Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha denunciato un attacco hacker di portata mai sperimentata che ha violato i dati di circa mezzo milione di persone. I motivi dell’attacco rimangono, al momento, sconosciuti. Tra le persone colpite, afferma ICRC, vi sono soggetti “separati dalle loro famiglie a causa di conflitti, migrazioni e disastri, persone scomparse e le loro famiglie, e persone in detenzione”. Secondo quanto riferito, l’attacco ha preso di mira un appaltatore esterno svizzero, che conservava i dati per conto dell’ICRC. La violazione ha costretto l’associazione a chiudere il programma Restoring Family Links, che aveva come obiettivo il ricongiungimento tra familiari separati da migrazioni, disastri climatici o conflitti.
Ravenna, bufera sulla polizia: geolocalizzati i positivi per controllare la quarantena
Per controllare che i cittadini positivi al Covid rispettino la quarantena in Comune di Ravenna usa la geolocalizzazione attraverso i telefoni cellulari, controllata direttamente dagli agenti della polizia locale. Il sistema va avanti da quasi due anni, praticamente dall’inizio della pandemia, ma solo ora il sistema è balzato all’attenzione delle cronache locali e del Garante della Privacy che ha aperto un’istruttoria sull’amministrazione romagnola. Il Comune si difende specificando che il controllo tramite geolocalizzazione è facoltativo ed effettuato solo previo consenso del cittadino sottoposto a quarantena, che può anche preferire sottrarsi al sistema e preferire l’eventuale controllo diretto presso l’abitazione da parte delle forze di polizia.
La misura di controllo tramite geolocalizzazione, secondo i dati trasmessi dal Comune, sarebbe già stata utilizzata su oltre mille persone e il 99% degli interessati avrebbe accettato di buon grado la geolocalizzazione tramite smartphone come sistema di controllo. Una percentuale bulgara che lascia dubbi su quanto potesse essere realmente esplicito e chiaro il fatto che si trattasse di un controllo dei dati personali assolutamente volontario e non obbligatorio. Ipotesi sulla quale evidentemente intende fare luce anche il Garante della Privacy, che in una comunicazione ufficiale ha chiesto all’amministrazione ravennate di far pervenire all’Autorità «ogni elemento utile alla valutazione del trattamento di dati personali effettuato, con particolare riferimento alle modalità del trattamento, descrivendo gli strumenti del sistema realizzato, incluse specifiche app per dispositivi mobili utilizzate; le finalità perseguite mediante la geolocalizzazione ed i periodi di tempo e le modalità di conservazione dei dati raccolti, nonché il rispetto dei principi di proporzionalità e minimizzazione del trattamento». L’ente locale, sottolinea il Garante, «dovrà inoltre indicare le misure tecniche ed organizzative adottate per garantire un livello di sicurezza adeguato dei dati trattati e gli eventuali soggetti terzi destinatari dei dati acquisiti attraverso le funzioni di geolocalizzazione».
Il sindaco della città romagnola, Michele De Pascale, intanto prova a difendersi e a spegnere sul nascere le ovvie polemiche: «Non è in atto alcun tracciamento generalizzato sulle persone in quarantena – ha commentato al Corriere di Bologna – ma di un’opzione proposta alle persone che sono state selezionate per ricevere il controllo. Chi viene selezionato per il controllo è quindi totalmente consapevole e consenziente di quello che gli viene proposto».
Si è svolto il primo volo alimentato senza carburanti fossili
È stato il Boeing 737 del volo 2701 dell’United Airlines che, l’1 Dicembre 2021, è decollato dall’aeroporto internazionale di Chicago O’Hare e ha raggiunto, dopo tre ore, il Ronald Reagan Washington National Airport, con l’utilizzo di SAF. A bordo, 100 passeggeri. Il velivolo è stato rifornito con circa 1900 litri di bio-carburante, mentre l’altro motore (la normativa vieta di rifornire l’aereo con più del 50% di SAF) è stato rifornito con carburante tradizionale, per testare le reali prestazioni con l’uno e con l’altro: non sono state rilevate differenze.
La compagnia aerea ha annunciato l’entrata di nuovi partner per l’acquisto di SAF al programma Eco-Skies Alliance. È grazie a questo, lanciato nell’aprile del 2021, che sono stati acquistati 7 milioni di galloni (un gallone liquido americano corrisponde a circa 3.785 litri) di eco-carburante nello stesso anno. Oggi, il programma conta quasi 30 partner, tra cui grandi aziende come Nike, Microsoft e Visa. Il principale obiettivo dell’United Airlines è l’adozione della sostenibilità come nuovo standard di volo e, molte sue recenti azioni, vanno proprio in questa direzione. Come l’acquisto di 1.5 miliardi di galloni di SAF da Alder Fuels, sufficienti a fare volare più di 57 milioni di passeggeri, o l’investimento nella start up di aeromobili elettrici Heart Aerospace, la quale sta sviluppando un velivolo elettrico da 19 posti, l’ES-19.
Ma che cos’è il SAF? Il Sustainable Aviation Fuel è il carburante per aviazione sostenibile promosso dalle ricerche e dai fondi del Bioenergy Technologies Office del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America. Si tratta di un carburante non derivante dal petrolio, bensì realizzato con risorse rinnovabili e materiali di scarto alimentare, principalmente mais e l’etanolo che ne deriva, ma anche olio e altri rifiuti. Già nel 2016, l’United Airlines aveva iniziato a sperimentare il SAF mescolandolo a carburante regolare, ma a dicembre ha deciso di provare a usare solo quello green per tutta la durata del volo. Entro il 2050, la compagnia aerea vuole arrivare a utilizzare solo SAF, compiendo così un ulteriore importante passo verso un mondo più ecosostenibile.
Ma se da un lato questo sarebbe conveniente per la preservazione del nostro pianeta – considerato il risaputo grosso impatto che gli aerei hanno sulle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera -, dall’altro ci sarebbero delle controindicazioni. Convertire l’intera industria aerea al SAF è una strada lunga, molto lunga. Questo, oggi, ha un costo ben quattro volte maggiore dei carburanti fossili, pertanto la sua produzione è limitata. Inoltre, col passare del tempo, si porrebbe il problema dell’ottenimento delle necessarie e ingenti quantità di etanolo. Difatti, in una realtà in cui tutti i voli venissero alimentati con bio-carburante, non basterebbero più gli scarti alimentari e nascerebbe l’esigenza di creare enormi piantagioni di mais con, di conseguenza, il disboscamento di molte aree e la sottrazione di terreni alla coltivazione di altri prodotti. Pertanto, è indubbia l’importanza di aver raggiunto un traguardo del genere maturando la possibilità di effettuare voli civili con l’impiego di carburanti non fossili, ma la prossima sfida sarà fare in modo che questi vengano reperiti in maniera sostenibile ed ecologica.
[di Eugenia Greco]
Cure domiciliari Covid, ripristinate tachipirina e vigile attesa
Il Consiglio di Stato ha sospeso con un decreto la sentenza del Tar del Lazio che annullava il protocollo ministeriale riguardo le cure domiciliari. Nel protocollo venivano indicate come uniche terapie utili, per le cure a domicilio, la somministrazione di paracetamolo e la vigile attesa. Nel decreto del Consiglio di Stato si legge che tale protocollo prevede “raccomandazioni e non prescrizioni, cioè indica comportamenti, secondo la vasta letteratura scientifica allegata, che sembrano rappresentare le migliori pratiche” e quindi “non emerge alcun vincolo” circa la scelta delle terapie da parte dei medici, semmai delle “pratiche di riferimento”. La questione sarà dibattuta in Camera di consiglio il prossimo 3 febbraio, ma nel frattempo il protocollo torna valido.
Il Regno Unito dichiara guerra alle chat criptate, con il pretesto della pedofilia
Il dilemma è sempre il medesimo: qual è il giusto punto di incontro tra sicurezza e privacy, tra sorveglianza e libertà? La posizione dei Governi occidentali tende a essere ambigua in tal senso, ma la cronaca riporta sempre più casi in cui le varie amministrazioni decidono di appoggiarsi a soluzioni draconiane o a sotterfugi polizieschi pur di gestire emergenze dichiarate che non hanno data di scadenza. L’ultimo esempio di questa tendenza ci viene offerto da un report della testata Rolling Stone, la quale ha intercettato una serie di diapositive che esplicitano l’intenzione dell’establishment britannico di manipolare l’opinione pubblica con una massiccia campagna pubblicitaria il cui scopo è quello di denigrare il sistema di crittografia “end-to-end” utilizzato da alcune applicazioni di messaggistica istantanea.
Nello specifico, il Ministero degli Interni britannico si sarebbe messo in contatto con la potentissima agenzia pubblicitaria M&C Saatchi per dar vita a una “pubblicità progresso” in cui si vuole passare un messaggio chiaro quanto fazioso: accettare la crittografia si traduce automaticamente con il rendere la vita facile a chi gestisce la pedopornografia. Per diffondere questo messaggio di paura, il Governo inglese avrebbe già stanziato all’impresa £534.000 (circa €640.000), impresa che sarebbe già stata messa in contatto con alcune non meglio specificate fondazioni benefiche e, ovviamente, con le Forze di polizia.
«Ci siamo impegnati con M&C Saatchi per unire le molte organizzazioni che condividono preoccupazioni sull’impatto della crittografia end-to-end sulla nostra capacità di preservare la sicurezza dei bambini», ha dichiarato un portavoce del Ministero via comunicato. Timori che a loro modo sono legittimi se si considera che le autorità lamentano che digitalizzazione e pandemia abbiano fomentato le attività internettiane dei pedofili, ma che offrono come unica soluzione quella che, fatalmente, fa bene agli interessi degli organi di sorveglianza.
Le angosce relative a pornografia infantile e terrorismo sono alcune delle “armi” più potenti tra quelle messe in campo da chi vuole imporre decisioni che altrimenti farebbero accapponare la pelle – chiedetelo a Apple, la quale ha fatto leva proprio sul tema della vulnerabilità dell’infanzia per scansionare le foto in upload sui suoi cloud -, se non altro perché si tratta di tematiche capaci di convogliare i consensi e le fobie dell’etica occidentale odierna. Si tratta di crimini tanto odiosi che finiscono con l’accecare ogni senso logico e annichilire il discorso pubblico, dinamica di cui il Ministero degli Interni britannico è ben consapevole, visto che non si fa remore a sfruttarla: il Governo «non deve avviare un dibattito sulla privacy in contrapposizione alla sicurezza», recita didascalicamente una delle slide.
L’intera manovra del Regno Unito è nata in risposta alla scelta di Meta di introdurre l’end-to-end nel suo programma di messaggistica Messenger, scelta che a sua volta è dettata da un mercato che è sempre più spaventato dall’intrusività statale e dai crescenti pericoli di hacking. Nulla di tutto questo ha a che vedere però con la pornografia minorile. Quella ha prolificato per anni sull’app in questione e molteplici esperti convengono nel sostenere che rendere illegale la crittografia finirà solamente con il danneggiare gli utenti meno avvezzi al crimine. In altri termini, i cittadini sarebbero sotto sorveglianza e i soggetti pericolosi finirebbero con l’usufruire di canali alternativi.
L’intenzione propagandistica di Londra non fa che riflettere e anticipare pulsioni governative che si stanno estendendo anche all’Unione Europea, quindi il seguire le evoluzioni del suo operato potrebbe fornirci un’idea sostanziale delle sfide che gli utenti dovranno affrontare nel prossimo futuro, sfide che sembrano avere molto a che fare con la necessità dell’establishment di gestire i Big Data.
[di Walter Ferri]
L’annuncio di Boris Johnson: stop a green pass e mascherine nel Regno Unito
Il Regno Unito abolirà il green pass e le norme che regolamentano l’uso obbligatorio delle mascherine: ad annunciarlo è stato il premier Boris Johnson intervenendo alla Camera dei Comuni. Le restrizioni scadranno il 26 gennaio, dal giorno successivo entreranno in vigore le seguenti modifiche: decade l’uso della certificazione verde (ma le aziende potranno continuare a richiederlo, se lo riterranno); decadono gli obblighi ad indossare la mascherina laddove era obbligatoria come scuole e mezzi di trasporto pubblici; stop alle raccomandazioni per le aziende a fare lavorare i dipendenti in remoto; via anche le restrizioni relative alle visite in ospedali e case di cura. Rimarrà solo l’obbligo di quarantena per i positivi al Sars-Cov2. In dubbio l’obbligo vaccinale per i sanitari, che potrebbe essere eliminato. Boris Johnson ha inoltre detto che non prevede di rinnovare nessuna restrizione (inclusa la quarantena per i positivi) oltre la scadenza attuale già fissata al 24 marzo 2022.
Il premier ha affermato che le decisioni sono state prese in accordo con i consulenti scientifici del governo, i quali ritengono che la variante Omicron «abbia già raggiunto il picco a livello nazionale», e ha rivendicato le politiche meno restrittive rispetto ai Paesi europei adottate nel Regno Unito, affermando che «i dati mostrano che più e più volte questo governo ha preso le decisioni più difficili nel modo giusto».
L’Indonesia sposta la sua capitale: Giacarta sta letteralmente affondando
In Indonesia il Parlamento ha approvato una legge che prevede di spostare la capitale Giacarta a Nusantara, una città nel Borneo, costruita da zero. Per quale motivo? Joko Widodo, Presidente indonesiano, aveva già detto nel 2019 di voler procedere con il progetto perché Giacarta sta letteralmente sprofondando in acqua.
Per questo motivo – e per l’urgenza della situazione – i lavori cominceranno già quest’anno, con un utilizzo iniziale di circa 56mila ettari sull’isola di Borneo. In totale l’impresa costerà circa 28 miliardi di euro e si protrarrà, secondo il Governo, almeno fino al 2045.
Per gli attivisti ambientali non è una delle migliori soluzioni quella adottata da Widodo. Anzi, potrebbe arrecare più danno del previsto, dato che sull’isola di Borneo c’è una delle foreste pluviali più antiche del mondo. Che già, a dirla tutta, non se la passa bene. La deforestazione ha ridotto di molto la sua dimensione originale e la creazione di piantagioni per l’olio di palma sta mettendo a repentaglio l’incolumità della biodiversità.
Perché Giacarta sta affondando? Il problema è in parte da ricercare nell’innalzamento dei mari, fenomeno collegato al surriscaldamento globale. Ma c’è dell’altro. A contribuire all’inabissamento è proprio il fatto che la città si sta abbassando di qualche centimetro all’anno, in contemporanea all’aumento del livello dell’acqua. A conti fatti, il 40% di Giacarta è già sotto il livello del mare e una soluzione concreta ancora non c’è. E quelle già adottate, invece, si stanno rivelando insufficienti.
Non è affatto chiaro il motivo per cui la città si stia in un certo senso “auto sabotando”, finendo in mare. Secondo il New York Times, la causa potrebbe essere il fatto che Giacarta è per il 97% coperta di asfalto e cemento, e gli abitanti scavano molti pozzi illegali per poter trovare acqua non contaminata. Il cemento impedisce al liquido in superficie di filtrare, di andare giù per così dire, bloccandolo in superficie. Invece l’acqua che si trova sotto la città viene riportata su attraverso i pozzi. È un circolo vizioso, “un gigante cuscino su cui Giacarta si appoggia”, si legge nell’articolo. Un gigante destinato ad annegare.
[di Gloria Ferrari]
Il Mali ribolle contro il neocolonialismo francese
Il 14 gennaio scorso migliaia di maliani sono scesi per le strade della capitale Bamako per protestare contro le sanzioni economiche imposte al Mali dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS). La protesta si è unita alle storiche proteste contro il colonialismo francese, con molte persone che reggevano un cartello con la scritta “Morte ai francesi e ai loro alleati”. La decisione di imporre sanzioni da parte di ECOWAS, con l’appoggio di Stati Uniti e Unione Europea, era stata presa in risposta alla proposta della giunta militare di posticipare le elezioni al dicembre 2025 invece che nel mese di febbraio come inizialmente previsto. Dal 2020, il Mali è governato dal Comitato nazionale per la salvezza del popolo, una giunta militare capeggiata da Assimi Goïta, che tramite un colpo di stato aveva rimosso l’allora presidente Boubacar Keita.
Malians came out in droves to protest against French Imperialism and ECOWAS’ sanctions on Mali.
They marched in solidarity with the Assimi Goita adminstration on January 14.
The administration has opposed and stifled France’s influence in the country. pic.twitter.com/qccMhlJJST
— Africa Facts Zone (@AfricaFactsZone) January 16, 2022
Keita, morto il 16 gennaio a 76 anni, era stato eletto per la prima volta nel 2013 e poi una seconda nel 2018. Abusi, corruzione, instabilità e un costante declino dell’economia sono stati i principali fattori che hanno accresciuto il malcontento popolare e diminuito la popolarità di Keita, portando al colpo di stato da parte dei militari. Le uccisioni etniche e gli abusi delle forze armate erano diventati una “caratteristica distintiva” della presidenza di Keita, nonostante migliaia di truppe francesi e internazionali schierate per contenere i problemi di sicurezza nelle regioni del nord.
Dal 2012 il Mali si è infatti trovato ad affrontare una crescente instabilità nel nord del paese dove diversi gruppi armati si contendono il controllo del territorio. Ribelli tuareg, gruppi criminali e terroristici come Jama’at Nusratul Islam wal Muslimin (JNIM – una coalizione di quattro gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaeda), avevano spinto le Nazioni Unite prima e poi la Francia ad intervenire militarmente in Mali. Dal 2013, è attiva in Mali la missione MINUSMA della Nazioni Unite, composta da oltre 18.000 unità delle “forze di pace”, di cui 12.000 militari. Mentre nel 2014 ha preso il via la missione militare francese Barkhane, composta da circa 5.000 soldati e volta a contrastare il terrorismo islamico in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Per finire con la task force europea Takuba, a cui prendono pare 14 paesi e composta da 600 militari (di cui 250 italiani ) partita nel 2020 con il compito di assistere le forze armate del Mali nella lotta al terrorismo. La task force europea è stata pensata in parziale sostituzione della missione francese, dato che il presidente Macron aveva annunciato il ridimensionamento di Barkhane. Lo scorso dicembre, infatti, le truppe di Parigi avevano riconsegnato all’esercito maliano tre importanti basi militari nel nord del paese.
Nonostante le numerose operazioni militari, la situazione nel nord del Mali non è affatto migliorata, anzi. Oltre 260 membri di MINUSMA hanno perso la vita in quella che è di fatto diventata una delle missioni delle nazioni unite più pericolose della storia. Anche Parigi ha dovuto pagare un conto altissimo per la missione Barkhane, dato che 53 soldati francesi sono rimasti uccisi. Come al solito il prezzo più alto è stato pero’ pagato dai civili, il conflitto che dal Mali si è allargato anche ai paesi vicini, Burkina Faso e Niger, ha portato oltre due milioni di persone a dover lasciare le proprie case.
L’incapacità da parte delle forze internazionali di riportare stabilità nelle regioni del nord e il crescente numero di attacchi terroristici ha fatto crescere un forte risentimento verso la presenza di militari stranieri da parte della popolazione del Mali. In particolare, è riemerso con vigore un forte astio verso la Francia, l’ex potenza coloniale che aveva controllato il paese dalla fine dell’800 sino all’indipendenza nel 1960. Ma i sentimenti antifrancesi non sono esclusivamente dovuti a questioni storiche, numerose negli anni sono state le denunce sugli abusi commessi dai militari della missione Barkhane. Una recente investigazione delle Nazioni Unite ha infatti stabilito la responsabilità diretta di Parigi per la morte di 19 civili durante un attacco aereo nel gennaio 2021. Questo non è altro che l’ennesimo caso in cui una democrazia occidentale decide di combattere la minaccia terrorista sganciando bombe dal cielo in modo indiscriminato. Evidentemente il fine giustifica i mezzi solo in certe zone del mondo, verrebbe infatti da chiedersi come mai paesi come Francia e Stati Uniti non utilizzino arei militari e droni per neutralizzare i terroristi anche durante i numerosi attacchi avvenuti sul suolo francese o americano.
Senza dubbio la lotta al terrorismo islamico ricopre un interesse strategico per la Francia, che insieme a Inghilterra e Germania, è uno dei paesi europei più colpiti da questo fenomeno. In Mali, e più in generale in Africa, gli interessi francesi non sono però esclusivamente legati al contenimento di tale fenomeno, per Parigi è di interesse strategico anche riuscire a mantenere una sfera di influenza sulle ex colonie del continente. Dalla sua capacità di influenza nello scacchiere africano passa anche il peso internazionale di Parigi, questa è la motivazione principale per la quale dall’Eliseo continuano a considerare le ex colonie come una appendice. Non per nulla, la Francia ha considerato come un affronto la decisione della giunta militare di sopperire al ritiro di parte delle truppe francesi in Mali con i mercenari russi del gruppo Wagner.

[di Enrico Phelipon]
Omicidio ambasciatore Attanasio: due persone arrestate in Congo
Nella Repubblica democratica del Congo due uomini ieri sono stati arrestati in quanto sospettati di aver ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio lo scorso mese di febbraio in una imboscata a nord di Goma, dove hanno perso la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustafa Milambo. A riportarlo è l’agenzia di stampa Associated Press, la quale fa sapere che secondo quanto affermato dal generale Aba Van Ang – commissario di polizia nella provincia del Nord Kivu – l’ambasciatore Luca Attanasio sarebbe stato ucciso nel tentativo fallito di rapirlo a scopo di riscatto. L’agenzia, però, comunica altresì che il principale sospettato dell’omicidio dell’ambasciatore, un uomo noto con il nome di Aspirant, sia ancora in fuga.











