mercoledì 26 Novembre 2025
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Dentro Umm al-Khair: demolizioni, coloni e resistenza nella Palestina occupata

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UMM AL-KHAIR, PALESTINA OCCUPATA – Come si consola un lutto così grande? Esistono parole per asciugare quelle lacrime? Anadhi piange, il velo nero le incornicia il viso oggi sempre triste. L’immagine di suo marito, Awdah Hathaleen è ovunque nel villaggio. Nel centro comunitario, sulle porte di alcune case, dipinto nell’abitazione che ospita i forestieri in visita. Un poster con il suo volto risalta sul muro del salotto di Anadhi, unica immagine sulle pareti spoglie. E poi la scritta col pennarello rosso, sul muro: 28/07/2025. A capo: Awdah. La storia dell’omicidio di Awdah e di questa comunità è la storia di tutta la Palestina. Un racconto che, da solo, parla più di mille altri. È la storia di Umma al-Khair, di Masafer Yatta, di Hebron. della Cisgiordania occupata. Di Gaza. È la storia dei palestinesi.

Awdah stava riposando quando, quel pomeriggio del 28 luglio, l’hanno chiamato per riattaccare l’acqua al villaggio. Umm al-Khair è un villaggio beduino di nemmeno trecento anime incastonato tra le colline a sud di Hebron, nella regione di Masafer Yatta. Pochi alberi, una distesa rocciosa semi-desertica ospita quella comunità scacciata dal deserto del Naqab nel 1948. Le violenze dei coloni ebrei, i futuri israeliani, li hanno obbligati a lasciare le proprie terre ormai 77 anni fa. E ora li vogliono mandare via di nuovo.
Nelle immagini registrate dal centro comunitario si vede tutto. La felpa rossa del 31enne è ben visibile dalle varie telecamere posizionate apposta per registrare i numerosi attacchi dei coloni della zona. Tutto, intorno, sembra tranquillo. Nessuno avrebbe immaginato che pochi minuti dopo, Awdah avrebbe perso la vita, rubata, come quasi tutto, da un israeliano residente nella vicina colonia illegale di Carmel. Un escavatore si avvicina alla comunità, vuole operare sulle terre palestinesi. Uomini, donne, bambini, si avvicinano, chiedendo di fermarsi, il macchinario stava rovinando alberi e recinzioni. Un uomo viene ferito alla testa dalla pala del mezzo, Awdah si mantiene lontano, riprende con il cellulare. Filma così la sua esecuzione.

Compare accanto alla ruspa un colono ben noto per le sue violenze contro la comunità palestinese, Yinon Levi. L’uomo, che gestisce un’impresa di lavori pubblici che da anni facilita l’insediamento di avamposti coloniali, era già sotto sanzione per le sue azioni in UE e UK. Tira fuori una pistola, inizia a puntarla contro tutti. Uno sparo. All’inizio nessuno si accorge che Awdah si è accasciato a terra. Era dietro tutti, a filmare, ad almeno 20 metri di distanza. Accanto, c’era uno dei suoi tre figli, Mohammed, 2 anni. Lo vede una donna, inizia a gridare, tutti si avvicinano. Cercano una macchina, ma sarà un’ambulanza uscita dalla colonia di Carmel a sequestrare il corpo. Ancora non sanno che Awdah è già morto, il proiettile l’ha centrato nel cuore.

Poco dopo arriva un mezzo militare israeliano, poi un altro, e un altro ancora. Sparano lacrimogeni contro la piccola folla di famiglie riunita. Sarà lo stesso colono a indicare chi arrestare. Cinque fratelli e cugini di Awadeh vengono portati via quella sera. Altri tredici nei due giorni successivi. Il perché, ignoto. Forse testimoni non voluti di un omicidio che Tel Aviv vuole nascondere. L’assassino, Yinon Levi, verrà rilasciato la notte stessa. Pochi giorni dopo tornerà a intimidire le famiglie palestinesi. I 18 membri della comunità arrestati verranno detenuti nelle carceri israeliane tra gli 8 e gli 11 giorni.

Le autorità di Tel Aviv ci hanno messo 10 giorni a restituire il corpo di Awdah. Pretendevano che il funerale si tenesse di notte, con meno di 15 persone, e che il corpo del giovane insegnante di inglese non venisse sepolto nel cimitero della comunità ma nella città di Yatta. Queste le condizioni per il dissequestro del cadavere. La comunità non ha accettato, e alla fine, dopo 10 giorni, centinaia di persone hanno potuto assistere alla cerimonia funebre. La polizia ha anche minacciato la famiglia, consigliandole di non andare avanti con la causa legale che chiede giustizia per l’ennesimo omicidio protetto dalla politica di Tel Aviv.

Esercitazione militare nel nuovo avamposto illegale. Foto di Moira Amargi

Pochi giorni dopo, i coloni hanno danneggiato il sistema elettrico ed idrico che portava acqua luce a metà delle case del paese. Nemmeno un mese dopo l’omicidio, hanno iniziato la costruzione di un nuovo avamposto, rubando nuovi centinaia di metri quadrati alla comunità di Umm al-Khair. Oggi sono almeno sei le abitazioni israeliane protette da filo spinato e recinzioni presenti a meno di dieci metri dalle case palestinesi. In alto, sventolano varie stelle di David bianche e blu. Il villaggio palestinese è ora praticamente circondato dai coloni.

14 ordini di demolizione per sradicare la comunità

Mappa di Umm al Khair. Foto di Moira Amargi

Ma la storia non finisce qui. Era il 28 ottobre quando alcuni militari israeliani si sono presentati al centro comunitario per consegnare 14 ordini di demolizione. Le costruzioni, sono illegali, dicono. E vanno abbattute. La maggior parte sono case dove abitano buona parte delle famiglie di Umm al-Khair. Oltre allo stesso centro comunitario, la sede dell’attivismo di Umm al-Khair, nonché parco giochi per gli oltre 70 bambini del paese, e una serra invernale. «Se non riusciamo a fermare le demolizioni, quasi 100 persone rimarranno senza casa» dice a L’Indipendente Khalil Hathaleen, uno dei leader del villaggio nonché fratello maggiore dello scomparso Awdeh. «Distruggeranno quasi metà della comunità».

Bambini che giocano, sullo sfondo il cancello della colonia Carmel. Foto di Moira Amargi

La pratica di demolire “strutture illegali” è una delle armi principe della pulizia etnica di Tel Aviv. Masafer Yatta è zona C, ossia sotto il totale controllo amministrativo d’Israele. Che rifiuta quasi completamente di rilasciare permessi di costruzione ai palestinesi. Le colonie illegali israeliane sono libere di ingrandirsi, e sono migliaia le nuove abitazioni approvate in tutta la Cisgiordania quest’anno. Mentre i palestinesi non possono costruire nuove case sulle proprie terre. Se non a rischio di vedersele demolire.

Khalil che fa mangiare le capre. Khalil è il fratello di Awdah. Foto di Moira Amargi

«La comunità di Umm al-Khair soffre l’occupazione da molto tempo, ma dopo il 7 ottobre le cose sono peggiorate. I coloni fanno quello che vogliono, e l’esercito e la polizia israeliana non fanno nulla per fermarli. Stanno distruggendo tutte le nostre forme di sostentamento: non possiamo più portare a pascolare le capre e le pecore a causa degli assalti dei coloni. Abbiamo un quarto degli animali di prima». Khalil è ben chiaro sul perché. «Vogliono mandarci via dalla nostra terra. Togliendoci i mezzi che abbiamo per sopravvivere. E ora, togliendoci anche le case». La comunità ha già subito 97 demolizioni dal 2007 a oggi. Ma questa volta, i 14 ordini di demolizione colpiranno le principali costruzioni della comunità.

«Noi non lasceremo Umm al Khair. Terra palestinese», recita la didascalia. Foto di Moira Amargi

La storia di Umm al-Khair è solo un esempio. Le violenze sono continue e ogni giorno nella regione si registrano attacchi alle case, campi distrutti, case demolite. Coloni e militari collaborano nello stesso, identico progetto di pulizia etnica di Masafer Yatta. Nuovi cancelli installati alle porte di ogni villaggio, che i militari d’Israele aprono e chiudono a piacimento, danno una idea visiva dell’apartheid che Tel Aviv non fa che consolidare.

«Hanno ucciso mio fratello perché era uno dei cuori pulsanti della comunità. Hanno costruito un nuovo avamposto. E ora vogliono abbattere 14 case. Questa è la nostra terra, e noi non ce ne andremo. Ma Israele va fermato,» conclude Khalil.

Ucraina, l’Ue prova a boicottare il piano Trump: «integrità territoriale e Nato al fronte»

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Sono 24 i punti della controproposta dell’Europa al piano degli USA per la pace tra Russia e Ucraina. Bruxelles non vuole rimanere spettatrice di un disegno negoziale a guida americana e al vertice di Ginevra ha avanzato il suo piano alternativo che riflette gli «interessi internazionali» di Kiev. La bozza, che cancella quattro punti del piano americano, rivendica l’integrità territoriale ucraina, garanzie di sicurezza analoghe all’articolo 5 della NATO e un percorso aperto verso l’Alleanza atlantica. Per il Segretario di Stato USA Marco Rubio si è tenuto «l’incontro più produttivo finora» e si augura che si possa «chiudere entro giovedì», data di scadenza fissata proprio dal presidente Donald Trump. Cauta la premier italiana Giorgia Meloni che, da Johannesburg, tenta una mediazione, sottolineando la disponibilità di Trump a rivedere il piano in chiave compatibile con gli interessi nazionali ucraini.

La controproposta europea è stata formulata da Francia, Germania, Regno Unito e Commissione UE e si focalizza, a partire dal primo articolo, sulla sovranità ucraina. Nella controbozza UE si corregge la linea americana a partire dalle concessioni territoriali e dalle garanzie di sicurezza: l’adesione dell’Ucraina alla NATO non è esclusa, ma subordinata al consenso degli alleati e le garanzie di sicurezza sono giuridicamente vincolanti, similmente all’articolo 5 della NATO. Il negoziato sui territori inizierà «dalla Linea di Contatto» e non dal riconoscimento di fatto di alcune aree come russe, negando così a Mosca i territori conquistati a partire dal 2014. Le questioni territoriali saranno discusse e risolte solo dopo un cessate il fuoco «completo e incondizionato». Il ridimensionamento dell’esercito ucraino dovrebbe poi stabilirsi a 800mila uomini, 200 mila in più di quanto previsto dal piano americano, con una postilla: «In tempo di pace». L’Ucraina diventerà membro UE. Le sanzioni alla Russia potranno essere ridotte gradualmente dopo una pace sostenibile, ma resterà la possibilità di reintrodurle se gli accordi verranno violati, mentre l’utilizzo degli asset sovrani russi congelati viene visto come leva per risarcire Kiev. Verrà introdotto un monitoraggio internazionale sul cessate il fuoco, guidato dagli Stati Uniti, da parte dei partner dell’Ucraina, prevalentemente da remoto, utilizzando satelliti, droni e altri strumenti tecnologici. L’Ucraina riprenderà il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia e della diga di Kakhovka. La Russia rimpatrierà tutti i bambini ucraini deportati illegalmente e le parti in conflitto concorderanno per uno scambio di tutti i prigionieri di guerra secondo il principio «tutti per tutti», mentre Mosca rilascerà tutti i detenuti civili.

«Sono molto ottimista», ha dichiarato Rubio in conferenza stampa, «nessuna delle questioni ancora irrisolte è insormontabile», tanto che il team di negoziatori di Washington avrebbe già redatto un quadro di pace “aggiornato e perfezionato” dopo i colloqui a Ginevra, apportando «alcune modifiche». A fargli eco è il capo dell’ufficio della presidenza ucraina Andriy Yermak, secondo cui l’incontro di domenica è stato «molto produttivo». Sui social, Volodymyr Zelensky ha ringraziato l’Europa e gli Stati Uniti e ha respinto le critiche di Trump che parlava di «zero gratitudine» da parte di Kiev, ribadendo la necessità di mantenere il sostegno internazionale. Intanto, il cancelliere Friedrich Merz ha rimarcato che «le condizioni non negoziabili sono senza dubbio l’integrità territoriale dell’Ucraina e il diritto del Paese a esistere. Su questo non si può trattare». A parlare di modifiche e non di veri piani alternativi è stata Giorgia Meloni, impegnata domenica nel G20 di Johannesburg: «Ho trovato disponibilità» a emendare il piano di pace per l’Ucraina, ha spiegato la premier dopo una telefonata con Donald Trump, per cui non è il caso di lavorare su «una totale controproposta», ma sui 28 punti del piano avanzato dalla Casa Bianca.

La partita negoziale si gioca ora su più tavoli: quello statunitense che punta a una conclusione rapida e quello europeo che, alzando la posta sul tavolo, cerca di sabotare l’ultima occasione per Kiev di scongiurare la prosecuzione del conflitto, comportando tempi più lunghi, maggiori rischi diplomatici e ancora perdita di vite umane. Pur di evitare una resa parziale dell’Ucraina, gli europei tirano dritto, oltre la scadenza di giovedì imposta da Trump, e preparano un piano B per sostenere Kiev anche senza gli Stati Uniti, puntando su intelligence e armamenti, a partire dall’integrazione delle risorse satellitari per compensare il calo dello spionaggio USA, fondamentale per prevenire attacchi russi. Sul fronte militare, però, le forniture di missili antiaerei rallentano: le donazioni americane sono cessate e il programma Purl procede con estrema lentezza.

Gas sotto i 30 euro per dialoghi di pace tra Russia e Ucraina

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Le quotazioni del gas scendono per la prima volta da maggio 2024 sotto i 30 euro al megawattora, attestandosi a 29,95 € ad Amsterdam, in calo dello 0,7%. Il tonfo è attribuito alle speranze riaccesesi di un’intesa di pace fra Russia e Ucraina, che alleggeriscono le tensioni sul mercato energetico.

La Colombia vieta tutti i nuovi progetti estrattivi nella sua Amazzonia

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Nonostante il risultato complessivo della COP30 di Belém sia stato deludente in merito a impegno dei governi, qualcosa di buono ne è emerso. La Colombia ha infatti deciso di vietare l'approvazione di nuovi progetti petroliferi e minerari nella totalità del proprio bioma amazzonico, che rappresenta il 42% del territorio nazionale e il 7% dell’intera Amazzonia sudamericana. La decisione ha una portata tale che potrebbe essere destinata a dare una svolta nella protezione della Foresta Amazzonica.
La dichiarazione è stata presentata dalla ministra dell’Ambiente ad interim Irene Vélez Torres durant...

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Tennis, l’Italia vince la terza Coppa Davis

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Per la terza volta di fila è l’Italia ad aggiudicarsi la Coppa Davis nel tennis: è la prima nazione a conquistare questo record dal 1972. Il risultato è arrivato dopo la vittoria di 2-0 degli azzurri contro la Spagna, aggiudicata nonostante l’assenza di Sinner e Musetti e grazie alla prestazione di Musetti e Cobolli. “Abbiamo provato a fare come i campioni del mondo del 2006” ha dichiarato Cobolli in un’intervista subito dopo la vittoria contro Munar.

Libano, nuovo raid IDF: ucciso un leader di Hezbollah

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L’esercito israeliano (IDF) ha riferito di aver condotto un nuovo attacco nella città di Beirut, in Libano, per colpire il capo di stato maggiore di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabai. Questi, secondo quanto riportato dall’IDF, avrebbe «svolto un ruolo fondamentale nelle capacità operative e militari di Hezbollah, nello sviluppo dell’Unità Radwan e nel ruolo di importante fonte di conoscenza e influenza all’interno dell’organizzazione». Washington sarebbe stata informata dell’attacco solamente dopo che questo è stato portato a termine.

La ricchezza dei primi 10 miliardari USA è aumentata di 698 miliardi in un anno

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I ricchi sono sempre più ricchi, mentre la classe media si riduce e i poveri sono sempre più poveri: è questo il resoconto dell’ultimo rapporto di Oxfam America, un’organizzazione globale il cui scopo è combattere le disuguaglianze economiche e sociali. In particolare, la relazione mette in luce come solo negli ultimi dodici mesi la ricchezza totale dei primi dieci miliardari d’America sia cresciuta di 698 miliardi di dollari. Il rapporto evidenzia come questa sia una tendenza strutturale che non si è sviluppata solo nell’ultimo periodo, ma in un arco di tempo ben più lungo con la complicità sia dei repubblicani che dei democratici. In altre parole, si può dire che l’arricchimento smisurato di una ristretta élite sia una caratteristica intrinseca del sistema economico liberal-capitalista occidentale: il rapporto, infatti, intitolato «Disuguaglianza: l’ascesa di una nuova oligarchia americana e l’agenda di cui abbiamo bisogno», basandosi sui dati della Federal Reserve, riporta come dal 1989 al 2022 l’uno per cento delle famiglie più ricche abbia accumulato una ricchezza 101 volte superiore a quella delle famiglie del ceto medio e 987 volte superiore a quella di una famiglia di reddito più basso.

Ciò significa che in questo periodo di tempo le famiglie appartenenti al ceto più ricco degli Stati Uniti hanno guadagnato 8,35 milioni di dollari, a fronte di meno di 83.000 dollari di una famiglia media e di 8.500 dollari di una famiglia più povera. Attualmente, secondo la rivista Forbes la lista dei dieci miliardari più ricchi comprende in ordine decrescente di ricchezza Elon Musk, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Larry Ellison, Warren Buffett, Larry Page, Sergey Brin, Steve Ballmer, Rob Walton e Jim Walton. Secondo i ricercatori, si tratta di una tendenza alla concentrazione di ricchezza che sarà ulteriormente inasprita dalla legge di bilancio voluta da Trump e approvata la scorsa estate: il «One Big Beautiful Bill Act». Secondo gli autori del report, quello di Trump sarebbe un provvedimento economico che «include il più grande trasferimento di ricchezza verso l’alto degli ultimi decenni».

Si tratta comunque di un processo in corso da decenni che ha portato a uno squilibrio sempre più grave nella redistribuzione della ricchezza: la relazione, infatti, sottolinea come «Lo 0,1% più ricco degli Stati Uniti possiede il 12,6% del patrimonio netto e il 24% del mercato azionario», mentre «La metà più povera della popolazione statunitense possiede solo l’1,1% del mercato azionario». Una situazione che ha portato al dilagare della povertà negli Stati Uniti, sfatando così il mito del “sogno americano”: secondo il rapporto, infatti, oltre il 40% della popolazione statunitense, incluso il 48,9% dei bambini, è considerata povera o a basso reddito. Facendo un confronto con le dieci maggiori economie dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’economia statunitense risulta quella con il più alto tasso di povertà relativa e con il secondo più alto tasso di povertà e mortalità infantile. Inoltre, gli Stati Uniti sono la nazione con la seconda più bassa aspettativa di vita. Sempre all’interno degli Stati OSCE, gli Stati Uniti sono penultimi nell’utilizzo del loro sistema fiscale e di trasferimento per ridurre la disuguaglianza, penultimi nella spesa pubblica per le famiglie con figli, settimi su dieci nella spesa pubblica sociale complessiva e primi per ore di lavoro necessarie per uscire dalla povertà.

Il One Big Beautiful Bill Act si appresta ad acuire ulteriormente la disparità economica, in quanto ridurrà l’imposta dello 0,1% della popolazione con i redditi più alti di circa 311.000 dollari nel 2027, mentre le famiglie con i redditi più bassi, ovvero quelle che guadagnano meno di 15.000 dollari all’anno, potrebbero dover affrontare aumenti fiscali. Secondo gli autori del rapporto, invece, una modesta imposta patrimoniale sui multimilionari e sui miliardari potrebbe raccogliere circa 414 miliardi di dollari da investire in programmi sociali e nella lotta alla povertà. Ma il rapporto non si limita a fornire la fotografia della disuguaglianza economica negli Stati Uniti, bensì propone anche quattro potenziali soluzioni: riequilibrio del potere attraverso la riforma del finanziamento delle campagne elettorali e la politica antitrust; una riforma del sistema fiscale che includa una tassazione sui redditi alti e sulle grandi aziende; una riforma e un rafforzamento della rete di sicurezza sociale e un programma per la classe operaia che parta dal presupposto che «quando i lavoratori e le loro famiglie prosperano, prospera anche l’economia».

In definitiva, il rapporto Oxfam mette a nudo la reale situazione socioeconomica degli Stati Uniti, infrangendo il mito degli USA come nazione prospera in grado di offrire a chiunque possibilità di sviluppo e di ricchezza. Al contrario, la potenza a stelle e strisce è l’epicentro di un modello economico distorto in cui predomina la concentrazione e la verticalizzazione della ricchezza e che è stato esteso a tutto il mondo cosiddetto occidentale, il quale inizia solo ora a scontarne le conseguenze più importanti.

Ornella Vanoni, migliaia alla camera ardente a Milano

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E’ stata allestita per oggi, domenica 23 novembre, e domani, lunedì 24, la camera ardente per l’ultimo saluto a Ornella Vanoni, la cantante italiana morta lo scorso venerdì sera all’età di 91 anni. Presenti per l’ultimo saluto un gran numero di artisti e personalità dello spettacolo, insieme a migliaia di cittadini. I funerali si svolgeranno domani nel pomeriggio nella città di Milano, che ha proclamato il lutto cittadino.

COP30: nessun accordo sulle fossili, le richieste del Sud Globale rimangono inascoltate

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La trentesima Conferenza delle Parti si è conclusa e il risultato sembra il peggiore tra quelli ottenuti fin’ora nelle edizioni precedenti. Il documento, infatti, contiene un gran numero di dichiarazioni d’intenti, ma poche indicazioni pratiche e, di fatto, non nomina in alcun modo i combustibili fossili. Un risultato non auspicato ma atteso, dal momento che, anche quest’anno, la COP è stata dominata dalla presenza di lobbisti delle multinazionali, mentre le popolazioni del Sud globale – il più colpito dai cambiamenti climatici – non hanno avuto pari voce in capitolo. Un’implicita ammissione in questo senso è stata fatta dal presidente della COP, che ha ammesso che le speranze della società civile in merito al risultato dell’evento non sono state soddisfatte. Il segretario generale dell’ONU Guterres, dal canto suo, ha invitato popoli e organizzazioni che lottano per il clima a continuare la mobilitazione.

Alla cerimonia inaugurale il presidente brasiliano Lula, il cui Paese ha ospitato l’evento, aveva detto chiaramente che la COP30 sarebbe dovuta servire per tracciare l’abbandono progressivo delle fonti fossili, una scelta alla quale alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, si sono mostrati ostili. Tanto che, nel documento finale (la Mutirao Decision) questi non vengono nemmeno nominati. Tra i risultati raggiunti vi sono il finanziamento di 1.300 miliardi di dollari entro il 2035 per l’azione per il clima, mentre ci si impegna a triplicare i finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici entro il 2035. Obiettivi finanziari decisamente ambiziosi, cui non corrisponde un adeguato piano di attuazione e di iniziative concrete. E’ stato istituito un ciclo di ricostituzione per la mobilitazione delle risorse del Fondo per la risposta alle perdite e ai danni dovuti ai cambiamenti climatici e sono state lanciate le iniziative Global Implementation Accelerator Belém Mission to 1.5°, entrambe destinate ad aiutare i Paesi a realizzare i loro piani nazionali per il clima e l’adattamento. Una novità è rappresentata dall’impegno a lottare contro la «disinformazione sul clima» attraverso il contrasto alle «false narrazioni».

L’assenza di un discorso circa i gas serra, principali responsabili del riscaldamento globale, ha allarmato molti Paesi del Sud Globale e organizzazioni della società civile. Eppure, oltre 80 Paesi avevano sostenuto la proposta del Brasile di stabilire una tabella di marcia per agire in tal senso. Secondo lo scienziato brasiliano Carlos Nobre, che ha tenuto un discorso prima della plenaria finale, è necessario azzerare l’utilizzo di fonti fossili entro il 2040-2045 per evitare che la temperatura aumenti fino a 2.5° entro metà del secolo. Se questo si realizzasse, infatti, si verificherebbero conseguenze catastrofiche sui nostri ecosistemi, con la quasi totale perdita delle barriere coralline, il collasso della foresta pluviale amazzonica e un accelerato scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia.

Nel discorso di chiusura dell’evento, il presidente André Corrêa do Lago ha riconosciuto che «alcuni di voi nutrivano ambizioni più grandi per alcune delle questioni in discussione» e che «la società civile ci chiederà di fare di più per combattere il cambiamento climatico», promettendo di cercare di non deludere le aspettative durante la sua presidenza. Per tale ragione, Corrêa do Lago ha annunciato l’intenzione di creare due roadmap in merito: una per arrestare la deforestazione e invertirne la tendenza e una per abbandonare le fonti fossili in modo giusto, ordinato ed equo, mobilitando le risorse necessario in maniera «giusta e pianificata». Un messaggio analogo è arrivato dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha ammesso come in un periodo di «divisioni geopolitiche» sia complesso giungere a un accordo comune: «non posso fingere che la COP30 abbia fornito tutto ciò che è necessario [per affrontare la crisi climatica, ndr]». Anche se la COP è conclusa, «il lavoro non è finito». Guterres ha anche esortato coloro che lottano per il clima a continuare a farlo: «non arrendetevi. La storia e le Nazioni Unite sono dalla vostra parte».

L’accordo segna una nuova, profonda sconfitta per i popoli del Sud Globale, che durante il vertice aveano protestato contro la presenza delle lobby delle multinazionali fossili, accusando i governi di essere interessati a tutelare unicamente gli interessi di queste ultime, le quali hanno avuto un peso indubbiamente superiore a quello dei popoli originari durante l’evento. A questi rimangono una nuova serie di promesse e dichiarazioni d’intenti, che verosimilmente cadranno ancora una volta nel vuoto.

Regionali, aperte le urne in Veneto, Campania e Puglia

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Da questa mattina alle 7 sono aperte le urne nelle Regioni Veneto, Campania e Puglia, dove si stanno svolgendo le elezioni regionali per un totale di 13 milioni di elettori. I seggi rimarranno aperti nella giornata di oggi fino alle 23 e domani, lunedì 24 novembre, dalle 7 alle 15, ma le stime indicano che l’astensionismo potrebbe arrivare a superare il 50%.