mercoledì 30 Aprile 2025
Home Blog Pagina 4

Gli USA bombardano lo Yemen e colpiscono un centro per migranti: almeno 115 uccisi

0

Tra ieri e oggi, lunedì 28 aprile, gli Stati Uniti hanno lanciato un massiccio attacco missilistico sullo Yemen, uccidendo oltre un centinaio di persone. I bombardamenti sono iniziati poco prima dello scoccare della mezzanotte, e hanno preso di mira la capitale San’a, Al-Jawf, Ma’rib, al-Hodeida e Sa’da. Proprio quest’ultima è stata bersagliata dall’attacco più mortale, lanciato stamattina su un centro di trattenimento per persone migranti provenienti dall’Africa. Secondo l’ultimo aggiornamento, nel solo centro di Sa’da sono state uccise 115 persone e almeno una cinquantina sono state ferite e portate d’urgenza presso l’Ospedale Generale Repubblicano della città. L’attacco arriva sullo sfondo di una generale intensificazione dei bombardamenti statunitensi sulle città yemenite controllate dagli Houthi, iniziata dopo che il gruppo ha annunciato la ripresa delle operazioni di pattugliamento sul Mar Rosso in solidarietà con il popolo palestinese. Ieri stesso, poco prima del lancio degli attacchi statunitensi, gli Houthi hanno lanciato un attacco missilistico sull’area del Mar Morto occupato.

I primi bombardamenti statunitensi sullo Yemen sono stati lanciati alle 23:16 di ieri. Di preciso, gli USA hanno scagliato dieci distinti attacchi su Sa’da, cinque sulla capitale San’a, quattro su Al-Jawf, due su Hodeida e uno su Ma’rib. In due dei cinque attacchi che hanno preso di mira San’a sono state uccise rispettivamente 8 e 2 persone, tra cui donne e bambini. Da quello che riporta l’emittente yemenita Al Masirah TV, l’aggressione ha «preso di mira tre case adiacenti che ospitavano bambini e donne in un quartiere residenziale densamente popolato». Gli attacchi hanno completamente distrutto le case prese di mira, inflitto ingenti danni alle proprietà vicine e provocato lo sfollamento di massa dei residenti. Le squadre di soccorso si sono precipitate sul posto per evacuare i feriti in diversi ospedali, mentre fino alle 7:00 di stamattina le operazioni di recupero delle vittime intrappolate sotto le macerie risultavano ancora in corso.

Attorno alle 7:00, è stato lanciato l’attacco sul centro per persone migranti di Sa’da. Secondo l’ultimo aggiornamento proveniente dall’agenzia di stampa yemenita SABA, l’aviazione statunitense ha ucciso 115 persone, ferendone altre decine. L’ultimo aggiornamento sui feriti disponibile su SABA conta ancora 47 persone, ma secondo fonti ospedaliere riportate dall’emittente qatariota Al Jazeera, i ricoverati gravi sarebbero almeno una cinquantina. Da quanto comunicano le fonti ufficiali, la struttura ospitava 115 persone migranti provenienti prevalentemente dall’Etiopia, che si sarebbero trovate in Yemen di passaggio, per giungere in Arabia Saudita. Ignoto il numero di operatori presenti nella struttura. Non sono ancora chiari i danni registrati dall’edificio, ma alle 8 di questa mattina, le squadre di soccorso stavano ancora lavorando per cercare i corpi tra le macerie, mentre i vigili del fuoco provavano a estinguere un incendio causato dal bombardamento.

I bombardamenti statunitensi sullo Yemen sono stati preceduti da un comunicato del Comando Centrale in cui il centro operativo di Washington spiega che, dall’inizio della ripresa dei bombardamenti, il Paese ha intenzionalmente rilasciato poche informazioni sulle proprie operazioni, ma che comunque continuerà a prendere di mira gli Houthi fino a quando non interromperanno il blocco navale sullo stretto di Bab al-Mandab. «Dall’inizio dell’Operazione Rough Rider, l’USCENTCOM ha colpito oltre 800 obiettivi», si legge nel comunicato. «Questi attacchi hanno ucciso centinaia di combattenti Houthi e numerosi leader Houthi, tra cui alti funzionari Houthi». Gli USA affermano di avere preso di mira obiettivi militari e strutture strategiche, e non hanno rilasciato alcun commento sulle decine di civili uccisi in quest’ultimo mese. In totale, dalla ripresa dei bombardamenti, gli USA hanno ucciso circa 300 persone. L’attacco più mortale si è verificato il 15 marzo, prendendo di mira tutto il Paese, e ha ucciso 53 persone, ferendone altre 98.

TAR Emilia, sospesa la delibera sull’eutanasia

0

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna ha accolto l’istanza sospensiva avanzata dalla consigliera regionale Valentina Castaldini (Forza Italia) per sospendere le delibere regionali sulla regolamentazione delle pratiche di accesso all’eutanasia. La richiesta era pervenuta tra i banchi del TAR, lo scorso 11 marzo, e chiedeva l’annullamento delle delibere regionali approvate a febbraio 2024. Queste intendevano attuare la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sul suicidio medicalmente assistito, e stabilivano che le strutture sanitarie pubbliche regionali dovessero garantire ai malati il diritto di accedere al suicidio medicalmente assistito nei casi previsti dalla Corte. L’udienza collegiale è stata fissata il 15 maggio.

La Corea del Nord ha confermato per la prima volta di aver inviato soldati in Russia

0

La Commissione Militare Centrale della Corea del Nord ha confermato per la prima volta che il Paese ha mandato le proprie truppe in Russia per sostenere la Federazione nelle operazioni di ripresa del Kursk. La notizia arriva dall’agenzia di stampa ufficiale nordcoreana, la KCNA, che celebra il presunto successo del dispiegamento coreano in Russia. L’agenzia riprende le parole di Kim Jong-Un, citate anche dall’agenzia di stampa russa TASS. Tanto la Russia quanto la Corea sostengono di aver terminato le operazioni per riprendere il Kursk, regione russa di frontiera dove lo scorso agosto le forze ucraine avevano lanciato un’incursione, arrivando a controllare un’area di oltre un migliaio di chilometri quadrati. L’Ucraina, dal canto suo, sostiene di essere ancora presente sul territorio e di aver catturato un intero gruppo di soldati russi.

Il comunicato uscito su KCNA conferma le voci che circolano da mesi circa la presenza dei soldati nordcoreani in Russia. Sebbene l’agenzia di stampa di Pyongyang non fornisca alcun dettaglio sul dispiegamento delle truppe del Paese nel territorio russo, infatti, il breve articolo dell’agenzia di controllo statale costituisce la prima testimonianza diretta da parte della Corea del Nord del proprio coinvolgimento militare nel conflitto russo-ucraino. Il comunicato si limita a riportare le parole della Commissione Militare Centrale, che celebrano l’esito dell’operazione militare nel Kursk: «Le operazioni di liberazione della zona di Kursk per respingere l’avventurosa invasione della Federazione Russa da parte delle autorità ucraine si sono concluse vittoriosamente», si legge su KCNA. «Grazie alla preziosa vittoria riportata dagli eserciti della RPDC e della Russia, è giunta al termine l’occupazione della zona di Kursk da parte dell’esercito ucraino, durata quasi nove mesi».

La Corea del Nord, si legge su KCNA, ha inviato i propri soldati in Russia invocando l’articolo 4 del trattato di partenariato strategico globale concluso tra i due Paesi e ratificato lo scorso novembre. Dopo l’uscita dei comunicati nordcoreani, Putin ha ringraziato il Paese alleato per il proprio sostegno e confermato che le truppe russe hanno ricevuto l’aiuto di quelle nordcoreane sulla base dell’articolo 4 del trattato. La notizia del coinvolgimento nordcoreano arriva due giorni dopo l’annuncio del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe, il Generale Valerij Gerasimov, che ha dichiarato la fine della «operazione per liberare la regione di Kursk dalle forze ucraine che l’avevano invasa nell’agosto 2024». L’Ucraina, tuttavia, ha smentito di essere stata cacciata dalla regione. «Mentre il Capo di Stato Maggiore dell’URSS Gerasimov riferisce sulla “liberazione” della regione di Kursk dalle Forze di sicurezza e difesa dell’Ucraina», si legge in un comunicato delle Forze per le operazioni speciali delle Forze armate dell’Ucraina, «gli operatori del 73° Centro delle Forze per operazioni speciali delle Forze armate dell’Ucraina continuano a svolgere con successo i compiti in quest’area». L’altro ieri, sabato 26 aprile, proprio in parallelo all’annuncio di Gerasimov, un gruppo di soldati ucraini presenti nel Kursk avrebbe «annientato un intero gruppo di soldati dell’810° Brigata dei Marines nemica durante delle operazioni speciali». La Russia non ha rilasciato notizie su tale presunto attacco.

Come accaduto spesso in questi tre anni di guerra, viste le dichiarazioni contraddittorie di Russia e Ucraina, non è possibile sapere con certezza quale sia veramente l’attuale situazione sul campo. Risulta tuttavia sicuro che la porzione di Kursk controllata dall’Ucraina, laddove Kiev avesse ragione, è ormai minima. Lo scorso 16 marzo, data dell’ultimo aggiornamento, l’Ucraina era in possesso di un’area di appena 110 chilometri quadrati, mentre ad oggi, secondo analisti ripresi da giornali ucraini, Kiev avrebbe il controllo solo di alcune posizioni nei centri di Gornal e Oleshnya, entrambi situati al confine con la Russia. L’offensiva nel Kursk era stata lanciata lo scorso agosto, quando le truppe ucraine erano riuscite a penetrare nel territorio russo, spingendosi fino a un centinaio di chilometri di profondità. Al momento della sua massima espansione nel Kursk, l’Ucraina controllava un’area di circa 1.400 chilometri quadrati.

India-Pakistan, ancora scontri al confine

0

I soldati indiani si sarebbero scontrati con i soldati pakistani lungo la Linea di Controllo, il confine di fatto che separa i due Paesi. La notizia arriva da parte indiana, che sostiene di avere risposto al fuoco immotivato proveniente dal Pakistan; Islamabad non ha risposto alle accuse. Gli scontri sarebbero avvenuti ieri notte e costituirebbero così il quarto episodio consecutivo di sparatorie al confine. Negli ultimi giorni, la situazione tra India e Pakistan si è fatta sempre più tesa a causa di un attentato che ha colpito la porzione indiana della regione contesa del Kashmir. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo islamista che l’India accusa il Pakistan di sostenere.

Spagna, Slovenia e Islanda si schierano contro la partecipazione di Israele all’Eurovision

3

Diversi Paesi ed eurodeputati stanno facendo fronte comune per escludere Israele dall'Eurovision, il maggiore festival musicale europeo. L'iniziativa è stata lanciata dalla rete televisiva spagnola RTVE a cui sono seguiti un appello dall'omologa emittente slovena, quello di 30 parlamentari europei, e un ultimo dalla rete televisiva islandese. L'atto di boicottaggio intende denunciare le ripetute violazioni della legge internazionale da parte di Israele e chiedere alle istituzioni e agli enti culturali del Vecchio Continente di prendere una posizione di condanna nei confronti delle azioni dello...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Israele ha bombardato Beirut

0

L’aviazione israeliana ha lanciato un bombardamento sulla capitale libanese Beirut, nel quartiere meridionale di Dahiyeh. L’esercito ha affermato di avere preso di mira un magazzino di armi di Hezbollah, ma i quotidiani locali riportano che non ci sarebbe stata alcuna esplosione secondaria dopo l’attacco. Ancora incerta l’entità dei danni e la presenza di eventuali vittime. Dall’entrata in vigore del cessate il fuoco con Hezbollah, lo scorso novembre, Israele ha attaccato Beirut diverse volte. Gli ultimi attacchi sono avvenuti il 28 marzo, quando l’aviazione israeliana ha raso al suolo un edificio nel quartiere meridionale di Hadath, e il 1° aprile, sempre a Dahiyeh, in un attacco che ha ucciso quattro persone.

Banca Mondiale: Arabia Saudita e Qatar salderanno i debiti della Siria

0

L’Arabia Saudita e il Qatar salderanno gli arretrati di circa 15 milioni di dollari dovuti dalla Siria alla Banca Mondiale. A dare la notizia sono i due Paesi finanziatori in una dichiarazione congiunta. Il saldo del debito apre la strada all’approvazione di possibili richieste di sovvenzione da parte della Siria. «Questo impegno aprirà la strada alla ripresa del supporto e delle operazioni del Gruppo della Banca Mondiale in Siria dopo una sospensione di oltre quattordici anni», si legge nella dichiarazione. Entrambi i Paesi hanno inoltre invitato «le istituzioni finanziarie internazionali e regionali a riprendere e ampliare tempestivamente il loro impegno per lo sviluppo in Siria».

Gli USA mediano tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda e mettono le mani sulle risorse

0

La Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno firmato un accordo preliminare per giungere a una pace. Il documento è stato siglato a Washington in presenza del Segretario di Stato USA Marco Rubio e arriva qualche giorno dopo la firma di una tregua tra il movimento ribelle dell’M23 e la RDC, in Qatar. L’accordo tra la RDC e il Ruanda impegna i Paesi a rispettare la reciproca sovranità e i confini internazionalmente stabiliti, a risolvere le controversie con la diplomazia, a rilanciare la cooperazione bilaterale e a valutare l’istituzione di un meccanismo congiunto di sicurezza. Con la firma dell’accordo, inoltre, RDC e Ruanda stabiliscono il 2 maggio come data limite per la presentazione di un accordo di pace definitivo e di risolvere eventuali controversie con la mediazione degli stessi USA. L’iniziativa pacificatrice di Washington, come era nell’aria, sembra tutto tranne che disinteressata: il tanto ricercato accordo prevede infatti che i Paesi collaborino sul fronte energetico, infrastrutturale e — soprattutto — minerario, «in collaborazione con il governo degli Stati Uniti e gli investitori statunitensi».

L’accordo preliminare tra la RDC e il Ruanda è stato firmato venerdì 25 aprile. Esso si divide in sei punti e apre la strada alla stesura di un accordo di pace da sottoporre alla reciproca revisione entro il 2 maggio. L’accordo prevede: il riconoscimento reciproco della sovranità, dell’integrità territoriale e dei confini stabiliti dei Paesi; la facilitazione del ritorno «sicuro e volontario» degli sfollati nelle proprie case; la promozione e il sostegno alla missione internazionale MONUSCO delle Nazioni Unite; una collaborazione sul fronte della sicurezza, limitando «la proliferazione di gruppi armati non statali all’interno e attraverso i reciproci confini», astenendosi «dal fornire supporto militare statale a gruppi armati non statali» e, nel caso fosse necessario, istituendo un meccanismo di sicurezza congiunto. Riguardo a quest’ultimo punto, va notato che l’accordo non cita in maniera esplicita l’M23. L’accordo prevede infine il rilancio dei rapporti commerciali ed economici tra i Paesi, favorendo lo sviluppo di un «quadro di integrazione economica».

«Questo quadro», si legge nell’accordo, «sarà accompagnato dall’avvio o dall’espansione di investimenti significativi, inclusi quelli agevolati dal governo statunitense e dal settore privato statunitense, volti a trasformare l’economia regionale a vantaggio di tutti i Paesi partecipanti». I due Paesi si impegnano poi «a esplorare opzioni per collegare questo quadro ad altre iniziative di sviluppo economico internazionali o regionali, anche nell’ambito di progetti infrastrutturali», da portare avanti attraverso «partnership e opportunità di investimento reciprocamente vantaggiose». RDC e Ruanda, infine, «si impegnano ad avviare e/o ampliare la cooperazione su priorità condivise quali lo sviluppo idroelettrico, la gestione dei parchi nazionali, la riduzione del rischio nelle catene di approvvigionamento minerario» e, soprattutto, il collegamento delle catene minerarie end-to-end (dalla miniera al metallo lavorato) tra «entrambi i Paesi, in collaborazione con il governo degli Stati Uniti e gli investitori statunitensi». I Paesi, insomma, si impegnano a collaborare tra di loro, con gli USA e con gli investitori privati statunitensi in settori strategici chiave quali quello energetico, quello infrastrutturale e quello minerario.

L’annuncio dell’accordo preliminare tra RDC e Ruanda arriva due giorni dopo l’analoga tregua siglata tra Kinshasa e rappresentanti dell’M23, che la RDC sostiene essere sostenuto dal Ruanda. Questa è stata raggiunta di comune accordo con la mediazione del Qatar e, per quanto sia vaga nei termini e non sembri stabilire un cessate il fuoco permanente, impegna le parti a una «immediata cessazione delle ostilità» da portare avanti fino a che proseguono i colloqui per una «pace duratura». L’accordo tra RDC e M23 è giunto in seguito a una rapida avanzata del movimento ribelle, che nell’arco di qualche mese ha conquistato le principali città dell’area orientale del Congo. Dopo avere preso la capitale della provincia del Nord Kivu, Goma, l’M23 è arrivato fino a Bukavu, assicurandosi il controllo delle maggiori città orientali del Paese. Dopo un momento di stallo in cui sembrava avvicinarsi un accordo per una tregua, l’avanzata dei ribelli è continuata, giungendo fino a Walikale, da cui si sono ritirati dopo qualche giorno proprio per facilitare il raggiungimento di una pace temporanea. Al momento non risulta chiaro dove la tregua siglata in Qatar potrebbe portare, né se e quando si potrebbe svolgere un altro round di colloqui. Quello che sembra evidente è che, per via della sua ampia disponibilità di risorse, la regione fa gola a molti e che il ruolo di mediatore tra le parti apre alla possibilità di mettervici le mani. Gli ultimi accordi siglati dalla RDC erano infatti stati in un certo senso anticipati dagli ultimi incontri tenutisi a marzo, che prefiguravano l’ipotesi di mettere le risorse minerarie sul piatto per ottenere il sostegno di Washington.

Vancouver, auto sulla folla: almeno 9 morti

0

Nella notte tra ieri e oggi, a Vancouver, in Canada, un auto è piombata sulla folla, uccidendo almeno 9 persone e causando «diversi» feriti. L’incidente è avvenuto in occasione di un festival filippino, e il conducente, un uomo di 30 anni già noto alla polizia, è stato arrestato. In una breve dichiarazione sui social media, la polizia ha affermato che, al momento, è «certa» che l’incidente non sia stato un atto di terrorismo.

Niger, “offensiva a sorpresa”: uccisi 12 soldati

0

Dodici soldati nigerini sono stati uccisi in un attacco nell’ovest del Paese. La notizia arriva dall’esercito nigerino, che ha comunicato che l’attacco, una «offensiva a sorpresa», si è verificato venerdì a circa 10 km a nord del villaggio di Sakoira, nei pressi del confine tra Niger, Mali e Burkina Faso, area particolarmente soggetta a incursioni da parte di gruppi islamisti. L’esercito non ha fornito dettagli circa l’identità degli aggressori, ma ha affermato di avere arrestato due sospetti.