lunedì 22 Dicembre 2025
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Auto elettriche, Antitrust UE: accordo sulla trasparenza con le case

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Si è conclusa con un accordo l’istruttoria dell’Antitrust Ue nei confronti di Stellantis, Tesla, BYD e Volkswagen su possibili pratiche commerciali sleali legate alle auto elettriche. Le case si sono impegnate a fornire informazioni più chiare e complete su autonomia reale, degrado delle batterie e condizioni di garanzia. Entro 120 giorni dovranno aggiornare i siti web con dati dettagliati, inserire simulatori di autonomia e indicazioni sui fattori che incidono sulle prestazioni. Previsto anche un miglioramento delle soglie di garanzia sullo stato di salute delle batterie.

Pensioni: dopo le polemiche arriva il dietrofront del governo

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La notte in Commissione Bilancio al Senato si è chiusa con uno stallo e un colpo di scena. Al centro dello scontro, l’emendamento omnibus del governo, con le sue norme sulla pensione che hanno fatto scattare l’ultimatum della Lega. Il braccio di ferro, serrato e senza sbocchi, ha costretto l’esecutivo a un ripensamento dell’ultimo minuto: l’intero pacchetto è stato ritirato per essere riscritto da zero. Nella nuova versione, che sarà sul tavolo questa mattina, delle misure pensionistiche più discusse non resterà traccia. A sopravvivere, per sbloccare l’iter, saranno solo le parti tecniche e non negoziabili: i fondi per il Pnrr, l’iper-ammortamento e l’anticipo della ritenuta per le imprese. Ma la partita vera, quella che divide la maggioranza, è semplicemente stata rinviata: il nodo delle pensioni è stato scaricato su un futuro decreto legge, mentre in Aula si tenta di salvare la corsa contro il tempo per approvare la Manovra.

La giornata di ieri è stata segnata da tensioni crescenti in Commissione Bilancio del Senato. Il governo aveva presentato un nuovo testo che faceva marcia indietro su un punto, cancellando completamente la misura che depotenziava il riscatto della laurea breve. Il ministro Giancarlo Giorgetti aveva chiarito che con questa correzione «sono stati tenuti indenni tutti coloro che hanno fatto il riscatto fino adesso». Tuttavia, il nuovo schema manteneva l’altra norma contestata: il progressivo allungamento, fino a sei mesi, del periodo di attesa (la “finestra mobile”) tra il momento in cui si maturano i requisiti per la pensione anticipata e la decorrenza effettiva dell’assegno. È stato proprio questo a scatenare il veto della Lega. Di fronte all’intransigenza dell’alleato, il governo ha scelto di snellire drasticamente il maxi-emendamento. Come annunciato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, nella notte, dalla Manovra è stato stralciato quasi tutto. Oltre al pacchetto completo sulle pensioni, sono state escluse e rimandate al futuro decreto anche altre importanti misure economiche, come i fondi per la Transizione 4.0 e per le Zone Economiche Speciali. Nel testo del provvedimento sono state salvate solo le parti considerate essenziali per la stabilità finanziaria e gli impegni con l’Europa, in particolare le disposizioni collegate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e quelle sul superammortamento per le imprese.

L’opposizione ha colto l’occasione per attaccare l’esecutivo. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha accusato la premier Giorgia Meloni di essere «campionessa di incoerenza», mentre Italia Viva ha chiesto al ministro Giorgetti di riferire in Commissione su quanto accaduto. A ogni modo, ad ora la soluzione adottata rappresenta una tregua, ma non risolve la partita. La Lega non ha ottenuto l’abolizione della norma sulle finestre pensionistiche, ma soltanto il rinvio, costringendo il governo a una riprogrammazione. Ora l’esecutivo dovrà lavorare a un nuovo testo per il decreto legge, trovando anche le coperture finanziarie per misure che, stando alle stime della Ragioneria, valgono circa due miliardi di euro di risparmi, di cui 1,4 miliardi solo dalle finestre nel 2035.

L’UE darà 90 miliardi all’Ucraina, ma senza usare i beni russi congelati

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Il Consiglio Europeo ha deciso che garantirà all’Ucraina un prestito da 90 miliardi di euro in due anni senza tuttavia utilizzare i beni russi congelati. Il prestito sarà erogato all’Ucraina attingendo dal debito comune, ma non vi parteciperanno Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, che si erano opposte al piano. Negli ultimi giorni, la questione dell’eventuale utilizzo degli asset russi per finanziare l’Ucraina è risultata centrale all’interno dei palazzi di Bruxelles. A guidare il fronte dei Paesi contrari era il Belgio, Stato dove ha sede il principale istituto di custodia finanziaria a custodire asset russi. Il timore era quello di esporre gli Stati membri a ritorsioni da Mosca, motivo per cui diversi Paesi, tra cui l’Italia, avrebbero chiesto misure alternative e meno rischiose: «Ha trapelato il buonsenso» ha commentato Meloni dopo l’annuncio del Consiglio, definendo la scelta più robusta «giuridicamente» e «finanziariamente».

La decisione del Consiglio è arrivata nella notte tra ieri e oggi, 19 dicembre, a margine dell’ultimo incontro dell’anno tra i capi di governo e di Stato UE. In un comunicato, il Consiglio scrive di avere avuto uno scambio con lo stesso Zelensky, con cui «ha fatto il punto sui lavori in corso per far fronte alle urgenti esigenze finanziarie dell’Ucraina per il periodo 2026-2027». Per tali due anni, si legge nel comunicato, l’UE presterà all’Ucraina 90 miliardi sulla base di «prestiti contratti dall’UE sui mercati dei capitali» sostenuti «dal margine di bilancio dell’UE». La nota termina affermando che il Consiglio «tornerà sulla questione nella sua prossima riunione».

Nelle ultime settimane, il tema dell’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina ha causato diversi scontri e dibattiti interni. Il principale Paese a opporsi alla misura era il Belgio, dove ha sede Euroclear, istituto di custodia finanziaria che detiene 185 miliardi in asset russi dei 210 congelati nell’Unione. Negli scorsi giorni era trapelata sui media la notizia che l’Italia – assieme a Bulgaria, Repubblica Ceca, Malta, Slovacchia e Ungheria – si fosse unita al Belgio nella lotta contro l’uso degli asset russi per finanziare l’Ucraina. I Paesi avrebbero mandato una lettera all’UE per chiedere di studiare metodi alternativi per finanziare Kiev. A mobilitarsi è stata anche la stessa Mosca, che ha chiesto un risarcimento di 200 miliardi a Euroclear. 

Manovra, nuova sorpresa: spunta la norma per favorire produzione e commercio di armi

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Sui banchi della commissione bilancio al Senato è spuntato un emendamento alla manovra finanziaria che punta a «rafforzare le capacità industriali della difesa». La legge prevede che i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture individuino tramite decreto «attività, aree e relative opere e progetti infrastrutturali per la realizzazione, l’ampliamento, la conversione, la gestione, lo sviluppo delle capacità industriali della difesa», introducendo la conversione delle aziende nei progetti definiti «di interesse strategico per la difesa nazionale». Le opere individuate ai sensi del nuovo emendamento sarebbero destinate alla produzione e al commercio di armi, materiale bellico e sistemi d’armi.

L’emendamento alla legge di bilancio è apparso negli ultimi giorni su proposta di cinque parlamentari appartenenti ai tre partiti di maggioranza. Il testo è composto da sole dieci righe: «Al fine di tutelare gli interessi essenziali della sicurezza dello Stato e di rafforzare le capacità industriali della difesa riferite alla produzione e al commercio di armi, di materiale bellico e sistemi d’arma, con uno o più decreti del Ministro della difesa di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate, anche con funzioni ricognitive e senza oneri a carico della finanza pubblica, le attività, le aree e le relative opere, nonché i progetti infrastrutturali, finalizzati alla realizzazione, ampiamento, conversione, gestione e sviluppo delle capacità industriali della difesa, qualificati come di interesse strategico per la difesa nazionale». L’emendamento, insomma, permette ai ministeri della Difesa e delle Infrastrutture di individuare progetti, attività e opere infrastrutturali (e non), utili a rilanciare produzione e commercio delle armi.

Il testo è stato duramente criticato dalle opposizioni, che hanno contestato tanto i contenuti della proposta quanto le tempistiche con cui è arrivata. Il Movimento 5 Stelle ha criticato il punto sulla «conversione di opere, attività e infrastrutture in direzione della produzione e commercio di armi», sostenendo che esso – e l’emendamento in generale – proverebbero che il cuore della manovra sarebbe proprio quello di aumentare le spese militari a scapito di quelle sociali. Analoghe critiche sono state lanciate da AvS, che ha parlato di «blitz» del governo per rilanciare l’industria bellica e «trasformare le fabbriche italiane in luoghi di produzione di armi». In effetti l’emendamento arriva a margine di una manovra che aumenta l’età pensionabile, favorisce i dirigenti, e si concentra prevalentemente sugli investimenti militari.

La questione del riarmo sta diventando sempre più centrale nel dibattito politico europeo, specialmente dopo che la NATO ha fissato i nuovi obiettivi militari dell’Alleanza, chiedendo a ciascun Paese di destinare al settore bellico il 5% del proprio PIL entro il 2035. A spingere per il rilancio della produzione è anche l’Unione Europea, che con il piano ReArm Europe (ora ribattezzatoReadiness 2030”, letteralmente “Prontezza 2030”) prevede di mobilitare 800 miliardi di euro in 5 anni. In questa cornice, la questione della conversione delle fabbriche sta iniziando a emergere in diversi Paesi, prima fra tutti la Germania. I settori maggiormente coinvolti nelle ipotesi di riconversione sono quelli delle auto e dell’aviazione. Anche in Italia il tema è stato affrontato, seppure in maniera ancora embrionale: a suggerire l’ipotesi della conversione del comparto auto – in crisi da tempo – è stato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che è tornato sul tema in due distinte occasioni.

Bulgaria, continuano le proteste: migliaia contro la corruzione

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Nella sera di ieri, 18 dicembre, migliaia di cittadini bulgari hanno protestato contro il governo uscente, chiedendo elezioni eque e una riforma giudiziaria per contrastare quello che descrivono come un sistema di corruzione endemico. La protesta si è concentrata nella capitale Sofia, ma è stata svolta in diverse altre città del Paese. Quella di ieri, è solo l’ultima manifestazione che il popolo bulgaro porta avanti negli ultimi giorni. Lo scorso 11 dicembre, i cittadini si sono mobilitati per contestare l’adozione della legge di bilancio, organizzando un ampia protesta che ha causato la caduta dell’esecutivo.

La Puglia sarà la prima regione ad avere un salario minimo nei lavori pubblici

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In Puglia il salario minimo nei lavori pubblici diventa legge. Con la sentenza n. 188 del 16 dicembre, la Corte costituzionale ha respinto il ricorso del governo contro la legge regionale che fissa a nove euro lordi l’ora la soglia minima di retribuzione negli appalti pubblici. Le censure sollevate da Palazzo Chigi sono state dichiarate inammissibili, consentendo l’entrata in vigore di una norma che lega l’accesso alle gare al rispetto di un livello salariale minimo. Un passaggio che assegna alla Puglia un primato nazionale e riporta al centro il tema del lavoro povero, sullo sfondo di un vuoto legislativo statale che continua a pesare come una frattura politica e istituzionale.

La legge regionale n. 30 del 2024 entra così a pieno titolo tra le misure di contrasto al lavoro sottopagato, stabilendo che le imprese aggiudicatarie di appalti regionali debbano garantire ai lavoratori una retribuzione minima tabellare non inferiore a nove euro l’ora. Il cuore della decisione della Consulta sta proprio qui: la Regione non interviene sulla disciplina generale dei rapporti di lavoro, materia riservata allo Stato, ma fissa criteri di qualità sociale per l’uso di risorse pubbliche. In altre parole, la Puglia decide come spendere i propri fondi e a quali condizioni, legando l’accesso agli appalti al rispetto di una soglia salariale ritenuta dignitosa. Una scelta che, secondo i giudici, non viola la contrattazione collettiva né l’assetto costituzionale delle competenze.

Dal punto di vista politico, la sentenza viene rivendicata come una vittoria simbolica e sostanziale. Il presidente uscente della Regione Puglia, Michele Emiliano ha definito la sentenza una “vittoria importantissima”. Per la giunta regionale è la conferma di una linea che punta a contrastare il lavoro povero, particolarmente diffuso proprio nel settore degli appalti, dove la competizione al ribasso sui costi spesso si traduce in salari insufficienti. La Puglia si presenta in tal modo come laboratorio di una politica del lavoro alternativa all’inerzia nazionale, dimostrando che esistono margini di intervento anche senza una legge statale sul salario minimo, tema da anni al centro del dibattito ma sistematicamente rinviato.

Nei Paesi dell’Unione Europea la maggior parte degli Stati membri dispone di un salario minimo nazionale, mentre in Italia la materia è rimasta appannaggio della contrattazione collettiva tra parti sociali e non vi è una soglia minima generale stabilita per legge. La scelta pugliese mostra una strada possibile: usare la leva degli appalti pubblici per fissare standard minimi e impedire il dumping salariale. Nei prossimi mesi la sfida sarà l’applicazione concreta della norma, tra controlli, adeguamenti contrattuali e resistenze del mondo imprenditoriale. Intanto, il segnale è stato lanciato: se lo Stato non decide, le Regioni possono cominciare a farlo.

BCE mantiene tassi di interesse invariati

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La Banca Centrale Europea ha mantenuto invariati i tassi di interesse per la quarta volta di fila dopo otto riduzioni consecutive. «I tassi di interesse sui depositi presso la banca centrale, sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale rimarranno invariati al 2,00%, al 2,15% e al 2,40%, rispettivamente», si legge in un comunicato della Banca. La BCE ha inoltre valutato che l’inflazione dovrebbe stabilizzarsi sull’obiettivo del 2% a medio termine.

I trattori contro la Commissione UE: in diecimila bloccano Bruxelles

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Le proteste degli agricoltori sono tornate a Bruxelles. Oggi in occasione dell’avvio dell’ultimo consiglio europeo dell’anno, migliaia di lavoratori hanno invaso le strade della capitale belga e si sono scontrati con la polizia, per contestare le politiche agricole comunitarie e l’accordo dell’UE con Mercosur, l’unione economica degli Stati sudamericani, a ora in fase di discussione per la ratifica finale. La Francia guida il fronte contrario all’accordo, e ha raccolto il sostegno della presidente Meloni che ha affermato che firmarlo così come scritto ora sarebbe «prematuro». La manifestazione è stata organizzata da Copa-Cogeca, un’alleanza tra le maggiori associazioni di categoria europee, e ha radunato circa diecimila agricoltori, oltre 1.000 dei quali arrivati a Bruxelles a bordo degli ormai simbolici trattori con cui da tre anni sfilano per le strade di tutta Europa. Giunti nel quartiere europeo, dove si trovano le istituzioni comunitarie, gli agricoltori hanno paralizzato le strade, incendiato copertoni, e ingaggiato scontri con le forze dell’ordine.

I trattori sono iniziati ad arrivare a Bruxelles da tutta Europa sin dall’alba. Da quanto comunicano i maggiori giornali belgi diverse linee di trasporto urbano su superficie sono state interrotte, mentre la polizia ha chiuso altrettante strade, specialmente quelle che circondano le sedi istituzionali nel quartiere europeo. I manifestanti si sono radunati in presidio alla Gare du Nord (la stazione ferroviaria); sin dalla mattina gruppi di agricoltori hanno provato a sfondare cordoni delle forze di polizia, che hanno fatto ricorso agli idranti; attorno alle 12:30, i manifestanti si sono mossi in corteo in direzione del quartiere europeo. Un folto gruppo si è fermato a Piazza Lussemburgo, piazza centrale nel quartiere, dove ha stabilito una sorta di centro di raduno permanente: qui i presenti hanno incendiato copertoni, danneggiato vetrine e ingaggiato scontri con la polizia provando ad avvicinarsi ai palazzi europei. I manifestanti hanno lanciato pietre, petardi e patate alla polizia che ha risposto con i gas lacrimogeni. Dopo ore di presidio, la polizia è entrata in piazza caricando i manifestanti.

La protesta di oggi è stata una delle maggiori manifestazioni di categorie degli ultimi anni. Gli agricoltori e gli allevatori contestano i tagli alla politica agricola comune previsti nel nuovo bilancio UE (stimati al 20%/25%), il suo programmato accorpamento con i fondi di coesione, i vincoli burocratici giudicati eccessivi e l’accordo con il blocco Mercosur. Quest’ultimo prevedrebbe una drastica riduzione dei dazi reciproci per diverse categorie di prodotti, tra cui proprio quelli del settore agricolo: secondo gli agricoltori l’accordo non contiene abbastanza tutele per i lavoratori del settore europeo, e finirebbe per avvantaggiare i prodotti esteri – soggetti a norme e controlli meno rigidi – sul mercato. Gli agricoltori chiedono maggiori finanziamenti al settore agricolo, una revisione degli accordi commerciali in vigore con gli altri Paesi e una riduzione delle importazioni dall’Ucraina, e deroghe alle norme ambientali; per quanto riguarda l’accordo con il blocco Mercosur, gli agricoltori chiedono maggiori tutele al settore con l’istituzione di meccanismi di salvaguardia in caso il mercato finisca per favorire i prodotti sudamericani, e l’istituzione di un meccanismo di reciprocità che permetta di importare solo i beni che seguono le medesime norme che si seguono in Europa.

La manifestazione di Copa-Cogeca non è l’unica che ha interessato l’Europa e le istituzioni europee nell’ultimo periodo. Ieri, gli agricoltori della Via Campesina, movimento dal basso che punta a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e sovranità alimentare, hanno organizzato una protesta presso l’aeroporto di Liegi per analoghi motivi. Gli agricoltori della Via Campesina, contrariamente alle corporazioni come Copa-Cogeca o l’italiana Coldiretti, chiedono uno stop alle deregolamentazioni dei meccanismi che regolano i mercati agricoli e gli standard di qualità, tracciabilità e sostenibilità, ritenendo che lo smantellamento di questo sistema sia un pretesto per promuovere nuovi accordi di libero scambio. Piuttosto che una riduzione dei vincoli, chiedono norme per regolamentare il mercato e maggiori sussidi e investimenti per i piccoli e medi imprenditori.

“Prepara la pace”: 500 organizzazioni lanciano la mobilitazione contro il riarmo

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Una vasta coalizione composta da 500 organizzazioni sociali, sindacali e politiche si unisce per opporsi alla «deriva bellicista» dell’Unione Europea e ai suoi piani di riarmo. La campagna «Stop ReArm Europe – Italia» tiene oggi, giovedì 18 dicembre, un’assemblea online dal titolo emblematico “Se vuoi la Pace, prepara la Pace“, prima tappa di un percorso che culminerà in un’assemblea nazionale a Bologna i prossimi 24 e 25 gennaio. Finalità dei promotori – tra cui Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Greenpeace e Arci – è creare una convergenza per fermare quella che definiscono una pericolosa spirale di militarizzazione, che sottrae risorse allo stato sociale e minaccia la pace stessa. Al centro della protesta c’è il piano europeo “Rearm Europe” (ribattezzato “Readiness 2030”), che prevede di mobilitare circa 800 miliardi di euro per gli armamenti.

L’assemblea odierna, in partenza alle ore 17, sarà articolata in sessioni tematiche, affrontando i diversi fronti della militarizzazione. Si parlerà del conflitto in Ucraina, del piano di riarmo europeo, della militarizzazione dei territori e delle produzioni, con interventi di rappresentanti di Acli, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Fiom Cgil e comitati locali come quelli di Colleferro e i No Tav. Una sezione specifica sarà dedicata alla «militarizzazione del sapere», con la partecipazione di Rete Studenti Medi e Unione degli Universitari, nell’ambito della quale nascerà un gruppo di lavoro permanente sui giovani e le scuole.

La preoccupazione dei promotori è che l’Europa, avviluppata nel conflitto ucraino e nonostante i massacri ai danni dei palestinesi a Gaza, abbia puntato esclusivamente sulla logica militare. «Non c’è tempo da perdere: convergiamo per fermare guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo», ha dichiarato Raffaella Bollini di Arci nazionale, spiegando che l’iniziativa si inserisce in un autunno di forte mobilitazione. «Lo diciamo dall’inizio: la guerra non è ineluttabile», ha aggiunto.

Il cuore della contestazione è il piano “ReArm Europe”, oggi “Readiness 2030”, che la Commissione Europea intende finanziare attivando flessibilità fiscali e un nuovo strumento di prestiti (SAFE). Secondo le organizzazioni promotrici, si tratta di una scelta miope e pericolosa. «Ci opponiamo al piano dell’UE di spendere 800 miliardi di euro in armi. Saranno 800 miliardi rubati. Rubati alle spese sociali, alla salute, all’educazione, al lavoro, alla costruzione della pace, alla cooperazione internazionale, alla transizione giusta e alla giustizia climatica», si legge nella piattaforma dedicata all’iniziativa.

La campagna sostiene che questi fondi andranno a beneficio esclusivo dei produttori di armi, renderanno la guerra più probabile e genereranno «più debito, più austerità, più frontiere», approfondendo il razzismo e alimentando la crisi climatica. Al contrario, la mobilitazione chiede un cambio di paradigma verso una «sicurezza reale, sociale, ecologica e comune». La petizione lanciata a livello europeo invita i parlamentari a fermare l’aumento dei bilanci militari e a dirottare le risorse verso welfare, sanità, educazione e giustizia climatica.

Il network di organizzazioni coinvolte sta costruendo collegamenti con movimenti analoghi in altri Paesi europei, dove la protesta sta crescendo. «Già in Germania c’è stata una poderosa manifestazione contro la reintroduzione della leva e sciopereranno di nuovo il 5 marzo», ricorda Bollini, evidenziando la dimensione transnazionale della resistenza al riarmo. L’appuntamento di Bologna di fine gennaio si prospetta quindi come il primo grande momento di convergenza nazionale di questa ampia e composita opposizione civile, che punta tutto su una strategia di costruzione della pace dal basso, contrapponendosi frontalmente e senza esitazioni alla logica degli investimenti militari.

Nel frattempo, però, in Commissione Europea tira tutt’altra aria. Secondo la presidente dell’organo, Ursula von der Leyen, l’Europa deve infatti prepararsi alla guerra ibrida e deve farlo in fretta. «L’Europa deve essere responsabile per la propria sicurezza: non è più un’opzione, ma un dovere – ha detto di fronte ai parlamentari europei -. Conosciamo le minacce che dobbiamo affrontare e le affronteremo. Dobbiamo sviluppare e dispiegare nuove capacità per poter combattere una guerra ibrida moderna». La minaccia è sempre la stessa: la Russia. L’unico modo per difendersi da un ipotetico attacco: più armi, più investimenti nella difesa. I famosi 800 miliardi del piano “Rearm”.

Accordo India-Oman: zero dazi su quasi tutti i beni

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India e Oman hanno firmato un accordo di partenariato economico per rilanciare il commercio bilaterale e gli investimenti, fronteggiando al contempo le tariffe statunitensi. L’Oman ha offerto all’India l’accesso a zero dazi su quasi tutti i prodotti in entrata, tra cui gemme, gioielli, prodotti tessili, farmaceutici e automobili. L’India taglierà a sua volta le tariffe su circa l’80% delle categorie di prodotti, in una mossa che interesserà il 95% dei beni provenienti dall’Oman. L’accordo è il primo patto commerciale dell’Oman dal 2006 e rafforza i rapporti tra l’India e il Golfo Persico.