venerdì 19 Settembre 2025
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Il caso MPS e l’ennesimo regalo dello Stato alle banche: ma un’alternativa ci sarebbe

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La trattativa evaporata in questi giorni tra il Tesoro e Unicredit su Monte Dei Paschi può considerarsi solo una fumata grigia, dato che la strada tracciata rimane ancora quella della privatizzazione, da conseguire ad ogni costo. Lo Stato vuole andare verso l'aumento di capitale e la cessione ad un acquirente al prezzo di mercato. Che potrebbe essere sempre Unicredit, nel caso si trovasse un accordo. La messa sul mercato di Mps era già stata stabilita dal governo, di concerto con l'Unione Europea nel 2017, con la garanzia che entro il 31 dicembre 2021 lo Stato, che salvò la banca dal falliment...

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COP26: protesta dei giovani di Fridays for Future a Glasgow

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Sono migliaia gli attivisti del movimento Fridays For Future che stanno partecipando allo sciopero per il clima presso il Kelvingrove Park, un parco di Glasgow. Nella città scozzese si tiene infatti la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), motivo per cui i manifestanti – prevalentemente giovani – chiedono ai governi di attuare azioni concrete. In tal senso, in molti accusano i leader mondiali di fare “greenwashing” e dunque di non impegnarsi realmente per contrastare la crisi climatica. Allo sciopero sono presenti anche le note attiviste Greta Thunberg e Vanessa Nakate.

In India hanno trovato il modo di trasformare inquinamento e rifiuti in piastrelle

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Un architetto indiano ha trovato un modo rivoluzionario per “impiegare” l’inquinamento. Tejas Sidnal, questo è il suo nome, è il fondatore della startup indiana Carbon Craft Design di Mumbai che sta mettendo in pratica quanto da lui pensato: trasformare le emissioni di carbonio in bellissime piastrelle. Per attuare questa trasformazione viene utilizzato un dispositivo in grado di filtrare il particolato e pulire l’aria da agenti inquinanti come metalli pesanti ed elementi cancerogeni e quindi capace di estrarre l’anidride carbonica dalle principali fonti di emissione, come gli scarichi di fabbrica. Il carbonio catturato viene lavorato per liberarlo dai metalli tossici e dalle componenti dannose, e poi fuso con una miscela di cemento e marmo che gli artigiani possono lavorare per realizzare le piastrelle in sei tonalità monocromatiche di nero, grigio e bianco.

Inizialmente, al posto della combustione, per ottenere il prodotto finito veniva utilizzata una pressa idraulica, tecnica antica di oltre duecento anni. Questa metodologia, però, a lungo andare si è rivelata insufficiente a garantire i volumi di CO2 necessari all’alta richiesta delle piastrelle di carbonio. Così, Sidnal e il suo team, hanno deciso di concentrasi su uno dei più grandi problemi del paese, ovvero la gestione degli pneumatici usati e di scarto, iniziando a mettere in pratica il processo di degradazione termica della pirolisi da cui si può recuperare una grande quantità di carbonio.

Non è un caso che Carbon Craft Design sia nata proprio in India, uno dei paesi con il più alto tasso di inquinamento e con, allo stesso tempo, la terza più grande industria edilizia e immobiliare al mondo, settore responsabile del 39% delle emissioni totali di CO2. Ogni piastrella prodotta equivale a pulire 30mila litri di aria e, inoltre, la prassi per la loro produzione consuma appena un quinto dell’energia necessaria a fabbricare le piastrelle tradizionali.

[di Eugenia Greco]

Niger, due giorni di lutto nazionale per assassinio di 69 persone

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Lo stato del Niger ha proclamato due giorni di lutto nazionale dopo che 69 persone, tra cui un sindaco, sono state uccise in un attacco da parte di uomini armati nel sud-ovest del Niger, nella zona di frontiera con il Burkina Faso e il Mali. Si tratta di un’area altamente instabile, territorio di una lotta che dura da anni tra le forze statali e i gruppi armati di ISIS e al-Qaeda. Dopo l’attacco, le fonti riferiscono di aver visto gli assalitori risalire sulle moto e spostarsi verso il Mali. Sono più di 530 le vittime civili degli attacchi dei gruppi armati in quest’area del Niger solo per il 2021, cinque volte di più che nell’intero 2020.

Perché i soldi che Stati e filantropi promettono agli indigeni sono una presa in giro

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Tra le varie, seppur poche, decisioni adottate fin ora alla CoP26, la conferenza ONU sul clima, ce n’è una che viene sbandierata con giubilo da diversi media mainstream: i popoli indigeni saranno finanziati per poter proteggere le foreste. Alcuni governi e organizzazioni private hanno infatti annunciato lo stanziamento di 1,7 miliardi di dollari in favore delle comunità indigene del Sud America per la protezione delle foreste dal loro disboscamento. I paesi che hanno annunciato lo stanziamento di questa somma di denaro da destinare alle comunità indigene sono Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Norvegia e Paesi Bassi mentre le organizzazioni private sono Bezos Earth Fund, Ford Foundation, Bloomberg Philanthropies, Arcadia, Wyss Foundation e Rainforest Trust. Oltre alla cifra irrisoria, al momento solo annunciata, il serio pericolo è che si tratti dell’ennesima pratica di marketing.

Da prima escluse dal consesso mondiale presieduto dai potenti della Terra, le comunità indigene presenti per protestare sono poi state accolte e ascoltate da coloro che, sostanzialmente, hanno tirato fuori di tasca gli spiccioli rimasti. Presenti alla medesima conferenza c’erano anche banche, fondi d’investimento e multinazionali; per loro hanno pensato ad un fondo da 100 miliardi di dollari per aiutare i paesi in via di sviluppo nella riconversione “green” e perfezionato accordi legati al Gfanz (Glasgow Financial Alliance for Net Zero), coalizione di attori finanziari lanciata lo scorso aprile dall’inviato dell’Onu su clima e finanza Mark Carney e che riunisce il 40% dei capitali finanziari globali.

Eppure i popoli indigeni proteggono già oggi l’80% delle biodiversità mondiale ricevendo però l’1% di ciò che viene solitamente speso nei programmi legati alla salvaguardia ecologica. E di queste cifre irrisorie, le comunità indigene ne ricevono solamente una parte mentre il resto si perde tra tutte le organizzazioni di intermediarie. Tuntiak Katan Jua, vice coordinatore del COICA, coordinatore delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico, nel merito della questione ha detto: « Sappiamo che molti di questi fondi sono destinati a meccanismi tradizionali, che hanno mostrato grandi limiti per raggiungere i nostri territori e sostenere le comunità nelle loro iniziative. In larga misura, gli intermediari sono i primi beneficiari dei fondi per il clima e i loro alti costi riducono la percentuale che viene effettivamente investita in comunità e territori».

Le soluzioni proposte a Glasgow sono le solite e non sono soluzioni, anzi. Escludendo a priori dal ragionamento le decisioni finanziare, mera speculazione e gioco contabile, tra le proposte continuano ad esserci quelle delle compensazioni di carbonio, oggi chiamate Nature-Based Solutions (NBS) e che Greenpeace ha definito greenwashing, che nella migliore delle ipotesi è un gioco a somma zero. Nella realtà, i serbatoi di CO2 previsti equiparano le foreste naturali con le piantagioni di specie arboree per produzione di energia da biomassa. Queste ultime, non solo non permettono di avere biomassa per l’energia neutra rispetto alle emissioni di carbonio ma trasforma anche le foreste naturali ricche di biodiversità in fattorie arboree, che sono vicine ad essere deserti di biodiversità. Gli Stati Uniti sono tra i maggiori produttori al mondo di biomassa per la produzione di pellet mentre il Regno Unito è il maggior consumatore al mondo di energia derivante da pellet. Inoltre, si pensi che l’UE considera il pellet – prodotto con “fattorie arboree” che cancellano la biodiversità – come energia rinnovabile, risultando essere il 60% del proprio “portafoglio di energie rinnovabili”. Inoltre, le proiezioni mondiali vedono da qui al 2027 una crescente domanda e offerta di pellet.

Per quanto riguarda invece le solite proposte conservazioniste, queste rischiano di aggravare la situazione politica, sociale ed economica delle comunità locali. Oltre ad essere in un periodo storico con un picco di omicidi – specie in Sud America – di ecologisti attivi molto spesso nelle comunità indigene, l’istituzione di parchi e foreste protette ha quasi sempre significato l’espulsione e la rimozione dei popoli indigeni proprio dalle terre oggetto della politica conservazionista, dando così luogo ad ogni genere di violenza.

Insomma, l’annuncio fatto alla Cop26 sul finanziamento alle comunità indigene sembra proprio l’ennesimo spot pubblicitario dei “padroni del vapore” che cercano di smacchiare il proprio abito su cui ancora sono segnate le profonde tracce lasciate da più di 500 anni di violento colonialismo, depauperamento delle risorse, distruzione degli ecosistemi e affossamento delle economie locali e che adesso tenta di sfruttare l’immagine di questi popoli per la nuova trovata di marketing in ambito socio-ecologico che potremmo definire “indigenous washing”.

[di Michele Manfrin]

Cina, varate sanzioni penali per indipendentisti Taiwan

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La Cina ha dichiarato le persone che sostengono l’indipendenza di Taiwan penalmente responsabili a vita, secondo quanto riportato da un portavoce dell’ufficio cinese per gli affari di Taiwan. Coloro che si troveranno sulla lista di persone “pro indipendenza di Taiwan” non potranno più di entrare nel continente, ad Hong Kong o a Macao, né potranno beneficiarne monetariamente. Si tratta della prima volta in cui la Cina definisce sanzioni concrete per gli indipendentisti. Tra coloro che sono stati inseriti nella lista vi sono il premier di Taiwan Su Tseng-chang, il presidente del Parlamento You Si-kun e il ministro degli Esteri Joseph Wu, identificati come “ostinatamente pro indipendenza di Taiwan”.

Milano: la polizia irrompe all’Università contro gli studenti

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Polizia e Digos hanno fatto irruzione nella sede dell’Università Statale di Milano per sgomberare con la forza gli studenti che da tre settimane occupavano le aule studio. La protesta pacifica rivendicava l’accesso a spazi per la didattica quali biblioteche o aule studio, chiusi o fortemente contingentanti dall’inizio della pandemia. Il rettore, in risposta, ha richiesto l’intervento della polizia, inscrivendo così l’episodio nel clima di crescente intolleranza per il dissenso che non risparmia nemmeno le università.

Gli studenti facevano parte del collettivo universitario Cric (Collettivo Rottura in Corso) e da settimane chiedevano al rettore una soluzione “alla carenza e inadeguatezza degli spazi accademici”. La risposta del rettore è stato la richiesta alla polizia di sgomberare gli spazi occupati: “a dimostrazione che l’università non lascia margini di dissenso”, scrivono gli studenti sulla pagina Facebook Ecologia Politica. Ventotto studenti sono stati denunciati.

L’episodio si inserisce in un clima generale che mostra poca tolleranza per il dissenso, il quale viene criminalizzato a fronte di una militarizzazione del consenso. Le realtà scolastiche e formative non ne sono esenti: solamente poche settimane fa avevamo assistito al violento intervento della polizia nel liceo romano Ripetta, dove studenti (molti dei quali minorenni) che protestavano pacificamente erano stati presi a manganellate.

“Riteniamo che aver lasciato passare le forze dell’ordine all’interno di un luogo di istruzione e avergli permesso di sgomberare un’occupazione pacifica sia una forma di repressione politica che non possiamo accettare” scrivono gli studenti sui social, accusando il rettore di “nascondersi dietro alle forze dell’ordine”.

[di Valeria Casolaro]

Bill Gates finanzierà il vaccino italiano contro il Covid

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Bill Gates (UN Photo / Jean-Marc Ferré)
Bill Gates, Co-Chair the Bill & Melinda Gates Foundation shows a vaccine during the press conference. UN Photo / Jean-Marc Ferré

Con un investimento di pochi spiccioli del proprio conio, il magnate Bill Gates ha deciso di tenere in vita la sperimentazione sul vaccino anti-Covid prodotto dall’azienda italiana ReiThera. 1,4 milioni di euro che nelle intenzioni del donatore serviranno a sviluppare vaccini di seconda generazione in grado di fornire una copertura più ampia contro le varianti di SARS-CoV-2, e supportare l’iniziativa contro l’HIV della Fondazione Bill & Melinda Gates per la generazione di vaccini innovativi.

Il vaccino anti-covid di ReiThera aveva mostrato promettenti risultati nella prima fase di ricerca, ma si era fermato prima dell’approdo alla decisiva fase III della sperimentazione per mancanza di fondi. La Corte dei Conti, con una decisione del maggio scorso, aveva infatti negato un finanziamento da 50 milioni di euro al progetto, stabilendo di fatto che l’Italia non possa continuare a fare altro che rimanere semplice cliente delle big pharma statunitensi. I fondi destinati dalla fondazione Gates sono una somma piuttosto piccola anche in rapporto alle necessità dell’azienda per sviluppare il vaccino anti-Covid, basti sapere che la tedesca BioNtech, per sviluppare il vaccino commercializzato da Pfizer, ha ricevuto oltre 400 milioni di euro solo dal governo tedesco.

Resta da notare come la ricerca italiana debba essere sempre più alla mercé di possibili interessi privati, quasi sempre provenienti da capitali stranieri. In questo caso provenienti dal controverso magnate americano, che passa con fenomenale spregiudicatezza dal finanziare attività dei più disparati generi: dai farmaci al turismo di lusso, dalle attività estrattive in Groenlandia all’acquisto di enormi appezzamenti di terreno. Dietro ognuna di queste attività Gates ha sempre mostrato un interesse muoversi dietro i presunti scopi filantropici, interessi che evidentemente avranno una collocazione anche nel suo piano per ReiThera.

Portogallo, Presidente scioglie il Parlamento: elezioni anticipate al 30 gennaio

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Il presidente del Portogallo ha annunciato lo scioglimento del Parlamento e indetto elezioni anticipate per il 30 gennaio per le “divisioni alla base di appoggio del Governo”. Il Parlamento ha infatti rigettato la proposta di bilancio statale per il 2022, bloccata dai partiti di estrema sinistra che fino ad ora avevano appoggiato il governo socialista del primo ministro Antonio Costa. Si andrà così alle elezioni, anticipate di due anni rispetto al previsto. Costa, in carica dal 2015, non ha alcuna intenzione di uscire di scena e ha annunciato che metterà in piedi, in vista delle elezioni, “una maggioranza rafforzata, stabile e duratura”.

Livorno, benzene fuori legge: bonifica attesa da anni ma si pensa a un nuovo impianto

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SAMSUNG CSC

Nella zona industriale Livorno-Collesalvetti è presente un’area contaminata al punto da esser inserita tra i Siti di interesse nazionale (SIN). Qui, a causa della concomitante attività di più industrie, sia nelle acque che nel suolo, le concentrazioni di idrocarburi quali il benzene, cancerogeno certo per l’uomo, sono oltre ogni limite di legge. Ciononostante Eni – la cui pertinenza sull’area è pari al 95% – e Regione Toscana, nel 2019 hanno siglato un accordo per la realizzazione di un nuovo impianto destinato a bruciare ogni anno fino a 200 mila tonnellate di plastica non riciclabile e combustibile solido secondario. Con un investimento da 250 milioni di euro, l’obiettivo sarà quello di produrre metanolo da utilizzare come carburante.

Un settore particolarmente critico, per cui la bonifica prevista e attesa da anni è ferma, di tutto ha bisogno tranne che di un progetto simile. È quanto ha denunciato l’unità investigativa di Greenpeace dopo aver visionato i documenti relativi al sito. Da questi sono emersi, nelle acque sotterranee, picchi di 2.350 microgrammi/litro (μg/l) di benzene quando il limite di legge è di 1 μg/l. Le ultime analisi del 2019 segnalano poi superamenti fino a 162 μg/l confermando che nulla è stato fatto in termini di messa in sicurezza dell’area. Nel 2003, l’allora Ministero dell’ambiente si limitò a perimetrare il sito ma, come ha ribadito Francesco Basso, ex ispettore dell’Agenzia regionale per l’ambiente «non basta tratteggiare un confine su una mappa per essere certi che un inquinante resti entro una data soglia». Così infatti non è stato. Il Ministero della Salute, attraverso lo studio Sentieri, da almeno due decenni evidenzia come a Livorno si registrino «eccessi della
mortalità per tutti i tumori in entrambi i generi», segnalando chiaramente la presenza sul sito della raffineria del Cane a sei zampe e dell’area portuale. Inoltre, rispetto ai nuovi nati, «sono stati osservati 576 casi con malformazione congenita contro i 402 attesi». La prevalenza delle malformazioni nei neonati è quindi superiore rispetto alla media della regione Toscana di oltre il 40%.

Tuttavia, nonostante sia stato richiesto a gran voce da più parti, ancora non è stato condotto nessuno studio epidemiologico per l’area inclusa tra le 42 più inquinate d’Italia. «Regione Toscana non diffonde i dati capillari di mortalità e morbosità perché ha paura dei risultati preoccupanti che potrebbero uscirne – ha commenta senza mezzi termini la Onlus Medicina Democratica – se attorno alla raffineria Eni si facesse lo stesso studio realizzato per i quartieri accanto all’Ilva, si potrebbero scoprire delle problematiche che farebbero diventare Livorno la nuova Taranto». Nel mentre, la multinazionale petrolifera continua a tamponare l’inquinamento con misure di contenimento previste dalla legge ma tutt’altro che risolutive. E anziché individuare le aziende effettivamente responsabili e obbligarle a bonificare, la Regione ha approvato un accordo che autorizza un nuovo impianto potenzialmente in grado di compromettere ulteriormente l’area.

[di Simone Valeri]