domenica 21 Settembre 2025
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Blackout e assalti alle banche: il Libano è un paese nel baratro

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Sabato 9 ottobre, tutto il Libano è rimasto al buio. A causare il black out, la mancanza di carburante non sono nelle stazioni di servizio di tutto il paese, ma anche nelle due principali centrali elettriche. L’esercito ha messo a disposizione le sue riserve in attesa che due nuove centrali, alimentate con carburante in arrivo dall’Iraq, entrino in funzione. Ma per com’è la situazione in questo momento, si tratta di una soluzione a brevissimo termine.

Il black out, tra l’altro, è solo l’ultimissima manifestazione di una crisi profonda che da anni sta dilaniando un paese un tempo isola felice nella regione. Già dalla tristemente nota esplosione del 4 agosto 2020, che ha devastato il porto e ucciso più di 200 persone, ma in realtà da prima di allora, il paese versa in condizioni di stallo e stagnazione a livello politico, economico e sociale. Una situazione di default senza precedenti.

L’aspetto più pesante di questa crisi è stata la progressiva e rapidissima svalutazione della moneta locale, la lira libanese, che ha perso il 90% del suo valore, con conseguenze terribili per la popolazione locale, la quale all’improvviso si è ritrovata a dover gestire un costo della vita divenuto altissimo. Molti sono caduti in povertà e ancora di più corrono questo rischio nel futuro prossimo. L’aumento vertiginoso dei prezzi ha riguardato anche beni di primissima necessità come l’acqua, l’elettricità e le medicine. E mentre la popolazione lottava con questi ostacoli, il paese era sempre più affossato dal debito pubblico, che nel 2019 era pari al 150% del prodotto interno lordo del paese, e a fronte di stipendi medi inferiori ai 300 euro. A questo ovviamente si aggiungevano le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

Al momento è caos nella capitale Beirut, dove le persone si ritrovano a dover fare file di chilometri ai distributori di benzina e dove i prezzi sono alle stelle e spesso e volentieri non arriva alcun rifornimento. La luce è tornata da quando l’esercito ha rifornito le centrali, ma queste scorte dovrebbero bastare per appena 3 giorni. Il paese comunque non è autosufficiente da un punto di vista energetico e i black out sono frequenti e anche programmati.

A questo si aggiungono i problemi di approvvigionamento idrico, che costringono molte delle persone che abitano in prossimità della costa a lavarsi con l’acqua di mare. Anche i rifiuti e l’inquinamento stanno diventando problemi ingestibili. Si tratta di fenomeni che potrebbero essere arginati da un paese in cui la situazione non stesse precipitanto così rapidamente.

Da una settimana a questa parte circa 2 milioni e mezzo di persone sono scese in strada nelle principali città del paese per protestare, assaltando le banche sbarrate per provare a prelevare i propri risparmi. Anche le scuole e le università sono rimaste chiuse. Chiedono più trasparenza da parte del governo, ma reclamano anche i propri diritti di base, come il diritto alla luce e all’acqua, di cui questa crisi li sta privando.

[di Anita Ishaq]

Myanmar, sostegno del Parlamento UE al governo di opposizione ai militari

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Il Parlamento UE ha votato per il sostegno alla popolazione del Myanmar nella lotta contro il governo militare, affermando di sostenere il CRPH (che rappresenta il parlamento bicamerale della Birmania) e il GUN (Governo di unità nazionale). Come riporta The Diplomat, questo ostacola il tentativo del governo militare di ottenere il riconoscimento internazionale. La mozione del Parlamento ha inoltre condannato il colpo di Stato militare e raccomandato agli Stati membri di imporre sanzioni alle imprese statali del Myanmar. La crisi in Myanmar perdura da febbraio, quando l’esercito ha preso il potere dopo aver arrestato la leader Aung San Suu Kyi, il presidente e diverse altre figure.

Yemen: uccisi almeno 156 insorti Huthi nelle ultime 24 ore

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In Yemen, la coalizione militare a guida saudita ha condotto una «operazione mirata» che ha portato alla morte di almeno 156 insorti Huthi nelle ultime 24 ore. Nello specifico l’operazione ha avuto luogo a sud di Marib, località strategica nel nord-ovest del Paese, ed ha anche provocato la distruzione di otto veicoli militari. Lo si apprende dall’agenzia ufficiale Saudi Press che cita le dichiarazioni della coalizione militare stessa, la quale ha aggiunto che in totale 33 operazioni contro i ribelli sono state effettuate nelle ultime 24 ore.

La realtà virtuale immersiva per la riabilitazione dei pazienti con ictus cerebrale

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Il Centro di riabilitazione S.Giorgio dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara e l’Istituto Italiano di Tecnologia stanno sperimentato l’uso della realtà virtuale immersiva per la riabilitazione dei soggetti colpiti da ictus cerebrale. Nello specifico, gli esperti stanno testando questa modalità per il recupero motorio dell’arto superiore. La realtà virtuale è una tecnologia che, tramite un visore binoculare, consente di “immergere” una persona in un ambiente virtuale tridimensionale in cui può agire in maniera attiva. Per testare questa forma riabilitativa è stata ricreata un’ambientazione domestica in cui il paziente è stato chiamato a effettuare diversi compiti – basati su gesti della vita quotidiana – e i cui movimenti sono stati monitorati nello spazio virtuale attraverso il computer. Un tipo di riabilitazione che permette comunque di osservare il paziente durante lo svolgimento degli esercizi, parlare con lui, correggerlo e vedere ciò che lui vede.

Una ricerca molto importante la quale, se dovesse dare i risultati sperati, innescherà una serie di cambiamenti positivi: dalla possibilità di proporre esercizi riabilitativi variegati ed effettuati in specifiche ambientazioni più stimolanti e quindi meno noiose, a quella di svolgere la riabilitazione a casa propria con, di conseguenza, una maggiore comodità – legata a una minore frequentazione dell’ambiente ospedaliero – e la supervisione del medico da remoto. Sono, infatti, molti coloro che rinunciano a concludere un iter riabilitativo in presenza perché in difficoltà nel raggiungere le sedi. Inoltre, la realtà virtuale immersiva, permetterebbe la misurazione in tempo reale della cinematica dei movimenti durante lo svolgimento degli esercizi e la conseguente possibilità di monitorare in maniera quantitativa i progressi; senza contare l’elevata diffusione in commercio e il basso costo dei visori virtuali. I ricercatori sono pronti a introdurre e testare questa tecnologia in ospedale, così da verificare pienamente se potrà essere davvero efficace per il recupero dell’uso dell’arto superiore leso da ictus.

Attrezzature tecnologiche avanzate, dispositivi robotici e intelligenza artificiale stanno permettendo il miglioramento di interventi terapeutici e delle diagnosi per patologie e disabilità di varia natura. Recentemente, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa ha inaugurato un computer in grado di formulare diagnosi precoci di malattie cerebrali come il Parkinson, malattia neurodegenerativa. Si tratta un software di intelligenza artificiale in grado di riconoscere un paziente affetto anche in fase iniziale di malattia. Così come dei ricercatori dell‘Università di Birmingham hanno mostrato come la l’AI e il neuroimaging – uso di varie tecniche per la mappatura del sistema nervoso – possano essere utilizzati al posto di esami come la biopsia – prelievo di una porzione di tessuto tumorale da esaminare al microscopio – per il riconoscimento del tipo di cancro.

[di Eugenia Greco]

Il corteo contro il green pass, i fascisti e l’assedio alla CGIL: un altro punto di vista

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Al netto dell’assalto alla sede da parte dei fascisti di Forza Nuova, punto che riprenderemo, la protesta di ieri davanti alla CGIL è un sano esercizio di democrazia di un corteo di lavoratori che si sentono non rappresentati dal sindacato e che cercano rappresentanza proprio dove dovrebbero trovarla.

Il punto di vista è forte e legittimamente criticabile, quindi spieghiamoci bene. I dati di partenza oggettivi sono i seguenti: dal 15 ottobre circa 4 milioni di lavoratori, colpevoli di non aver violato nessuna disposizione di legge (cioè di aver scelto di non fare un vaccino non obbligatorio) avranno due scelte: 1. Spendere circa 200 euro/mese in tamponi (ammesso e non concesso che potranno sceglierlo dato che se tutti optassero per questa strada non vi sarebbero tamponi per tutti e assisteremmo a file chilometriche davanti alle farmacie) 2. Rimanere a casa dal lavoro senza stipendio né contributi previdenziali. Altro dato di partenza utile: una norma così severa sul green pass è presente solo in Italia e Grecia, in tutti gli altri paesi europei non esiste l’obbligatorietà di mostrare il passaporto sanitario per recarsi al posto di lavoro.

Quattro milioni di cittadini che saranno discriminati sul luogo di lavoro. C’è tema che più di questo dovrebbe essere in cima all’agenda di una organizzazione il cui compito è proprio quello di tutelare gli interessi dei lavoratori e i cui funzionari da questi ricevono il salario proprio a questo scopo? Una rappresentanza di questi 4 milioni di individui ieri era a Roma a manifestare e ha deciso di arrivare sotto alla sede centrale del principale sindacato italiano per chiedere ai suoi dirigenti di prendere posizione. Vero che il segretario della CGIL, Maurizio Landini, i tamponi gratuiti sul luogo di lavoro li ha chiesti da tempo, ma chi come lui ha una lunga storia sindacale alle spalle sa benissimo che senza mobilitazioni di piazza e scioperi le richieste lasciano spesso il tempo che trovano, e queste azioni non sono state messe in campo, a differenza da quanto fatto ad esempio dal sindacato CGT in Francia. Di fatto i lavoratori italiani privi di green pass si ritrovano abbandonati al loro destino e non una rappresentanza sindacale si è fatta fino ad ora vedere al fianco di chi manifesta. Eppure le mobilitazioni dal basso degli operai non sono mancate, come quella dei portuali di Trieste che in modo compatto, vaccinati e non, hanno deciso di protestare ad oltranza giudicando il green pass «non una misura sanitaria, ma di discriminazione e di ricatto che impone a una parte notevole dei lavoratori di pagare per poter lavorare e che punta a dividere i lavoratori».

In apertura si accennava ai fascisti. Questo è un altro punto da chiarire. A guidare l’assalto alla Camera del Lavoro ed arringare la folla c’erano tre volti noti e impresentabili dell’estremismo nostalgico del duce: Giuliano Castellino (leader di Forza Nuova, già condannato a 5 anni e mezzo di carcere per violenze e che in quella piazza a termini di legge non avrebbe potuto esserci in quanto sottoposto alla misura della “sorveglianza speciale”), Roberto Fiore (che di Forza Nuova è fondatore, già condannato per i reati di associazione sovversiva e banda armata), e infine Luigi Aronica (ex militante del gruppo terrorista dei NAR e come Fiore invischiato in molte trame oscure degli anni ’70 e ’80, già condannato a 18 anni di carcere). Premettendo che dalla prefettura di Roma qualcuno dovrebbe chiarire perché a tali soggetti sia stato permesso, e non è la prima volta, di portare la violenza in una manifestazione (nei video si notano chiaramente Fiore e Castellino agire indisturbati e incitare la folla all’irruzione nei locali della CGIL a pochi passi dalle forze di polizia che li osservano senza intervenire), il punto di riflessione anche in questo caso è però un altro.

Nonostante la tendenza da parte della stampa a usare la presenza di questi personaggi per rappresentare l’intera piazza come un covo di fascisti, questo non è vero e lo dimostrano non solo le immagini della piazza ma dati oggettivi. Forza Nuova ha una capacità di mobilitazione misera, di poche decine di unità, testimoniata da ogni corteo da loro organizzato. Come da sua tradizione cerca di infiltrarsi nei cortei spontanei e mimetizzarsi per prenderne l’egemonia cercando di orientarli a proprio tornaconto. Riesce a farlo con una certa frequenza negli ultimi anni proprio perché le organizzazioni politiche e sindacali che tradizionalmente rappresentavano le istanze dei lavoratori da quelle piazze sono scomparse.

All’ultimo corteo contro il green pass di Trieste, guidato da centinaia di portuali organizzati, non si sono fatti vedere sapendo che sarebbero stati fisicamente cacciati a pedate. Una volta rimosso il solito pretesto dei fascisti dalla discussione rimane il dato di fatto: migliaia di lavoratori davanti alla sede della CGIL manifestavano chiedendo a gran voce al sindacato di difendere il loro posto di lavoro. Ci fossero nelle sedi sindacali orecchie pronte ad ascoltare sarebbe un segnale chiaro e in un certo senso positivo di fronte a leader che spesso lamentano la mancanza di mobilitazione delle masse lavoratrici.

Per quanto riguarda il movimento contro il green pass se una lezione ci deve essere è la seguente: occorre prendere immediatamente consapevolezza che personaggi come quelli di Forza Nuova devono essere allontanati con ogni mezzo dalle manifestazioni. Da sempre la loro funzione è quella di agire per portare un caos utile solo al mantenimento dello status quo, non a caso vengono solitamente lasciati agire indisturbati. E, loro si, ad assaltare una Camera del Lavoro ci provano gusto, il leader che rimpiangono cento anni fa iniziò la presa del potere proprio così.

[di Andrea Legni – direttore responsabile de L’Indipendente]

Austria: Alexander Schallenberg ha giurato, è il nuovo Cancelliere federale

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Alexander Schallenberg è il nuovo Cancelliere federale austriaco: nella giornata di oggi, infatti, ha giurato nelle mani del presidente federale Alexander Van der Bellen seguendo la formula di rito. Schallenberg, sedicesimo cancelliere dal dopoguerra ad oggi, ha preso il posto del suo predecessore Sebastian Kurz, che si è dimesso nel fine settimana poiché travolto dalle accuse di corruzione. A tal proposito Schallenberg, durante il suo primo statement dopo il giuramento, ha affermato: «Sono convinto che le accuse contro Sebastian Kurz siano false e che ciò sarà dimostrato».

Green Pass: Pd presenta mozione per scioglimento Forza Nuova e movimenti neofascisti

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È stata presentata in Senato, da parte del Pd, una mozione che impegna il Governo a «dare seguito al dettato costituzionale sul divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista e alla conseguente normativa vigente, adottando i provvedimenti di sua competenza per sciogliere Forza Nuova e tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista artefici di condotte punibili ai sensi delle leggi attuative della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione». A tal proposito, le presidenti dei gruppi Pd di Senato e Camera, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, hanno affermato che chiederanno che essa venga calendarizzata al più presto in aula. Una mozione simile, inoltre, è stata presentata dai senatori Riccardo Nencini (Psi) e Davide Faraone (Iv).

Taiwan: cosa sta succedendo nel teatro principe dello scontro tra Usa e Cina

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Che l’isola di Taiwan fosse soggetta a situazioni politiche contorte era cosa nota, tuttavia nelle ultimissime settimane il clima sembra si sia scaldato velocemente, con Stati Uniti e Cina che hanno intensificato toni e frequenza delle dichiarazioni ideologiche, delle esercitazioni militari e delle minacce amministrative riguardanti questa particolare area geografica.

Per capire i motivi di una simile escalation è necessario prendere atto di un presupposto essenziale: tecnicamente Taiwan non esiste. Quando si parla di Taiwan, si parla in verità della Repubblica di Cina (ROC), ovvero uno Stato non riconosciuto dalla Cina continentale, ma neanche dai membri permanenti dell’ONU o dall’Unione Europea. Gli USA, almeno formalmente, non riconoscono la sovranità di Taiwan.

Una situazione già di per sé complessa che negli ultimi mesi è stata acuita dalle rivoluzioni politiche di Hong Kong, storico baluardo dell’Occidente reclamato da Beijing, dalla gestione dell’uscita militare dall’Afghanistan, la quale è stata facilmente inquadrata come la dimostrazione empirica dell’inaffidabilità statunitense, e dall’aumento delle tensioni militari nell’Indo-Pacifico. Le veloci e frequenti evoluzioni del panorama geopolitico stanno portando dunque Taipei, sostenuta da Washington, e la Cina a rimettere in discussione lo status dell’isola.

In tal senso, di recente ha fatto clamore l’eclatante dimostrazione di forza ordinata dall’Amministrazione Xi Jinping in occasione dell’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese: 149 jet militari si sono lanciati in reiterate incursioni aeree nella zona di difesa aerea di Taiwan. La strategia, chiaramente coercitiva, è stata dunque seguita da una proposta diplomatica, con Beijing che ha suggerito alla Repubblica di formalizzare i rapporti sotto il format del “una nazione, due sistemi”, ovvero l’impalcatura amministrativa che viene applicata anche a Hong Kong. L’Ufficio presidenziale di Taipei ha bruscamente rifiutato l’offerta.

In tutto questo gli USA non sono certo rimasti inermi a guardare, piuttosto stanno portando avanti da tempo delle manovre militari e strategiche che per delicatezza diplomatica sono assolutamente comparabili a quelle della controparte cinese, seppur non vengano reclamizzate con altrettanta enfasi. La cosa è evidente quando gli statunitensi organizzano operazioni di «routine» per cui navi da guerra vengono dispiegate nelle acque dell’area, tuttavia l’ingerenza semiocculta è decisamente più vasta e capillare.

Ecco dunque che la Casa Bianca ha venduto a Tawian equipaggiamento militare per 5 miliardi di dollari nel solo 2020, evidenziando una tendenza bellico-strategica che peraltro non si è arrestata neppure con l’avvento di Joe Biden al potere. Parallelamente è inoltre emerso che Taipei stia già ospitando truppe speciali degli USA, dimostrando un’accoglienza mirata all’addestramento del proprio esercito.

Ambo le parti, insomma, stanno facendo il possibile per non abbassare i toni dello scontro diplomatico. Non resta che consolarsi del fatto che, almeno per ora, non sembra che sussistano i presupposti di una guerra vera e propria, anche perché i piani di sbarco previsti dalla Cina dovrebbero essere pronti solamente nel giro di tre anni. Biden ha inoltre dichiarato di aver trovato un punto d’accordo con l’omologo cinese. Un patto che tuttavia non risulta formalizzato e che somiglia più che altro a un patto tra “gentiluomini” affinché nessuno oltrepassi la proverbiale linea rossa in questo gioco di guerra.

[di Walter Ferri]

Sciopero generale dei sindacati di base, cortei e manifestazioni in tutta Italia

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Disagi nei trasporti sono stati registrati per lo sciopero nazionale indetto da Cobas e da tutti i sindacati di base per 24 ore. Nella Capitale i trasporti sono andati in tilt, complice il maltempo, con diverse linee della metro chiuse o a servizio ridotto. Disagi per il traffico sono stati registrati anche a Milano, mentre a Napoli alcuni attivisti hanno bloccato l’ingresso alle autostrade e alla zona commerciale del porto. Alitalia ha cancellato 127 voli nazionali e internazionali. Le proteste riguardano principalmente le politiche del governo Draghi, compresa l’obbligatorietà del Green Pass sul luogo di lavoro a partire dal 15 di ottobre.

Monthly Report: Cannabis, 60 anni di proibizionismo possono bastare?

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Oggi fanno la Marijuana in sigarette, non lo sapete? Oh, sì, sempre più sigarette di Marijuana sono sul mercato. La Marijuana, che viene già chiamato fumo assassino negli uffici della polizia. La polizia sa tutto sul fumo assassino. Ogni volta che un crimine particolarmente crudele è commesso, per cercare il responsabile la polizia comincia a dare la caccia ai consumatori di fumo assassino della zona. Chiedete ai poliziotti, vi racconteranno storie sui crimini dei fumatori assassini, capaci di bloccare il sangue più caldo nelle vene più tranquille. La prima sigaretta di fumo assassino dona sogni strani e stranamente belli, ma dopo le prime sigarette ci vuole sempre più fumo per riprodurre il sogno e improvvisamente i nervi torturati cedono e il fumatore omicida deve tagliare e accoltellare, picchiare e sparare, per soddisfare la fame tormentata creata dalla droga”.

Rileggere al giorno d’oggi queste righe fa sorridere ed è probabile che nemmeno il più fervente proibizionista oserebbe tanto. Sono di un quotidiano statunitense e l’anno di pubblicazione è il 1931. In quegli anni si scatenò una violentissima campagna su tutti i mezzi di stampa contro la cannabis, all’epoca ancora legale come sempre lo era stata nella storia dell’umanità. Di articoli come questo, praticamente fatti in fotocopia, ne uscirono a centinaia. Fu la prima campagna di fake news ad ampio raggio, portata avanti dal grosso dell’industria dell’epoca ed orchestrata dal governo americano tramite il Federal Boreau of Narcotics, che con i fondi statali produsse anche un film volto a terrorizzare il popolo americano sulla terribile nuova droga chiamata marijuana. All’epoca la canapa aveva un ruolo centrale nell’economia del paese e nella vita delle famiglie: ci si facevano i vestiti, la carta, la farina, l’olio, il mangime per gli animali, le vele delle navi, le lenzuola e molto altro. Henry Ford aveva addirittura brevettato un’auto costruita in fibra di canapa e alimentata con il bioetanolo estratto dalla stessa pianta. Gli armadietti dei medicinali degli americani e non solo erano pieni di rimedi per la salute a base di cannabis, i cui benefici contro una lunga lista di problemi di salute erano inclusi nelle farmacopee del mondo intero e pubblicizzati sui giornali. La campagna di demonizzazione servì a cambiare le carte in tavola, liberando il mercato per le nascenti industrie delle fibre plastiche, del petrolio e dei medicinali. Al punto che diversi ricercatori, non senza indizi, ritengono che le ragioni del proibizionismo vadano ricercate proprio nell’attività di lobby di queste industrie sul governo americano dell’epoca.

Quale che sia la verità, è interessante e istruttivo notare come pochi anni di terrorismo mediatico bastarono per convincere la popolazione non solo ad accettare, ma addirittura a desiderare la messa al bando totale di una pianta. Non dei suoi fiori psicoattivi si badi bene, proprio di tutte le parti della pianta di canapa. Esattamente come se per vietare il vino si vietasse la coltivazione della vigna. Da allora è passato quasi un secolo ma, le scelte fatte in quell’epoca influiscono ancora sulle nostre vite e sul pianeta. Tutto quello che leggerete nelle prossime pagine è stato reso possibile dalle menzogne diffuse dalla grande stampa dell’epoca, ieri come oggi irrimediabilmente al soldo del potere politico ed economico. Un dato che dovrebbe fare riflettere, tanto più di questi tempi.

L’obiettivo di questo terzo numero del mensile de L’Indipendente è proprio quello di portarvi a conoscere la verità su una pianta tanto demonizzata. Cosa hanno provocato, in Italia e nel mondo, decenni di proibizionismo? Come e perché molti Stati stanno attuando una via di uscita dalla “guerra alla droga”? Cosa succede a livello sociale e sanitario dove la cannabis diventa legale? Quali interessi economici si muovono dietro la legalizzazione? Ed ancora: la cannabis è veramente una medicina? E sul serio la canapa industriale potrebbe sostituire molte materie prime e contribuire efficacemente a migliorare l’ambiente?

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/