giovedì 27 Novembre 2025
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Elezioni regionali, trionfa l’astensione: alle urne solo 4 elettori su 10

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Con le tre vittorie nette dei candidati favoriti – Alberto Stefani, Antonio Decaro e Roberto Fico – si chiude rispettivamente in Veneto, Puglia e Campania l’ultima tornata di elezioni regionali del 2025. Se il risultato appariva scontato fin dagli inizi, a imporsi davvero è stato l’astensionismo che in queste tornate elettorali ha assunto la forma di massa, trasformandosi nel “primo partito” con un’insolita maggioranza assoluta. Il calo dell’affluenza, stimato intorno al 14% rispetto alle ultime regionali, evidenzia che poco più di quattro elettori su dieci hanno deciso di recarsi al voto, cifra che evidenzia il distacco sempre più profondo tra rappresentanza politica e Paese reale.

Effetto Zaia sulle elezioni regionali del Veneto: deputato con la Lega dal 2018 ed ex sindaco di Borgoricco, Alberto Stefani, l’uomo imposto da Matteo Salvini al centrodestra si afferma con il 65% su Giovanni Manildo (fermo attorno al 29%), ex sindaco di Treviso. La sorpresa, nella regione a trazione leghista, arriva dall’ex leghista e medico free vax Riccardo Szumski, già sindaco a Santa Lucia di Piave, nel trevigiano, dove ha incassato il 43% dei voti: la sua lista, “Resistere Veneto”, supera il 5%. Marco Rizzo di Democrazia Sovrana Popolare incassa l’1,09%, Fabio Bui di “Popolari per il Veneto” arriva allo 0,51%. In Campania, l’ex presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, surclassa il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, con il 60% contro il 35% circa, mentre Giuliano Granato di Campania Popolare si assesta sul 2%, Nicola Campanile di “Lista PER” non arriva all’uno per cento, Stefano Bandecchi di “Dimensione Bandecchi” segna lo 0,49% e Carlo Arnese di Forza del Popolo lo 0,17%. Il centrosinistra può esultare anche in Puglia, dove l’ex sindaco di Bari ed ex presidente Anci, Antonio Decaro si impone su Luigi Lobuono, imprenditore e civico vicino a Forza Italia, con il 65% contro il 35%. La prima degli outsider, Ada Donno, sostenuta dal cartello di liste a sinistra del campo largo, “Puglia pacifista e popolare”, racimola appena l’0,7%, seguita da Sabino Mangano, di “Alleanza civica per la Puglia”, con lo 0,2%.

Il convitato di pietra di queste elezioni regionali è sicuramente l’astensionismo, sintomo della fine di un modello di partecipazione democratica. Il dato complessivo dell’affluenza si ferma al 43,64% contro il 57,60% delle elezioni precedenti nelle stesse regioni. Il calo maggiore dei votanti si registra in Veneto dove, stando alle previsioni, la battaglia elettorale era più prevedibile e meno eccitante: ha votato appena il 44,65% contro il 61,16% di cinque anni fa, quasi 17 punti percentuali in meno. Segue la Puglia dove si è recato alle urne il 14,61% in meno rispetto al 2020 (il 41,82% contro il 56,43%) e, infine, la Campania, dove il calo è più ridotto, ma il termine di paragone sulla base delle regionali precedenti era già il più basso: il 44,06% contro il 55,52% dell’ultima vittoria di Vincenzo De Luca. La tendenza al non voto era stata evidente anche in altre prove elettorali, nelle Marche, in Toscana, in Calabria e in Val D’Aosta. Anche allora l’affluenza era calata di quasi il 10% non arrivando alla soglia del 50% sia in Toscana (47,4%) sia in Calabria (43,15) e sfiorandola appena nelle Marche.

Il vero snodo politico di queste elezioni regionali non è tanto l’esito, che ha semplicemente confermato gli equilibri previsti, quanto l’incapacità dei partiti di riportare gli elettori alle urne, aprendo una riflessione inevitabile sulle conseguenze di una democrazia che ha progressivamente smarrito il legame con la cittadinanza sociale. Il disimpegno elettorale deriva da cause strutturali, legate a mutamenti demografici e sociali, contingenti, alla prevedibilità dei risultati, ma soprattutto sistemiche, riconducibili alla crisi dei partiti e al venir meno delle identità politiche. Il tema dell’astensione è stato oggetto di diversi richiami del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ancora pochi giorni fa, dall’assemblea dell’associazione nazionale dei comuni (Anci) a Bologna, ha parlato di «preoccupante flessione dell’esercizio del voto». «Non possiamo accontentarci di una democrazia a bassa intensità», ha ammonito il Capo dello Stato, constatando come la disaffezione al voto non si risolve con alchimie legislative, ma riportando il cittadino alle urne. Il Capo dello Stato ha indirettamente sollevato il tema di ipotetiche riforme della legge elettorale, di cui si discute nel centrodestra. «Non ci sono dogmi, ma crediamo che serva una nuova legge elettorale per assicurare stabilità», ha dichiarato Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, commentando i risultati delle regionali. Dal fronte dell’opposizione sono emerse perplessità: la leader del Partito Democratico, Elly Schlein, ha interpretato l’annuncio come motivato dalla «paura di perdere» della destra, più che da un’esigenza strutturale del sistema.

In Italia cresce il rischio povertà tra i lavoratori

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Secondo i dati Eurostat relativi al 2024, in Italia più del 10% dei lavoratori è a rischio di povertà, un dato in aumento rispetto all’anno precedente e superiore alla media europea. Il fenomeno interesserebbe in particolare i cosiddetti “working poor”, cioè persone con un impiego ma con reddito insufficiente a condurre una vita dignitosa. L’analisi dell’Osservatorio Antoniano, che tramite la campagna Operazione Pane ha registrato un aumento del 14% delle persone con lavoro che hanno chiesto aiuto nel periodo gennaio-settembre 2025 rispetto al 2024.

Trapianto storico: un cuore ha viaggiato da Atene a Torino senza mai smettere di battere

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Per la prima volta nella storia dei trapianti, un cuore è stato trasportato per oltre 1.600 chilometri senza mai smettere di battere. Un traguardo medico e tecnologico raggiunto all’ospedale Molinette di Torino, dove un uomo di 65 anni affetto da una grave cardiomiopatia dilatativa ha ricevuto un nuovo cuore proveniente da Atene. L’intervento è avvenuto presso il Centro Trapianti di Cuore e Polmoni della Città della Salute e della Scienza, in concomitanza con il quarantesimo anniversario del primo trapianto di cuore effettuato in Italia.
In condizioni standard, il cuore da trapiantare viene tr...

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Gaza, la tregua farsa: Israele ha attaccato 497 volte uccidendo 342 palestinesi

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Da quando è iniziato il cessate il fuoco a Gaza, il 10 ottobre scorso, Israele ha compiuto 497 attacchi, violando la tregua e uccidendo almeno 342 palestinesi. È quanto afferma l’Ufficio Stampa del governo di Gaza, che ricorda come questi atti costituiscano una violazione delle norme del diritto internazionale e umanitario. Il rapporto non tiene conto delle violazioni commesse tra ieri e oggi, 24 novembre, perché pubblicato nella giornata di sabato. Israele insiste  nell’attribuire la colpa dei suoi attacchi a presunte violazioni di Hamas, che avrebbe attaccato i soldati israeliani nella Striscia o attraversato la cosiddetta “Linea Gialla”, la linea di demarcazione dietro la quale i soldati israeliani dovrebbero rimanere stazionati. Hamas ha negato che tali violazioni siano mai accadute.

I numeri forniti dall’Ufficio si basano sulle ricostruzioni giornaliere di ospedali, giornalisti, e Protezione Civile gazawi, ma anche sulle testimonianze di civili, organizzazioni umanitarie, uffici di monitoraggio, e programmi di aiuto presenti a Gaza. Con il rapporto di sabato, l’Ufficio documenta le 497 violazioni che Israele avrebbe commesso nell’ultimo mese e mezzo di tregua classificandole per categoria: in 142 casi, scrive l’Ufficio, i soldati israeliani avrebbero sparato «direttamente» contro i civili palestinesi; in 21 casi i veicoli militari israeliani avrebbero oltrepassato la linea gialla; 100 sarebbero attacchi contro abitazioni e strutture civili; infine 228 sarebbero operazioni di bombardamento aereo o terrestre – mediante colpi di artiglieria o carri armati. Delle 497 violazioni, 27 sarebbero avvenute nella sola giornata di sabato, quando 24 palestinesi (inclusi numerosi bambini) sarebbero stati uccisi e altri 87 feriti. Nel suo comunicato, l’Ufficio condanna «fermamente le violazioni che l’occupazione israeliana continua a perpetrare contro i civili e le infrastrutture civili, in palese violazione di tutti gli obblighi legali e morali», e chiede al presidente Trump, ai Paesi mediatori, ai garanti dell’accordo e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di «adottare misure serie ed efficaci per fermare questi attacchi, porre fine all’assedio in corso e far rispettare il cessate il fuoco e il protocollo umanitario».

Gli attacchi sono continuati sia domenica che oggi. Ieri, gli ospedali hanno affermato di avere ricevuto 23 corpi di palestinesi, 2 dei quali recuperati dalle macerie; a questi ultimi se ne sono aggiunti altri 8 nella giornata di oggi, trovati presso il campo di Maghazi, nel Governatorato di Deir al Balah, che hanno portato a 582 le salme di palestinesi rinvenute sotto i detriti. Sempre oggi sono stati segnalati casi di violenza in tutta la Striscia: nel Governatorato di Nord Gaza, Israele avrebbe scagliato attacchi aerei e colpi di artiglieria oltre la linea gialla della città di Beit Lahia, e ferito due civili a Jabaliya, colpendoli con colpi di arma da fuoco; a Gaza City, le Forze di Difesa Israeliane avrebbero ucciso un palestinese nei pressi del quartiere di Tuffah, a est della città, e fatto levare in aria i droni nell’area orientale della capitale; droni anche nel Governatorato di Khan Younis, nella città orientale di Bani Suheila, dove sarebbe stato ucciso un palestinese; sempre a est di Khan Younis sono stati segnalati colpi di artiglieria che avrebbero ucciso un’altra persona, mentre a sud del Governatorato i mortai non avrebbero fatto vittime. Attacchi, infine, anche a nordest di Rafah, il governatorato più a sud della Striscia, dove Israele avrebbe utilizzato elicotteri e carri armati.

Agli attacchi si aggiunge la situazione umanitaria che, nonostante il cessate il fuoco, rimane ancora critica. Nel fine settimana le varie agenzie dell’ONU come il Programma Alimentare Mondiale e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (nota come UNRWA) hanno lanciato diversi appelli, rimarcando la necessità di fare ripartire il sistema scolastico per far fronte alla ormai incombente crisi educativa; le agenzie hanno poi sottolineato come, nonostante gli oltre 40 giorni di cessate il fuoco, l’accesso sicuro all’acqua potabile rimanga ben lontano dall’essere garantito, e affermato che i cittadini soffrano ancora la mancanza di cibo.

Regionali: Campania e Puglia al campo largo, Veneto alla destra

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Nonostante manchi ancora l’ufficialità, tutte le proiezioni danno ormai per certi gli esiti delle elezioni regionali tenutesi tra ieri e oggi, 24 novembre, in Campania, Puglia e Veneto. Le prime due regioni hanno visto trionfare i candidati del campo largo, rispettivamente Roberto Fico del M5S, in questo momento primo con il 62,49% delle preferenze, e Antonio Decaro del PD, con il 65,39% dei voti. In Veneto, invece, si è imposto il candidato della coalizione governativa, Alberto Stefani, in questo momento in vetta con il 63,62%. Netto calo per l’affluenza in tutte e tre le regioni: -11,46% in Campania, -14,61% in Puglia e -16,51% in Veneto.

Se sei filorusso puoi essere insultato: la surreale teoria del pm di Bologna

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Mettere in dubbio la narrazione di Kiev sulla guerra, anche quando si è incerti sulla fondatezza delle informazioni, potrebbe legittimare la diffamazione da parte di terzi. Almeno, questo è quanto emerge dalla richiesta di archiviazione della denuncia per diffamazione avanzata dall’avvocato Marco Bordoni. Nel 2024, a seguito dell’attacco di un missile russo contro la città di Kharkhiv, Bordoni aveva pubblicato un post su X, chiamando la città con il suo nome russo (Kharkov), dichiarando che «secondo Zelensky» il missile era di provenienza russa e offrendo il punto di vista di un analista russo. Visto il fioccare di insulti e minacce per «complicità filorussa» apparsi sotto il post, Bordoni ha sporto denuncia per diffamazione. Denuncia che rischia ora di essere archiviata, in quanto, secondo il pm, il post «poteva essere percepito dal cittadino medio come una provocazione» alla luce del contesto «di forte coscienza sociale» creato dalla guerra, «che ha visto gran parte della popolazione schierarsi a sostegno dell’Ucraina». L’ultima parola sul caso spetterà al GIP.

Marco Bordoni è un avvocato civilista di Bologna che da anni pubblica osservazioni e materiale di divulgazione sull’area russa, spinto anche da un interesse personale e da qualche conoscenza linguistica di base. Sul proprio profilo X ha sempre sostenuto l’opportunità di riferire più versioni quando non è possibile verificare direttamente i fatti; così fece il 25 maggio 2024, dopo che un missile aveva centrato un grande centro commerciale a Kharkiv provocando morti e feriti. Nel post, utilizzando il toponimo russo “Kharkov” per riferirsi alla città ucraina di Kharkiv, l’avvocato ha precisato, citando testualmente il presidente ucraino, che l’attacco era di matrice russa «secondo Zelensky». Inoltre, ha riferito – allegando il link della fonte – l’indiretta conferma del blogger russo Cassad, che ha parlato di «esplosioni secondarie» per presenza di materiale militare. Sotto il post si è scatenata una valanga di reazioni violente nella sezione commenti, con utenti che hanno definito Bordoni un «filo invasore» e un «traditore dell’Occidente», accusandolo di «complicità filorussa». Di fronte a questi insulti, l’avvocato ha ritenuto di aver subito una diffamazione e ha quindi presentato una denuncia. Tuttavia, la Procura della Repubblica di Bologna, nella persona del sostituto procuratore incaricato dell’indagine, ha chiesto al giudice l’archiviazione del caso.

Proprio la motivazione di questa richiesta è ciò che trasforma la vicenda da una semplice scambio sui social network a un potenziale precedente preoccupante. Dalla lettura del documento si evincerebbe infatti che, secondo il pm, quei commenti costituirebbero reazioni scatenate dal comportamento provocatorio di chi aveva pubblicato il post, inserito in un clima nazionale particolarmente sensibile e schierato con l’Ucraina. In sostanza, la percezione collettiva di chi legge come «filorusso» il contenuto renderebbe giustificabili – o almeno non punibili – le risposte offensive. Una lettura che molti osservatori inquadrano come pericolosa, dal momento che legittimare reazioni offensive sulla base di un’emozione collettiva rischia di erodere le garanzie contro le aggressioni verbali e di indebolire la tutela della reputazione individuale.

Bordoni, ovviamente, contesta fermamente l’ottica adottata dalla Procura nell’esame del caso. Il post dell’avvocato, che riportava una notizia citando le proprie fonti, non conteneva fake news né insulti. Dunque, secondo la sua difesa, la reazione diffamatoria degli utenti non sarebbe giustificabile in alcun modo sulla base del contenuto del messaggio originario. A ogni modo, le carte sono ora al vaglio del Gip, che dovrà stabilire se archiviare o, in alternativa, opporsi alla richiesta del pm.

Brasile: confermato il carcere a Bolsonaro

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Un collegio di quattro giudici della Corte Suprema brasiliana ha votato per trattenere l’ex presidente Jair Bolsonaro in custodia cautelare in carcere. I giudici hanno approvato la misura all’unanimità, confermando la disposizione del collega Alexandre de Moraes, che ne aveva ordinato l’arresto a causa di una violazione dei domiciliari. Bolsonaro è stato condannato a una pena di 27 anni e 3 mesi per il tentato golpe militare del 2022; nonostante ciò, si trovava ancora in custodia cautelare ai domiciliari, perché secondo la legge brasiliana per scontare la pena in prigione è necessario concludere tutto l’iter processuale, e all’ex presidente manca ancora la pronuncia della Corte Suprema.

Dalle spiagge agli ippodromi: il nuovo tour di Jovanotti fa infuriare gli animalisti

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Jovanotti polemiche ippodromi

Dopo le spiagge, gli ippodromi: nel cercare location alternative in cui organizzare concerti, a Jovanotti e al suo team l’idea di questo nuovo tour deve essere sembrata irresistibile. Agli animalisti un po’ meno. E infatti, dopo l’annuncio delle date del “Jova Summer Party 2026”, che prevede due concerti in due differenti ippodromi, sono partite le proteste che sottolineano come i decibel di un concerto mal si concilierebbero con la presenza di animali come i cavalli, che potrebbero patire diverse conseguenze problematiche.

«Siamo basiti nell’apprendere che viene organizzato un concerto che accoglierà migliaia di persone dentro un ippodromo, a pochi metri dai box dove sono alloggiate decine di cavalli, animali che potrebbero andare nel panico e ferirsi per il grande e prolungato rumore a cui non sono abituati e che, nella migliore delle ipotesi, subiranno un forte stress», sottolinea il presidente di Italian Horse Protection Sonny Richichi, associazione indipendente per la tutela di questi animali. «Possiamo anche immaginare che gli organizzatori si siano fidati delle parole di chi gestisce l’ippodromo il quale, da opportunista che passa sopra il benessere dei cavalli per racimolare qualche soldo, avrà rassicurato tutti, raccontando la favola che i cavalli sono abituati al frastuono e che non si spaventano. Ma questo non giustifica una decisione che andava ponderata meglio, non basandosi solamente su chi i cavalli li sfrutta».

Il riferimento è probabilmente al comunicato stampa dell’ippodromo di Palermo La Favorita, che dovrebbe appunto ospitare uno dei due concerti della prossima estate, nel quale gli organizzatori spiegano che «le misure di tutela sono già previste». Inoltre evidenziano che «dai rilievi fonometrici effettuati e stante la notevole distanza del palco rispetto alle scuderie – pari a oltre 500 metri – si rimane ampiamente sotto la soglia di normale tollerabilità per gli animali». Infine, secondo il veterinario della struttura, il dottor Salvatore Speciale: «La musica non nuoce agli animali, che dimostrano di tollerarla e gradirla senza alcuno stress. Il vero pericolo per i cavalli è rappresentato da rumori improvvisi e violenti come i fuochi d’artificio».

Di diverso avviso il presidente di Italian Horse Protection che rincara la dose, spiegando che i cavalli: «Hanno un udito finissimo, molto più sensibile di quello umano, e possono andare nel panico se avvertono segnali di pericolo e se non hanno la possibilità di fuggire in campo aperto. Chiusi all’interno di un box e bombardati dai decibel del concerto e dalle urla del pubblico, non è difficile immaginare cosa passeranno quei poveri animali. Già sono sottoposti a una vita innaturale qual è quella dell’ippodromo, e in più devono subire quella che noi, senza mezzi termini, definiamo una vera e propria violenza». E quindi rivolgono un accorato appello a Jovanotti, chiedendogli di scegliere posti alternativi, «dove la festa non comporti la sofferenza di nessun animale».

Le polemiche precedenti si erano infuocate nella calda estate del 2022, quando erano in corso i concerti del “Jova beach party” tour. L’evento di Fermo, in particolare, aveva suscitato non poche polemiche, con i controlli dell’Ispettorato del lavoro che avevano fatto emergere la presenza di diversi lavoratori in nero e la devastazione ambientale causata dalla distruzione della vegetazione delle dune di sabbia per far posto al palco che aveva portato alla protesta di diversi comitati ambientalisti, compresa la sezione del WWF locale che aveva chiuso i battenti in aperta polemica con il WWF nazionale, che aveva invece supportato l’iniziativa.

Meta pericolosa per società e giovani: le accuse nei documenti giudiziari USA

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I dirigenti di Meta si trovano nuovamente nella posizione di dover convincere il mondo che, nonostante quanto emerge da alcuni messaggi interni trapelati, il loro modo di gestire i social non rappresenti un pericolo per la società e, soprattutto, per i minori. Documenti giudiziari parzialmente desecretati suggeriscono infatti che l’azienda avrebbe per anni minimizzato i rischi delle sue piattaforme per i giovani, ignorando ricerche interne che evidenziavano effetti negativi su salute mentale, sicurezza e benessere degli adolescenti, e mantenendo al contempo una notevole tolleranza verso diverse forme di sfruttamento sessuale.

La rivista Time ha recentemente portato all’attenzione pubblica un nuovo dossier relativo a una causa multidistrettuale che, avviata nel 2022, coinvolge ormai migliaia di querelanti. Secondo l’accusa, le piattaforme di Meta – ma anche TikTok, YouTube e altri social media – sarebbero deliberatamente progettate per creare dipendenza nei minori, un’interpretazione che sembra essere supportata da testimonianze, email interne e rapporti sviluppati da quattro diversi esperti indipendenti. In più occasioni, funzionari di Meta avrebbero descritto i loro stessi servizi come “droghe digitali”, arrivando a definirsi ironicamente “pusher” mentre, parallelamente, le ricerche interne che mettevano in luce le criticità dei portali venivano eliminate silenziosamente prima di raggiungere l’occhio pubblico.

Il fascicolo riporta, per esempio, che nel 2019 Meta avesse avviato uno studio sull’effetto dell’allontanamento dei giovani da Instagram e Facebook: dopo appena una settimana di pausa, i partecipanti mostravano livelli più bassi di ansia, depressione e solitudine. L’azienda ha dunque deliberatamente evitato di divulgare tali risultati, sostenendo che questi fossero influenzati da “narrative mediatiche preesistenti” ostili a Meta. Un dipendente avrebbe dunque paragonato la scelta di nascondere i dati alle pratiche adottate anni addietro dell’industria del tabacco, le quali hanno occultato per decenni le prove dei danni alla salute causati dalle sigarette. Da anni, intanto, il CEO Mark Zuckerberg continua a sostenere davanti al mondo politico che la tutela dei giovani rappresenti una priorità per Meta, negando qualsiasi correlazione tra l’uso delle piattaforme e il disagio psicologico.

Tra le rivelazioni più gravi spiccano le testimonianze di dirigenti che avrebbero denunciato una tolleranza eccessivamente ampia nei confronti di contenuti legati allo sfruttamento sessuale dei minori, con soglie di intervento così alte da permettere a utenti segnalati decine di volte di rimanere attivi. “Potevi accumulare sedici violazioni per prostituzione o sollecitazione sessuale e solo alla diciassettesima l’account veniva sospeso”, avrebbe testiimoniato Vaishnavi Jayakumar, ex responsabile della sicurezza e del benessere di Instagram, entrata in Meta nel 2020.

Benché anche TikTok, Snapchat e YouTube siano accusati di essere consapevoli degli effetti di dipendenza generati nei giovani, Meta si staglia per la gravità e l’ampiezza delle contestazioni, oltre che per l’ipotesi che alcuni suoi dirigenti abbiano fornito testimonianze fuorvianti anche quando sotto giuramento davanti al Congresso statunitense. Del resto, la Big Tech non è nuova a scandali: Facebook è già stato accusato da whistleblower di essere pericoloso per i minori, di aver influenzato processi elettorali e, secondo alcune inchieste, di aver facilitato almeno un genocidio. L’idea che Instagram e Facebook possano costituire un terreno fertile per l’adescamento dei minori non appare dunque difficile da credere, ancor più che Meta ha già dimostrato una certa flessibilità nel proporre contenuti sessuali ai giovani, qualora questo gli consenta di mantenere alte le interazioni sui suoi portali. Nonostante questo, l’attenzione dei legislatori sembra voler incanalare la lotta alla pedopornografia verso misure che erodono la privacy delle persone, invece che sulla piena responsabilizzazione delle grandi aziende tecnologiche d’oltreoceano.

Belgio, sciopero di tre giorni: treni fermi

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In Belgio è stato lanciato uno sciopero generale per protestare contro le misure di austerità del governo, che includono anche un aumento dell’età pensionabile. A proclamare la protesta sono state tre delle maggiori firme sindacali del Paese che hanno organizzato manifestazioni per tre giorni consecutivi: oggi sciopereranno i lavoratori del settore dei trasporti pubblici, e le ferrovie prevedono di far funzionare un treno su tre. Domani non verranno garantiti i servizi pubblici di scuole, asili nido e ospedali, e dopodomani il personale aeroportuale si unirà alla protesta, tanto che gli aeroporti di Bruxelles-Zaventem e Charleroi, i due principali scali del Paese, hanno già cancellato tutti i voli.