martedì 16 Settembre 2025
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Al parlamento europeo saranno votate due mozioni di sfiducia contro von der Leyen

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Per la prima volta nella storia del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen si trova a dover fronteggiare due mozioni di sfiducia presentate a poche ore di distanza l’una dall’altra. La prima è arrivata mercoledì dal gruppo di estrema destra Patrioti per l’Europa, che ha annunciato di aver raccolto 85 firme, superando la soglia minima delle 72. Giovedì è stata la volta del gruppo di sinistra, che ha raggiunto le 72 firme (un decimo dei membri del Parlamento) necessarie per dare il via al processo. Entrambe le mozioni di censura hanno come obiettivo le dimissioni della presidente della Commissione e dell’intero Collegio dei Commissari, accusati di aver tradito il mandato politico dell’Unione. La discussione e il voto sono attesi per la plenaria di ottobre a Strasburgo. Le due iniziative condividono l’obiettivo di rovesciare la presidente della Commissione, ma divergono nelle motivazioni politiche. La loro presentazione quasi simultanea costringerà l’aula a discutere e votare entrambe le proposte nella stessa sessione, un evento senza precedenti nella storia dell’Eurocamera.

I Patrioti per l’Europa, il nuovo gruppo di estrema destra guidato da Jordan Bardella, hanno messo al centro della loro mozione di censura le accuse di fallimento sulla pace, sulla competitività e soprattutto sulle migrazioni, un tema centrale nella loro agenda. Il documento critica in particolare l’accordo di libero scambio con il Mercosur e il recente quadro commerciale con gli Stati Uniti, presentati da Ursula von der Leyen come passi avanti strategici. Per Bardella e la vicepresidente Kinga Gál, quegli accordi sono, invece, l’ennesima dimostrazione di una Commissione “subalterna a Washington e incapace di difendere l’agricoltura e le imprese europee”. Una mozione simile, sempre proveniente da deputati di estrema destra, è stata votata in Parlamento a luglio, con solo 175 deputati a favore, ben lontani dal raggiungere il numero minimo. Diverso, ma non meno duro, l’approccio della sinistra. La mozione presentata da The Left ha raccolto 72 firme, includendo oltre ai 46 deputati del gruppo anche esponenti dei Verdi – soprattutto spagnoli e italiani –, alcuni indipendenti come la sinistra radicale tedesca Sahra Wagenknecht Alliance e persino un eurodeputato dei Socialisti e Democratici, l’irlandese Aodhán Ó Ríordáin. Alla base c’è la denuncia di una tendenza autoritaria della Commissione, accusata di “far passare le cose con la forza” e di imporre intese commerciali “asimmetriche e non reciproche” senza mandato democratico. L’accordo con gli Stati Uniti viene bollato come un atto che riduce l’Unione a “vassallo di Donald Trump”, mentre quello con il Mercosur viene indicato come una minaccia “che non farà altro che uccidere l’agricoltura europea”. Il secondo pilastro della mozione riguarda la guerra a Gaza. La sinistra accusa la Commissione di aver voltato lo sguardo davanti a una tragedia che, secondo i firmatari, ha provocato oltre 60 mila morti. Manon Aubry, co-presidente del gruppo di sinistra, ha parlato di “incapacità di agire” e ha chiesto misure immediate: sospendere l’accordo di associazione con Israele, imporre sanzioni e avviare un embargo globale sulle armi. L’accusa è che l’esecutivo comunitario abbia lasciato l’Europa inerte davanti a una delle peggiori crisi umanitarie del secolo. La mozione aggiunge anche la critica per la gestione del clima e della crisi sociale interna, accusando la Commissione di incapacità e immobilismo. In entrambi i casi, la conclusione dei firmatari è identica: von der Leyen e i suoi commissari hanno perso legittimità politica e dovrebbero dimettersi.

Sul piano procedurale, i servizi giuridici del Parlamento dovranno verificare la validità delle firme e successivamente la presidente Roberta Metsola fisserà il dibattito in plenaria. Le mozioni saranno probabilmente discusse nella stessa settimana, a inizio ottobre. Per costringere la Commissione alle dimissioni occorrono, però, i due terzi dei voti espressi, una soglia che né l’estrema destra né la sinistra possono realisticamente raggiungere a meno che non uniscano le proprie forze. È improbabile, dunque, che i tentativi abbiano successo, anche perché la Sinistra ha già escluso di sostenere la mozione dei Patrioti, mentre il presidente dei Patrioti per l’Europa, Bardella, non ha chiuso la porta a un voto favorevole alla mozione opposta, spiegando che il suo partito Rassemblement National non ha problemi a votare testi provenienti da altre famiglie politiche, se ne condivide il contenuto. Al di là delle dichiarazioni, resta il nodo sulla guerra a Gaza che divide i due schieramenti. Criticata da destra e da sinistra, la Ursula von der Leyen affronta un passaggio che difficilmente metterà fine al suo mandato, ma che segna un indebolimento politico senza precedenti nella storia recente dell’Unione.

Brasile, Bolsonaro condannato a 27 anni di carcere per tentato colpo di Stato

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Jair Messias Bolsonaro, ex presidente del Brasile, è stato condannato dalla Corte Suprema a 27 anni e tre mesi di carcere per il tentativo di colpo di Stato del 2022 e per altri reati connessi. La sentenza, giunta l’11 settembre 2025, ha sancito la responsabilità diretta del leader della destra brasiliana in un piano volto a sovvertire i risultati elettorali e a impedire l’insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva. Dopo i giudici Cármen Lúcia, Alexandre de Moraes, e Flávio Dino, anche il presidente del collegio, Cristiano Zanin ha ritenuto il leader di destra colpevole di tutte le accuse. Bolsonaro, attualmente agli arresti domiciliari a Brasilia, potrà presentare ricorso contro la sentenza. Con quattro voti favorevoli e quello contrario del giudice Luiz Fux, la corte ha stabilito che Bolsonaro non solo ha alimentato le accuse infondate di brogli, ma ha orchestrato un vero e proprio progetto golpista insieme a ex ministri e vertici militari. È la prima volta nella storia del Paese che un ex Capo di Stato viene giudicato colpevole per aver attentato all’ordine democratico.

Il processo, noto come Acción Penal 2668, ha svelato un disegno preciso e organizzato. Non si trattava di semplici dichiarazioni incendiarie, ma di un piano strutturato che prevedeva la proclamazione dello stato di emergenza, il coinvolgimento delle forze armate e persino la pianificazione di arresti mirati e attentati contro figure di spicco della magistratura e delle istituzioni. Tra i condannati, oltre a Jair Bolsonaro, figurano nomi di primo piano del suo governo: l’ex ministro della Difesa Walter Braga Netto, il tenente colonnello Mauro Cid – testimone centrale dell’accusa –, l’ex comandante della Marina Almir Garnier, l’ex direttore dell’intelligence Alexandre Ramagem, i generali ed ex ministri Augusto Heleno e Paulo Sergio Noguera e l’ex ministro della Giustizia Anderson Torres. Il documento di 135 pagine diffuso dalla Corte Suprema è stato decisivo: ricostruisce come tra il 2022 e il 2023 Bolsonaro e i suoi alleati elaborarono decreti per annullare il voto, arrestare giudici come Alexandre de Moraes e Gilmar Mendes, fermare il presidente del Senato Rodrigo Pacheco e convocare nuove elezioni. Alcuni vertici militari, soprattutto nella Marina, si mostrarono pronti a sostenere il golpe, mentre esercito e aeronautica si opposero. Nei mesi precedenti al voto, Bolsonaro e i suoi ministri descrivevano la competizione elettorale come una guerra, accusando il sistema di voto elettronico di frodi mai provate. Nell’estate del 2022 il clima era già esplosivo. Il 19 novembre furono presentate le prime bozze di decreto golpista; il 7 dicembre Bolsonaro riunì i capi delle Forze Armate per convincerli ad agire. Il capo della Marina Garnier aderì, altri mostrarono resistenze, ma due giorni dopo il generale Theophilo de Oliveira promise di “prendere misure per garantire il colpo di Stato”. Parallelamente, le “milizie digitali” pro-Bolsonaro diffondevano campagne d’odio contro i vertici militari contrari, accusandoli di tradimento. Alla prova dei fatti, però, le forze armate non trovarono coesione. Il 30 ottobre 2022 Lula vinse al ballottaggio con il 50,9% contro il 49,1% e si insediò il 1° gennaio 2023, in una cerimonia disertata da Bolsonaro, già rifugiatosi negli Stati Uniti. Una settimana dopo, migliaia di suoi sostenitori assaltarono Parlamento, Corte Suprema e Palazzo presidenziale a Brasilia, devastando le sedi istituzionali. Quell’episodio, definito dalla magistratura l’ultimo disperato tentativo di fermare la transizione democratica, insieme alle prove raccolte dalla polizia federale, è stato determinante per la condanna dell’ex presidente e dei suoi complici.

Immediato è arrivato il commento di Donald Trump, che ha parlato di “condanna sorprendente”, affermando che quanto avvenuto al leader brasiliano è ciò che “hanno cercato di fare” con lui. Bolsonaro è stato a lungo visto non solo come un alleato politico del tycoon, ma come una sorta di “vassallo” della sua influenza: la sua presidenza si allineava alle priorità dell’amministrazione statunitense in modo quasi automatico. Per anni, Bolsonaro è stato presentato come simbolo del sovranismo e del populismo di destra, l’uomo che si opponeva al globalismo e si ergeva a paladino contro le élite e il globalismo, ma la sua traiettoria politica racconta ben altro: ha esaltato la dittatura militare e regimi autoritari come quelli di Pinochet e Fujimori, ha inizialmente difeso posizioni interventiste, salvo poi piegarsi al neoliberismo e alle logiche delle multinazionali. Durante la sua presidenza ha favorito l’agrobusiness e l’estrattivismo, aggravando deforestazione e disuguaglianze sociali, e ha stretto rapporti con figure come Elon Musk per l’accesso alle risorse strategiche del Paese. In politica estera ha oscillato tra l’allineamento a Washington e l’opportunismo dei BRICS, mostrando più sudditanza e calcolo che coerenza. Pur dipingendosi come oppositore del globalismo, Bolsonaro ha chiesto e ottenuto il sostegno degli Stati Uniti per l’ingresso del Brasile nell’OCSE, ha sostenuto Juan Guaidó contro Maduro in Venezuela, ha appoggiato Israele negando dignità statuale alla Palestina e nel 2019 si è detto favorevole a ospitare una base militare americana e ad aderire alla NATO. La condanna per il tentato golpe chiude così la parabola di un leader che ha usato lo Stato per perpetuare il proprio potere, rivelandosi parte del meccanismo che a parole voleva combattere. Intanto il Brasile, con Lula, sembra oggi aver imboccato una strada opposta, divenendo una spina nel fianco per gli Stati Uniti: rafforzando i legami con i BRICS e allontanandosi dall’orbita di Trump – soprattutto dopo la minaccia di dazi fino al 50% sulle merci brasiliane con lo scopo di punire le politiche interne e il trattamento giudiziario riservato a Bolsonaro – e si propone come attore centrale di un ordine multipolare che sfida la guerra commerciale e il protezionismo americani e cerca nuove alleanze strategiche al di fuori dell’egemonia a stelle e strisce.

Gaza, proseguono i raid israeliani: almeno 36 morti dall’alba

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Continuano i massacri israeliani nella Striscia di Gaza, dove dall’alba sono rimaste uccise almeno 36 persone. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa palestinese Wafa. Secondo la tv del Qatar Al Jazeera, 14 civili, tutti membri della stessa famiglia, sono morti quando la loro casa è stata colpita nella zona di Al-Tuwam, a nord di Gaza City. Tra le ultime vittime ci sono quattro persone uccise a Jabalia, nel nord di Gaza, e quattro uccise nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City. Secondo fonti mediche locali, nella giornata di ieri gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 53 persone, di cui 39 nella città di Gaza.

 

 

 

La Polonia schiera quarantamila soldati ai confini con Russia e Bielorussia

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La Polonia ha annunciato lo schieramento di circa quarantamila soldati lungo i confini orientali con la Bielorussia e la Russia. La decisione arriva alla vigilia delle esercitazioni militari congiunte Zapad-2025, che Mosca e Minsk conducono regolarmente e che, secondo Varsavia, rappresentano una minaccia diretta alla sicurezza nazionale. A questo si aggiungono le recenti violazioni dello spazio aereo polacco da parte di 19 droni non identificati, ma ritenuti “russi”, considerate un’ulteriore provocazione e un segnale che la tensione è destinata ad aumentare. Dopo aver invocato l’articolo 4 della NATO, il governo guidato da Donald Tusk ha motivato la mobilitazione come una misura difensiva. Il viceministro della Difesa, Cezary Tomczyk, ha ricordato come nel 2022 queste esercitazioni, per natura “offensive”, siano state di preparazione all’invasione in Ucraina. Contestualmente, Varsavia ha deciso di chiudere parzialmente il proprio spazio aereo, elevando lo stato di allerta interna.

Gli alleati hanno reagito in modo compatto. Il comandante supremo della NATO, il generale statunitense Alexus Grynkewich, ha comunicato al ministero della Difesa polacco un pacchetto completo di soluzioni di supporto. Londra ha annunciato la disponibilità a inviare uno squadrone di Typhoon, da integrare al sistema di difesa aerea dell’Alleanza. Berlino ha reso noto che estenderà e amplierà la propria missione di sorveglianza, aumentando a quattro gli Eurofighter schierati e prolungandone l’impiego fino a fine anno. Parigi, dal canto suo, ha deciso di mobilitare tre Rafale con l’obiettivo di rafforzare la protezione dello spazio aereo polacco. Per agevolare le operazioni radar, la navigazione civile nelle aree orientali sarà parzialmente limitata. A Bruxelles non si nasconde che l’incidente dei droni possa offrire lezioni da trarre, sebbene al momento il Cremlino abbia smentito che i droni sconfinati sul territorio polacco fossero russi. Tuttavia, la questione più spinosa resta quella delle regole d’ingaggio: impedire ai velivoli di entrare nello spazio aereo significherebbe agire oltre i confini dell’Alleanza, scenario che oggi nessuno sembra pronto ad avallare. Zelensky ha proposto la creazione di una task force congiunta ucraino-polacca per la protezione dei cieli, definita da alcuni diplomatici un passo avanti decisivo, ma al momento difficilmente realizzabile, soprattutto per la posizione prudente degli Stati Uniti. Donald Trump, pur condannando le incursioni, ha minimizzato parlando di un possibile errore e ribadendo l’intenzione di ridurre gradualmente l’impegno diretto americano in Europa. Il presidente americano vorrebbe, anzi, riaprire l’ambasciata statunitense in Bielorussia nel prossimo futuro, per normalizzare i rapporti e rilanciare le relazioni economiche e commerciali col Paese. In questo quadro di graduale disimpegno USA, il sostegno immediato a Varsavia di Londra, Berlino e Parigi assume un significato politico ancora maggiore. Intanto, la Polonia ha ottenuto la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, prevista per oggi pomeriggio a New York, per internazionalizzare l’accaduto e denunciare il comportamento del Cremlino.

La scelta di Varsavia mette in luce la fragilità del sistema di difesa europeo e atlantico. Le strutture non sono pienamente integrate, la protezione dello spazio aereo resta disomogenea e la gestione del contrasto ai droni evidenzia limiti tecnologici ed economici. Ne deriva un quadro instabile, in cui ogni esercitazione o violazione si traduce in motivo di allarme. La mobilitazione dei quarantamila soldati polacchi diventa così il simbolo di un’Europa che reagisce in modo frammentato, costretta a muoversi sotto pressione e incapace di dettare i tempi degli eventi. Resta tuttavia un punto decisivo: al momento non vi sono prove definitive che i droni caduti o sconfinati sul territorio polacco fossero russi. Prima ancora che venisse avanzata una prova, Tusk ha accusato la Russia di avere “aggredito” il Paese. L’affermazione si fonda sul richiamo a episodi analoghi precedenti, quando Varsavia aveva denunciato sconfinamenti russi nello spazio aereo utilizzati per colpire l’Ucraina o la caduta di droni sul territorio polacco. Da Mosca è arrivata una smentita netta. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che “nessun obiettivo russo ha colpito il territorio polacco”, definendo infondate le accuse di Varsavia. Peskov ha poi rimarcato che i leader dell’UE e della NATO accusano “quotidianamente” la Russia di varie provocazioni, “il più delle volte senza nemmeno cercare di presentare alcuna argomentazione”.

Sud Sudan, vicepresidente accusato di crimini contro l’umanità: sospeso

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Il vicepresidente del Sud Sudan, Riek Machar, è stato accusato di omicidio, tradimento e crimini contro l’umanità per il presunto coinvolgimento negli attacchi di una milizia etnica contro le forze federali a marzo. Lo ha dichiarato ieri il ministro della Giustizia del Paese. Poche ore dopo, il presidente Salva Kiir lo ha sospeso dall’incarico insieme al ministro del Petrolio, Puot Kang Chol, anch’egli accusato. Le decisioni acuiscono lo scontro tra i due principali blocchi politici, già contrapposti nella guerra civile del 2013-2018 che causò circa 400.000 vittime. Machar si trova agli arresti domiciliari da marzo per gli episodi di Nasir.

L’Europa si muove per ridurre gli sprechi alimentari e i rifiuti tessili

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Per la prima volta, il Parlamento europeo ha approvato misure vincolanti per diminuire entro il 2030 gli sprechi alimentari, con l'obiettivo di ridurre del 10% quelli esistenti nella produzione e trasformazione e del -30% pro capite quelli derivanti da commercio, ristorazione e famiglie, calcolati sulla media 2021-2023. Allo stesso tempo, l'Unione intende anche ridurre lo spreco di tessuti, introducendo nuovi sistemi di responsabilità estesa (EPR) a carico dei produttori. Gli Stati membri avranno 20 mesi di tempo, a partire dalla pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale dell'UE, p...

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Il governo ha approvato la riforma dei commercialisti

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge delega per riformare la professione di dottore commercialista ed esperto contabile. L’obiettivo è aggiornare la “carta d’identità” della categoria, valorizzandone le competenze multidisciplinari per adeguarle a un mercato in evoluzione. Le novità principali includono una riorganizzazione delle attività professionali e una revisione del tirocinio, che potrà essere svolto interamente durante il percorso di studi (triennale o magistrale), accelerando l’abilitazione. La riforma introduce anche norme per le società tra professionisti e rafforza l’obbligo di aggiornamento continuo, con focus su nuove aree come la crisi d’impresa.

Le mani di BlackRock sulle banche italiane: suo anche il 5% di Monte dei Paschi

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BlackRock, la più grande società indipendente di gestione degli investimenti al mondo, ha ufficializzato un nuovo passo nel sistema bancario italiano: il fondo statunitense detiene ora una partecipazione aggregata del 5,011% nel capitale di Monte dei Paschi di Siena. La quota, comunicata a Consob, è suddivisa in tre componenti: circa il 3,174% in azioni con diritto di voto, poco più dello 0,548% in titoli in prestito e l’1,289% in strumenti derivati regolati in contanti. Non si tratta, quindi, soltanto di una semplice esposizione azionaria, ma di un investimento strutturato che consente al gruppo di espandere e rimodulare la propria posizione. L’incremento è maturato nell’ambito dell’offerta pubblica di acquisto lanciata da MPS su Mediobanca, che ha rappresentato un’occasione strategica per consolidare la presenza del colosso americano in una fase cruciale del settore bancario italiano. La banca senese, ancora oggi simbolo di crisi, salvataggi pubblici e rinascita, è diventata una pedina fondamentale nella partita che riguarda Mediobanca e, di riflesso, l’intero equilibrio creditizio del Paese.

La quota del gigante della finanza internazionale non va interpretata come un dato isolato, bensì come il segnale del ruolo crescente che i grandi fondi internazionali hanno acquisito nelle assemblee e nei consigli delle principali istituzioni finanziarie nazionali. Nonostante non esercitino un controllo diretto, partecipazioni che oscillano intorno al 5% permettono di incidere nelle decisioni strategiche, influenzando politiche di fusione, governance e direzione industriale. BlackRock da tempo accumula quote nelle principali banche italiane: nel capitale di Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM e BPER il fondo americano compare tra i primi azionisti. In alcuni casi, le sue quote si attestano stabilmente sopra il 5% (è il caso di UniCredit), in altri fluttuano a ridosso della soglia che impone comunicazioni obbligatorie alla Consob. La logica è quella di una strategia a largo raggio: non puntare sul controllo diretto di un singolo istituto, ma distribuire partecipazioni tali da garantire voce in capitolo nell’intero settore. Una rete che, nel suo insieme, consente a BlackRock di essere interlocutore obbligato non solo per le banche, ma anche per i decisori politici e regolatori. Più in generale, la strategia di scalata al sistema bancario europeo rivela l’influenza di BlackRock, il cui obiettivo, come sollecitato da Larry Fink, è costruire «un sistema bancario europeo unificato», di fatto sotto il controllo del fondo stesso. Con questa mossa, la società mira a eliminare gli unici veri concorrenti presenti in Europa, ossia, i colossi bancari francesi. Questo processo deve essere inquadrato in un quadro geopolitico ed economico più vasto. Oggi, BlackRock gestisce patrimoni per oltre 10.000 miliardi di dollari e impiega oltre 21.000 persone distribuite in più di 30 Paesi, operando tramite decine di uffici sparsi nel mondo. Il fondo è tra i principali azionisti di molte grandi imprese occidentali e ha un ruolo determinante non solo nei mercati finanziari, ma anche nelle infrastrutture e nei settori strategici ed è capace di condizionare l’andamento dell’economia globale e di singoli Paesi. La sua forza di fuoco finanziaria è pressoché illimitata rispetto a quella degli Stati europei, soprattutto di quelli del Sud, ancora piegati da decenni di austerità e da bilanci pubblici fragili. È proprio questa debolezza a offrire opportunità: governi alla ricerca disperata di capitali freschi per coprire i proprio deficit aprono le porte a fondi e colossi che arrivano con risorse enormi e capacità di penetrazione globale.

Il nostro Paese non fa eccezione: anzi, rappresenta uno dei terreni più fertili di questa avanzata. I grandi fondi d’investimento non si limitano al settore bancario: operano acquisizioni e consolidamenti in comparti strategici come l’energia, la tecnologia, i trasporti, l’aerospazio, la difesa e la sicurezza. L’Italia, indebolita da anni di austerità, è diventata così un territorio di caccia privilegiato, dove capitali stranieri si appropriano di quote crescenti delle infrastrutture e delle industrie considerate vitali. A fronte di bilanci fragili e della necessità di attrarre capitali, il governo italiano stende tappeti rossi, offrendo agevolazioni e corsie preferenziali che arrivano fino a Palazzo Chigi. Così, l’afflusso di risorse garantisce stabilità ai mercati e sostiene operazioni complesse come l’OPA su Mediobanca, ma al prezzo di una progressiva cessione di sovranità economica. Il caso Monte dei Paschi mostra come la combinazione tra crisi interne e potenza finanziaria esterna stia ridisegnando gli equilibri del credito nazionale. La presenza di fondi americani appare una garanzia di solidità, ma mette in discussione la reale capacità dell’Italia di orientare il futuro del proprio sistema economico.

Le imbarazzanti ambiguità della Commissione Parlamentare Antimafia

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La presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo, in occasione del 33esimo anniversario della strage di via D’Amelio, ha dichiarato: «Dico la verità: sono pilotata da quelli che non hanno alcun interesse personale sulle stragi; da quelli che non difendono il loro status quo e la loro carriera, sono pilotata dagli unici che sono così, i figli del giudice Borsellino». Parole espresse per rispondere all’ultima inchiesta della trasmissione RAI Report, che, grazie a un investigatore anonimo, ha rivelato come l’ex ufficiale del ROS Mario Mori – finito coinvolto in numerosi processi, tra cui...

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Gaza: dopo due anni di genocidio il parlamento UE prende posizione, senza dire quasi nulla

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«Il Parlamento chiede aiuti per Gaza, il rilascio degli ostaggi e giustizia»; è questo il titolo del comunicato con cui l’Eurocamera ha annunciato una delle sue prime mozioni sulla Palestina. Il contenuto della risoluzione aggiunge poco più di quanto anticipato dal titolo: i deputati «esprimono seria preoccupazione» per la situazione a Gaza, condannano il blocco degli aiuti da parte di Israele e chiedono agli Stati membri di «valutare» il riconoscimento della Palestina. La mozione arriva il giorno dopo la prima proposta di contromisure verso Israele da parte della Commissione, che chiederebbe l’imposizione di sanzioni verso estremisti israeliani, e la sospensione parziale del commercio con Israele. Se la proposta di von der Leyen è «troppo poco», come commentato dalla Relatrice Speciale ONU la Palestina, Francesca Albanese, quella dell’Eurocamera è sulla stessa linea. La mozione è una delle prime a essere approvata dagli eurodeputati e arriva dopo due anni di massacri, crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale, la cui responsabilità viene in ultima istanza ancora attribuita ad Hamas. La mozione per Gaza è stata votata oggi, giovedì 11 settembre. Il testo della risoluzione è stato approvato con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astensioni. In sede di votazione, il governo italiano si è spaccato: Forza Italia è andata contro quanto è solita professare in patria, approvando la mozione; Fratelli d’Italia si è astenuta e la Lega ha votato contro. Anche i partiti di opposizione hanno votato disgiuntamente: il PD ha votato a favore, i Cinque Stelle e i Verdi hanno votato contro e Ilaria Salis, esponente di Sinistra italiana, si è astenuta. Nonostante il testo della mozione non sia ancora disponibile integralmente, il comunicato stampa del Parlamento ne illustra dettagliatamente il contenuto. La chiave di lettura con la quale l’Eurocamera inquadra la situazione a Gaza è evidente sin dal primo paragrafo della risoluzione. “Diritto di Israele all’autodifesa”; dopo 68mila uccisioni dirette e centinaia di migliaia di possibili morti indirette, insomma, la priorità è la condanna ad Hamas: gli ostaggi, si legge nella mozione, devono essere rilasciati «incondizionatamente» e il gruppo va sanzionato. Dopo avere parlato dei «crimini barbari» di Hamas, la mozione accoglie le proposte della presidente della Commissione von der Leyen, mostrandosi aperta a muovere sanzioni contro coloni e ministri estremisti israeliani (in particolare contro il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich) e a sospendere «parzialmente» l’accordo UE-Israele in materia commerciale. L’annuncio di von der Leyen era stato duramente criticato dalla Relatrice Speciale ONU per i Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese: «Troppo poco, troppo tardi, intollerabilmente insufficiente secondo il diritto internazionale», ha commentato la relatrice. «Gli Stati dell’UE devono imporre un embargo totale sulle armi, sospendere il commercio (incluso HorizonEU), perseguire i presunti criminali e inviare una flotta per rompere l’assedio. Niente di meno». Nessuno di questi temi è davvero affrontato nella mozione parlamentare, così come non è stata fatta menzione del mandato d’arresto contro il primo ministro Netanyahu, che è stato ignorato dall’Ungheria, e che molti altri Stati hanno annunciato che non avrebbero rispettato. La mozione del Parlamento, infine, impegna l’UE a muoversi per implementare la cosiddetta soluzione dei due Stati, e invita i Paesi membri a valutare un eventuale riconoscimento dello Stato di Palestina. Anche in questo caso, le parole usate da Albanese per commentare la proposta von der Leyen sembrano puntuali: lo Stato che l’Eurocamera invita a riconoscere, infatti, è una Palestina «completamente smilitarizzata», e governata dall’Autorità Nazionale Palestinese. Essa, insomma, non sembra differire in alcun modo da quella Palestina che il presidente francese Macron ha annunciato che avrebbe riconosciuto in occasione dell’apertura del prossimo ciclo dell’Assemblea Generale dell’ONU: uno Stato, come suggerito dallo stesso presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, disarmato e soggetto a riforme orientate dall’esterno e alla supervisione politica e militare di terzi. Il Parlamento UE, insomma, ha invitato a riconoscere la Palestina senza fare nulla per farla esistere; eppure, la sua posizione risulta ben più impegnata di quella dell’Italia, che dopo due anni di genocidio non ha ancora fatto menzione di possibili sanzioni, di un eventuale riconoscimento della Palestina, o della possibilità di interrompere i rapporti commerciali con Israele, preferendo continuare a fare affari con lo Stato ebraico.