Dopo le forti inondazioni che hanno colpito il Pakistan nordoccidentale negli scorsi giorni, i soccorritori sono ancora alla ricerca di oltre 150 persone che risultano disperse nell’area. Il bilancio delle vittime nel distretto montuoso di Buner, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, ha raggiunto lunedì quota 277, dopo che i soccorritori hanno recuperato tre corpi. Le operazioni di ricerca sono state estese alle aree remote per trovare i residenti travolti dai detriti, ha dichiarato il portavoce dei servizi di emergenza Mohammad Suhail. L’esercito ha schierato ingegneri e macchinari pesanti per rimuovere le macerie.
Tutte le volte che Pippo Baudo è finito nel mirino della mafia
È morto sabato 16 agosto, all’età di 89 anni, il celebre conduttore televisivo siciliano Pippo Baudo. Presentatore di 13 edizioni del Festival di Sanremo, autore di successo e ineguagliabile scopritore di talenti, Baudo assunse però un’inedita veste negli anni più “caldi” della storia politico-criminale italiana: quella di vittima designata di Cosa Nostra. Le prime avvisaglie si ebbero nel 1989, quando nella sua villa di Santa Tecla (Acireale) fu rinvenuto un ordigno rudimentale. Solo pochi mesi dopo, materiale infiammabile venne trovato in un’altra sua residenza. Poi, nel novembre del 1991, un feroce attentato dinamitardo distrusse la villa di Baudo mentre quest’ultimo si trovava a Roma. Infine, l’anno successivo, il piano omicidiario che implicava l’eliminazione del conduttore e di altre figure di spicco del mondo televisivo (tra cui Maurizio Costanzo) che si erano distinte per attacchi su larga scala alla compagine mafiosa. Progetti sanguinari che – al netto di quello nei confronti di Costanzo, consumato senza successo nel 1993 – furono messi da parte per lasciare spazio alla più proficua strategia eversiva e destabilizzatrice che vide Cosa Nostra in prima linea con la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.
Attacchi ripetuti
Come ricostruito dai magistrati in anni di indagini, le prime intimidazioni mafiose nei confronti del conduttore di cui si ha contezza ebbero luogo già il 17 gennaio del 1989. Nella villa di Santa Tecla era stato infatti trovato un rudimentale ordigno esplosivo. Il successivo 4 febbraio, la mafia replicò la sua azione dimostrativa, facendo rinvenire del liquido infiammabile in un’altra villetta di proprietà di Pippo Baudo. Ma fu solo l’anticamera di una mossa ben più impattante. Nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1993, un boato si udì in tutta Santa Tecla: la residenza di Baudo era stata colpita col tritolo. I Vigili del Fuoco impiegano oltre due ore per domare le fiamme. La villa venne completamente devastata e rimasero in piedi solo alcuni pezzi di muro. Baudo si salvò, perché aveva lasciato la casa poche ore prima alla volta di Roma, dove in quel periodo registrava Domenica In. Lo stesso giorno, all’ANSA arrivò una particolare rivendicazione: «Il presentatore di spettacoli di varietà televisivi Pippo Baudo può considerarsi un uomo fortunato. Agli industriali Vecchio e Rovetta, a Bicocca – nella sua città, alla periferia di Catania – necessità ci impose di riservare un destino ben peggiore. Gli consigliamo perciò di non distrarsi». Firmato: «Falange Armata». La stessa sigla usata per rivendicare i delitti della Uno Bianca tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta e numerosi attentati della criminalità organizzata dei primi anni Novanta, tra cui gli omicidi di Antonino Scopelliti, Salvo Lima e Giuliano Guazzelli e le stragi di Capaci, via d’Amelio, Roma, Firenze e Milano, così come l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
Cause e responsabili
In una conferenza stampa tenuta dal conduttore il 5 novembre del 1991, un giornalista gli chiese: «Puoi immaginare che la mafia possa aver colpito te per colpire, per così dire, il mondo della tv e si è schierato contro Cosa Nostra? Mi riferisco ad esempio a Maurizio Costanzo…». «Potrebbe darsi anche questo, insomma, noi facciamo il nostro dovere di uomini civili di un Paese che speriamo sia civile – rispose Baudo -. Quando capita l’occasione di potersi esprimere e dire delle cose le diciamo. Penso che ognuno di noi debba farlo, perché ha il dovere di farlo». Effettivamente, pochi mesi prima, Baudo era intervenuto in una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show incentrata sulla lotta alla mafia, esprimendosi senza mezzi termini contro gli uomini di Cosa Nostra e ricordando con orgoglio il giudice Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia, ucciso nel 1983 dalla consorteria mafiosa con un’autobomba. Le indagini degli inquirenti appurarono col tempo che a ordinare l’attentato alla villa di Baudo, concepito dal mafioso Marcello D’Agata, era stato direttamente il superboss catanese Nitto Santapaola, alleato di ferro dei corleonesi e giunto al potere della città etnea dopo la seconda guerra di mafia, che vide il gruppo di Riina e Provenzano vincitore nei primi anni Ottanta. A fornire uomini e mezzi per l’azione delittuosa fu il boss di Acireale Sebastiano Sciuto, che venne condannato a 15 anni e sei mesi di reclusione.
La “spedizione” romana
Ma c’è di più. Perché, come ricostruito dai magistrati che si sono occupati della stagione omicidiario-stragista che tenne in scacco l’Italia nei primi anni Novanta fino al fallito attentato allo Stadio Olimpico del gennaio ’94, i piani di morte di Cosa Nostra nei confronti di Baudo e di altri importanti personaggi del giornalismo e dell’intrattenimento televisivo si estesero anche ai mesi successivi. Nel febbraio del 1992, infatti, i programmi di morte di Totò Riina si concentrarono su Roma, dove venne inviato un commando di mafiosi con l’obiettivo di colpire Giovanni Falcone (all’epoca direttore generale degli affari penali al ministero della Giustizia), l’allora Guardasigilli Claudio Martelli e altri personaggi che si erano distinti nella battaglia mediatica contro la mafia, come Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo. Poco dopo, però, Totò Riina diede l’ordine ai suoi uomini di rientrare in Sicilia. In ballo c’era «qualcosa di più grosso». Il resto è storia, con l’omicidio del democristiano Salvo Lima – asse portante dell’alleanza politica tra mafia e DC dall’epoca del “sacco di Palermo”, ucciso il 12 marzo 1992 per non aver ottemperato all’impegno di dirottare il Maxiprocesso verso un nulla di fatto – e l’inaugurazione della “strategia della destabilizzazione” con l’attentato di Capaci del 23 maggio del 1992, seguito dalla strage di via D’Amelio a soli 57 giorni di distanza.
L’attentato a Costanzo
Tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, ebbe inizio la “Trattativa Stato-mafia”, con l’apertura al dialogo che gli ufficiali del ROS dei Carabinieri (poi processati e assoltu per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato) lanciarono ai vertici di Cosa Nostra per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Una mossa che, secondo le Corti di Firenze che si sono pronunciate sul tema, instillò nei capimafia l’idea che la strategia stragista «pagasse» e che, dunque, fosse funzionale portarla avanti anche nel 1993 al nord e al centro Italia, puntando al patrimonio artistico dello Stato. Eppure, il primo appuntamento di quell’annata di sangue fu organizzato per versare altro sangue: il 14 maggio, andò in scena l’attentato – fortunatamente fallito, ma che provocò comunque decine di feriti – in via Fauro, nei pressi degli studi del “Maurizio Costanzo Show”, proprio ai danni di Costanzo. Il quale si salvò, insieme a sua moglie Maria de Filippi, solo grazie a un cambio di automobile deciso all’ultimo.
Australia, multa di 36 milioni a Google per accordi anticoncorrenziali
Google ha accettato di pagare una multa di 55 milioni di dollari australiani (35,8 milioni di dollari americani) in Australia dopo che l’autorità garante della concorrenza ha scoperto che la compagnia aveva danneggiato la concorrenza pagando le due principali compagnie telefoniche per preinstallare la sua app di ricerca sui telefoni Android, escludendo motori di ricerca rivali. La sanzione arriva in un momento difficile per Google, che ha recentemente perso una causa contro Epic Games per le sue pratiche nei negozi di app. Inoltre YouTube, di proprietà di Google, è stato aggiunto lo scorso mese al divieto australiano di piattaforme social che consentono l’accesso agli utenti under 16.
Un anno dopo, il naufragio del Bayesian rimane ancora un mistero
Il veliero inaffondabile, secondo chi ha costruito quei 56 metri di bellezza e tecnologia, è colato a picco in un quarto d’ora, forse 13 minuti. E un anno dopo l’affondamento del Bayesian, lo yacht che si è inabissato a 49 metri di profondità davanti a Porticello, a due passi da Palermo lasciando una scia di sette vittime, le domande, i dubbi e le perplessità non si sono diradati. Anzi. Il recupero del relitto e l’inchiesta in corso, finora, hanno evidenziato e confermato i coni d’ombra di un naufragio che resta un grande mistero, deflagrato l’anno scorso dopo Ferragosto con effetti e sfumature da spy-story internazionale.
Una crociera per miliardari

In primo luogo vi è il fatto che non si trattava di una crociera di lusso per turisti qualsiasi: il proprietario dello scafo era Mike Lynch, magnate di Darktrace, multinazionale della cybersicurezza specializzata nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Un colosso che nell’aprile 2021 era stato quotato 2,5 miliardi di sterline alla Borsa di Londra (2,9 miliardi di euro). E nella primavera 2024, pochi mesi prima del disastro davanti alle coste siciliane, era stato acquistato dal fondo statunitense Toma Bravo per 5,32 miliardi di dollari. Darktrace ha anche attivato una divisione che collabora col Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, oltre ad avere da sempre solidi legami con i servizi segreti inglesi, americani e israeliani.
Certo, è un amaro e beffardo paradosso che il tycoon di una compagnia specializzata nella sicurezza, oltre che nella previsione e neutralizzazione di rischi e minacce, sia stato risucchiato in una tempesta largamente annunciata e prevista, perlomeno dai pescatori della zona che quella notte – tra il 18 e il 19 agosto di un anno fa – avevano lasciato le loro barche ormeggiate in porto, guardandosi bene dal prendere il mare. La Procura di Termini Imerese parla senza mezzi di termini di catena di errori umani, aggiungendo in modo implicito l’aggettivo “incredibile”. Gli inquirenti sono al lavoro nell’inchiesta relativa al fascicolo aperto per “naufragio e omicidio colposo plurimo contro ignoti”. Ignote, per la verità e tutt’ora, sono le cause di quello che tutti, magistrati ed esperti, definiscono all’unisono un “affondamento repentino”.
Tutti gli elementi che non tornano
Il temporale e le forti raffiche di vento, annunciati con bollettini meteo ignorati dal comandante e dall’equipaggio del Bayesian, hanno inghiottito un veliero di 550 tonnellate nel giro di pochi minuti. Dai filmati delle telecamere piazzate sul porticciolo, si vede che alle ore 3.57 il veliero si è messo a dritta, per lo sferzare della tempesta di pioggia e vento che ha toccato il picco tra le 4.05 e 4.06. Ma già tre minuti prima, la barca era scomparsa alla vista e si è completamente inabissata alle 4.10, quando paradossalmente le condizioni meteo hanno cominciato a migliorare fino alle 4.18. Alle 4.03, inoltre, prima che la burrasca toccasse il suo culmine, il Bayesian si era già irrimediabilmente “coricato” a 90 gradi sulla teorica linea di galleggiamento, posizione dalla quale è praticamente impossibile recuperare l’assetto in equilibrio. Adagiato in quel modo, in mezzo a marosi e venti da 20 nodi, non ha avuto scampo il veliero che era uscito nel 2008 dai cantieri della Perini di Viareggio (unico “loop” varato da quel marchio) col nome molto poco profetico di Salute – poi cambiato in Bayesian nel 2014 quando fu acquistato dalla Revtom Ltd, società con sede nell’Isola di Man e riconducibile ad Angela Bacares, moglie di Lynch, sopravvissuta al naufragio insieme alla figlia piccola, mentre Hannah Lynch, appena 18enne, è deceduta nell’affondamento.

Nelle 42 pagine dell’informativa redatta dalla Guardia Costiera (mentre sono in corso gli accertamenti tecnici sul relitto ripescato lo scorso giugno e che vengono incrociati con i dati degli hard disk di bordo, decrittati da una ditta tedesca specializzata) è racchiusa la ricostruzione di quei terribili momenti nella rada di Porticello, in territorio di Santa Flavia. Il lavoro dei periti ha evidenziato particolari che aprono nuovi scenari sull’affondamento dello yacht, che secondo gli esperti si sarebbe trovato in posizione inclinata già prima dell’arrivo della tempesta. Il Bayesian avrebbe anche già imbarcato acqua, era anzi già allagato prima dell’arrivo della burrasca, piegato di 15 gradi: questo spiegherebbe il suo affondamento repentino. Secondo gli inquirenti, “il momento raddrizzante e la stabilità della nave erano già compromessi prima della tempesta”.
Resta comunque il problema di capire come sia stato possibile che, in condizioni di mare calmo e vento leggero (come è stato registrato fino ad un’ora prima della tempesta), il superveliero si sia potuto inclinare sull’acqua fino ad allargarsi. Visto che il recupero del relitto non ha evidenziato falle o urti nello scafo, l’unico modo per cui l’acqua poteva invadere la barca era un fattore interno, come un’apertura non richiusa in modo improvvido e con imperdonabile errore. Si pensa a qualche portellone dimenticato aperto, o forse a quello del tender a poppa. Mario Bellavista, avvocato dei familiari del cuoco di bordo (Recaldo Thomas, unico dell’equipaggio a perdere la vita), ipotizza senza mezze parole che, negli istanti precedenti alla burrasca, l’equipaggio abbia lasciato la nave per recarsi a terra e che una volta risalito, fosse stato troppo tardi per rimediare alla situazione. Ossia che i portelloni o i boccaporti siano stati chiusi troppo tardi, per impedire l’affondamento del Bayesian. Eppure, nessuno a terra ha notato la decina di uomini, tutti stranieri, in qualche locale o luogo di Porticello.
Marinai della domenica
Mike Lynch era un magnate di alto calibro. Il “Bill Gates britannico” vantava un patrimonio personale di 853 milionidi sterline. Tra i suoi ospiti a bordo del Bayesian vi erano, oltre al suo avvocato Chris Morvillo, anche Jonathan Bloomer e sua moglie, entrambe dispersi nel naufragio. Dal 2018, Bloomer era presidente di Morgan Stanley International, oltre che testimone nel processo per frode cui era stato sottoposto lo stesso Lynch negli Stati Uniti per aver truccato i ricavi di Autonomy, la sua società di software che poi è stata acquista da Hewlett Packard per 11 miliardi di dollari – Bloomer era alla guida del comitato di revisione contabile dell’azienda. La crociera, per Lynch, era anche un’occasione per festeggiare la sua assoluzione. Possibile che, con un tycoon del genere e ospiti del suo livello, la scelta dell’equipaggio sia ricaduta su marinai “della domenica” che, come si ipotizza, hanno abbandonato la barca per partecipare ad una festa sulla terraferma con le avvisaglie meteo che già circolavano? Sarebbe stato un comportamento del tutto non professionale, così come quello di ignorare gli avvisi sul meteo che sarebbe peggiorato di lì a poco. Sarebbe forse addirittura più plausibile, anche se in via del tutto ipotetica, che qualcuno li abbia indotti o invitati a lasciare lo scafo prima dell’arrivo della tempesta, oppure a non sigillare le possibili vie di allagamento interne. Secondo gli inquirenti, se la nave fosse stata in perfetto equilibrio ed efficienza e l’equipaggio si fosse attenuto ai protocolli di sicurezza “non solo nell’ultimo quarto d’ora fatale, ma anche nelle ore precedenti”, l’affondamento sarebbe stato “improbabile”.
Equipaggio sotto accusa

E’ questo il quadro di indizi e di indicazioni che è emerso finora dall’analisi del relitto e dalla ricostruzione dei suoi ultimi momenti, uno scenario costellato di dimenticanze, sbadataggini, errori e anche un presunto abbandono dello scafo: tutto molto strano (se non inconcepibile), dal momento che si parla di un equipaggio di marinai professionisti molto ben pagati e altrettanto addestrati. Al momento, gli indagati del disastro sono tre. Oltre al comandante, il neozelandese James Cutfield, l’ufficiale di macchina, Tim Parker Eatan e il marinaio Matthew Griffiths, entrambi inglesi. Quest’ultimo, a caldo, aveva dichiarato di aver svegliato il Cutfield – che quindi dormiva beato nella sua cabina con una burrasca annunciata in arrivo – per il vento forte e in crescendo e le condizioni meteo in peggioramento, con la barca che si era piegata. Secondo i magistrati, in sostanza, nessuno dei tre si sarebbe reso conto della gravità della situazione, nonostante il loro ruolo e la loro esperienza, cercando poi inutilmente di porre rimedio ai propri errori e alle proprie sviste. Il pm Raffaele Cammarano li cita così nel suo capo di imputazione: “(Griffiths) in qualità di marinaio addetto al turno di guardia notturno, perché non si avvedeva del peggioramento delle condizioni meteo ; Timothy Parker Eaton perché non si avvedeva che la barca aveva già imbarcato acqua… Il comandante Cutfield perché non adottava tempestivamente tutte le misure atte a fronteggiare la situazione di emergenza venutasi a creare e non avvertiva del pericolo dell’imminente naufragio tutti gli altri soggetti presenti sull’imbarcazione, cagionando la morte di sette di loro”.
Quelle mail senza risposta
Nella lista delle cose che non tornano, o che non trovano risposta plausibile, ci sono anche le mail scambiate da un agente marittimo del luogo, Marcello Meli, col comandante Cutfield nei giorni precedenti il naufragio e il giorno stesso del disastro. Meli aveva offerto al Bayesian di ormeggiare a Porto Marina di Villa Igea e anche il pomeriggio del 18 agosto si era detto disponibile per assicurare al veliero un approdo sicuro, visto il maltempo in arrivo. Visto che il comandante non ha accolto il suo invito, Meli aveva comunque pensato che, da lupo di mare, avrebbe provveduto a prendere le necessarie precauzioni per affrontare col veliero il pessimo meteo annunciato dalle previsioni. Non c’è spiegazione, col senno di poi, nemmeno a questo comportamento del comandante, che evidentemente doveva avere molta fiducia nelle sue qualità e conoscenze, oltre che esperienza di mare.
Il derby giudiziario tra fazioni opposte
Con la verità ancora lontana e ancora parecchi punti interrogativi sulla dinamica di questo disastro marittimo che ha acceso i riflettori di mezzo mondo sulla rada di Porticello, la vicenda giudiziaria sta prendendo lentamente le sembianze di un derby tra tesi contrapposte e la posta in palio, più che l’accertamento dei fatti, sembra siano i risarcimenti e alle faraoniche polizze di assicurazione legate al superveliero. Se da un lato la procura di Termini Imerese, insieme all’avvocato Bellavista e al costruttore, la Perini Navi, sostengono in modi diversi (ma con la stessa formula) le gravi responsabilità dell’equipaggio e il cosiddetto fattore umano, da parte inglese – il Bayesian batteva bandiera britannica – si cerca di dare la colpa del naufragio ai difetti del superveliero, facendo passare per dilettanti i cantieri italiani di eccellenza come nel caso del “loop” che aveva il più alto albero di alluminio al mondo (75 metri) e al limite all’imprevedibilità delle condizioni meteo. In particolare, è il rapporto del Maib (Marine Accident Investigation Branch), l’autorità governativa inglese che si occupa di tutti gli incidenti e naufragi di scafi britannici nel mondo, a delineare uno scenario non troppo edificante per i costruttori del Bayesian.
“Nelle condizioni di danno ipotizzate, velocità del vento superiori a 63,4 nodi erano sufficienti a far ribaltare Bayesian” scrivono gli esperti del Maid. “È possibile che il Bayesian fosse altrettanto vulnerabile a venti inferiori a 63,4 nodi. Queste vulnerabilità (in condizioni di navigazione a motore con vele ammainate, deriva mobile alzata e il 10% di materiali di consumo a bordo) non sono state identificate nel manuale di stabilità presente a bordo. Di conseguenza, queste vulnerabilità erano sconosciute sia al proprietario che all’equipaggio del Bayesian”, spiega ancora il Maib. In poche parole, secondo l’autorità inglese il superveliero orgoglio della marineria italiana non avrebbe retto alla forza e alle condizioni della tempesta, perché strutturalmente non in grado di farlo. La replica di Giovanni Costantino, amministratore delegato di The Italian Sea group, la società proprietaria della Perini Navi di Viareggio che costruì il Bayesian nel 2008, rende l’idea del clima da stadio in cui sembra essere piombata la vicenda: «Nave inaffondabile, c’è stata una catena di errori da parte dell’equipaggio».
Ginepraio assicurativo e una montagna di soldi in ballo
Con un disastro che presenta un conto di almeno 400 milioni di euro, e in un ginepraio assicurativo e legale di clausole, penali e codici, il Bayesian era coperto da due polizze sottoscritte dalla società Revtom Limited, controllata e amministrata dalla moglie di Lynch, Angela Bacares. La prima si chiama Hull e machinery, corpi e macchine, e riguarda i danni subiti dalla barca, con un massimale di 30 milioni. L’altra, Protection & Indennity, tutela l’armatore dai danni eventualmente patiti da terzi, così come le spese di recupero del relitto (25 milioni) e le spese legali che dovranno affrontare i membri dell’equipaggio sotto accusa. Ma c’è una clausola non scritta, che però pesa molto: la compagnia British Marine coprirà le parcelle dei loro avvocati, nella misura in cui loro sapranno tutelare in giudizio gli interessi della compagnia stessa e dell’armatore, ossia la moglie di Lynch e la sua società. In altre parole, il comandante Cutfield e i suoi due colleghi indagati dalla procura dovranno pesare bene le loro parole e la loro linea difensiva durante il procedimento, per non mettere in difficoltà l’assicurazione e l’armatore, se vogliono usufruire della tutela legale offerta. Gli scenari cambiano, dal punto di vista dei risarcimenti, in base a come saranno accertati i fatti in tribunale. Un disastro per colpa umana, dell’equipaggio, la compagnia dovrebbe pagare (con la seconda polizza, quella più onerosa) senza poter avanzare rivalse che potrebbe ottenere, invece, nel caso che venisse accertato un difetto originale nel veliero, circostanza che toglierebbe alla British Marine parte degli oneri. Ci sono insomma un mare di sterline e dollari in ballo, la partita si giocherà tra Londra e Palermo, e la verità sul naufragio del Bayesian e i suoi dispersi rischia di rimanere sepolta per sempre nei 50 metri di fondale in cui il veliero si è inabissato.
I leader europei volano a Washington per fare da scudo a Zelensky
Dopo l’atteso vertice tra Trump e Putin di venerdì scorso, oggi la Casa Bianca ospiterà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e diversi altri leader europei. Tra i presenti, il segretario generale della NATO Mark Rutte, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Friederich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer e l’italiana Giorgia Meloni. In seguito al vertice con Putin, tanto Trump quanto l’omologo russo sono usciti dai negoziati soddisfatti, senza tuttavia fare trapelare troppe informazioni; secondo le indiscrezioni diffuse dai media, i due leader avrebbero parlato dell’ipotesi di congelare la attuale linea del fronte in cambio del ritiro delle truppe ucraine dall’intero Donbass. In questi giorni Zelensky e i leader europei hanno ribadito la loro posizione per cui non ci può essere accordo di pace senza la garanzia dell’integrità territoriale ucraina.
Il programma di oggi è fitto di impegni: alle 18 italiane (mezzogiorno locale) i leader europei arriveranno alla Casa Bianca, seguiti da Zelensky alle nostre 19:15. A quell’ora ci sarà un breve bilaterale tra il leader ucraino e Trump; dopo un’ora, alle 20:15, i saluti tra Zelensky e i colleghi di Finlandia, Francia, Germania, Italia e Regno Unito, alle 20:30 la foto di rito, e alle 21 la tavola rotonda tra i leader. «Zelensky può porre fine alla guerra con la Russia quasi immediatamente se lo desidera, oppure può continuare a combattere», ha scritto Trump questa notte, per parlare del vertice. Le parole di Trump suggeriscono nuovamente che l’incontro con Putin è andato come sperato dai due leader. Nel corso della conferenza stampa di venerdì scorso, Trump e Putin non hanno rilasciato dettagli sulle loro conversazioni, ma secondo le informazioni rilasciate dalla stampa, sarebbe emersa una proposta russa per la pace: il Financial Times e Reuters hanno citato fonti anonime che sostengono che Putin avrebbe proposto un congelamento dell’attuale linea di confine nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia e la garanzia che non avrebbe lanciato ulteriori attacchi, in cambio del ritiro completo delle truppe ucraine da Donetsk e Luhansk.
Secondo molti, un simile accordo costituirebbe una sostanziale sconfitta per l’Ucraina e per l’Europa. La Russia ha infatti conquistato larghe porzioni di Zaporizhzhia e Kherson (in questo momento per circa tre quarti occupate dalle truppe russe), rinforzando il proprio controllo sulla Crimea (Kherson è la regione situata subito a nord della penisola); non è tuttavia riuscita a prendere il pieno controllo del Donetsk. Trapelate queste informazioni, Zelensky ha ribadito la sua posizione per cui l’Ucraina non è pronta a cedere territori, rimarcando l’argomentazione secondo cui la Costituzione del Paese vieta la cessione di territori; i leader occidentali hanno fatto eco alle sue parole. Gli alleati del Vecchio Continente hanno ribadito il loro sostegno all’Ucraina attraverso l’uso di sanzioni per fare pressioni su Putin, e sottolineato la necessità che vengano fornite garanzie solide per evitare che la Russia attacchi l’Ucraina. Rimarcato anche il loro sostegno all’avvio di trattative per la pace solo dopo l’implementazione di un cessate il fuoco.
Israele, sciopero generale per gli ostaggi: 38 arresti
I comitati per le famiglie degli ostaggi israeliani hanno organizzato uno sciopero generale in tutto il Paese, che secondo i media locali avrebbe raggiunto 300 distinte località. I manifestanti hanno chiesto il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco a Gaza, concentrandosi sul rientro degli ostaggi nelle mani delle organizzazioni palestinesi. Limitate, invece, le proteste contro le politiche genocidarie a Gaza. A Tel Aviv, maggiore centro coinvolto, sono scese in piazza quasi un milione di persone. In altre aree del Paese, le persone si sono riversate per le strade, bloccando il traffico e dando fuoco a cumuli di pneumatici; al termine della giornata sono state arrestate 38 persone.
Belucistan, scontri tra forze iraniane e separatisti: sei morti
Il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) iraniano ha annunciato di avere ingaggiato degli scontri con due gruppi di separatisti beluci, nella provincia sudorientale del Sistan e Belucistan. Secondo quanto comunica l’agenzia di stampa Fars, le IRGC avrebbero individuato due abitazioni in cui i gruppi di rifugiavano, situate rispettivamente nell’area settentrionale e in quella meridionale della provincia, e vi avrebbero condotto dei raid. Sei militanti di gruppi separatisti beluci sarebbero stati uccisi e altri sarebbero stati arrestati. I beluci sono una minoranza distribuita in una regione chiamata Belucistan, situata a cavallo tra Iran, Afghanistan e Pakistan. In questi tre Paesi sono attive diverse firme separatiste per l’indipendenza dei beluci.
Kuwait: 67 arresti per produzione clandestina di bevande alcoliche
Le autorità del Kuwait hanno arrestato 67 persone, accusandole di produzione e distribuzione di bevande alcoliche. La notizia arriva dal Ministero dell’Interno del Paese. Il Ministero ha spiegato che le autorità hanno sequestrato sei fabbriche attive, e altre quattro non ancora operative. Il capo della rete criminale sarebbe stato arrestato. Il Kuwait vieta l’importazione e la produzione nazionale di bevande alcoliche, ma alcune vengono prodotte clandestinamente senza effettuare controlli; negli ultimi giorni, secondo il Ministero della sanità, 23 persone sarebbero morte per un’intossicazione causata da tali prodotti.
I Paesi petroliferi affossano il trattato globale sulla plastica
È terminato con un nulla di fatto il vertice di Ginevra per redigere un trattato globale contro l’inquinamento della plastica. Gli incontri si sono tenuti per dieci giorni consecutivi con oltre 1.400 delegati provenienti da 183 Paesi diversi. Nonostante siano stati proposti due distinti testi, entrambi giudicati poco ambiziosi dalle associazioni ambientaliste, al termine della seduta è mancata l’intesa per siglare la versione definitiva, e il comitato ha deciso di rinviare i negoziati a data futura, ancora da annunciare. A risultare critici sono stati tutti gli aspetti fondamentali per contenere i danni ambientali della plastica, dai vincoli sulla produzione alla segnalazione dei rischi per la salute umana. Gli incontri fanno parte di uno sforzo pluriennale per raggiungere un accordo per contrastare l’inquinamento da plastica nel mondo; essi rientrano nell’ambito della quinta sessione del gruppo, iniziata lo scorso novembre in Corea del Sud.
Gli incontri per l’istituzione del Trattato Globale sulla Plastica sono terminati il 15 agosto. Dopo otto giorni dall’avvio del vertice, è stata avanzata una prima bozza di accordo, già ritenuta parecchio problematica dalle associazioni ambientaliste: il testo, riporta Greenpeace, non introduceva limiti definiti sul ciclo di vita della plastica, ma è stato comunque boicottato dai rappresentanti dei «petrostati», guidati dall’Arabia Saudita, e dai 234 lobbisti delle industrie del petrolio, della chimica e della plastica presenti agli incontri. Il secondo testo, ancora meno ambizioso del primo, eliminava «i riferimenti ai vincoli di produzione e non ha affrontato la questione delle sostanze chimiche tossiche utilizzate nella plastica», contesta Greenpeace. «L’incapacità di raggiungere un accordo a Ginevra deve essere un campanello d’allarme per il mondo», scrive Graham Forbes, capo della delegazione di Greenpeace per i negoziati del Trattato. Secondo il gruppo, un accordo tra i Paesi non può rimanere ostaggio degli Stati e delle multinazionali petrolifere, e deve tenere conto dell’intero ciclo di vita della plastica, della sua produzione, dei danni ambientali e per la salute umana, e delle esigenze delle comunità indigene, che risultano le più colpite dalla crisi.
La quinta sessione del Comitato Intergovernativo per i Negoziati (INC-5) è iniziata a Busan, in Corea del Sud, lo scorso novembre. Il Trattato a cui si sta lavorando, che sarebbe giuridicamente vincolante, è stato richiesto dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA) con la risoluzione 14/5 del 2022, che fissava come termine per i negoziati la fine del 2024; la prima parte della sessione, tuttavia, è terminata senza che venisse raggiunto un accordo. Oltre 900 scienziati indipendenti hanno firmato una dichiarazione che invita i negoziatori delle Nazioni Unite a concordare un trattato globale sulla plastica completo e ambizioso, basato su solide prove scientifiche, con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento causato dalla plastica entro il 2040. A opporsi a tale prospettiva sono però, in particolare, Paesi con grandi industrie di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia e Iran, che hanno evitato tagli alla produzione.