mercoledì 3 Dicembre 2025
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Alluvioni in Asia, il bilancio sale a oltre mille morti

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Continua a peggiorare il bilancio delle vittime delle alluvioni che negli ultimi giorni hanno colpito Indonesia, Sri Lanka, Thailandia e Malaysia. Oggi le autorità parlano infatti di oltre mille morti e centinaia di dispersi. Secondo l’agenzia per la gestione delle catastrofi, Sumatra risulta l’area più colpita, con 502 vittime e oltre 500 dispersi, mentre in Sri Lanka si contano 334 morti dopo il passaggio del tifone Ditwah. I governi hanno mobilitato elicotteri, navi e mezzi militari per i soccorsi, con lo Sri Lanka che ha dichiarato lo stato d’emergenza. In Thailandia si registrano 176 vittime e due in Malaysia.

La corsa italiana alle rinnovabili, tra necessità e speculazione

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La produzione di energia eolica in Italia si concentra nel Sud, dove si trova il 90% degli impianti presenti sul territorio nazionale e la gran parte delle nuove istanze di connessione relative all’eolico e al fotovoltaico: 1509 pratiche per la Puglia, 1169 per la Sicilia, 767 per la Basilicata, 678 per la Sardegna. In queste sole quattro regioni si registrano il 68% di tutte le 6097 richieste italiane. La richiesta di connessione rappresenta il primo passo di un processo che prevede poi l’elaborazione di un progetto, che deve essere approvato, e la realizzazione dell’impianto. A oggi, a livel...

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Torino: 36 attivisti identificati e denunciati per le “violenze” contro La Stampa

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La Digos ha identificato 36 attivisti ritenuti coinvolti nell’irruzione di venerdì scorso alla sede torinese de La Stampa, dove un gruppo di manifestanti ha messo a soqquadro la redazione. Un’azione dimostrativa durata pochi minuti che ha però innescato immediatamente una reazione politica e mediatica compatta, con toni da emergenza democratica. I denunciati rischiano ora procedimenti penali con più capi d’accusa, mentre l’episodio viene narrato come un attacco alla libertà di stampa, alimentando una narrazione d’emergenza nonostante i danni siano stati limitati a letame lanciato ai cancelli, scritte sui muri e giornali rovesciati in una redazione vuota.

Era in corso lo sciopero generale quando, dal corteo che attraversava il centro di Torino, un blocco di un centinaio di persone si è staccato dirigendosi verso via Lugaro, sede storica de La Stampa. Una volta giunti davanti al complesso, alcuni hanno forzato un ingresso laterale, divelto una telecamera interna e aperto la strada al gruppo. Dentro, in pochi minuti, sono state rovesciate pile di giornali e libri, sparse per i corridoi come a simboleggiare un rifiuto della linea editoriale del quotidiano, accusato dai manifestanti di posizioni filogovernative e di disinformazione sul conflitto in Medio Oriente. Sui muri sono comparse scritte contro la testata e slogan a sostegno della Palestina. La protesta era legata anche all’arresto e all’espulsione dell’imam Mohamed Shahin, voce centrale delle mobilitazioni pro-Palestina, accusato per dichiarazioni politiche e ora a rischio persecuzione in Egitto. Secondo i manifestanti, quotidiani come La Stampa si sono resi complici nel costruire una narrazione mediatica che ha dipinto Shahin come un terrorista, favorendone l’arresto. All’esterno, un piccolo gruppo ha lanciato letame sulla cancellata, gesto plateale e simbolico subito amplificato sui social.

La Digos ha lavorato per tutto il fine settimana incrociando registrazioni interne, materiale di videosorveglianza urbano e filmati circolati online. Da queste fonti sono stati riconosciuti 36 presunti partecipanti, per la maggior parte giovani legati al centro sociale Askatasuna e ai collettivi studenteschi Collettivo universitario autonomo e Kollettivo studentesco autorganizzato. Tra le persone identificate, c’è anche il sedicenne che era stato fermato e ammanettato davanti al liceo Einstein durante gli scontri tra studenti di sinistra e di destra. Le accuse ricostruite finora comprendono danneggiamento aggravato, invasione di edifici e, per alcuni, minacce. La Procura valuta, inoltre, la possibile contestazione dell’associazione per delinquere, ipotesi che segnerebbe un salto di scala giudiziaria. È proprio questa sproporzione fra gesti dimostrativi e ipotetica cornice penalmente pesantissima a far discutere: dalle dichiarazioni del governo alle prese di posizione bipartisan del Parlamento, passando per la stampa mainstream, l’irruzione è stata descritta come un “assalto organizzato” contro un presidio democratico, accostamento che evoca stagioni storiche ben più tragiche del passato, come se ci si trovasse di fronte a una azione paramilitare e al ritorno alle attività eversive.

Nel giro di poche ore, la vicenda è diventata simbolo di un presunto clima di violenza politica crescente, sebbene il bilancio materiale dell’episodio parli di danni limitati, nessun ferito, nessuna arma, nessun tentativo di devastazione sistematica degli uffici. L’amplificazione e l’isteria mediatica sull’irruzione alla redazione del quotidiano torinese rischiano che il dissenso radicale venga equiparato automaticamente alla minaccia terroristica, in un’epoca in cui il confine tra ordine pubblico e gestione del conflitto sociale si assottiglia. È inevitabile chiedersi se la reazione non stia strumentalizzando l’episodio, come già avvenuto per le recenti proteste pro-Palestina, per stringere le maglie del controllo e limitare le manifestazioni. Alla luce del disegno di legge avanzato dalla Lega “Disposizioni per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo, che, adottando la definizione dell’IHRA, mira a vietare manifestazioni in favore della Palestina e a criminalizzare ogni critica al governo di Benjamin Netanyahu, la risposta politica sembra voler chiudere la partita prima ancora che un giudice valuti i fatti, costruendo un precedente che potrebbe pesare sul futuro delle mobilitazioni.

Emma Bonino ricoverata in terapia intensiva a Roma

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Emma Bonino è stata trasportata domenica sera in codice rosso all’Ospedale Santo Spirito di Roma, dove è stata ricoverata nel reparto di terapia intensiva per insufficienza respiratoria. Fonti mediche riferiscono che l’ex ministra, radicale della prima ora, al momento sembra vigile. Nel 2015 le era stato diagnosticato un tumore al polmone, guarito dopo otto anni di cure, e già nell’ottobre 2024 era stata ricoverata per problemi respiratori. I medici faranno il punto con un bollettino nelle prossime ore.

Malta: abbonamenti gratis in palestra contro la sedentarietà dei giovani

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A Malta, i giovani di età compresa tra i 16 e i 21 anni avranno diritto a un abbonamento semestrale in palestra totalmente gratuito. Lo ha deciso il governo guidato dal laburista Robert Abela nella legge di Bilancio, dopo la buona adesione registrata con una misura analoga che ha interessato quest'anno i ragazzi nati tra il 2005 e il 2007. La promozione della salute mentale e fisica tra i più giovani e l'incoraggiamento verso uno stile di vita sano hanno spinto l'esecutivo maltese ad agire; così dall'anno prossimo sarà allargata la platea dei beneficiari, interessando i nati tra il 2004 e il 2...

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Lituania, chiuso l’aeroporto di Vilnius: “invaso lo spazio aereo”

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La Lituania ha chiuso temporaneamente l’aeroporto della capitale Vilnius dopo avere rilevato la presenza di presunti palloni aerostatici all’interno del proprio spazio aereo. Secondo le autorità lituane, i palloni verrebbero pilotati da contrabbandieri che trasportano sigarette illegalmente all’interno del Paese, e partirebbero dalla Bielorussia. La Lituania accusa il presidente bielorusso Alexander Lukashenko di permettere la pratica, definendola una forma di «attacco ibrido» da parte di Minsk; lo scorso ottobre, il Paese ha chiuso temporaneamente i confini con la Bielorussia sulla base delle stesse accuse. La Bielorussia ha sempre smentito le affermazioni di Vilnius.

Palestina, i coloni attaccano volontari internazionali: feriti tre italiani

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Un nuovo attacco dei coloni israeliani ha colpito la comunità di Ein al-Duyuk, vicino a Gerico, nella Cisgiordania occupata. Questa volta a subire le conseguenze delle violenze che quotidianamente colpiscono i villaggi e le comunità palestinesi sono stati 4 attivisti internazionali, di cui tre italiani e una cittadina canadese. Gli attivisti italiani fanno parte della campagna Faz3a, iniziativa palestinese attiva in Cisgiordania. Una decina, i coloni mascherati che hanno fatto irruzione all’alba nella casa dove dormivano, picchiandoli con bastoni e rubando i loro oggetti personali, tra cui i passaporti e i telefoni. Alcuni coloni erano armati con fucili. «Quando sono arrivati hanno puntato le torce dentro la casa dicendo che erano dell’esercito», testimonia a L’Indipendente uno degli attivisti del gruppo. «Sapevano che c’erano internazionali lì dentro». «Li hanno picchiati anche con i calci dei fucili, li hanno ripetutamente colpiti sulle costole, in faccia, nelle parti geniali. Un vero e proprio attacco squadrista», continua l’attivista, anche lui italiano. Tutti e quattro gli attivisti sono stati successivamente portati in ospedale a Gerico a causa delle ferite subite, e poi dimessi.

«Sicuramente questo attacco cambia il livello di escalation che i coloni hanno anche con gli internazionali, oltre alle già gravissime violenze che quotidianamente compiono contro i palestinesi». Le violenze dei coloni si stanno intensificando, e la comunità di Ein al-Duyuk ne è testimone: negli ultimi due mesi le famiglie residenti si sono viste rubare quasi duecento pecore e galline, e i coloni, provenienti da uno degli avamposti illegali che stanno prolificando in Cisgiordania dal 7 di ottobre, hanno assaltato ripetutamente la comunità, danneggiando pannelli solari, macchine, e abitazioni. «Venivano di giorno e di notte a disturbare, minacciare, attaccare gli abitanti del villaggio», testimonia ancora l’attivista, che ha passato alcuni giorni nella comunità prima della recente aggressione. «Il loro obiettivo è chiaro: terrorizzare i palestinesi per spingerli ad abbandonare le loro terre sulle quali vivono da sempre», conclude.

La valle del Giordano, dove si situa il villaggio, è uno dei territori più colpiti dalla pulizia etnica in corso in West Bank; il territorio, che costituisce quasi il 30% della Cisgiordania, è categorizzato “area C”, ossia sotto controllo completo israeliano. Il villaggio di Ein al-Duyuk tuttavia è zona A, ossia – teoricamente – sotto il pieno controllo dell’Autorità palestinese. Ma Tel Aviv non ha mai rispettato queste categorie amministrative. Da decenni Israele si impegna nel rendere invivibile la zona, con l’obiettivo di costringere i palestinesi ad abbandonarla. Centinaia di ettari sono stati classificati come “zone naturali protette”, o “aree militari”, vietando l’accesso ai pastori e agli agricoltori palestinesi e minando il sostentamento dei villaggi. Ma la repressione negli ultimi due anni sta aumentando, e l’impunità dei coloni, connessa con numerosi ordini di demolizione di case nella zona, hanno costretto decine di comunità beduine a lasciare l’area.

Australia, proteste in un porto: sospese le attività

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Centinaia di attivisti hanno remato in kayak occupando la rotta di navigazione del porto di Newcastle, in Australia, costringendo le autorità portuali a sospendere le attività. Il porto di Newcastle è uno dei maggiori porti del Paese per esportazione di carbone; gli attivisti, afferenti al gruppo per il clima Rising Tide, hanno manifestato anche nella giornata di ieri, sabato 29 novembre, quando hanno impedito a una nave di attraccare. Dopo le manifestazioni di ieri e oggi, riporta il gruppo, sarebbero stati arrestati più di 100 manifestanti. Le autorità portuali hanno comunicato che le attività riprenderanno a partire da domani.

Netanyahu chiede la grazia al presidente israeliano

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ufficialmente chiesto la grazia al presidente del Paese Isaac Herzog. Netanyahu è imputato per frode e corruzione ed è al centro di un processo iniziato nel 2020, ma rinviato per anni. L’impianto accusatorio si basa su tre distinti filoni di indagine, secondo cui Netanyahu avrebbe concesso favori personali a diversi imprenditori in cambio di regali e articoli propagandistici a suo favore. La richiesta di grazia è sostenuta anche da Donald Trump: qualche settimana fa, il presidente degli Stati Uniti ha infatti chiesto pubblicamente a Herzog di graziare Netanyahu.

Brasile, Lula messo in minoranza: il Parlamento approva la legge per aumentare la deforestazione

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È passata poco più di una settimana dalla chiusura della Conferenza dell’ONU sull’ambiente, in Brasile, ma lo stesso Paese ospitante non ha voluto attendere per smantellare il proprio sistema di tutele dell’ambiente e delle popolazioni indigene. I legislatori brasiliani hanno infatti approvato il progetto di legge 2.159/2021, respingendo i veti che il presidente Lula era riuscito a trovare in aula; la proposta, soprannominata “Legge della Devastazione”, cancella le tutele per alcuni dei territori indigeni e riduce drasticamente i vincoli ambientali sui progetti ingegneristici e dell’industria agricola, permettendo di aggirare analisi e controlli attraverso una semplice autocertificazione. A rimanere fuori da tale misura sono solo i progetti ad alto rischio ambientale, che tuttavia potrebbero venire approvati direttamente dal governo, se considerati politicamente rilevanti. La legge è stata duramente contestata da specialisti e organizzazioni per l’ambiente, e ora dovrà passare dal presidente Lula, che nonostante il diritto di veto potrebbe non riuscire a impedirne l’approvazione definitiva.

Il progetto di legge 2.159/2021 è stato approvato lo scorso giovedì 27 novembre, a meno di una settimana dalla chiusura della COP30. La proposta intende semplificare le autorizzazioni ambientali riducendo la burocrazia e il monitoraggio statale. Essa prevede l’istituzione delle cosiddette “LAC” (Licenze ambientali di Adesione e Impegno) per tutti i progetti imprenditoriali a medio impatto ambientale. Le LAC – in forma diversa già previste per i progetti a basso impatto ambientale – introducono un sistema di auto-autorizzazione che aggira le valutazioni tecniche: in sostanza, per superare i vincoli ambientali, le verifiche e le analisi, basterà un’autocertificazione in cui il costruttore dichiari che il proprio progetto non mina alla conservazione dell’ambiente. Tra le attività interessate dalla misura vi sarebbero per esempio i lavori di bonifica di base, la manutenzione di strade e porti e la distribuzione di energia a bassa tensione. Oltre alle LAC, la legge introduce le LAE (Licenze Ambientali Speciali): esse consentono al governo federale di accelerare il rilascio delle licenze per progetti considerati strategici, aggirando i vincoli ambientali a prescindere dai loro livelli di rischio.

La legge, inoltre, introduce diverse deroghe per le attività agricole e agro-industriali: essa cancella i vincoli ambientali rivolti ai proprietari terrieri iscritti al Catasto Ambientale Rurale, così come alle attività di coltivazione di interesse agricolo, all’allevamento estensivo e semi-intensivo, all’allevamento intensivo su piccola scala e a parte della ricerca agricola. Parallelamente, la proposta indebolisce il ruolo di monitoraggio e analisi dell’Istituto Nazionale del Patrimonio Storico e Artistico e delle varie agenzie ambientali brasiliane come il Consiglio Nazionale per l’Ambiente e l’Istituto Chico Mendes per la Conservazione della Biodiversità, aprendo la porta ad attività economiche nelle aree sottoposte a tutela ambientale. A venire potenzialmente sottoposte ad attività economiche non sono solo le aree tutelate, ma anche quelle indigene. La legge, infatti, elimina la protezione dei territori indigeni e quilombola ancora in fase di demarcazione.

La proposta era stata approvata dal Senato lo scorso maggio, ma il presidente Lula era riuscito a trovare circa 60 veti alla Camera per fermarne l’approvazione; con la ratifica anche dall’aula bassa, ora tocca a lui decidere se porre il veto o firmarla definitivamente. In ogni caso, un eventuale fermo di Lula potrebbe venire superato dai legislatori con una votazione a maggioranza assoluta. La legge è stata contestata da diverse figure tanto della politica quanto della società civile. A maggio, il WWF ha rilasciato un comunicato in cui la definisce «la più grande battuta d’arresto nella legislazione ambientale brasiliana degli ultimi 40 anni»; anche Oxfam ha manifestato «grave preoccupazione» per la sua formulazione, e diversi esperti e analisti ambientali la hanno definita «incostituzionale», perché andrebbe contro il dovere dello Stato di garantire ai propri cittadini la vita in un ambiente sano, e contro gli obblighi di monitoraggio e tutela del patrimonio ambientale.