UE divisa su soldi a Kiev e muro anti-droni, Putin avvisa: “Pronti a rispondere”
Il vertice informale di Copenaghen, pensato per rilanciare la coesione europea sul fronte della guerra in Ucraina, ha finito per mostrare una nuova serie di fratture interne. Se da un lato la maggioranza dei leader dei Ventisette ha ribadito l’appoggio incondizionato a Kiev, dall’altro le divergenze su temi cruciali restano profonde. La costruzione di un cosiddetto “muro anti-droni” ai confini orientali dell’Unione ha spaccato i governi: alcuni, come la Polonia e gli Stati baltici, spingono per un sistema coordinato di difesa aerea sul modello israeliano, finanziato con fondi comunitari; altri, più cauti, temono i costi e le implicazioni di una militarizzazione permanente delle frontiere. Ad alimentare il clima di tensione è intervenuto il Segretario generale della Nato Mark Rutte, dichiarando che «Siamo tutti in pericolo, i più avanzati missili russi potrebbero colpire Roma, Amsterdam o Londra a cinque volte la velocità del suono». La stessa questione dell’adesione dell’Ucraina all’Unione è esplosa con forza: il premier ungherese Viktor Orbán ha confermato il suo no netto, proponendo al massimo un accordo strategico che non comporti l’ingresso di Kiev come Stato membro a pieno titolo. Secondo l’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni nuova adesione richiede l’approvazione unanime di tutti i membri. Secondo Orbán, la direzione intrapresa dai Ventisette è dannosa per l’Ungheria e per l’intera Unione europea e ha annunciato che il suo partito di governo lancerà una petizione contro quelli che ha definito «i piani di guerra dell’UE». Una posizione che mette in discussione l’immagine di unità che Bruxelles tenta di proiettare, mostrando al contrario un’Europa frammentata e incapace di parlare con una sola voce.
Il vertice ha rilanciato l’idea di un nuovo pacchetto di sostegno economico e militare, compreso il prestito da 50 miliardi da finanziare anche con gli asset russi congelati, misura che resta fortemente controversa sia sul piano giuridico sia politico. La risposta di Mosca non si è fatta attendere. Dal Club Valdai a Sochi, Vladimir Putin ha respinto le accuse di voler attaccare l’Europa, definendole propaganda utile solo a orientare l’opinione pubblica occidentale. «È impossibile credere» a queste voci, ha dichiarato, aggiungendo che nemmeno i governi europei lo ritengono possibile, ma preferiscono alimentare timori per giustificare politiche di militarizzazione. Con tono sarcastico ha invitato i leader dell’Unione a «rilassarsi e dormire tranquilli», ricordando che i veri nodi da affrontare sono la crisi migratoria e le difficoltà economiche. Al tempo stesso, ha ribadito che la Russia non può permettersi debolezze: il conflitto in Ucraina, ha sostenuto, ha trasformato le forze armate russe in un esercito tra i più pronti al mondo, capace di adattarsi e di resistere a quello che definisce «l’intero blocco NATO». Putin ha poi polemizzato con la Francia dopo il sequestro di una petroliera “Boracay”, abbordata dalle autorità francesi, sospettata di appartenere alla «flotta ombra» russa, parlando di un atto di «pirateria» e avvertendo che in mare il rischio di incidenti crescerà sensibilmente. Ha commentato anche le parole di Donald Trump, che aveva definito la Russia una «tigre di carta»: un’espressione ironica, secondo Putin, smentita dai fatti sul campo e dalle perdite inflitte a Kiev. Positivo il giudizio sull’attuale presidente americano, che a suo avviso mostra almeno disponibilità ad ascoltare Mosca. Sul fronte militare il leader del Cremlino ha lanciato un avvertimento agli Stati Uniti: l’eventuale invio di missili Tomahawk all’Ucraina, ha detto, non cambierebbe l’esito della guerra ma aprirebbe «una nuova fase di escalation».
Il nodo più sensibile resta però quello degli asset congelati. Mosca considera il loro utilizzo da parte dell’Unione europea una «rapina legalizzata» contraria al diritto internazionale e ha minacciato ritorsioni non necessariamente limitate al piano economico. In questo contesto, riprendendo indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, diversi media occidentali hanno parlato di un decreto di Putin per confiscare beni stranieri in Russia. Il provvedimento effettivamente emanato il 30 settembre, il decreto presidenziale n. 693, prevede soltanto una procedura accelerata per la vendita di beni federali già di proprietà dello Stato, con perizie rapide e gestione affidata alla Banca statale Promsvyazbank. Nella premessa si richiama la necessità di difendere gli interessi nazionali di fronte alle azioni ostili di USA e UE, ma non vi è alcun riferimento a espropri di aziende o governi stranieri. Più che un atto di confisca, si tratta di un messaggio politico: Mosca intende rafforzare i propri strumenti interni per resistere a quella che definisce guerra economica e finanziaria dell’Occidente. Il quadro che emerge, alla luce del vertice di Copenaghen e della risposta da Sochi, è quello di una spirale di sfiducia reciproca. L’Unione europea, divisa al suo interno, cerca di mostrare coesione attorno a un sostegno a Kiev che però assume forme sempre più militarizzate di un “riarmo permanente”. La Russia, a sua volta, denuncia la deriva occidentale e, senza ricorrere ancora a confische dirette, mette in campo provvedimenti che rafforzano il controllo statale e preparano il terreno per possibili misure più dure. A rimanere sullo sfondo sono i cittadini europei: da una parte si trovano esposti ai rischi di una guerra entrata ormai nel linguaggio della politica interna, dall’altra vedono riaffiorare i fantasmi di un continente sempre più diviso e incapace di elaborare una via d’uscita che non sia l’ennesima escalation. Il vertice informale del Consiglio europeo avrebbe dovuto segnare una svolta di unità, ma ha mostrato fragilità e contraddizioni, oltre alla consueta isteria per la “minaccia russa”: mentre Bruxelles annuncia muri e miliardi per Kiev, Mosca si prepara a rispondere, lasciando intravedere scenari in cui la pace sembra allontanarsi sempre di più.
Scandalo a Scotland Yard: video BBC svela abusi, razzismo e misoginia
Un nuovo scandalo scuote Scotland Yard. Un’inchiesta della BBC ha messo in luce episodi gravi di razzismo, misoginia e abusi all’interno della Metropolitan Police di Londra: dalle affermazioni circa l’uso eccessivo della forza contro immigrati al disprezzo per le denunce di violenza sessuale, le registrazioni realizzate da un agente infiltrato del programma Panorama mostrano comportamenti che il capo della polizia, Sir Mark Rowley, ha definito “vergognosi, totalmente inaccettabili e contrari ai valori e agli standard” delle forze dell’ordine”. Otto agenti e un membro dello staff sono stati sospesi, altri due rimossi dai servizi operativi. Il primo ministro laburista Keir Starmer, pur non avendo ancora visionato le registrazioni, ha definito il reportage “scioccante” e ha chiesto “risposte dure”. Anche il sindaco di Londra e la ministra dell’Interno reclamano trasparenza e procedure rigide per accertare responsabilità.
La nuova manovra economica del governo prevede investimenti solo per le armi
Nel corso del Consiglio dei ministri di giovedì 2 ottobre il governo ha approvato il Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), che sostituisce la Nadef e traccia le linee guida della prossima legge di bilancio 2026. Il quadro che emerge è incentrato su una rigida disciplina dei conti pubblici, con un rapporto deficit/PIL fissato al 3% (ad aprile veniva stimato al 3,3%) per il 2025 e una crescita economica rivista al ribasso (0,5% per l’anno in corso, 0,7% per il 2026). Il testo ufficiale del comunicato del Cdm n. 143 menziona esplicitamente che il governo intende destinare all’aumento delle spese per la difesa uno 0,15% del PIL nel 2026, 0,3% nel 2027 e 0,5% nel 2028, purché l’Italia riesca a uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo imposta dall’Unione europea. Da queste cifre deriva la previsione di circa 12 miliardi di euro in più per le spese militari nel triennio 2026-28, qualora il quadro macroeconomico lo permetta. Il resto delle promesse – una riduzione dell’incidenza fiscale sui redditi da lavoro e un “ulteriore rifinanziamento” del Fondo Sanitario Nazionale – appaiono in forma vaga e subordinata, senza indicazioni concrete sugli strumenti o sull’ordine di intervento. «Confermiamo la linea di ferma e prudente responsabilità che tiene conto della necessità della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle nuove regole europee e delle imprescindibili tutele a favore della crescita economica e sociale dei lavoratori e delle famiglie», ha commentato il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. Il testo, illustrato in Cdm, verrà poi inviato a Bruxelles e alle Camere, che hanno già calendarizzato l’esame in aula per il 9 ottobre.
Previsto anche di un “pacchetto famiglia” che potrebbe essere definito nelle prossime settimane. Le ipotesi circolate includono un bonus libri per le fasce di reddito più basse, modellato sull’esperienza di Veneto e Lombardia, e l’introduzione di misure ispirate al quoziente familiare per modulare la pressione fiscale in base al numero dei componenti del nucleo. Parallelamente, si valuta una revisione dei criteri di calcolo dell’Isee, che però non troverebbe spazio diretto in manovra, ma sarebbe oggetto di un provvedimento ad hoc. Sul fronte del lavoro, resta in sospeso la detassazione degli straordinari: potrebbe essere inserita successivamente, attraverso un emendamento in aula, una volta chiarite le risorse realmente disponibili. Tra i capitoli fiscali figura la cosiddetta rottamazione delle cartelle, ma in forma ridimensionata rispetto alle promesse iniziali: non più dieci anni e 120 rate, come proposto dalla Lega, bensì otto anni e 96 rate per i debiti minori, con un impianto che riduce sensibilmente la portata dell’intervento. La stessa dinamica si ritrova anche nella voce relativa alla Sanità, presentata ufficialmente come “rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale”. In realtà, al netto della propaganda, l’obiettivo è garantire tra i due e i tre miliardi aggiuntivi, che si sommano ai quattro già inseriti nell’ultima legge di Bilancio: risorse che non rappresentano un piano di rilancio strutturale, ma un tentativo di tamponare la crisi cronica del settore, segnato da carenza di personale e precarietà diffusa. Al ministero della Salute si lavora a un piano da 27mila assunzioni, con priorità agli infermieri per colmare l’assenza di 70mila unità, un vuoto che pesa sulla qualità dell’assistenza e sulla tenuta dei reparti, ma l’entità degli stanziamenti fa pensare più a un adeguamento minimo per evitare il collasso che a una vera riforma. Il percorso sarà graduale, con un aumento stimato dell’1,5% del personale nel 2026, del 3% nel 2027 e fino al 6% nel 2028. Gli stanziamenti seguiranno la stessa progressione: 420 milioni di euro nel 2026, 845 milioni nel 2027 e 1,6 miliardi dal 2028. Nel complesso, le misure collaterali – bonus mirati, ritocchi all’Isee, mini-rottamazioni, annunci sul fronte sanitario – appaiono come aggiustamenti marginali. La manovra resta dominata dall’impronta di austerità dettata da Bruxelles e dall’impegno del governo a ridurre il deficit al 3% del PIL. In questo quadro le uniche voci di spesa destinate a crescere in modo certo e significativo sono quelle legate alla difesa, con miliardi già quantificati e un percorso di incremento pluriennale.
L’analisi delle spese destinate alla difesa rende evidente l’impostazione della manovra: per il 2026 il governo prevede che l’incremento della spesa militare equivalga a circa 3,3 miliardi, cifra derivata dallo 0,15 % del PIL e, quindi, salga ulteriormente negli anni successivi con l’aumentare della percentuale prevista (fino allo 0,5 % nel 2028). In totale, si parla di circa 11-12 miliardi aggiuntivi per la difesa su tre anni, se l’Italia riuscisse a liberarsi dalle misure restrittive imposte per il disavanzo eccessivo. È interessante osservare che nel comunicato del governo non è chiarito con precisione come questi incrementi saranno coperti né quale sarà l’impatto sulle altre voci di spesa. Le spese militari vengono trattate come una priorità automatica, con un meccanismo che sembra assorbire gran parte dello “spazio fiscale” disponibile, subordinando al contempo gli altri interventi a vincoli generici sull’equilibrio dei conti pubblici. Non è una descrizione di investimenti nel tessuto economico o sociale, ma una prenotazione sistematica di risorse per il comparto militare, da realizzarsi se condizionata all’uscita dalle procedure europee restrittive. Dietro lo slogan della riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro si intravede un impegno ancora indefinito, privo di cifre e tempistiche chiare. Anche il cosiddetto rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale non appare come un investimento strutturale, ma come un adeguamento minimo per contenere l’impatto dell’inflazione e impedire il collasso di un sistema già fragile. La manovra nel suo complesso si configura così come un esercizio di austerità: riduzione del deficit, spesa compressa e crescita di risorse garantite soltanto alla difesa. Lavoro e sanità restano relegati a promesse generiche, subordinate a vincoli contabili e prive di veri stanziamenti.
Droni sospetti su aeroporto di Monaco, voli sospesi nella notte
L’aeroporto di Monaco di Baviera è stato chiuso ieri sera a causa dell’avvistamento di droni sospetti nella zona aeroportuale. Le operazioni di volo sono state sospese intorno alle 22:15, con 17 voli cancellati e 15 dirottati su altri scali come Stoccarda, Norimberga, Vienna e Francoforte. L’interruzione ha coinvolto circa 3.000 passeggeri, molti dei quali hanno dovuto trascorrere la notte nei terminal. Le autorità non hanno ancora chiarito quanti droni fossero in volo né la loro origine: a causa dell’oscurità, non è stato possibile fornire informazioni sul tipo e sulle dimensioni dei velivoli. All’alba l’aeroporto ha ripreso le attività ordinarie.
Manifestazioni in Marocco: uccisi due manifestanti
Le forze dell’ordine marocchine hanno ucciso due manifestanti ad Agadir durante le proteste antigovernative. Secondo la versione ufficiale rilasciata dalla polizia, gli agenti sarebbero stati costretti a sparare per difendersi da un gruppo di manifestanti che stava provando a entrare in una centrale, ma il gruppo che organizza le manifestazioni ha contestato tale versione. Le manifestazioni in Marocco vanno avanti dallo scorso sabato. A lanciarle è stato un collettivo nato recentemente sui social chiamato Gen Z 212, formato prevalentemente da giovani. I manifestanti chiedono migliori servizi e più investimenti nella sanità e nell’istruzione, contestando i piani di spesa governativi.
Russia e Ucraina si scambiano 185 prigionieri per parte
Russia e Ucraina hanno realizzato un nuovo scambio di prigionieri, liberando 185 militari ciascuno, in attuazione degli accordi raggiunti nei negoziati di Istanbul lo scorso luglio. Lo ha reso noto il ministero della Difesa russo. Secondo l’agenzia Ria Novosti, i soldati russi liberati sono stati trasferiti in Bielorussia, dove stanno ricevendo assistenza medica e psicologica prima di essere inviati in Russia per cure e riabilitazione in strutture specializzate. L’operazione rappresenta uno dei più significativi scambi recenti tra Mosca e Kiev dall’inizio del conflitto.
Come il consumo di cibo spazzatura può alterare anche i meccanismi della memoria
L’alimentazione ha un impatto molto più grande di quanto si pensava sul cervello, e anche pochi giorni con una dieta ricca di grassi e cibo spazzatura sono sufficienti ad alterare e lasciare un segno nella memoria: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori della UNC School of Medicine, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Neuron. Gli autori, studiando e osservando modelli murini sottoposti ad un’alimentazione ricca di grassi, hanno osservato che un particolare gruppo di cellule cerebrali dell’ippocampo diventa iperattivo a causa della ridotta disponibilità di glucosio, cioè dello zucchero che costituisce la principale fonte di energia per il cervello. Questo cambiamento, spiegano, comprometterebbe i meccanismi alla base della memoria già dopo quattro giorni di dieta ricca di grassi: «Ciò che ci ha sorpreso di più è stata la rapidità con cui queste cellule hanno modificato la loro attività in risposta alla ridotta disponibilità di glucosio», spiega Song, aggiungendo che «bastava questa alterazione per compromettere la memoria».
L’ippocampo – la struttura del cervello deputata a registrare e consolidare i ricordi – è particolarmente sensibile alle variazioni di energia e nutrienti. Numerosi studi infatti, spiegano gli esperti, avevano già evidenziato che le diete occidentali ad alto contenuto di grassi saturi aumentano il rischio di malattie metaboliche e neurodegenerative, tra cui la demenza e l’Alzheimer. Finora, però, non era chiaro attraverso quali meccanismi cellulari e molecolari queste diete influenzassero la memoria. Lo studio della UNC, quindi si è concentrato su un tipo specifico di cellule nervose: gli interneuroni CCK, che risultano “inibiti dal glucosio”, cioè diventano più attivi quando la disponibilità di zucchero cala. «Sapevamo che la dieta e il metabolismo potevano influenzare la salute del cervello, ma non ci aspettavamo di trovare un gruppo così specifico e vulnerabile di cellule cerebrali, gli interneuroni CCK nell’ippocampo, che venivano direttamente danneggiati dall’esposizione a una dieta ricca di grassi a breve termine», commentano gli autori. Con una dieta ricca di grassi, continuano, la capacità del cervello di assorbire glucosio si riduce, e di conseguenza questi interneuroni entrano in uno stato di iperattività anomala. Il risultato è che i circuiti della memoria si sbilanciano e non funzionano più correttamente, e a questo si aggiunge il ruolo di una proteina chiave, la PKM2 – un enzima che regola il modo in cui le cellule usano l’energia – che viene modificata dall’alimentazione e contribuisce a mantenere l’iperattività dannosa degli interneuroni.
In particolare, per verificare gli effetti della dieta, i ricercatori hanno sottoposto modelli murini a un’alimentazione ricca di grassi prima di testarne le capacità mnemoniche. Già entro quattro giorni, gli interneuroni CCK risultavano anormalmente attivi e i test di memoria mostravano deficit significativi. Ma la ricerca ha individuato anche soluzioni concrete: il ripristino dei livelli di glucosio nel cervello riusciva infatti a calmare l’iperattività dei neuroni e a risolvere i problemi di memoria. Interventi dietetici come brevi periodi di digiuno intermittente, introdotti dopo la dieta ricca di grassi, si sono quindi rivelati sufficienti a normalizzare l’attività degli interneuroni e a migliorare la funzione mnemonica. Lo stesso effetto positivo, spiegano, si osservava con approcci farmacologici mirati a PKM2. «Questo lavoro evidenzia come ciò che mangiamo possa influenzare rapidamente la salute del cervello e come interventi precoci, sia attraverso il digiuno che attraverso la medicina, possano proteggere la memoria e ridurre il rischio di problemi cognitivi a lungo termine legati all’obesità e ai disturbi metabolici», commenta Song, concludendo che, in prospettiva, strategie di questo tipo «potrebbero contribuire a ridurre il crescente peso della demenza e dell’Alzheimer legati ai disturbi metabolici, offrendo un’assistenza più olistica che si rivolga sia al corpo che al cervello».