In Birmania, un raid aereo attribuito alla giunta militare ha colpito l’ospedale generale di Mrauk-U, nello Stato occidentale di Rakhine, uccidendo almeno 33 persone e ferendone 58, secondo operatori umanitari sul posto. L’attacco è avvenuto mentre la giunta intensifica la sua offensiva militare in vista delle elezioni fissate per il 28 dicembre, cercando di riconquistare territori controllati dai ribelli, incluso l’Arakan Army. La comunità internazionale ha espresso profonda preoccupazione per le crescenti violenze contro i civili nel contesto della guerra civile in corso dal colpo di Stato del 2021.
Diffuso il nuovo piano per la pace in Ucraina: i dettagli
Sovranità nazionale, confini protetti da garanzie di sicurezza internazionali, ingresso nell’Unione Europea e un sostanzioso piano di investimenti americani ed europei per permettere la ricostruzione. Sarebbero questi, a grandi linee, alcuni dei 20 punti che costituirebbero il nuovo piano per la pace tra Ucraina e Russia, che sarebbe al momento in discussione. A fornire i dettagli è il Washington Post, che cita funzionari europei, ucraini e americani. L’accordo si comporrebbe di tre documenti: il piano di pace vero e proprio, le garanzie di sicurezza e un piano di ripresa economica. Nella serata di ieri, il presidente ucraino Zelensky ha confermato di aver incontrato l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, insieme ad altri funzionari americani, per discutere alcuni dettagli del piano di ricostruzione dell’Ucraina.
Secondo quanto anticipato da funzionari americani e ucraini al giornalista David Ignatius, il piano prevedrebbe l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea entro il 2027. La rapidità del processo preoccuperebbe alcune cariche UE, ma Trump riterrebbe che in questo modo si potrebbe aggirare una eventuale opposizione dell’Ungheria. In particolare, secondo i funzionari, l’ingresso nell’Unione permetterebbe di controllare e contrastare la «cultura della corruzione» nelle istituzioni ucraine. Stati Uniti ed Europa dovrebbero poi siglare piani separati per quanto riguarda le garanzie di sicurezza a Kiev in caso la Russia violasse il patto di pace. I dettagli sarebbero ancora in via di definizione (anche quelli riguardanti le tempistiche di un eventuale intervento UE), ma Zelensky starebbe insistendo affinchè gli USA firmino il piano e lo facciano ratificare dal Congresso. Un altro punto in discussione riguarderebbe i limiti posti all’esercito ucraino: vi sarebbe infatti la volontà di aumentare il numero massimo da 600 mila unità, inizialmente proposto dagli Stati Uniti, a 800 mila (che, commenta il WP, «sarà a malapena quello che rimarrà all’Ucraina dopo la guerra»). In ogni caso, a supportare l’esercito dovrebbero esservi anche altri organismi, come la Guardia Nazionale.
Lungo la linea di cessate il fuoco, dal Donetsk a Zaporizhzhia fino a Kherson, dovrebbe essere poi stabilita una zona demilitarizzata. Oltre questa linea (DMZ), vi dovrebbe essere un’ulteriore zona dove verrebbe proibita la presenza di armi pesanti e posta sotto stretto controllo, sul modello della linea divisoria tra Corea del Nord e del Sud. Per quanto riguarda uno dei punti dolenti e «irrinunciabili» delle trattative, ovvero lo «scambio di terre», USA e Ucraina starebbero ancora discutendo le modalità: la Russia vorrebbe infatti che Kiev rinunciasse a circa il 25% del Donetsk e gli USA starebbero insistendo nel dire che l’Ucraina li perderà in ogni caso sul campo nel giro dei prossimi sei mesi, motivo per il quale dovrebbe accettare ora di cedere le terre, limitando ulteriori perdite. Per quanto riguarda l’impianto nucleare di Zaporizhzhia, il più grande d’Europa, questo dovrebbe passare sotto controllo statunitense – condizione accolta favorevolmente da alcuni funzionari ucraini, che riterrebbero la presenza americana un deterrente per la Russia in caso di eventuale attacco.
Infine, gli investimenti statunitensi ed europei costituirebbero la base per la ricostruzione del Paese una volta finito il conflitto. Nelle conversazioni, oltre alla Banca Mondiale, è stato coinvolto anche Larry Fink e il suo piano di sviluppare un fondo per lo sviluppo dell’Ucraina. Proprio ieri, l’AD di BlackRock ha incontrato Zelensky, insieme al segretario del Tesoro USA Scott Bessent e il genero di Trump, l’uomo d’affari Jared Kushner, in quello che «potrebbe essere considerato il primo incontro del gruppo che lavorerà a un documento riguardante la ricostruzione e la ripresa economica dell’Ucraina». In questa sede, avrebbero anche discusso dei «20 punti del documento quadro per porre fine alla guerra». Questi punti, dichiara Zelensky, rappresentano «un documento fondamentale» per porre fine alla guerra. Da questo documento «se ne stanno sviluppando almeno altri due», uno riguardante la sicurezza («in particolare le garanzie di sicurezza con gli Statit Uniti»), l’altro riguardante i piani di ricostruzione, nella quale «sarà coinvolta anche l’Europa».
Caso David Rossi, svolta in Commissione d’inchiesta: «La pista è l’omicidio»
David Rossi non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato buttato giù dal terzo piano di Rocca Salimbeni, sede di MPS, a due passi da Piazza del Campo. A sgombrare definitivamente il campo su quello che è successo la sera del 6 marzo 2013 a Siena, nel sancta sanctorum della più importante banca italiana, è un colonnello dei carabinieri del RIS che ha collaborato con la Commissione parlamentare d’inchiesta bis insieme al medico legale Robbi Manghi. Nell’audizione plenaria, i due consulenti hanno anticipato e illustrato gli esiti della perizia da loro curata nei mesi scorsi – la Commissione di inchiesta è stata istituita nel marzo 2023 – e che, secondo loro, porta in modo inequivocabile a parlare di “pista dell’omicidio”.
Il capo della comunicazione di Monte Paschi, 52 anni, non è quindi precipitato dal suo ufficio al quartier generale della banca, non si è buttato nel vuoto per farla finita: qualcuno lo ha prima tenuto sospeso sul vicolo e poi mollato giù. Questa è la convinzione non solo degli esperti che hanno svolto accertamenti e rilievi, elaborando la nuova perizia, ma anche della Commissione stessa che, nella persona del suo presidente, l’avvocato (penalista) Gianluca Vinci, si è espresso in modo altrettanto perentorio: «La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di altro reato, sicuramente l’hanno tenuto appeso fuori dalla finestra e le lesioni che ha sul polso sono state create o perché in maniera estorsiva volevano esporlo fuori dalla finestra per spaventarlo e poi ritirarlo all’interno, oppure è stato lasciato andare, in ogni caso si può comunque parlare di omicidio».
Lesioni non compatibili
Nel dettaglio, come ha spiegato il tenente colonnello Gregori, l’attenzione dei consulenti si è focalizzata sull’orologio di David Rossi che è piombato al suolo spezzato, in due momenti diversi. Prima la cassa, poi il cinturino. L’ipotesi fatta è che l’uomo sia stata letteralmente sospeso nel vuoto, dalla finestra, e che nel farlo gli siano state procurate tre lesioni, o meglio ferite, sul polso sinistro dove portava l’orologio. I sopralluoghi effettati nel vicolo Monte Pio, dove è precipitato David Rossi, sono stati svolti sulla dinamica del volo fatale, sulla tenuta del cinturino che si è spezzato, staccandosi dalla casa, e sulla natura delle lesioni riportate dal Rossi. E’ un dato di fatto che il responsabile comunicazione MPS non avesse quelle lesioni quando è entrato in ufficio quel giorno e le lesioni stesse non sono state causate dalla caduta. E le ferite al braccio repertate sul cadavere di Rossi sono in effetti difficilmente compatibili con quelle di una persona che decide di commettere un suicidio lanciandosi dal terzo piano.
“Lo tenevano per il polso e poi lo hanno fatto cadere”
«La perizia è molto chiara: le ferite sul polso e l’esame del video mostrano come l’orologio non fosse più al polso al momento della caduta e che, di fatto, non si possa più parlare di suicidio» ha aggiunto il presidente Vinci specificando che «grazie all’impegno e all’attività investigativa dei RIS è stato riesaminato il filmato e si vede che la cassa dell’orologio casca prima e il cinturino dopo, quindi lui cade al suolo con il polso completamente lacerato ma questo non può essere dovuto dall’impatto a terra». Che David Rossi non fosse solo al momento di cadere da Rocca Salimbeni, così come fino adesso era stato detto e scritto, tanto da portare all’archiviazione delle indagini sulla sua morte, lo ha ribadito anche il tenente colonnello Gregori: «Il dato certo è che quando David Rossi è precipitato qualcuno lo teneva per il polso sinistro appeso al balcone, era appeso al balcone con qualcuno che lo sorreggeva, almeno nell’ultimo istante, e lo teneva per il polso sinistro provocando le lesioni e il distacco dell’orologio».
Serata di morte e di misteri
Il punto fermo di queste risultanze investigative e peritali, quindi, è che in buona sostanza Rossi sia stato tenuto per il braccio e sospeso nel vuoto, prima di essere letteralmente mollato per poi cadere rovinosamente al suolo. E quindi che non fosse solo al momento dei fatti, come era stato sostenuto fino adesso. Va anche ricordato che la parte finale del suo volo, la caduta sul selciato e la sua agonia di oltre venti minuti, e quanto accaduto quella sera è stato ripreso dalle videocamere collocate dietro al palazzo MPS. La numero sei, in particolare, fa vedere tra l’altro due uomini avvicinarsi al corpo riverso per terra, guardarlo, guardarsi in giro e poi scomparire. E’ solo una delle tante anomalie di quello che è stato definito suicidio anomalo e poi giallo, prima di diventare – grazie al lavoro della Commissione del presidente Vinci – un caso da valutare sotto alla luce dell’omicidio. Organo bis perché creata dopo che una prima Commissione era già stata istituita, e forse una delle prime nella storia repubblicana, se non la prima in assoluto, che porta elementi concreti per fare luce su un caso e su un mistero italiano, a differenza di (quasi) tutti gli organismi parlamentari che in precedenza hanno cercato inutilmente di fare luce sui tanti misteri e dolori di questo Paese nel dopoguerra. Non a caso, ha detto qualcuno, «se in questo Paese vuoi insabbiare qualcosa, crea una commissione».
Guardia di Finanza a Rocca Salimbeni
La morte di David Rossi è una vicenda costellata di elementi mai chiariti e di indizi che non hanno trovato un approfondimento giudiziario e rientra in una vicenda molto più grande, che all’epoca dei fatti riguardava MPS, il colosso bancario senese che aveva il fiato sul collo della Guardia di Finanza per le indagini sull’acquisizione di Banca Antonveneta e della quale si parlava di scandali con sospetti di bancarotta. I finanzieri avevano perquisito casa e ufficio di David Rossi, che non era indagato, oltre a quelle del presidente, Giuseppe Mussari e del direttore generale Antonio Vigni. La sera dei fatti, peraltro, sono successe cose molto strane proprio nell’ufficio di Rossi, che aveva mandato una mail nel corso di quella stessa giornata annunciando il suo suicidio, se non fosse stato aiutato. Un particolare sull’autenticità del quale sono stati sollevati molti dubbi, così come ci si è chiesti a lungo come mai non siano mai stati fatti accertamenti ematici e biologici sui fazzoletti intrisi di sangue e trovati nella stanza della vittima. In quel contesto, tra l’altro, le dichiarazioni del comandante provinciale dei carabinieri, Pasquale Aglieco, rilasciate alla precedente Commissione parlamentare, hanno scatenato a suo tempo polemiche e veleni, oltre a porre le premesse per un’inchiesta giudiziaria che ha riguardato nientemeno che tre pubblici ministeri. Aglieco infatti ha ricordato che quella sera, per caso, si è trovato a passare nelle vicinanze del vicolo – dove erano in funzione dodici telecamere, anche se una sola ha ripreso i fatti –, ha riconosciuto il corpo di Rossi a terra e ha gestito nei primi momenti la situazione. Ha raccontato, anche, che tre pm – che indagavano sui fatti della banca – sono stati nell’ufficio di Rossi prima dell’arrivo degli inquirenti, e la mancata verbalizzazione di questo particolare, oltre ad altri fatti, ha portato la procura di Genova ad aprire un fascicolo – poi archiviato – proprio sui tre pm per falso ideologico aggravato e omissione del sopralluogo.
Nuova inchiesta
Una serie di circostanze mai chiarite e che hanno reso impossibile squarciare il velo plumbeo intorno alla fine del responsabile comunicazione MPS, ma che ora potrebbero essere rivalutate e di nuovo verificate se sarà accolta la richiesta dei familiari di riaprire la vicenda e procedere ad una nuova inchiesta. Tutto da rifare e tutto da capire, quindi, dopo 12 anni e tra l’altro un coprifuoco mediatico che aveva sbrigativamente tacitato i tanti dubbi su un suicidio che è apparso da sempre molto strano. Perché se sembra ormai assodato che David Rossi non si sia suicidato, restano da chiarire i motivi per i quali potrebbe essere stato ucciso: se c’è un delitto, ci deve essere per forza anche un movente.
Libano: attacco israeliano sull’UNIFIL
Israele ha attaccato un’altra volta i soldati dell’UNIFIL, la missione dell’ONU in Libano. L’attacco ha preso di mira i veicoli di un gruppo di caschi blu che pattugliava il confine che separa Israele dal Libano meridionale. I membri dell’UNIFIL sono stati attaccati dai soldati dell’IDF a bordo di un carro armato, i quali hanno sparato una raffica di mitragliatrice da dieci colpi contro i loro veicoli; i soldati israeliani hanno sparato altre quattro raffiche da altrettanti colpi nelle vicinanze del convoglio. Sia i peacekeeper che il carro armato dell’IDF si trovavano in territorio libanese, dove da oltre un anno vige un cessate il fuoco. Non sono stati registrati feriti.
“Scintille” nelle periferie: Trieste premiata per la rigenerazione urbana e sociale
L’iniziativa di rigenerazione urbana delle periferie del Comune di Trieste, condivisa e partecipata, è stata premiata perché il progetto “Scintille” è tra le migliori buone pratiche italiane di sviluppo sostenibile. L’obiettivo non è solo la riqualificazione fisica (spazi pubblici, aree verdi, connessioni, infrastrutture), ma anche – e soprattutto – una rigenerazione sociale e comunitaria: qualità della vita, partecipazione attiva dei cittadini e valorizzazione dell’identità di quartiere.
E così a fine ottobre il comune di Trieste è stato insignito dall’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) di un “Attestato di buona pratica territoriale per un’Italia più sostenibile” dopo aver vagliato ben 224 azioni di buone pratiche messe in moto in tutta Italia. La motivazione del premio riguarda “l’approccio metodologico” del progetto, in particolare la capacità di valorizzare le peculiarità dei territori e delle comunità coinvolte, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
A novembre si è tenuta una conferenza stampa in cui il comune ha illustrato lo stato dell’avanzamento, spiegando che è terminata la fase di ascolto con cittadini e associazioni locali. Ora si passa alla definizione delle priorità e a un “piano integrato degli interventi” da portare in Giunta, presumibilmente entro febbraio 2026. Grazie a un bando regionale nell’ambito della legge del Friuli Venezia Giulia per rigenerazione urbana, la città ha ottenuto oltre 2 milioni di euro come primo passo verso la realizzazione, mentre la progettazione preliminare è già stata affidata a due studi di architettura.
La visione è quella di non limitarsi ad un intervento edilizio isolato, per provare invece a ricostruire l’identità e la dimensione sociale dei quartieri, incentivando partecipazione, appartenenza, coesione, servizi, spazi condivisi, in un approccio integrato che è spesso indicato dagli esperti come modello avanzato di rigenerazione urbana. Il percorso di ascolto realizzato negli ultimi mesi, che ha coinvolto residenti, associazioni e istituzioni locali, ha permesso di individuare con precisione le criticità del territorio e di raccogliere bisogni e richieste da includere nel quadro degli interventi. A partire da questo lavoro sono stati definiti gli obiettivi strategici e identificate le “Aree Bersaglio”, ovvero le zone che saranno oggetto delle future proposte e iniziative di rigenerazione urbana, a partire dalle zone periferiche di San Giacomo, Valmaura e Giarizzole.
Sono in programma la riqualificazione di piazze, aree verdi e percorsi pedonali, la creazione di nuovi spazi pubblici per giovani, famiglie e attività culturali, oltre al potenziamento dell’illuminazione, dell’arredo urbano e della mobilità dolce. Il progetto include anche interventi per la sicurezza, l’accessibilità e la resilienza climatica, insieme all’attivazione di programmi socio-educativi e culturali che rafforzino la coesione comunitaria. L’obiettivo finale è quello di dar vita a quartieri più vivibili e connessi, valorizzando il ruolo dei cittadini in tutto il processo.
Iran, attacchi nel Belucistan: 3 guardie rivoluzionarie morte
Oggi nella provincia iraniana sudorientale del Sistan e Belucistan, situata vicino al confine con il Pakistan, si è verificato un attacco ai danni di membri della Guardia Rivoluzionaria, in seguito a cui sono morti tre pasdaran. Da quanto comunicano i media iraniani, i membri dei pasdaran sono caduti in una imboscata mentre pattugliavano un’area montuosa nei pressi della città di Lar. Nessun gruppo ha ancora reclamato l’attacco. L’area del Belucistan è spesso teatro di scontri e attacchi da parte di gruppi separatisti attivi tanto in Iran quanto in Pakistan.
La pace di Trump tra Thailandia e Cambogia è già finita: mezzo milione in fuga
In meno di due mesi dalla tregua mediata da Donald Trump a Kuala Lumpur, la pace fra Thailandia e Cambogia è già crollata: oltre 500 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni dopo i nuovi scontri al confine. Lunedì la Thailandia ha lanciato attacchi aerei sulla vicina Cambogia, con entrambe le parti che si incolpano per i rinnovati combattimenti sul confine conteso. L’escalation militare tra i due Paesi rientra in una storia di rivalità pluridecennale sulla demarcazione coloniale dei loro 800 chilometri di confine e sulla sovranità rivendicata su alcuni templi.
Gli scontri di questa settimana sono i più sanguinosi dai cinque giorni di combattimenti di luglio, che hanno causato 43 morti e circa 300 mila sfollati su entrambi i lati del confine, prima che fosse concordata una tregua precaria mediata dagli Stati Uniti. Il 26 ottobre le due parti avevano firmato un accordo di cessate il fuoco, sotto l’egida di Trump. Una tregua fragile che si è sgretolata in poche settimane, con gli scontri che si sono estesi a nuove aree del confine, costringendo a un esodo di massa di civili. Bangkok e Phnom Penh si incolpano a vicenda per la ripresa dei combattimenti, che il 9 dicembre si sono estesi a cinque province dei due Paesi. Lunedì l’esercito thailandese ha colpito con raid aerei le postazioni cambogiane lungo il confine. Phnom Penh denuncia almeno quattro civili uccisi, Bangkok parla di un soldato morto e rivendica azioni difensive. I governatori delle province di frontiera hanno annunciato l’evacuazione di decine di migliaia di persone. In molte zone si segnalano code chilometriche e fughe disperate, con famiglie che abbandonano ogni bene. «I civili hanno dovuto evacuare in gran numero a causa di quella che abbiamo valutato come una minaccia imminente alla loro sicurezza. Oltre 400 mila persone sono state trasferite in rifugi sicuri» in 7 province, ha spiegato ai giornalisti il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri. In Cambogia, «101.229 persone sono state evacuate in rifugi sicuri e presso le case dei parenti in 5 province», ha dichiarato invece la portavoce del ministero della Difesa Maly Socheata.
Il conflitto fra Thailandia e Cambogia non è una novità: la disputa su quella frontiera si trascina da un secolo e riguarda soprattutto aree contese in base a vecchie mappe coloniali, con al centro siti di grande valore storico e simbolico. Le violenze di confine più gravi risalgono proprio agli scontri intorno al tempio di Preah Vihear tra il 2008 e il 2011, che causarono almeno 28 morti e costrinsero all’evacuazione di decine di migliaia di residenti locali. Nel corso degli anni, la contesa ha ripetutamente alimentato sentimenti nazionalistici in entrambi i Paesi e ciclici scontri armati. La tregua di ottobre, raggiunta grazie all’intervento del presidente degli Stati Uniti e agli sforzi diplomatici di Cina e Malesia, sembravano aver rappresentato un raro successo, tantoché la Cambogia aveva persino candidato Trump al Premio Nobel per la Pace. L’accordo prevedeva la riduzione delle truppe lungo il confine, il dispiegamento di osservatori e l’accelerazione delle operazioni di sminamento. Tuttavia, il patto era apparso in bilico già il mese scorso, quando la Thailandia ne aveva sospeso l’attuazione accusando la Cambogia di aver piazzato nuove mine nelle aree contese.
Ora, il ritorno dei bombardamenti chiude brutalmente quella che Trump aveva presentato come una pace storica. Di fronte all’escalation, la comunità internazionale ha lanciato appelli al contenimento. Giorni fa il segretario di Stato americano Marco Rubio aveva invitato entrambe le parti a rispettare gli impegni presi a Kuala Lumpur, chiedendo la rimozione delle armi pesanti dal confine, il coordinamento della rimozione delle mine terrestri e altre misure. Sul campo, tuttavia, le posizioni rimangono rigide. Durante un evento politico in Pennsylvania, il presidente statunitense ha commentato la ripresa degli scontri, annunciando di dover fare una telefonata «per far finire la guerra». «Ho risolto otto guerre, inclusa quella fra Thailandia e Cambogia, che oggi hanno ripreso. Domani le chiamerò. Chi può fare una telefonata e risolvere una guerra?», ha ribadito Trump.










