essere espulso dal Paese. Al momento si ignorano le condizioni nelle quali versano le otto persone detenute; alcuni attivisti denunciano condizioni insalubri e infestazioni, mentre l’attivista brasiliano Thiago Avila ha iniziato uno sciopero della fame ed è stato per questo trasferito in un primo momento in una cella d’isolamento. Stessa sorte era toccata all’europarlamentare Rima Hassan, che aveva scritto sulla porta di una cella «Free Palestine». 

Un primo gruppo di quattro attivisti (Greta Thumberg, Sergio Toribio, Baptiste Andre e il giornalista francese Omar Faiad) sono stati rimandati nei propri Paesi il 10 giugno dopo aver firmato volontariamente il modulo di rimpatrio. Gli altri otto (Suayb Ordu; Mark van Rennes; Pascal Maurieras, Reva Viard, Rima Hassan, Thiago Avila e Yasemin Acar) si erano invece rifiutati di firmare, motivo per il quale erano stati trasferiti nel tribunale di Ramla, che ha approvato la detenzione proposta dal ministero degli Interni israeliano. Secondo quanto spiegato dal comitato legale che segue l’equipaggio, sei attivisti sarebbero ora pronti ad essere rimpatriati, mentre due (Pascal Maurieras e Yanis Mhmadi) restano ancora in stato di detenzione.

È bene sottolineare che, come affermato dai legali degli attivisti, il decreto di rimpatrio di Israele ai danni dell’equipaggio della Freedom Flotilla non potrebbe essere applicato. Infatti, la nave è stata attaccata e sequestrata dalle forze militari israeliane a 102 miglia nautiche dalle coste di Gaza, in acque internazionali. Inoltre, l’equipaggio è stato portato contro la propria volontà in territorio israeliano, nonostante gli attivisti non avessero mai dimostrato l’intenzione di raggiungere illegalmente le coste israeliane: l’attuazione dello stato di Israele violerebbe, quindi, il diritto internazionale.  «La loro detenzione è illegale, motivata politicamente e costituisce una diretta violazione del diritto internazionale» viene affermato nell’ultimo comunicato presentato dalla Freedom Flotilla Foundation. «La persecuzione dell’azione umanitaria e il silenzio della resistenza non avranno successo».

Come avvenne dopo l’attacco subito dall’equipaggio al largo delle coste maltesi lo scorso 2 maggio, anche in questo caso le istituzioni europee hanno scelto di mantenere un rigoroso silenzio sull’accaduto. A rendere però la questione ulteriormente paradossale, è l’arresto dell’eurodeputata franco-palestinese Rima Hassan, appartenente al gruppo The Left e facente parte dell’equipaggio della Freedom Flotilla. 

Secondo l’ufficio del portavoce della presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, l’istituzione europea starebbe seguendo con attenzione gli sviluppi della vicenda, mantenendosi in stretto contatto con le autorità israeliane, senza però fare pressioni per un rilascio immediato e smarcandosi da eventuali accuse nei confronti del governo di Israele. Secondo quanto avrebbe dichiarato una fonte interna all’Europarlamento a il Manifesto, a motivare il semplice monitoraggio da parte delle istituzioni europee del caso, sarebbe lo status «democratico» di Israele. Spiega, infatti, che se si fosse trattato di un paese non considerato democratico dall’Unione Europea, «la richiesta di rilascio sarebbe arrivata subito». Inoltre, anche gli accordi stipulati tra l’Unione e il governo di Netanyahu limiterebbero l’incisività delle richieste europee. Mentre le istituzioni politiche tergiversano, una parte della società civile ha rapidamente scelto di esprimere il proprio dissenso e mostrare solidarietà verso l’equipaggio detenuto.

Migliaia di manifestanti in Inghilterra, Spagna e Francia sono scesi in piazza per protestare contro l’ennesimo abuso nei confronti del diritto internazionale da parte di Israele. Intanto le azioni genocide che le forze militari israeliane stanno protraendo a Gaza non vedono segnali di cedimento. Almeno 74 vittime sono state registrate nella Striscia nelle ultime ore a seguito di nuovi attacchi israeliani e 54 di queste sono state uccise dalle forze di Difesa israeliane durante le consegne di viveri nei centri di distribuzione riaperti dalla israelo-statunitense Gaza Humanitarian Foundation. A questi si aggiungono otto civili uccisi da un attacco ad un edificio della ONG spagnola Medicos del Mundo. Mentre si attendono sviluppi riguardanti la liberazione degli otto attivisti della Freedom Flotilla detenuti nel carcere di Ramla, gli occhi restano puntati sullo svolgimento della March To Gaza, prevista per il 13 giugno, dove migliaia di attivisti proveranno a raggiungere Rafah e rompere il blocco della frontiera. Ormai abituati alle nefandezze delle forze militari israeliane, resta da vedere per quanto ancora l’Unione Europea sceglierà di rimanere complice dell’impunità di Israele.

Palermo: riaperte dopo 36 anni le indagini sull’omicidio di Michele Reina, ex segretario della DC

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La Procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio di Michele Reina, l’ex segretario provinciale della Democrazia Cristiana ucciso a Palermo il 9 marzo 1979. A 46 anni da quel delitto eccellente, considerato uno dei primi nella lunga stagione degli omicidi “politico-mafiosi” in Sicilia, la DDA Palermitana ha infatti disposto una nuova attività istruttoria, delegando alla Direzione Investigativa Antimafia l’acquisizione di video e fotografie del luogo dell’agguato. La riapertura dell’inchiesta, a 36 anni dall’ultima chiusura, avviene in parallelo a quella sull’omicidio di Piersanti Mattarella, le cui indagini hanno ripreso impulso dallo scorso gennaio, mirando a verificare – attraverso tecnologie più avanzate – l’ipotesi di un “filo unico” che collegherebbe i delitti Reina, Mattarella e La Torre.

La sera del 9 marzo 1979 Michele Reina, 47 anni, saliva sulla sua Alfetta 2000 insieme alla moglie Marina e a una coppia di amici quando, in via Principe di Paternò, fu raggiunto da un commando a bordo di una Fiat Ritmo rubata. Dopo essere scesi dall’auto, due giovani killer a volto scoperto gli spararono tre colpi di calibro 38. Il politico morì sul colpo, i membri del commando riuscirono a scappare. Il delitto venne rivendicato quella stessa notte con due telefonate anonime: la prima al Giornale di Sicilia da parte di un sedicente militante di “Prima Linea”, la seconda al quotidiano L’Ora da chi diceva di agire in nome delle Brigate Rosse. Entrambe le rivendicazioni furono però successivamente smentite dagli stessi gruppi chiamati in causa. La svolta nelle indagini arrivò nel 1984, quando il superpentito Tommaso Buscetta indicò nel capo di Cosa Nostra Totò Riina il mandante dell’omicidio Reina. Nel 1999 la Cassazione confermò le condanne all’ergastolo per i componenti della Commissione di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Gli esecutori materiali, però, non sono mai stati identificati.

Il magistrato Giovanni Falcone, che morirà nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, già tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta aveva dichiarato dinanzi alla Commissione Antimafia di credere all’esistenza di un filo unico che avrebbe collegato gli omicidi di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre (politico e sindacalista italiano, dirigente del Partito Comunista, ucciso il 30 aprile 1982 a Palermo), inserendo i tre delitti in una trama comune in cui convergevano interessi mafiosi ed eversione nera. Un progetto che avrebbe avuto la primaria finalità di bloccare il rinnovamento politico in Sicilia. Esattamente come Piersanti Mattarella, l’ex segretario della DC Reina era stato tra i principali sostenitori dell’apertura del partito democristiano alla sinistra, in nome di quel “compromesso storico” cui, negli anni precedenti, avevano lavorato il presidente della DC Aldo Moro e il segretario del PCI Enrico Berlinguer. Negli anni successivi all’omicidio, la vedova di Michele Reina, Marina Pipitone, affermò di avere rilevato una «fortissima somiglianza» tra il killer del marito nel terrorista nero Valerio Fioravanti. Lo stesso fece Irma Chiazzese, vedova di Piersanti Mattarella, che disse di aver riconosciuto in Fioravanti l’uomo «dagli occhi di ghiaccio» che aveva freddato il marito. Nonostante ciò, la magistratura non è mai riuscita a confermare tale coinvolgimento, archiviando questa pista.

A gennaio, la Procura di Palermo ha riaperto le indagini sull’omicidio Mattarella, a quanto pare svincolandosi dalla linea tracciata da Falcone. Per il delitto, infatti, risultano ora indagati come possibili autori materiali due sicari di Cosa Nostra, Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. L’inchiesta è però nel suo pieno svolgimento: nei giorni scorsi sono stati notificati gli avvisi per un accertamento tecnico irripetibile nell’ambito della nuova inchiesta. Proprio oggi sarà conferito l’incarico ai periti per una comparazione biologica su una vecchia impronta rinvenuta sull’auto utilizzata dai killer per la fuga dopo l’omicidio, da cui si vuole estrarre il dna grazie alle nuove tecnologie disponibili. Anche con la riapertura dell’inchiesta su Reina, la Procura mira a riesaminare prove e testimonianze alla luce delle nuove tecnologie e delle nuove conoscenze investigative. Come per il caso Mattarella, si procederà con accertamenti tecnici avanzati, tra cui l’analisi di reperti d’epoca alla ricerca di eventuali profili genetici utili.