Mabel Bocchi, tra le più grandi cestiste italiane, è morta a 72 anni. Centro dal talento fisico e tecnico raro per l’epoca, negli anni Settanta vinse otto scudetti con la GEAS di Sesto San Giovanni, conquistando nel 1978 anche la Coppa dei Campioni, prima volta per un club italiano. Con la Nazionale ottenne il terzo posto agli Europei 1974 e il quarto ai Mondiali 1975, dove fu capocannoniera e premiata miglior giocatrice al mondo. Figura simbolo dello sport femminile, lottò per migliori condizioni per le atlete. Dopo il ritiro fu opinionista e giornalista per vari media.
UE: accordo per fermare ogni importazione di gas russo entro settembre 2027
Dopo mesi di negoziati serrati, l’Unione Europea ha varato un accordo che prevede lo stop definitivo a tutte le importazioni di gas naturale russo entro l’autunno del 2027. La misura – prima graduale, poi totale – sancisce la fine della dipendenza energetica dal Cremlino, con l’obiettivo annunciato di tagliare i finanziamenti che Mosca trae dalle esportazioni. La Russia è stata per anni il principale fornitore di gas per i Paesi europei, arrivando a coprire fino al 40% della domanda dell’intera Unione Europea. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha definito la giornata «storica», a riprova che l’UE «ha spezzato una dipendenza che molti credevano insuperabile». Non tutti però condividono l’entusiasmo: l’Ungheria ha annunciato un ricorso alla Corte di giustizia, affermando che lo stop imposto da Bruxelles minaccia la sicurezza energetica e la stabilità economica del Paese.
Da Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha accusato l’Europa di “auto-sabotaggio” e ha previsto costi energetici più alti e perdita di competitività. Da quando è iniziata la guerra in Ucraina l’importazione di gas russo è stata notevolmente ridotta, anche se non del tutto interrotta. Secondo l’intesa, fra Consiglio dell’UE e Parlamento europeo, il bando interesserà prima il gas naturale liquefatto (GNL), con divieto totale già a fine 2026, poi il gas via gasdotto, con blocco definitivo entro il 30 settembre 2027 (o al più tardi entro il 1° novembre 2027, condizionato però al livello di riempimento degli stoccaggi). Per i contratti già in essere, la tempistica prevede scadenze differenziate: i contratti a breve termine dovranno cessare dal 25 aprile 2026 (per il GNL) e dal 17 giugno 2026 (per il gas da gasdotto); quelli a lungo termine – almeno per il GNL – si chiuderanno dal 1° gennaio 2027. A queste misure si affiancherà anche un percorso per eliminare progressivamente le importazioni di petrolio russo, in base a una proposta legislativa che la Commissione si è impegnata a presentare nei primi mesi del 2026.
Per l’UE si tratta di un traguardo “storico” per mettere fine al cosiddetto “ricatto energetico” di Mosca e alleggerire la vulnerabilità europea a future manovre di pressione. Secondo la Commissione, l’accordo rappresenta un passo cruciale verso l’indipendenza energetica e un ritorno a un’Europa meno dipendente da forniture esterne ostili. Non tutti, però, condividono l’ottimismo: nei corridoi delle istituzioni alcune delegazioni guardano con preoccupazione alle conseguenze economiche e sociali del divieto. Paesi con bassa diversificazione energetica temono un aumento dei costi per famiglie e imprese e un deterioramento della loro competitività. In particolare, Ungheria e Slovacchia restano gli unici Paesi UE a dipendere in misura maggioritaria dal greggio russo. Per entrambi, la Commissione dovrà predisporre una deroga su misura, costruendo una road map separata che tenga conto delle loro vulnerabilità. Il governo di Viktor Orbán accusa l’UE di oltrepassare i limiti delle proprie competenze, invadendo un ambito che ritiene parte della sua autonomia energetica nazionale. «Avvieremo immediatamente un procedimento legale. Abbiamo già iniziato il necessario lavoro giuridico, è in corso», ha annunciato il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjartó, definendo il piano dell’UE una “dittatura di Bruxelles” e “una frode”.
Il piano dell’UE presume che nel frattempo i Paesi membri siano in grado di rimpiazzare le forniture russe con altri fornitori e che lo facciano senza effetto collaterale sui prezzi o sulla sicurezza energetica. L’offerta di GNL sul mercato internazionale è molto alta, soprattutto dagli Stati Uniti, con cui l’UE ha già incrementato i contratti di acquisto. C’è poi il nodo dei costi: per cittadini e imprese, la transizione potrebbe tradursi in bollette più care, investimenti supplementari, incertezze. Al di là dei toni trionfali, l’accordo appare come un compromesso tecnico con scadenze diluite, un segnale di intenti forti ma non di risolutezza quotidiana. L’Europa sceglie di “chiudere il rubinetto”, ma stabilisce il cronoprogramma con estrema cautela. Resta da vedere se, nel frattempo, riuscirà davvero a costruire un’alternativa energetica solida, sostenibile e conveniente per tutti o se la scelta finirà per trasformarsi in una forma di “autosabotaggio”, come insinua Mosca.
Valtellina, precipita elicottero: morto un passeggero
Un elicottero impegnato nelle operazioni di disgaggio a Lanzada, in località Le Prese, è precipitato questa mattina dopo aver urtato un ramo. Il velivolo, pilotato dall’esperto Maurizio Folini, è andato in rotazione ma il pilota è riuscito ad attenuare l’impatto, limitando le conseguenze per gli occupanti. Due persone hanno riportato ferite serie, tra cui la perdita di una falange, mentre gli altri passeggeri e il pilota hanno lesioni lievi; nessuno è in pericolo di vita. Il Sagf della Guardia di Finanza sta mettendo in sicurezza l’area e procedendo al sequestro della zona dell’incidente.
Aggiornamento delle 14:23: Secondo quanto comunicato dall’agenzia di stampa Ansa, uno dei passeggeri portati all’ospedale di Sondrio sarebbe deceduto poco dopo il ricovero.
Honeywell Civitanavi: l’azienda marchigiana nella catena globale della guerra
L’industria della guerra a stelle e strisce sta allungando sempre più i suoi tentacoli in Italia. Nel cuore delle Marche, nel piccolo borgo di Porto Sant’Elpidio, l’azienda Civitanavi System da un anno e mezzo è stata acquistata da Honeywell, gigante americano che produce armi nucleari, sistemi di puntamento, guida e rilevamento per missili e droni, i cui componenti sono stati ritrovati nelle macerie di una scuola di Gaza. In occasione dello sciopero generale contro la finanziaria di guerra del 28 novembre scorso, l’azienda è stata contestata dagli attivisti del Coordinamento Marche per la Palestina, in presidio dall’alba fino al primo pomeriggio, denunciando la complicità nel genocidio della casa “madre” Honeywell. In realtà, l’azienda marchigiana da anni sta investendo nel settore della difesa e l’acquisizione del 100% delle quote di Civitanavi da Honeywell Italia, (filiale italiana della compagnia statunitense) al costo di 200 milioni di euro, le permette di coronare un sogno: entrare a far parte della catena di approvvigionamento mondiale dei giganti della guerra.
Il fiuto di Civitanavi per la guerra
L’azienda è nata nel 2012 e si è specializzata fin da subito nella ricerca, progettazione e produzione di sistemi e sensori inerziali. Nel 2018 ha ottenuto la certificazione per produrre componenti per l’industria civile e militare (droni, carri armati, jet da combattimento) e ha via via ampliato le sue dimensioni, con sedi secondarie a Torino (in corso Francia), a Casoria (NA) e con un’unità produttiva anche nel Regno Unito, a Filton (Bristol). Conta circa 200 dipendenti e un fatturato di 40,72 milioni nel 2024.

Già nel 2022 Civitanavi ha iniziato a collaborare con Honeywell, in particolare nella progettazione e creazione dei sistemi di navigazione inerziale HG2800, utilizzati nell’industria mineraria e nei velivoli militari. L’attuale presidente del CdA e co-fondatore di Civitanavi, Andrea Pizzarulli, fino al 2012 è stato direttore di ricerca in GEM Elettronica, altra azienda marchigiana controllata da Leonardo (al 65%) che produce radar e sistemi «utilizzati nel dominio navale militare e nella sorveglianza costiera». Civitanavi ben presto (2021) è diventata fornitore pluripremiato di Leonardo ed è così entrata nella supply chain del Global Combat Air Programm (GCAP), provvedendo a fornire i sistemi inerziali per i caccia da combattimento di sesta generazione (ex Tempest) prodotti dal consorzio di Bae System (Regno Unito), Leonardo (Italia) e Jaiec (Giappone).
Nel 2023 ha acquisito una partecipazione del 30% in PV-Labs, società canadese dual use dI imaging aereo per la sicurezza e la sorveglianza, sulla quale ha investito 10 milioni di dollari anche Lockheed Martin, per sistemi di guida necessari all’aereo da trasporto militare CC-130J. Per Andrea Pizzarulli l’interesse di Lockheed Martin è stato motivo di vanto: «Apprendere che Lockheed Martin, un punto di riferimento nel settore, abbia investito in PV-Labs, mostra la valenza strategica del nostro investimento» ha dichiarato in una nota stampa.
Sistemi di puntamento inerziali e il genocidio a Gaza

Con l’acquisizione totale di Civitanavi da parte di Honeywell, sono state integrate la tecnologia dei giroscopi a fibre ottiche (FOG) e MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems) di Civitanavi nel portafoglio di Honeywell, «per espandere l’offerta di sistemi di navigazione e stabilizzazione nei settori aerospaziale, della difesa e industriale».
Honeywell Civitanavi (questo il nome attuale) attualmente produce e commercializza unità di navigazione e puntamento inerziale (ins) a scopo militare, tra cui il sistema Petra per carri armati e veicoli militari terrestri, il sistema Argo 500 per elicotteri e jet civili e militari e il sistema Argo destinato a «jet da combattimento (fighters), e adattabile a nuove produzioni di aerei militari».
Come già ricordato sopra, frammenti di tecnologie Honeywell, sono state trovate a Gaza, tra le macerie della scuola al-Sardi, distrutta da un bombardamento israeliano nel giugno 2024 che uccise 40 palestinesi, di cui la maggior parte bambini. Nello specifico, secondo le analisi di Sanad/Al Jazeera, è stato trovato un frammento di unità di misurazione inerziale di guida del missile, della categoria numero HG1930. Un tipo molto simile a quello che Honeywell e Civitanavi hanno prodotto insieme, il sistema HG 2800, fin dal 2022. Anche nel bombardamento di un’altra scuola palestinese a Gaza nel 2014 furono ritrovati frammenti di queste unità.
Honeywell e Israel Aerospace Industries (IAI) d’altra parte hanno stretto una solida collaborazione nel settore aerospaziale, sullo sviluppo di sistemi di navigazione per droni Heron, resistenti al jamming (disturbi) del GPS. La collaborazione integra il sistema anti-jamming di IAI con i sistemi GPS/INS integrati di Honeywell. Il sistema è adatto per applicazioni di navigazione militare e ha appena ottenuto la codifica M-Code dall’autorità governativa statunitense. «L’accordo rafforza le relazioni tra le due aziende, che vedono il mercato fiorente e il potenziale di un’attività in crescita» dichiarava nel 2018 Joseph Waiss amministratore delegato di Iai.
Honeywell e le bombe atomiche

Come riporta il dossier At great cost: the companies building nuclear weapons and their financiers (A caro prezzo: le aziende che costruiscono armi nucleari e i loro finanziatori), del progetto Don’t Bank on the Bomb, Honeywell è anche una delle aziende statunitensi più coinvolte nella fabbricazione e sperimentazione delle armi nucleari. Recentemente, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato al Dipartimento della Difesa di iniziare i test sulle armi nucleari (pratica che gli Stati Uniti non conducono dal 1992) e, secondo gli analisti della Difesa, l’investimento porterà molti profitti a Honeywell International, BWX Technologies, Chugach Alaska Corp, Jacobs Solutions, Inc., Mele Associates, General Atomic Technologies Corporation. Queste aziende infatti sono specializzate nella costruzione, gestione, supporto e servizi di ingegneria correlati ai siti di test nucleari (Kansas City National Security Campus, Nevada National Security Site e Sandia National Laboratory). Honeywell in particolare, gestisce un sito di test, conduce prove e contribuisce al monitoraggio delle scorte nucleari statunitensi. Honeywell lavora inoltre su strumenti di guida e controllo per l’LGM-35A Sentinel, (prodotto da Northrop Grumman), il nuovo missile balistico intercontinentale statunitense (ICBM), che può trasportare testate nucleari fino alla distanza di circa 11000 chilometri. Honeywell produce anche sistemi per i missili balistici lanciati dal sottomarino Trident II, e sistemi per la nuova bomba a gravità nucleare B61-12. L’Indipendente ha chiesto ad Honeywell Civitanavi se può escludere che i loro prodotti, una volta che finiscono nelle sedi di Honeywell negli USA, non siano poi utilizzati in mezzi di guerra esportati verso Israele o altri Paesi che violano i diritti umani e come si concilia con il codice etico aziendale produrre sistemi utilizzabili in jet militari, carri armati, missili. L’azienda ha preferito non commentare.
Raid dell’Idf su Khan Yunis, almeno 6 morti, 2 bambini
Nei nuovi raid israeliani a Khan Yunis sono morte almeno sei persone, tra cui due bambini, secondo fonti palestinesi. Fonti locali riferiscono che un drone ha anche colpito una tenda che fungeva da rifugio per gli sfollati. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito un “comandante” di Hamas in risposta a “una palese violazione del cessate il fuoco” dopo scontri a Rafah, dove quattro soldati sono rimasti feriti. Nel pomeriggio di mercoledì è stata consegnata all’Idf una bara che dovrebbe contenere i resti di uno degli ultimi due ostaggi che ancora si trovano nell’enclave palestinese.
Un nuovo rapporto ONU accusa Israele di “torture sistematiche” contro i detenuti palestinesi
Torture sistematiche, abusi gravi come percosse, attacchi con cani, elettroshock, waterboarding, violenze sessuali, detenzione amministrativa senza processo, morte di detenuti con totale impunità delle forze di sicurezza israeliane. È quanto emerge dal rapporto del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) che, dopo mesi di audizioni e analisi supportate da testimonianze oculari, rapporti medici e migliaia di documenti, accusa Israele di aver adottato «una politica statale di fatto di tortura organizzata e diffusa», descrivendo un sistema che avrebbe normalizzato abusi fisici e psicologici ai danni di prigionieri palestinesi, bambini compresi, e che si sarebbe gravemente intensificato dal 7 ottobre 2023.
Il comitato delle Nazioni Unite, composto da dieci esperti indipendenti, rileva una serie di schemi ricorrenti: percosse, privazione del sonno, minacce contro i familiari, esposizione a temperature estreme, utilizzo prolungato delle manette come strumento coercitivo, posizioni di stress e violenze sessuali. Abusi che sono già stati denunciati da precedenti indagini indipendenti e da ONG. Il rapporto dell’ONU, pubblicato venerdì nell’ambito del monitoraggio regolare del comitato sui Paesi che hanno firmato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, rileva anche i detenuti palestinesi sono stati umiliati «costringendoli a comportarsi come animali o a urinare loro addosso». La “detenzione amministrativa”, utilizzata senza capi d’imputazione né processo, coinvolgerebbe centinaia di palestinesi trattenuti per periodi indefiniti. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem sarebbero ben 3.474 i palestinesi in stato detenzione amministrativa. Già in precedenti osservazioni, il Comitato aveva espresso preoccupazione per l’assenza di un reato specifico di tortura nel diritto israeliano e per la possibilità, prevista dal Codice penale, di invocare la clausola di “necessità” come giustificazione dell’uso della forza durante gli interrogatori. Per il Comitato, questa lacuna normativa apre la strada all’impunità per gli abusi commessi contro i detenuti e si contestano le decisioni della Corte Suprema israeliana «che hanno evitato l’apertura di indagini criminali contro agenti della sicurezza nonostante l’uso accertato di tecniche coercitive».
In generale, le condizioni di detenzione restano critiche: sovraffollamento, cure mediche insufficienti e uso esteso dell’isolamento, con almeno 24 detenuti in isolamento prolungato per oltre due anni consecutivi. Il Comitato denuncia, inoltre, la morte di almeno 75 prigionieri palestinesi in custodia dall’inizio del conflitto del 2023, senza che alcuna indagine abbia portato a responsabilità effettive. Il quadro delineato dalle Nazioni Unite è aggravato dalla detenzione e dai maltrattamenti sui minori palestinesi. Il rapporto rileva interrogatori condotti senza la presenza di un avvocato o dei familiari, ammissioni estorte con la coercizione e un uso crescente della detenzione come misura ordinaria e non eccezionale, osservando che l’età della responsabilità penale imposta da Israele è di 12 anni, ma che sono stati detenuti anche bambini di età inferiore. Secondo il dossier, i minori subiscono «gravi restrizioni nei contatti con la famiglia, possono essere tenuti in isolamento e non hanno accesso all’istruzione, in violazione degli standard internazionali». Il Comitato chiede a Israele di modificare la propria legislazione affinché l’isolamento non venga utilizzato contro i bambini.
Il rapporto è stato pubblicato il giorno in cui tre agenti della polizia di frontiera israeliana sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati in merito all’esecuzione a sangue freddo di due palestinesi a Jenin. La reazione di Israele, riportata dai media internazionali, contesta le conclusioni dell’ONU, definendole «parziali e prive di fondamento». Tuttavia, il Comitato ribadisce che le prove raccolte sono «coerenti, credibili e convergenti» e che l’impunità resta la norma. La pubblicazione del rapporto accresce le pressioni internazionali e riapre il dibattito sulla compatibilità tra le pratiche di “sicurezza” di Tel Aviv e gli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali. Per ora, le raccomandazioni restano lettera morta, mentre le carceri e le strutture militari israeliane continuano a essere dei veri e propri centri di tortura.
Senegal, proteste degli studenti: scontri con la polizia
Gli studenti senegalesi sono scesi in piazza nella capitale Dakar per chiedere maggiori aiuti finanziari e sussidi universitari. Per far fronte alle proteste, i vertici dell’Università Cheikh Anta Diop hanno chiesto l’intervento delle forze dell’ordine, e sono scoppiati degli scontri tra manifestanti e polizia. Gli studenti hanno lanciato pietre verso gli agenti, che hanno a loro volto scagliato gas lacrimogeni contro la folla. I disordini in Senegal arrivano in una situazione finanziariamente precaria per il Paese, che secondo dati del Fondo Monetario Internazionale avrebbe un debito pari al 132% del proprio PIL.
Dieci banche europee lanciano Qivalis, la prima stablecoin in euro
Un consorzio di dieci banche europee ha annunciato la nascita della prima stablecoin in euro che si chiamerà Qivalis (acronimo di “la chiave per il valore”) e sarà lanciata a metà 2026. Tra le banche che hanno dato il via all’iniziativa ci sono anche le italiane Unicredit e Banca Sella. Gli altri istituti sono l’olandese Ing, la belga Kbc, la danese Danske Bank, la tedesca DeKa Bank, la svedese Seb, la spagnola Caixa e l’austriaca Raffeisen Bank International. Oltre a questo nucleo originario si è già aggiunta la francese Bnp Paribas ed i promotori dell’iniziativa hanno aperto l’ingresso a ulteriori banche. La creazione della prima stablecoin in euro si inserisce in un contesto internazionale in cui i cosiddetti token digitali stanno acquisendo sempre più centralità promettendo di trasformare il sistema monetario e di pagamenti mondiale. Il mondo finanziario statunitense, così come quello cinese, già da tempo possiede le sue stablecoin, tra cui la più famosa è Tether, e Trump ha lanciato una sfida in quest’ambito attraverso l’emanazione del cosiddetto Genius Act, il cui obiettivo è mantenere il dominio USA nei sistemi di pagamento. Ancora una volta, dunque, l’Europa si ritrova a inseguire gli Stati Uniti in quella che si prospetta essere una svolta cruciale nel sistema finanziario internazionale. Non a caso i promotori della prima stablecoin ancorata all’euro hanno sottolineato che «L’iniziativa fornirà una vera alternativa europea al mercato delle stablecoin dominato dagli Stati Uniti, contribuendo all’autonomia strategica dell’Europa nei pagamenti».
Dal punto di vista legale-organizzativo, le dieci banche hanno costituito una nuova società con sede nei Paesi Bassi al fine di ottenere la licenza di moneta elettronica, sotto la supervisione della banca centrale olandese. Per quanto riguarda la governance, l’amministratore delegato sarà il manager tedesco Jean-Oliver Sell che di recente ha ricoperto il ruolo di consigliere delegato in Coinbase Germany. Mentre il direttore finanziario sarà Floris Lugt, che guidava il settore dei servizi bancari di risorse digitali del gruppo olandese Ing. A capo del consiglio di vigilanza, invece, è stato chiamato sir Howard Davies, già presidente della britannica Financial Services Authority. I vertici di Qivalis hanno spiegato che l’obiettivo di questo strumento di pagamento digitale, che sfrutta la tecnologia blockchain, è «diventare uno standard europeo di pagamento affidabile nell’ecosistema digitale». Per definizione, infatti, la stablecoin è una valuta pensata per mantenere stabile il suo valore nel tempo, grazie al possesso di riserve equivalenti in asset sicuri come dollari, euro, titoli di stato a breve termine o oro (ad esempio 1 stablecoin = 1 USD). Questa è la differenza principale con altre criptovalute come Bitcoin, con cui le stablecoin condividono solo l’uso della tecnologia blockchain. I loro prezzi sono dunque più stabili rispetto a altri tipi di criptovalute e ciò le rende più adatte a essere usate come strumento di pagamento.
Il problema dell’iniziativa si pone nel suo rapporto con l’euro digitale, evidenziando anche alcune differenze significative con l’impostazione statunitense di regolamentazione delle stablecoin: mentre, infatti, il Genius Act, firmato dal presidente Donald Trump nel 2025 per normare l’emissione e l’utilizzo delle stablecoin, punta all’autonomia del mercato favorendo le stablecoin emesse da privati ancorate al dollaro, l’Ue privilegia un controllo centralizzato per mitigare i rischi sistemici. Con l’adozione del Regolamento MiCA, Bruxelles ha adottato un quadro normativo molto stringente e armonizzato per le criptovalute e, in particolare per le stablecoin, mentre parallelamente la BCE ha sviluppato l’euro digitale, una valuta digitale di banca centrale (CBDC) pensata per mantenere la sovranità monetaria dell’euro e che potrebbe competere direttamente con le stablecoin private, ridefinendo l’impalcatura monetaria dell’eurozona. Al contrario, negli Stati Uniti, Donald Trump ha emanato un ordine esecutivo con cui, all’articolo 5, si vieta l’emissione di una valuta digitale della banca centrale. L’idea è di istituire un sistema di valute e pagamenti non in mano a istituzioni pubbliche, con l’obiettivo di erodere l’illimitato potere monetario della Federal Reserve, avversario numero uno di una parte consistente del partito repubblicano statunitense.
Nell’UE, invece, proprio la volontà di limitare – attraverso la CBDC e una stringente regolamentazione – le stablecoin ha portato a un contrasto con l’euro digitale, per cui i promotori di Qivalis hanno dovuto spiegare che «la stablecoin non sarà concorrente dell’euro digitale promosso dalla Bce poiché quest’ultimo è un’alternativa al contante e dunque è destinato soprattutto al retail». Hanno quindi sottolineato che questo strumento «Permetterà l’accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a pagamenti internazionali efficienti, a pagamenti programmabili e a miglioramenti nella gestione della supply chain […]».
L’istituzione della prima stablecoin ancorata all’euro, come anticipato, va nella direzione di colmare il divario in questo ambito con Stati Uniti, Cina e altri Paesi all’avanguardia. Tuttavia, proprio la pretesa di Bruxelles di una regolamentazione eccessiva alle stablecoin potrebbe essere un ostacolo all’obiettivo di fare di Qivalis una vera alternativa europea non solo al mercato delle stablecoin dominato dagli Stati Uniti, ma anche dalla Cina. Questo potrebbe lasciare l’Ue indietro in quella che si configura come una progressiva trasformazione dei sistemi finanziari e di pagamento in grado di ridefinire la sovranità e il potere monetario delle nazioni, anche in una prospettiva dei rapporti di forza geopolitici.












