martedì 11 Novembre 2025
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Caro bollette, oggi cabina di regia e poi Consiglio dei ministri

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Il Presidente del Consiglio Draghi e i capi delegazione della maggioranza avvieranno oggi 21 gennaio alle ore 9 una cabina di regia per discutere le misure da mettere in atto al fine di contenere i rincari in bolletta. Lo riporta Il Sole 24 Ore, che aggiunge come in seguito dovrebbe tenersi anche un Consiglio dei Ministri, al momento non ancora convocato. Le misure per il contenimento degli aumenti delle bollette avranno un valore complessivo di almeno 4 miliardi di euro e andranno a vantaggio di cittadini e imprese. È previsto anche un decreto Sostegno ter (circa 1,5 miliardi di euro) per i settori in difficoltà.

Gli investitori boicottano l’inserimento del gas nelle fonti pulite

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Il Gruppo di investitori istituzionali sui cambiamenti climatici (IIGCC) ha esplicitamente chiesto all’Ue di non etichettare il gas come investimento sostenibile. Diversamente, secondo l’alleanza – la quale ha un portafoglio stimato in 50 mila miliardi di euro – si farebbe un danno alle politiche sul clima. Tra pochi giorni, infatti, l’Unione europea deciderà definitivamente se gas naturale ed energia nucleare andranno considerate fonti finanziabili poiché utili alla transizione. Una strada che, tuttavia, appare già segnata. Il Gruppo di investitori – in una lettera aperta – ha quindi chiesto di non confermare la decisione circolata a Bruxelles.

Le argomentazioni riportate nella lettera non sono però meramente ideologiche, anzi, mettono l’accento su questioni tecniche di particolare rilievo. Ad esempio, non ci sarebbe proprio un budget di carbonio sufficiente per nuovi investimenti nel gas naturale. Infatti, solo un limite di 100gCO2e/kWh, per tutte le fonti energetiche, permetterebbe il raggiungimento degli obiettivi climatici. Se il gas venisse incluso, bisognerebbe alzare questa soglia a 270gCO2e/kWh con il risultato che «molte aziende dimostrerebbero l’allineamento con la tassonomia anche con attività e piani di transizione incompatibili con l’obiettivo di emissioni nette zero». Il gas, inoltre, non andrebbe considerato nemmeno ‘fonte energetica di transizione’ dato che non rispetta nessuno dei requisiti previsti dalla stessa tassonomia: non avere alternative fattibili dal punto di vista tecnologico o economico, non rallentare lo sviluppo di altre fonti pulite e non vincolare il sistema energetico a certi livelli di emissioni.

Infine, anche continuando ad ostentare la necessità di gas, non ci sarebbero proprio i tempi. «Entro il 2050 – scrivono difatti gli investitori – la domanda di gas naturale dovrà comunque ridursi dell’8% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030 e del 55% entro il 2050». Quindi, anche le centrali esistenti dovranno essere gradualmente eliminate entro il 2035. In sostanza, accogliendo il gas nella tassonomia verrebbe meno lo scopo fondamentale della stessa: permettere al capitale di essere indirizzato verso attività economiche totalmente compatibili con l’impegno dell’Ue per la neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. Chiaro è che, alla luce di tale analisi – qualora l’Europa optasse per l’inserimento nella tassonomia della fonte fossile fin qui dibattuta – gli interessi economici avrebbero, ancora una volta, la meglio su quelli del Pianeta e dell’intera umanità. Insomma, sia chiaro: quanto è necessario il gas alla transizione ecologica? E quanto è necessario che lo sia per l’una o l’altra industria petrolifera?

[di Simone Valeri]

Clima, Onu conferma: 2021 è stato uno dei 7 anni più caldi di sempre

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Il 2021 è stato uno dei 7 anni più caldi mai registrati: a confermarlo è l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), che fa capo all’Onu, arrivata a tale conclusione incrociando i dati internazionali diffusi da diversi enti specializzati sullo stato del clima. Il 2021 inoltre, sebbene nel biennio 2020-2022 le temperature medie globali siano state temporaneamente mitigate dal fenomeno che porta temperature fredde sull’oceano Pacifico denominato La Niña, è risultato essere il settimo anno consecutivo in cui la temperatura globale è stata superiore di oltre 1 grado centigrado rispetto ai livelli preindustriali (1850-1900). L’Organizzazione, infine, prevede che «il riscaldamento globale e altre tendenze a lungo termine del cambiamento climatico continueranno a causa dei livelli record di gas serra che intrappolano il calore nell’atmosfera».

Internet of Things, ovvero la vita digitale che verrà

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Ultimamente si è parlato molto di criptovalute, NFT, Web3 e, soprattutto, metaverse, tuttavia esiste un ulteriore elemento “futuristico” della digitalizzazione, un elemento che è già ora parte integrante della nostra vita, seppure in maniera ancora estremamente grezza: l’Internet of Things (IoT) ovvero l’“internet delle cose”.
Cos’è lo IoT
Nel suo Ubik, l’autore di fantascienza Philip Dick descrive un futuro dalle tinte paradossalmente obsolete in cui lo squattrinato protagonista intavola un dibattito con la porta del suo stesso appartamento. Questa gli intima con voce artificiale di pagare ci...

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Liberia: attacco a festa religiosa, 29 persone muoiono nel tentativo di scappare

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Almeno 29 persone, tra cui 11 bambini, hanno perso la vita nella capitale della Liberia, Monrovia, durante una cerimonia cristiana. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Associated Press, infatti, nella serata di ieri una banda di teppisti armati di coltelli ha attaccato i fedeli che stavano partecipando alla cerimonia e 29 di loro sono morti nel tentativo di fuggire, a causa della ressa creatasi in seguito all’attacco.

Uno studio prevede la scomparsa di 1500 lingue entro la fine del secolo

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All’incirca 1500 lingue potrebbero sparire entro la fine di questo secolo: è quanto rileva uno studio condotto dall’Australian National University, che ha cercato di identificare i fattori di rischio alla base del fenomeno. La scomparsa delle lingue indigene potrebbe portare alla simultanea perdita di interi patrimoni culturali, inglobati ed annientati dalle civiltà colonizzatrici e dominanti.

Lo studio realizzato dall’Australian National University e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Ecology and Evolution rivela come su 7000 lingue ad oggi esistenti, all’incirca la metà sono in pericolo di completa sparizione e 1500 potrebbero essere cancellate entro la fine del secolo. Si tratta di un rischio con un’esponenziale tendenza di crescita nei prossimi 40 anni, la cui conseguente perdita in termini di patrimonio culturale sarebbe inestimabile.

Le lingue sono il mezzo primario di trasmissione e di diffusione di una cultura: permettono di trasmettere e tramandare concetti, visioni del mondo e concezioni filosofiche propri di ogni gruppo culturale. La violenta dominazione coloniale messa in atto dalle principali potenze europee a partire dal XVI secolo ha costituito il fattore primario di perdita dell’enorme diversità linguistica e culturale che esisteva tra i gruppi nativi soprattutto nelle Americhe e in Africa, dove il colonialismo ha mostrato il proprio volto più spietato.

Solamente in Australia prima della colonizzazione si parlavano 250 lingue native e 800 dialetti: oggi sono solamente 40, delle quali appena 12 sono parlate dai bambini. Il tasso di perdita della lingua è qui uno dei più alti al mondo. “La lingua è più che un mezzo di comunicazione, è ciò che ci rende unici e ha un ruolo centrale nel nostro senso di identità. La lingua porta dei significati che vanno oltre le parole. È una piattaforma che ci permette di trasmettere il patrimonio e il sapere culturale. Parlare e imparare le prime lingue fornisce un senso di appartenenza ed emancipazione” scrive il sito dell’AIATSIS, l’Istituto australiano di studi aborigeni e degli abitanti dell’isola di Torres.

Lo studio australiano avrebbe individuato 51 fattori o predittori della scomparsa delle lingue, tra i quali il primario è di certo costituito dalla scolarizzazione. Il mancato investimento in un’educazione bilingue a favore dell’idioma coloniale dominante ha fatto sì che le nuove generazioni abbiano perso la capacità di parlare la lingua dei propri genitori, causando in alcuni casi un distacco generazionale oltre che una vera e propria perdita in termini di patrimonio culturale.

Altro fattore inatteso ma determinante è la densità delle strade: maggiori sono i collegamenti stradali tra campagne o villaggi e città, più si alza il pericolo di sopravvivenza delle lingue. “È come se le strade aiutassero le lingue più grandi a “schiacciare” le lingue più piccole” afferma Lindell Bromham, coautore dello studio.

“L’Australia spende solo 20,89 dollari all’anno pro capite della popolazione indigena per le lingue, che è una differenza abissale rispetto ai 69,30 dollari del Canada e ai 296,44 dollari della Nuova Zelanda” dice Felicity Meakins, dell’Università del Queensland e coautrice dello studio, sottolineando quanto sia necessario un intervento urgente per preservare la multiculturalità.

[di Valeria Casolaro]

Bodycam alla polizia, ma la tutela dei cittadini non c’entra niente

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Con una circolare del Capo della Polizia, diffusa a tutte le Questure, sono state rese operative le circa mille bodycam distribuite alle Forze dell’Ordine. Si tratta di una strumentazione volta a tutelare l’operato degli agenti che intervengano in situazioni di gestione dell’ordine pubblico nell’ambito di “eventi di rilievo”. Sebbene l’adozione di questi apparecchi sia stata accolta con favore dai sindacati delle Forze dell’Ordine, viene spontaneo domandarsi quale sia l’effettiva utilità o necessità. Sempre più casi di cronaca raccontano infatti di un’estrema difficoltà nell’ottenere condanne nei confronti di agenti che facciano uso illegittimo della forza, con processi che arrivano a protrarsi anche per decenni (si pensi ai 12 anni necessari per la condanna degli assassini di Stefano Cucchi, o agli 8 nel caso della morte di Aldo Bianzino, che hanno portato a un sostanziale nulla di fatto).

Con una circolare diffusa martedì 18 gennaio il Capo della Polizia Lamberto Giannini ha reso operative le circa mille bodycam distribuite alle Forze dell’Ordine, affinché vengano utilizzate nell’ambito di grandi eventi. Nello specifico, 700 videocamere sono state date in dotazione a 15 Reparti Mobili della Polizia di Stato e 249 alle unità mobili dell’Arma dei Carabinieri. Secondo Gianni Tonelli, deputato della Lega e segretario del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia), si tratta di una grande vittoria, che permette di tutelare la comunità degli agenti, a suo dire “sconfortata, sottoposta a processo senza aver la possibilità di difendersi con prove inconfutabili, come è un filmato”. Si tratta quindi, in tutta evidenza, di una misura pensata per tutelare gli agenti di polizia. L’interesse dei cittadini non è menzionato.

Le registrazioni potranno essere avviate “ogniqualvolta l’evolversi degli scenari faccia intravedere l’insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica o quando siano perpetrati fatti costituenti reato”, per essere poi interrotte “quando venga meno la necessità di documentare gli eventi”. I filmati sono poi conservabili “in linea generale” per sei mesi, di più se necessari in caso di procedimenti legali.

“I miei colleghi uscivano in strada in un totale stato di soggezione, con un livello di serenità nullo, persone per bene, servitori dello Stato che per poco rischiano la vita e per false denunce si trovavano sottoposte a un processo di disumanizzazione, dipinti come orsi cattivi” commenta ancora Tonelli, sottolineando come questa misura costituisca un importante mezzo di tutela dell’attività delle Forze dell’Ordine dall’essere “condannati e poi prosciolti per fatti surreali“.

Tonelli non specifica quali siano i “fatti surreali” per i quali sono stati condannati gli agenti. Numerosi fatti di cronaca, tuttavia, sembrano suggerire come sia sempre più difficile tutelare la cittadinanza dall’eccesso di violenza delle Forze dell’Ordine, dal momento che anche quando le dinamiche dei fatti appaiono insindacabili i processi durano comunque anni, a causa della forte omertà che sembra vigere all’interno di certi contesti delle Forze dell’Ordine e di una generale tendenza a giustificare la violenza quando messa in atto in un supposto contesto di disordine pubblico. A partire dal G8 del 2001 si possono snocciolare tutta una serie di casi di cronaca nei quali i soprusi erano evidenti, ma le condanne ai danni degli agenti sono risultate complesse da ottenere. Il caso di Stefano Cucchi può costituire un esempio per tutti: sono stati necessari 12 anni per giungere alla condanna dei colpevoli.

Inoltre in caso di eventi di grande portata gli agenti indossano caschi, scudi e bandane, il che li rende quasi del tutto irriconoscibili dall’esterno, motivo per il quale è spesso difficile per i cittadini individuare gli autori delle violenze: il caso di Paolo Scaroni, rimasto invalido al 100% dopo un pestaggio da parte dei poliziotti, costituisce un esempio per tutti. Per tale motivo l’Unione Europea ha sollecitato gli Stati membri ad acquisire il codice identificativo per le forze di polizia: si tratta di un codice alfanumerico che permette un immediato riconoscimento dell’agente. Sono diverse le associazioni che richiedono che questa misura venga adottata anche in Italia: tra queste Amnesty International, che ricorda come in caso di grandi eventi siano le Forze dell’Ordine stesse a fare “uso sproporzionato della forza“. Tuttavia, i Governi italiani si sono mostrati refrattari all’adozione di tale misura, che trova l’opposizione del centro destra e dei sindacati di polizia. Una misura a tutela della cittadinanza che è stata, quindi, scansata.

Vi sono poi delle obiezioni di carattere oggettivo sull’effettiva utilità delle bodycam, in primo luogo data la diffusa disponibilità di video e immagini nel corso di eventi pubblici, prodotti dai telefoni cellulari o dalle telecamere di sorveglianza disposte ormai ovunque.

L’adozione delle bodycam si prefigura quindi come ulteriore strumento di tutela degli agenti, cui sembra essere sempre meno chiesto di rendere conto delle proprie azioni. La sicurezza dei cittadini, a quanto pare, viene solamente in secondo piano.

[di Valeria Casolaro]

Attacco hacker contro Croce Rossa Internazionale, violati dati 515 mila persone

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Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha denunciato un attacco hacker di portata mai sperimentata che ha violato i dati di circa mezzo milione di persone. I motivi dell’attacco rimangono, al momento, sconosciuti. Tra le persone colpite, afferma ICRC, vi sono soggetti “separati dalle loro famiglie a causa di conflitti, migrazioni e disastri, persone scomparse e le loro famiglie, e persone in detenzione”. Secondo quanto riferito, l’attacco ha preso di mira un appaltatore esterno svizzero, che conservava i dati per conto dell’ICRC. La violazione ha costretto l’associazione a chiudere il programma Restoring Family Links, che aveva come obiettivo il ricongiungimento tra familiari separati da migrazioni, disastri climatici o conflitti.

Ravenna, bufera sulla polizia: geolocalizzati i positivi per controllare la quarantena

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Per controllare che i cittadini positivi al Covid rispettino la quarantena in Comune di Ravenna usa la geolocalizzazione attraverso i telefoni cellulari, controllata direttamente dagli agenti della polizia locale. Il sistema va avanti da quasi due anni, praticamente dall’inizio della pandemia, ma solo ora il sistema è balzato all’attenzione delle cronache locali e del Garante della Privacy che ha aperto un’istruttoria sull’amministrazione romagnola. Il Comune si difende specificando che il controllo tramite geolocalizzazione è facoltativo ed effettuato solo previo consenso del cittadino sottoposto a quarantena, che può anche preferire sottrarsi al sistema e preferire l’eventuale controllo diretto presso l’abitazione da parte delle forze di polizia.

La misura di controllo tramite geolocalizzazione, secondo i dati trasmessi dal Comune, sarebbe già stata utilizzata su oltre mille persone e il 99% degli interessati avrebbe accettato di buon grado la geolocalizzazione tramite smartphone come sistema di controllo. Una percentuale bulgara che lascia dubbi su quanto potesse essere realmente esplicito e chiaro il fatto che si trattasse di un controllo dei dati personali assolutamente volontario e non obbligatorio. Ipotesi sulla quale evidentemente intende fare luce anche il Garante della Privacy, che in una comunicazione ufficiale ha chiesto all’amministrazione ravennate di far pervenire all’Autorità «ogni elemento utile alla valutazione del trattamento di dati personali effettuato, con particolare riferimento alle modalità del trattamento, descrivendo gli strumenti del sistema realizzato, incluse specifiche app per dispositivi mobili utilizzate; le finalità perseguite mediante la geolocalizzazione ed i periodi di tempo e le modalità di conservazione dei dati raccolti, nonché il rispetto dei principi di proporzionalità e minimizzazione del trattamento». L’ente locale, sottolinea il Garante, «dovrà inoltre indicare le misure tecniche ed organizzative adottate per garantire un livello di sicurezza adeguato dei dati trattati e gli eventuali soggetti terzi destinatari dei dati acquisiti attraverso le funzioni di geolocalizzazione».

Il sindaco della città romagnola, Michele De Pascale, intanto prova a difendersi e a spegnere sul nascere le ovvie polemiche: «Non è in atto alcun tracciamento generalizzato sulle persone in quarantena – ha commentato al Corriere di Bologna – ma di un’opzione proposta alle persone che sono state selezionate per ricevere il controllo. Chi viene selezionato per il controllo è quindi totalmente consapevole e consenziente di quello che gli viene proposto».

 

Si è svolto il primo volo alimentato senza carburanti fossili

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È stato il Boeing 737 del volo 2701 dell’United Airlines che, l’1 Dicembre 2021, è decollato dall’aeroporto internazionale di Chicago O’Hare e ha raggiunto, dopo tre ore, il Ronald Reagan Washington National Airport, con l’utilizzo di SAF. A bordo, 100 passeggeri. Il velivolo è stato rifornito con circa 1900 litri di bio-carburante, mentre l’altro motore (la normativa vieta di rifornire l’aereo con più del 50% di SAF) è stato rifornito con carburante tradizionale, per testare le reali prestazioni con l’uno e con l’altro: non sono state rilevate differenze.

La compagnia aerea ha annunciato l’entrata di nuovi partner per l’acquisto di SAF al programma Eco-Skies Alliance. È grazie a questo, lanciato nell’aprile del 2021, che sono stati acquistati 7 milioni di galloni (un gallone liquido americano corrisponde a circa 3.785 litri) di eco-carburante nello stesso anno. Oggi, il programma conta quasi 30 partner, tra cui grandi aziende come Nike, Microsoft e Visa. Il principale obiettivo dell’United Airlines è l’adozione della sostenibilità come nuovo standard di volo e, molte sue recenti azioni, vanno proprio in questa direzione. Come l’acquisto di 1.5 miliardi di galloni di SAF da Alder Fuels, sufficienti a fare volare più di 57 milioni di passeggeri, o l’investimento nella start up di aeromobili elettrici Heart Aerospace, la quale sta sviluppando un velivolo elettrico da 19 posti, l’ES-19.

Ma che cos’è il SAF? Il Sustainable Aviation Fuel è il carburante per aviazione sostenibile promosso dalle ricerche e dai fondi del Bioenergy Technologies Office del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America. Si tratta di un carburante non derivante dal petrolio, bensì realizzato con risorse rinnovabili e materiali di scarto alimentare, principalmente mais e l’etanolo che ne deriva, ma anche olio e altri rifiuti. Già nel 2016, l’United Airlines aveva iniziato a sperimentare il SAF mescolandolo a carburante regolare, ma a dicembre ha deciso di provare a usare solo quello green per tutta la durata del volo. Entro il 2050, la compagnia aerea vuole arrivare a utilizzare solo SAF, compiendo così un ulteriore importante passo verso un mondo più ecosostenibile.

Ma se da un lato questo sarebbe conveniente per la preservazione del nostro pianeta – considerato il risaputo grosso impatto che gli aerei hanno sulle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera -, dall’altro ci sarebbero delle controindicazioni. Convertire l’intera industria aerea al SAF è una strada lunga, molto lunga. Questo, oggi, ha un costo ben quattro volte maggiore dei carburanti fossili, pertanto la sua produzione è limitata. Inoltre, col passare del tempo, si porrebbe il problema dell’ottenimento delle necessarie e ingenti quantità di etanolo. Difatti, in una realtà in cui tutti i voli venissero alimentati con bio-carburante, non basterebbero più gli scarti alimentari e nascerebbe l’esigenza di creare enormi piantagioni di mais con, di conseguenza, il disboscamento di molte aree e la sottrazione di terreni alla coltivazione di altri prodotti. Pertanto, è indubbia l’importanza di aver raggiunto un traguardo del genere maturando la possibilità di effettuare voli civili con l’impiego di carburanti non fossili, ma la prossima sfida sarà fare in modo che questi vengano reperiti in maniera sostenibile ed ecologica.

[di Eugenia Greco]