giovedì 18 Aprile 2024

Il Mali ribolle contro il neocolonialismo francese

Il 14 gennaio scorso migliaia di maliani sono scesi per le strade della capitale Bamako per protestare contro le sanzioni economiche imposte al Mali dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS). La protesta si è unita alle storiche proteste contro il colonialismo francese, con molte persone che reggevano un cartello con la scritta “Morte ai francesi e ai loro alleati”. La decisione di imporre sanzioni da parte di ECOWAS, con l’appoggio di Stati Uniti e Unione Europea, era stata presa in risposta alla proposta della giunta militare di posticipare le elezioni al dicembre 2025 invece che nel mese di febbraio come inizialmente previsto. Dal 2020, il Mali è governato dal Comitato nazionale per la salvezza del popolo, una giunta militare capeggiata da Assimi Goïta, che tramite un colpo di stato aveva rimosso l’allora presidente Boubacar Keita.

Keita, morto il 16 gennaio a 76 anni, era stato eletto per la prima volta nel 2013 e poi una seconda nel 2018. Abusi, corruzione, instabilità e un costante declino dell’economia sono stati i principali fattori che hanno accresciuto il malcontento popolare e diminuito la popolarità di Keita, portando al colpo di stato da parte dei militari. Le uccisioni etniche e gli abusi delle forze armate erano diventati una “caratteristica distintiva” della presidenza di Keita, nonostante migliaia di truppe francesi e internazionali schierate per contenere i problemi di sicurezza nelle regioni del nord.

Dal 2012 il Mali si è infatti trovato ad affrontare una crescente instabilità nel nord del paese dove diversi gruppi armati si contendono il controllo del territorio. Ribelli tuareg, gruppi criminali e terroristici come Jama’at Nusratul Islam wal Muslimin (JNIM – una coalizione di quattro gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaeda), avevano spinto le Nazioni Unite prima e poi la Francia ad intervenire militarmente in Mali. Dal 2013, è attiva in Mali la missione MINUSMA della Nazioni Unite, composta da oltre 18.000 unità delle “forze di pace”, di cui 12.000 militari. Mentre nel 2014 ha preso il via la missione militare francese Barkhane, composta da circa 5.000 soldati e volta a contrastare il terrorismo islamico in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Per finire con la task force europea Takuba, a cui prendono pare 14 paesi e composta da 600 militari (di cui 250 italiani ) partita nel 2020 con il compito di assistere le forze armate del Mali nella lotta al terrorismo. La task force europea è stata pensata in parziale sostituzione della missione francese, dato che il presidente Macron aveva annunciato il ridimensionamento di Barkhane. Lo scorso dicembre, infatti, le truppe di Parigi avevano riconsegnato all’esercito maliano tre importanti basi militari nel nord del paese.

Nonostante le numerose operazioni militari, la situazione nel nord del Mali non è affatto migliorata, anzi. Oltre 260 membri di MINUSMA hanno perso la vita in quella che è di fatto diventata una delle missioni delle nazioni unite più pericolose della storia. Anche Parigi ha dovuto pagare un conto altissimo per la missione Barkhane, dato che 53 soldati francesi sono rimasti uccisi. Come al solito il prezzo più alto è stato pero’ pagato dai civili, il conflitto che dal Mali si è allargato anche ai paesi vicini, Burkina Faso e Niger, ha portato oltre due milioni di persone a dover lasciare le proprie case.

L’incapacità da parte delle forze internazionali di riportare stabilità nelle regioni del nord e il crescente numero di attacchi terroristici ha fatto crescere un forte risentimento verso la presenza di militari stranieri da parte della popolazione del Mali. In particolare, è riemerso con vigore un forte astio verso la Francia, l’ex potenza coloniale che aveva controllato il paese dalla fine dell’800 sino all’indipendenza nel 1960. Ma i sentimenti antifrancesi non sono esclusivamente dovuti a questioni storiche, numerose negli anni sono state le denunce sugli abusi commessi dai militari della missione Barkhane. Una recente investigazione delle Nazioni Unite ha infatti stabilito la responsabilità diretta di Parigi per la morte di 19 civili durante un attacco aereo nel gennaio 2021. Questo non è altro che l’ennesimo caso in cui una democrazia occidentale decide di combattere la minaccia terrorista sganciando bombe dal cielo in modo indiscriminato. Evidentemente il fine giustifica i mezzi solo in certe zone del mondo, verrebbe infatti da chiedersi come mai paesi come Francia e Stati Uniti non utilizzino arei militari e droni per neutralizzare i terroristi anche durante i numerosi attacchi avvenuti sul suolo francese o americano.

Senza dubbio la lotta al terrorismo islamico ricopre un interesse strategico per la Francia, che insieme a Inghilterra e Germania, è uno dei paesi europei più colpiti da questo fenomeno. In Mali, e più in generale in Africa, gli interessi francesi non sono però esclusivamente legati al contenimento di tale fenomeno, per Parigi è di interesse strategico anche riuscire a mantenere una sfera di influenza sulle ex colonie del continente. Dalla sua capacità di influenza nello scacchiere africano passa anche il peso internazionale di Parigi, questa è la motivazione principale per la quale dall’Eliseo continuano a considerare le ex colonie come una appendice. Non per nulla, la Francia ha considerato come un affronto la decisione della giunta militare di sopperire al ritiro di parte delle truppe francesi in Mali con i mercenari russi del gruppo Wagner.

Mappa della presenza di basi francesi, basi della missione anti-terrorismo Barkhane (sempre a guida francese) e del gruppo Wagner in Mali [fonte: European Council on Foreign Relations].
L’Africa, che è un continente ricchissimo di risorse naturali, e che storicamente è sempre stato sotto l’influenza americana ed europea, è diventato anche uno degli obbiettivi principali per Cina e Russia. Le due potenze avevano infatti posto il veto a una bozza redatta da Nicolas de Rivière, l’ambasciatore francese alle Nazioni Unite, che esprimeva il sostegno delle Nazioni Unite a ECOWAS in relazione alle sanzioni contro il Mali. Sanzioni che andranno a danneggiare un’economia già vulnerabile, in uno dei paesi più poveri del mondo, e le cui ripercussioni, come spesso accade in questi casi, cadranno sulle spalle della popolazione civile.

[di Enrico Phelipon]

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