domenica 5 Ottobre 2025
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I giovani del Marocco hanno lanciato proteste in tutto il Paese

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Dallo scorso sabato 27 settembre, in Marocco migliaia di persone stanno scendendo in piazza nelle principali città del Paese per protestare principalmente contro gli investimenti indirizzati alla costruzione di stadi in occasione del campionato mondiale di calcio del 2030. Più di 50.000 giovani marocchini si sono radunati sui social media, utilizzando piattaforme come Tik Tok, Instagram e Discord, con il nome di GenZ212 (numero del prefisso telefonico internazionale marocchino) e Moroccan Youth Voices per esprimere dissenso contro la corruzione nel Paese. Le proteste hanno visto le autorità rispondere con una dura repressione: sono centinaia i manifestanti arrestati durante le proteste, due quelli uccisi a colpi di arma da fuoco dalle forze dell’ordine nella città di Agadir.

“Ospedali, non stadi”

Gli slogan che danno voce alle proteste marocchine si appellano contro le gravi disuguaglianze che il Paese è costretto a vivere e che si stanno rivelando insostenibili durante i preparativi della Coppa d’Africa di calcio del 2025 e i prossimi mondiali di calcio del 2030. Le mobilitazioni denunciano in particolar modo le scarse condizioni infrastrutturali degli ospedali, la carente capillarità dei servizi scolastici nelle aree periferiche e il tasso di disoccupazione, che tra i giovani raggiunge fino al 36%.

La miccia che ha fatto esplodere il movimento è stata accesa dalle morti di otto donne partorienti avvenute nell’ospedale pubblico Hassan II di Agadir, centro urbano nel sud del Paese. Il caso di malasanità ha messo ulteriormente in luce la scarsità dei servizi igienici all’interno degli ospedali, spesso interessati da infestazioni di insetti, e la penuria di medici impiegati nella salute pubblica. Secondo i dati raccolti nel 2023 dalla World Health Organization (WHO), in media in Marocco sono solo 7,4 i medici disponibili su 10.000 abitanti; in alcune aree, tra cui Agadir, il numero raggiunge i 4,4 su 10.000.

A questa situazione si aggiunge la frustrazione di una gran parte della popolazione causata dal ritardo delle istituzioni marocchine nell’erogazione dei fondi per la ricostruzione di varie aree gravemente colpite dal terremoto dello scorso autunno. 

«Vogliamo ospedali, non stadi» è uno dei cori intonati dai manifestanti che in questi giorni sono scesi, tra le altre città, nelle piazze di Marrakech, Casablanca, Agadir, Tangeri, Oujda e Rabat. La rabbia della generazione Z ha preso di mira la corruzione del governo marocchino e denuncia lo stato di abbandono sofferto dalle infrastrutture pubbliche contro l’interesse istituzionale nell’organizzazione delle prossime competizioni sportive.

La violenta risposta delle autorità

Le proteste pacifiche dei manifestanti sono state represse sin dalle prime ore dalla polizia, a suon di manganellate e arresti. «C’è stata una caccia all’uomo – racconta a L’Indipendente Giorgia F., cooperante internazionale in Marocco – che ha generato disordine e caos. Le forze dell’ordine hanno prelevato dalla strada persone estranee alle manifestazioni per poi stiparle nelle camionette e portarle nei commissariati. Qui le persone, tra cui diversi minorenni, sono state lasciate per ore in stanze sovraffollate, prive delle tutele legali del caso». Sulla questione è intervenuto anche Hakim Sikouk, presidente della sezione di Rabat dell’Association Marocaine de Droits Humains (AMDH), sottolineando l’incostituzionalità delle detenzioni, avvenute in maniera arbitraria e deliberata. 

La repressione poliziesca ha innescato un circolo di violenza diffusosi in tutto il Paese; nelle proteste si è alzato il livello dello scontro. A Salé, a pochi chilometri da Rabat, i manifestanti hanno dato fuoco a una filiale bancaria, un commissariato e alcune auto della polizia. Ad Oujda, due camionette della polizia hanno investito la folla, provocando diversi feriti, compreso un ragazzo a cui è stata amputata una gamba. Mercoledì sera, ad Agadir, la gendarmeria marocchina ha aperto il fuoco su due manifestanti, uccidendoli. Attraverso un comunicato, il gruppo Genz212 ha richiamato le parti alla calma, non condividendo lo strumento della protesta violenta. L’appello sembrerebbe essere stato accolto: a Rabat, Casablanca e Tangeri si sono svolte manifestazioni pacifiche, durante le quali la polizia ha ricevuto l’ordine di essere meno violenta. A differenza dei giorni scorsi, alle persone in strada è stato permesso di esprimersi, intonare cori e tenere presidi senza procedere con arresti di massa. Stando alle testimonianze dei primi ragazzi rilasciati anche le condizioni della detenzione sembrerebbero essersi ammorbidite.

Dopo cinque giorni dallo scoppio delle prime proteste, il governo marocchino ha affermato di essere disponibile ad ascoltare le richieste dei manifestanti e iniziare un percorso di riforme per migliorare le reti infrastrutturali del paese, mettendo però in evidenza la necessità di tempo per compiere una trasformazione concreta dei servizi pubblici.

Dall’UE il silenzio

Resta in silenzio il partner commerciale principale della corona marocchina: l’Unione Europea. Nonostante le proteste denuncino, tra le altre cose, la corruzione del sistema politico marocchino, le istituzioni europee sembrano preferire, ancora una volta, sorvolare sulle problematiche in seno al potere della monarchia nel paese nordafricano.

Simultaneamente, la Commissione Europea sta cercando di stipulare un nuovo accordo con Rabat in merito alle concessioni per i prodotti provenienti dai territori del Sahara Occidentale. Nonostante la sentenza del Tribunale di Giustizia dell’UE che nel settembre del 2024 annullava gli accordi commerciali con il Marocco, perché vulneravano i diritti dei Saharawi, è trapelata l’intenzione della Commissione di restaurare i patti nonostante la denuncia del Tribunale. Secondo West Sahara Resource Watch (WSRW) il nuovo accordo prevederebbe un controllo da parte delle autorità di frontiera marocchine sui prodotti etichettati come saharawi. Inoltre, il patto includerebbe il finanziamento di progetti infrastrutturali nei territori occupati e illegalmente governati dal Marocco e un aumento degli aiuti umanitari nei campi profughi controllati dal Fronte Polisario.

L’onda delle proteste organizzate dai manifestanti della “Gen Z” non sembrano fermarsi. Dopo il Nepal, l’Indonesia e il Madagascar, i giovani marocchini hanno raccolto il testimone della rabbia sociale contro gli abusi dei sistemi di potere e sono scesi in piazza per far sentire la propria voce. Il governo di Rabat al momento sembra voler prendere in considerazione le richieste dei manifestanti, forse perché consapevole del potere che questa generazione ha dimostrato in altri luoghi del mondo.

[di Armando Negro e Salvatore Toscano]

Nizza, sparatoria nella notte: 2 morti

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Due persone sono state uccise e altre due gravemente ferite in una sparatoria avvenuta nella tarda serata di ieri nel quartiere Moulins di Nizza, dove un gruppo armato ha aperto il fuoco sulla folla nei pressi di Place des Amaryllis. Tre persone hanno riportato ferite lievi, mentre i responsabili sono ancora ricercati. Le autorità ritengono l’attacco legato al traffico di droga. Aperta un’inchiesta per omicidio e tentato omicidio da parte di banda organizzata. Il sindaco Estrosi ha chiesto più forze dell’ordine, mentre il ministero dell’Interno ha annunciato l’invio di rinforzi per ristabilire la sicurezza.

 

Hanno fatto un deserto

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Oggi è il 4 ottobre, il giorno di san Francesco d’Assisi. Il mio pensiero scruta con intensa emozione e profondità l’avventura di quest’uomo che radicalmente intese conformarsi ai precetti della povertà e della carità nel solco e nell’imitazione di Gesù Cristo.

Francesco che cantò la natura come creazione divina, che scelse la rinuncia e i doni della terra e del cielo come unica dote. Francesco che con i suoi frati cercò un luogo dove praticare il culto e finalmente caritatevolmente ottenne dai monaci del Subasio una piccola chiesa malandata e dismessa, la Porziuncola. E che per riconoscenza offrì una cesta di pesce ai monaci ottenendo in cambio una piccola giara d’olio. Non è un altro mondo, è una testimonianza e un messaggio che ciascuno può accettare o rifiutare declinandolo secondo la propria visione. Il saluto dei francescani è «pax et bonum», pace e bene. E allora come si fa oggi ad accettare che, mentre si ripristina la festa del santo di Madonna Povertà, venga sottovalutato, equivocato, perfino deriso e disprezzato l’apporto di pace di chi si è messo in moto per la Palestina e venga sostenuto un piano di “pace” per quella terra che richiama l’antico motto riferito da Tacito: «desertum fecerunt et pacem appellaverunt», hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace. Come si fa?!

Non si governa per falsificare la realtà, per gettare la gente, i popoli nella miseria irreparabile. Non si governa cancellando la verità. L’Italia è ancora una nazione che può formulare valutazioni e decisioni indipendenti o è diventata l’eco inconsistente di chi ha deliberato altrove?

L’attuale governo con arroganza e cinismo obbedisce a poteri che ci sovrastano. E allora come dobbiamo definirlo?

Flotilla, Tajani: “Altri 26 italiani rientreranno oggi da Israele”

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Dopo il ritorno a Fiumicino dei quattro parlamentari della Flotilla, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato che altri 26 italiani che hanno partecipato alla missione umanitaria verranno rimpatriati nel pomeriggio. Il gruppo, trasferito alla base di Ramon e poi all’aeroporto di Eilat, volerà a Istanbul con un charter speciale, assistito dal Consolato italiano che potrà fornire documenti provvisori. Tra loro c’è anche il giornalista del Fatto Quotidiano Alessandro Mantovani. Restano invece 15 connazionali che non hanno firmato il rilascio volontario e dovranno attendere l’espulsione giudiziaria nei prossimi giorni.

Hamas ha accettato parte del piano di Trump per Gaza

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Nella serata di ieri, il gruppo palestinese di resistenza Hamas ha annunciato di aver accettato in parte la proposta del presidente statunitense Donald Trump di cessare le ostilità, impegnandosi a consegnare i prigionieri rimasti nella Striscia, tanto quelli vivi quanto quelli morti. Il movimento ha poi ribadito il proprio impegno a trasferire l’amministrazione della Striscia a un governo tecnico palestinese, basato sul consenso nazionale palestinese e con l’appoggio del mondo islamico. Per quanto riguarda il resto delle richieste del presidente Trump, il gruppo ha riferito che dovranno essere discusse nell’ambito di un più ampio quadro palestinese unificato del quale Hamas rappresenta solamente una parte. Trump ha immediatamente accolto la risposta del gruppo come positiva, dichiarando che Hamas sarebbe pronto a una «pace duratura» e intimando Israele di fermare ogni attacco contro la Striscia. I bombardamenti, tuttavia, sono proseguiti per tutta la notte.

Nella risposta, pubblicata dai media palestinesi vicini al gruppo, Hamas scrive che «in linea con il raggiungimento di un cessate il fuoco completo e il ritiro totale della Striscia di Gaza, Hamas annuncia la sua approvazione al rilascio di tutti i prigionieri israeliani, sia vivi che morti, nell’ambito dello scambio delineato nella proposta del presidente Trump, a condizione che siano garantite le condizioni necessarie sul campo per lo scambio. Hamas afferma la sua disponibilità ad avviare, attraverso i mediatori, negoziati immediati per discutere i dettagli di questo processo. Il movimento ribadisce inoltre il proprio accordo sul trasferimento dell’amministrazione della Striscia di Gaza a un’autorità palestinese composta da indipendenti (tecnocrati), basata sul consenso nazionale e sostenuta dal mondo arabo e islamico. Per quanto riguarda altre questioni contenute nella proposta del presidente Trump relative al futuro di Gaza e ai diritti inalienabili del popolo palestinese, queste sono legate a una posizione nazionale palestinese unitaria, fondata sulle leggi e sulle risoluzioni nazionali pertinenti, e saranno discusse nell’ambito di un quadro nazionale globale al quale Hamas parteciperà attivamente e responsabilmente».

«Questo è un grande giorno», ha commentato Trump in un videomessaggio diffuso dopo la risposta di Hamas, «probabilmente, per molti versi, uno senza precedenti». Il presidente ha ringraziato Egitto, Qatar e il resto degli Stati arabi che hanno contribuito ai negoziati, dichiarando che «siamo molto vicini a raggiungere la pace in Medioriente». Trump ha poi proceduto a intimare a Israele di «smettere immediatamente di bombardare Gaza», in modo da poter far evacuare gli ostaggi in maniera «rapida e sicura». «Al momento è troppo pericoloso farlo» riferisce Trump. Secondo alcuni media, che citano dichiarazioni di funzionari israeliani, la richiesta avrebbe «colto di sorpresa» il primo ministro israeliano Netanyahu, il quale avrebbe voluto lavorare a una risposta congiunta tra il proprio gabinetto e il governo americano in modo che le dichiarazioni di Hamas fossero interpretate come un rifiuto di giungere a un cessate il fuoco. Secondo quanto riportato da quotidiani palestinesi, nonostante la richiesta del presidente statunitense, gli attacchi israeliani non si sono fermati, con 21 persone massacrate nel corso di un unico attacco condotto questa mattina nel quartiere di Al Tuffah, zona est di Gaza City, e altre 15 ancora intrappolate sotto le macerie dei palazzi. I bombardamenti intensi non si sono fermati per tutta la notte, secondo quanto riferito dalla Difesa Civile di Gaza, anche se al momento, dichiarano media israeliani, l’esercito avrebbe ricevuto ordine di effettuare solamente «operazioni difensive».

Il piano di Trump per Gaza, presentato questa settimana, ruota sugli stessi punti chiave avanzati negli scorsi mesi: il cessate il fuoco e la completa smilitarizzazione della Striscia, oltre al rilascio completo di tutti gli ostaggi, la riapertura dei corridoi umanitari e l’istituzione di un organo di monitoraggio esterno, presieduto da Trump con il supporto dell’ex leader britannico Tony Blair. Questo si occuperebbe della supervisione del processo di disarmo, lasciando la gestione della Striscia a un «gruppo civile palestinese pacifico» e quella della sicurezza a Israele. Di fatto, Hamas ha apertamente accettato solamente due di questi punti, lasciando la discussione aperta sul resto delle richieste.

Aeroporto di Monaco: nuovo stop per rilevamento droni, lenta ripresa

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Nuovo stop ai voli all’aeroporto di Monaco il 4 ottobre 2025 per il rilevamento di due droni, con traffico aereo sospeso per la seconda notte consecutiva. Le operazioni sono riprese dalle 7 con un graduale aumento, ma la direzione dello scalo ha avvertito di ritardi e cancellazioni per tutta la giornata, invitando i passeggeri a consultare le compagnie aeree. Secondo i dati ufficiali, circa 6.500 viaggiatori sono stati coinvolti e molti hanno trascorso la notte nello scalo. Intanto, in Belgio, 15 droni sono stati segnalati presso la base militare di Elsenborn, dove è stata aperta un’inchiesta.

Armenia: condannato un arcivescovo

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Un tribunale armeno ha condannato un arcivescovo a due anni di carcere accusandolo di avere incitato a un cambio di governo. L’arresto dell’arcivescovo Mikael Ajapahyan avviene sulla scia di un duro scontro tra il governo armeno di Nikol Pashinyan e la chiesa armena, accusata di tramare un colpo di Stato. Oltre ad Ajapahyan, figurano al momento in carcere diversi altri esponenti del clero tra cui un altro arcivescovo, Bagrat Galstanyan, che ha guidato le proteste di piazza contro Pashinyan lo scorso anno; Galstanyan si trova in questo momento sotto custodia cautelare e deve rispondere di accuse penali.

La Francia in piazza contro l’austerità: proteste in 200 città

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Continua la protesta dei cittadini francesi contro le politiche di austerità, dopo gli scioperi e le mobilitazioni che si erano già svolti il mese scorso con il movimento “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”), in seguito alla caduta del governo di François Bayrou. Ieri migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in oltre 200 città per esprimere il proprio dissenso contro i tagli alla spesa pubblica, per chiedere l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile e un aumento delle tasse sui redditi più alti. Secondo la CGT (Confederazione generale dei sindacati), hanno preso parte alle proteste circa 600.000 persone, mentre secondo il ministero dell’Interno, fino a mezzogiorno circa 85.000 persone avevano protestato in tutto il Paese, segnando un calo di oltre la metà rispetto alla partecipazione agli scioperi di settembre. «Dobbiamo porre fine una volta per tutte a tutti i sacrifici richiesti ai lavoratori e indicati nella proposta di bilancio», ha dichiarato a BFM TV Sophie Binet, segretaria generale della CGT.

Secondo il sindacato CGT, si sono svolte proteste in più di 240 località in tutta la Francia, tra cui Digione, Metz, Poitiers e Montpellier. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha dispiegato 76.000 agenti, di cui cinquemila a Parigi, avvertendo che «non saranno tollerati eccessi» e che i facinorosi saranno «immediatamente consegnati alla giustizia». A Bordeaux e Montpellier gli studenti hanno bloccato alcuni licei, mentre in alcune fabbriche si sono verificati scioperi: a Valenciennes i manifestanti hanno impedito l’accesso allo stabilimento Stellantis, mentre azioni di protesta hanno colpito anche Michelin e Thales. Anche la Tour Eiffel, monumento simbolo di Parigi, è rimasta chiusa, in quanto la società di gestione Sete ha votato a larga maggioranza per l’adesione allo sciopero.

Da parte sua, Sebastien Lecornu, quinto primo ministro di Macron in due anni, ha promesso un bilancio che garantisca maggiore «equità fiscale». Per ora restano però escluse alcune richieste chiave dei sindacati come una tassa sui grandi patrimoni e l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile. Proprio oggi Lecornu ha annunciato che non avrebbe usato l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare il bilancio. Tale articolo consente la votazione di un testo senza votazione, ossia senza dibattito parlamentare ed è stato utilizzato per approvare tutti i bilanci dalla rielezione di Emmanuel Macron nel 2022. Poiché la base comune (blocco di destra e centro) non dispone della maggioranza nell’Assemblea, questa decisione del Primo Ministro aumenta di fatto il potere del Parlamento, secondo quanto riferito dal giornale francese Le Figaro.

Il nuovo governo francese si ritrova a dover affrontare, da una parte, il malcontento dei cittadini che chiedono la fine dell’austerità e, dall’altra, un Parlamento che concorda sulla necessità di ridurre il deficit di bilancio, ma non su come farlo. Nel 2024 il deficit di bilancio francese ha raggiunto il 5,8% del Pil (Prodotto interno lordo), vale a dire quasi il doppio del limite del 3% previsto dai parametri di Maastricht. Ciò significa che i francesi non si stanno ribellando solo contro i primi ministri del presidente Emmanuel Macron, ma contro gli stessi parametri europei e la sua impalcatura economico improntata all’austerità che non ha fatto altro che aumentare la povertà nelle nazioni europee.

Lo scorso 8 settembre, l’ex primo ministro François Bayrou, è stato sfiduciato dal parlamento proprio a causa del suo piano di bilancio lacrime e sangue, pensato per fare risparmiare alle casse statali quasi 44 miliardi di euro. È proprio l’austerità di Bayrou che ha innescato le ampie proteste verificatesi a settembre e che stanno proseguendo anche questo mese. La crisi in cui versa la politica francese evidenzia la distanza presente tra i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni durante “l’era Macron” e la popolazione, ma anche la profonda debolezza che attraversa la democrazia francese, in particolare, e in generale buona parte delle cosiddette democrazie liberali, subordinate ai poteri finanziari e ai diktat delle istituzioni comunitarie europee e, di conseguenza, incapaci di dare risposte concrete alle esigenze dei cittadini.

Nigeria, Boko Haram conquista una città: 5000 sfollati

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I militanti dell’organizzazione islamista Boko Haram hanno conquistato la città di Kirawa, nello Stato nigeriano del Borno, causando lo sfollamento di oltre 5.000 persone. Da quanto comunicano fonti locali, i miliziani avrebbero attaccato una caserma militare e palazzi politici e incendiato diverse abitazioni. I cittadini sfollati stanno fuggendo verso il Camerun. Lo Stato nigeriano del Borno è da tempo teatro di scontri tra i miliziani di Boko Haram e le forze regolari. Nell’ultimo anno, il gruppo ha lanciato sempre più incursioni, invadendo basi militari e comunità locali.

Una imprenditrice vuole fondare una colonia israeliana in Salento

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«Israeli Colony in Salento» è il nome di un progetto ideato dall’imprenditrice israeliana Orit Lev Marom, che starebbe cercando di mettere in atto attraverso la società immobiliare Coral 37, fondata appositamente «per aiutare gli investitori ad acquisire immobili di prim’ordine nella regione del Salento». Il progetto è descritto come «una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente dove le famiglie israeliane possono stabilire case, coltivare il proprio cibo e sviluppare strutture educative e sanitarie condivise». Insomma, la donna israeliana sarebbe promotrice di una vera e propria colonizzazione basata sull’acquisto di grandi appezzamenti di terreno con casolari e altri edifici.

Non molto tempo fa vi abbiamo raccontato del malessere che si sta diffondendo a Cipro per il grande aumento del numero degli israeliani che si stabiliscono sull’isola costruendo comunità chiuse e socialmente indipendenti con scuole, supermercati kosher e sinagoghe; il tutto mentre salgono continuamente le tensioni nella regione tra Israele e Turchia. A quanto pare il rischio di un simile fenomeno potrebbe ripetersi anche in Italia, precisamente in Salento, Puglia. Orit Lev Marom, imprenditrice israeliana che ammanta un passato lavorativo tra Cipro, Grecia, Portogallo, Spagna, Germania, Inghilterra e Stati Uniti, per tramite della società da lei co-fondata, Coral 37, sta promuovendo un progetto che sul sito è riportato alla voce «Pensiero visionario e progetti innovativi» e che prende il nome di «Israeli Colony in Salento». Tale progetto è definito «una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente dove le famiglie israeliane possono stabilire case, coltivare il proprio cibo e sviluppare strutture educative e sanitarie condivise». In altre parole una comunità chiusa, autonoma e autosufficiente, di cittadini israeliani su suolo italiano.

L’opportunità è ghiotta, come spiega l’imprenditrice israeliana sul sito di Coral 37: confrontati con quelli di molte altre mete in Occidente, o in Italia stessa, i prezzi salentini sono decisamente inferiori alla media, con possibilità di grande sviluppo economico. Una proprietà che propone l’imprenditrice, a pochi chilometri dal mare, è grande 84 ettari con opere murarie di 300 mq che possono essere aumentate fino 1.350 mq, anche suddivise in più edifici abitativi. Non viene riportato il costo dell’eventuale operazione di acquisto. Il Salento, come gran parte del Sud Italia, è una terra martoriata da decenni di politiche fallimentari; in più, subisce ancora le pesanti conseguenze della devastazione ecologica del caso Xylella e l’abbattimento di migliaia di olivi secolari. Tutto questo fa si che il valore dei terreni e degli edifici rimanga basso, lasciando questa regione esposta a progetti speculativi o, addirittura, come in questo caso, di colonizzazione.

Lev Marom dice di aver cambiato lavoro nel 2005 quando da insegnante di educazione speciale è passata nel settore dell’edilizia per essere, poco dopo, nominata CEO di Y. Yitzhakov Construction, ditta di costruzione israeliana con sede non lontano da Gerusalemme. Da quel momento sarebbe iniziata la sua avventura ventennale nel settore immobiliare in diversi Paesi. Poi due anni fa l’arrivo in Salento e l’innamoramento di una terra che dice di sentire familiare. E così l’idea colonizzatrice. Non appena la questione della colonia israeliana nel Salento è diventata nota, tutte le pagine sono state cancellate. Difficile al momento stabilire fino a che punto tale progetto sia attendibile e se ci sia qualcun altro che lavora con Lev Marom, come suggerirebbe il sito, il quale presenta l’imprenditrice israeliana come co-fondatrice di Coral 47. 

Senz’altro una vicenda singolare che merita attenzione futura e monitoraggio. I cittadini del Salento, ma non solo, sono avvisati.