sabato 12 Luglio 2025
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Crisi di Taiwan: Biden annuncia l’accordo con la Cina

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di aver avuto un colloquio telefonico con il presidente cinese Xi Jinping, nel quale i due si sono accordati per il rispetto dell’Accordo di Taiwan, che garantisce l’indipendenza del piccolo stato. La telefonata arriva dopo giorni di tensione, con la Cina che aveva ripetutamente violato lo spazio aereo di Taiwan con veivoli militari. La Cina ad ogni modo continua a rivendicare la propria sovranità sull’isola e la controversia appare molto lontana dall’essere risolta.

Boom dell’homeschooling in Italia: la pandemia triplica gli “studenti casalinghi”

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È record di homeschoolers in Italia. Tantissime famiglie, negli ultimi due anni segnati dalla pandemia, hanno deciso di fare studiare i propri figli a casa. Una metodo d’istruzione già più che diffuso all’estero e che, adesso, sta prendendo piede anche nel Belpaese. Dal 2018/19 – ultimo anno scolastico pre-pandemico – al 2020/21, gli “studenti casalinghi” sono pressoché triplicati, passando da 5.126 a 15.361.

Ma che cos’è l’homeschooling? Detta anche istruzione domiciliare, non deve essere confusa con la didattica a distanza (DAD). Difatti, mentre quest’ultima consiste in una tipologia di insegnamento-apprendimento virtuale ma pur sempre legata all’istituto scolastico, l’homeschooling vede la piena responsabilità dei genitori per quanto concerne l’istruzione dei figli. La formazione, in questo caso, si svolge nel contesto domestico-familiare, quindi senza usufruire del servizio scolastico offerto dal sistema nazionale. Per alcuni studiare da casa significa farlo avendo i genitori come insegnanti, ma in sempre più contesti si tratta di più famiglie che si organizzano insieme, mettendo insieme competenze proprie e risorse per avvalersi anche di insegnanti esterni.

Questa modalità educativa prevede che, alla fine dell’anno, il bambino o il ragazzo sostenga un esame di idoneità alla classe successiva in un istituto statale o paritario, per verificare l’effettivo percorso di apprendimento. Attualmente, l’homeschooling sta riguardando soprattutto i bambini. Difatti, circa due terzi degli alunni “casalinghi” dovrebbero sedere ai banchi della scuola primaria e, se tra il 2018 e il 2019 erano circa 2.243, tra il 2019 e il 2021 sono aumentati a 2.926, e triplicati nell’ultimo anno. Discorso analogo per i ragazzi nella fascia d’età delle scuole medie. Se nel 2019 erano 2.256 quelli impegnati in un percorso di studio alternativo, tra il 2020 e il 2021 sono raddoppiati, arrivando a 4.386. Il fenomeno invece risulta molto meno rilevante nei numeri alle scuole superiori, dove anzi i ragazzi che studiano da casa sono diminuiti, passando da 1030 a 947.

Il boom “dell’istruzione domiciliare” trova le sue cause anche, forse soprattutto, nel periodo pandemico. Con i figli a casa in DAD e il doversi fare obbligatoriamente carico della gestione di parte della didattica, molte famiglie hanno deciso di fare un passo in più, rendendosi autonomi dalle esigenze, richieste e valutazioni della scuola. Proprio come avviene in un’altra modalità scolastica simile all’homeschooling che si sta diffondendo: la scuola parentale. I genitori o i tutori si assumono la totale e diretta responsabilità dell’istruzione dei propri figli ma, in questo caso, è previsto un luogo fisico e la frequenza del bambino. Si tratta di una forma d’istruzione che vede, infatti, più genitori riunirsi al fine di creare una dimensione comunitaria basata su un progetto educativo riconosciuto.

[di Eugenia Greco]

Romania: Parlamento approva mozione di sfiducia, cade il governo

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In Romania, nella giornata di oggi è caduto il governo guidato dal primo ministro liberale Florin Citu. Il tutto in seguito ad una mozione di sfiducia approvata a gran voce dal Parlamento. Essa infatti ha ricevuto 281 voti a favore, una cifra di gran lunga superiore alla soglia minima necessaria pari a 234 voti. Nello specifico, la mozione è stata sostenuta dall’ex partito del governo di coalizione Usr-Plus e dal partito di estrema destra Aur. Gli alleati di Citu, invece, hanno boicottato il voto.

L’Europa valuta una missione militare al fianco dell’Ucraina in chiave anti-russa

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L’Unione Europea starebbe valutando l’invio di una missione di addestramento militare in Ucraina in risposta alle continue attività militari russe. È quanto si apprende da un documento interno di Bruxelles. Secondo il materiale, pubblicato in esclusiva dal settimanale tedesco Welt am Sonntag, il programma prevedrebbe l’invio di una missione di addestramento militare dei paesi membri dell’UE a sostegno del governo di Kiev, impegnato in un conflitto continuo e non dichiarato con la Russia.

La richiesta di un intervento europeo nella regione sembrerebbe venire espressamente da rappresentanti dello stesso governo ucraino, in particolare dai ministri degli Esteri e della Difesa, che a luglio avrebbero fatto esplicita richiesta all’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Josep Borrell, di un impegno militare europeo a sostegno di Kiev.

D’altronde, l’impegno europeo a salvaguardia dei propri confini orientali è di lunga data. L’attenzione di Bruxelles per il teatro ucraino risale al 2009, con il lancio di un partenariato che però, almeno fino ad adesso, non aveva nessuna dimensione militare, e che anzi si identificava come “un’espressione di solidarietà” con l’Ucraina. Solidarietà che si sarebbe andata rafforzando negli anni, man mano che la tensione con la Russia saliva e, nel 2014, esplodeva con l’annessione della Crimea.

Nel dicembre dello stesso anno, l’Unione Europea promuoveva la missione Advisory Mission Ukraine, mirante a “riformare il settore della sicurezza civile e a rinnovare la fiducia popolare nelle istituzioni attraverso un processo di riforme e di progetti internazionali”. Secondo il documento interno pubblicato dall’inserto settimanale del quotidiano Die Welt, una delle tre opzioni sul tavolo dell’Unione Europea sarebbe quella di rafforzare l’impegno della “Advisory Mission” nell’ambito dell’addestramento militare.

La spinta a introdurre un più stretto vincolo militare viene dalle esplicite richieste dei tre paesi baltici europei – Lettonia, Estonia e Lituania – preoccupati dalle continue esercitazioni militare russe vicino ai loro confini (e dunque a quelli europei). Queste nazioni condividono le stesse preoccupazioni ucraine nei confronti di Mosca, e le manovre militari russe dell’area, in particolare l’esercitazione militare Zapad-2021 dello scorso settembre e il massiccio incremento di truppe al confine ucraino di aprile, hanno spinto a richiedere un maggiore coinvolgimento militare europeo nell’area.

Mosca nega un rafforzamento delle proprie truppe sul suo confine occidentale, ma intanto diversi osservatori internazionali ritengono alto il rischio dello scoppio di un nuovo conflitto nella regione. Al momento non risultano dichiarazioni del Cremlino in merito alla formazione di una missione europea in Ucraina.

Tuttavia, l’effettiva creazione di questa missione non è affatto scontata. Un maggiore impegno dell’Unione nel teatro orientale, come d’altronde ogni decisione politica, richiede l’approvazione unanime degli Stati Membri, e le voci discordanti – tra cui quelle di Italia, Grecia e Cipro – che invitano alla prudenza e a evitare “inutili provocazioni” verso Mosca sono diverse. Restano da capire sia le reali possibilità di azione di Bruxelles che le inevitabili risposte del Cremlino, che non tarderanno certo ad arrivare.

Quel che è certo è che l’Ucraina appare destinata a continuare ad essere il principale teatro delle tensioni tra Russia e Nato nel prossimo futuro. Esercitazioni militari congiunte con il governo di Kiev sono già state intraprese dal Regno Unito, che – dopo la Brexit – sta rappresentando sempre più un braccio armato degli Stati Uniti, impegnato in provocazioni di vario tipo non solo contro Mosca ma anche contro la Cina. Mentre gli Stati Uniti insistono nelle dichiarazioni riguardanti l’intenzione di accettare l’Ucraina dentro il patto militare atlantico: decisione che per Mosca somiglierebbe a una dichiarazione di guerra, dato che renderebbe possibile per gli americani istallare missili capaci di tenere sotto tiro le città russe. Fino ad oggi l’Unione Europea (al netto di sanzioni economiche imposte più per dovere nei confronti dell’alleato americano che per reale volontà) è rimasta in posizione di attesa, anzi portando avanti il progetto Nord Steam 2 per trasportare il gas russo nel vecchio continente. Dovesse concretizzarsi una missione come quella prospettata sarebbe un deciso cambio di passo che contribuirebbe ad innalzare la tensione internazionale.

[di Rubén Ernesto Umbrello]

Referendum eutanasia: raccolte oltre 1,2 milioni di firme

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Nella giornata di oggi Marco Cappato, il segretario dell’associazione Luca Coscioni, ed i coordinatori del comitato, hanno annunciato in una conferenza stampa tenutasi a Milano che più di un milione e duecentomila firme sono state raccolte per chiedere un referendum sull’eutanasia legale. Nello specifico, quattrocentomila firme sono state raccolte online, mentre le restanti su carta grazie al lavoro degli oltre tredicimila volontari. Seimila tavoli di raccolta sono stati infatti allestiti da questi ultimi in più di mille comuni.

Ita, viceministra Laura Castelli: “Governo conferma partenza operativa il 15 ottobre”

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«Il governo conferma che la partenza operativa di Ita avverrà il 15 ottobre». È quanto affermato dalla viceministra dell’economia e delle finanze, Laura Castelli, in audizione alle Commissioni riunite Trasporti della Camera e Lavori pubblici del Senato sul piano industriale e la partenza di Ita, la compagnia aerea di proprietà statale pronta a prendere il posto di Alitalia. «I ricavi sono attesi in crescita, da 1,8 miliardi di euro del primo anno a 3,3 miliardi nel 2025», ha aggiunto. Come sottolineato dalla viceministra, però, le linee guida prevedono che si parta con circa 6000 effettivi, a differenza degli oltre 10.000 di Alitalia, e che nel 2025 si arriverà ad avere 8.400 dipendenti. È proprio questo il punto che preoccupa maggiormente i lavoratori.

Un’alimentazione sana per noi e per il pianeta

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Le scelte alimentari che ognuno di noi compie influiscono non solo in maniera diretta sulla nostra salute ma, indirettamente, anche sulla qualità dell’ambiente che ci circonda. Come è facile intuire, infatti, il modo in cui decidiamo di nutrirci inevitabilmente va ad incidere sul cibo che viene prodotto e dunque, almeno in parte, sull’intero sistema alimentare nonché sull’impatto ambientale dello stesso. In tal senso va ricordato uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature: i ricercatori che lo hanno condotto hanno elaborato una banca dati globale delle emissioni alimentari con il fine di effettuare una stima (relativa al periodo 1990-2015) dei gas serra derivanti da tale settore. Ebbene, nel più recente anno oggetto dell’analisi, ossia il 2015, è emerso che dal sistema alimentare è derivato il 34% del totale delle emissioni di gas serra a livello globale.

Contrastare la transizione alimentare in atto

Quello dell’inquinamento prodotto dal sistema alimentare, quindi, costituisce già adesso un problema di notevole importanza, che tuttavia con ogni probabilità si aggraverà ulteriormente in futuro: basterà ricordare che, secondo un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), nel 2030 la popolazione mondiale potrebbe essere composta da 8,5 miliardi di persone, nel 2050 da 9,7 miliardi, ed entro la fine del secolo da quasi 11 miliardi. Sarebbero 4,3 miliardi in più di bocche da sfamare rispetto a oggi. Chiaro quindi che anche l’impronta ambientale della produzione di cibo sarebbe destinata ad accrescere proporzionalmente. Uno scenario assolutamente da evitare: per questo sono necessarie rapide contromisure, nelle tecniche di produzione ma anche, forse soprattutto, nella scelta dei cibi da porre sulla tavola. Ma per ora si marcia in direzione opposta. Secondo una ricerca condotta da ricercatori dell’Università del Minnesota, anche in questo caso pubblicata su Nature, è in atto una «transizione alimentare globale in cui le diete tradizionali sono sostituite da diete più ricche di zuccheri raffinati, grassi raffinati, oli e carni. Una tendenza dietetica che, se non controllata, entro il 2050 comporterebbe un aumento stimato dell’80% delle emissioni agricole globali di gas serra derivanti dalla produzione alimentare e dal disboscamento globale». Ed a pagarne il prezzo non è solo il clima, dato che queste diete stanno producendo anche un aumento notevole della «incidenza del diabete di tipo II, della malattia coronarica e di altre malattie croniche».

La dieta mediterranea è sostenibile

Ma cosa possiamo fare, dunque, per migliorare questa situazione? Una risposta potrebbe risiedere nelle cosiddette “diete sostenibili”: è così che l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), all’interno del report “Sustainable Diets and Biodiversity”, definisce le diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale. Esse sono rispettose della biodiversità e degli ecosistemi, nonché accessibili ed economicamente eque e convenienti. Detto ciò, in Italia non ci sarebbero grossi problemi a seguire un regime alimentare che soddisfi tali requisiti, in quanto tra gli esempi di diete sostenibili la Fao cita proprio quella mediterranea. Ed a tal proposito non si può non ricordare la “Met Diet 4.0”, un quadro multidimensionale che identifica 4 possibili vantaggi di tale dieta, ossia: i benefici per la salute, il basso impatto ambientale, l’alto valore socioculturale e i ritorni positivi sull’economia locale. Si tratta infatti di un modo di alimentarsi che incentiva il consumo stagionale di prodotti freschi e locali nonché la biodiversità e la varietà dei cibi, stimola le attività culinarie tradizionali oltre che la convivialità e la frugalità. Nello specifico poi, alla base della piramide alimentare mediterranea vi sono verdure, frutta e cereali, da consumare ogni giorno, mentre alimenti quali pesce, pollame, legumi, uova e formaggi devono essere consumati settimanalmente. La carne rossa non è bandita, ma ricollocata nel territorio di moderazione che da sempre, a queste latitudini, ne ha contraddistinto il consumo: due porzioni o meno a settimana, massimo 50 grammi a settimana se processata.

Le “blue zones”

Un’ulteriore conferma del fatto che la dieta mediterranea sia ottima a livello salutare la si può ricavare anche dalle cosiddette “blue zones”: si tratta di alcune aree, geograficamente distanti tra loro, accomunate da una speranza di vita delle persone che vi risiedono notevolmente più alta rispetto alla media mondiale. Ciò è determinato non solo dal fatto che le “blue zones” hanno caratteristiche ambientali e culturali simili, ma anche dallo stile di vita che gli abitanti conducono, alla base del quale vi è un regime alimentare non molto differente da quello previsto dalla dieta mediterranea. Le persone che vivono in queste zone infatti si rifanno ad un’alimentazione frugale, semplice e genuina, povera di zuccheri e di cibi industriali, caratterizzata da un ampio consumo di cibi di origine vegetale e, viceversa, da un consumo moderato di carne bianca, pesce, latte e formaggi.

Sprecare meno cibo è fondamentale

Detto ciò, anche lo spreco di cibo rappresenta un’altra abitudine molto diffusa che, a livello individuale, è fondamentale modificare. In tal caso, per cibo sprecato dobbiamo intendere da un lato quello mangiato inutilmente e dall’altro quello acquistato e non consumato (e di conseguenza buttato). Nel primo caso, infatti, si andrà a favorire una condizione di obesità, la quale non solo arrecherà un danno alla propria salute ma indirettamente anche all’ambiente, a causa delle emissioni di anidride carbonica prodotte durante la filiera. Prova ne è una ricerca avente ad oggetto lo sviluppo di un nuovo indice, il cosiddetto “Spreco Alimentare Metabolico”, che valuta i chili di cibo ”sprecato” o comunque in eccesso che un individuo con problemi di sovrappeso o obesità consuma ed il relativo impatto ambientale in termini di emissioni di anidride carbonica, consumo di acqua e di terreno. Lo Spreco Alimentare Metabolico per la popolazione italiana in sovrappeso e obesa «è risultato essere di oltre 2 miliardi di chili di cibo, un consumo di acqua pari al 13% del volume del Lago di Garda, una quantità di emissioni di CO2 pari all’11,8% delle emissioni prodotte dalla produzione agricola in Italia e un consumo di terreno pari al 73% della superficie di Asia ed Africa».

Venendo invece al secondo caso sopracitato, ossia quello del cibo buttato, bisogna ricordare che non consumando e dunque gettando il cibo acquistato si contribuirà ulteriormente ad inquinare l’ambiente. Si tratta di un problema non da poco, dato che a livello globale ogni anno sprechiamo circa 900 milioni di tonnellate di cibo: solo nel 2019 gli scarti alimentari globali sono ammontati a 931 milioni di tonnellate, il 17% del cibo disponibile al consumo. Nello specifico, l’11% viene gettato dalle famiglie: ciò rende l’idea di quanto le scelte di ognuno di noi incidano anche sulla salute dell’ambiente, dato che l’8-10% delle emissioni globali di gas serra derivano dalla quantità di cibo non consumato.

Chiaro che, come ribadito a più riprese anche in queste colonne, la soluzione ai problemi creati dall’alimentazione va costruita innanzitutto modificandone la filiera di produzione, modellata sulle necessità della grande industria, a discapito delle esigenze dei consumatori e dell’ambiente. Tuttavia riflettere su quanto si porta sulla tavola e cercare di fare la spesa in modo consapevole è un passo immediato e che tutti possono fare. La salute personale ne guadagnerebbe immediatamente, e anche per l’ambiente – goccia su goccia – non sarebbe poco.

[di Raffaele De Luca]

Filippine, il figlio del dittatore Marcos si candida alla presidenza

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Ferdinand Marcos Jr, figlio dell’ultimo dittatore filippino, ha comunicato la sua candidatura alla presidenza dopo l’annuncio del ritiro di Duterte al termine del mandato. La mossa di Marcos Jr. è audace, dal momento che il Paese si sta ancora riprendendo dalle conseguenze della dittatura del padre negli anni ’70. La sua famiglia sta da molto tempo cercando di ricostruire la propria immagine e nega le violazioni dei diritti umani e gli abusi commessi durante la dittatura. Il gruppo per la difesa dei diritti umani Karapatan ha scritto che Marcos Jr. “sta sputando su centinaia di assassinati, arrestati illegalmente e detenuti, torturati, stuprati e fatti sparire con la forza durante la dittatura”.

Concorsi universitari truccati: indagato il virologo Massimo Galli

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Il virologo e ormai volto noto della tivù Massimo Galli è indagato per turbativa d’asta e falso ideologico dalla Procura di Milano. La star della narrazione pandemica si sarebbe reso protagonista del più tipico dei reati che vedono spesso finire alla ribalta i “baroni” delle Università italiane: assieme a 23 colleghi avrebbe favorito alcuni candidati per l’assegnazione di posti di professore di ruolo all’Università degli Studi di Milano, penalizzandone altri non graditi. I fatti contestati si riferiscono ai concorsi universitari di Medicina ritenuti truccati all’Università degli Studi di Milano nel 2020.

Secondo quanto appreso in ambienti investigativi e riportato dal Corriere della Sera: “L’ipotesi di reato mossa al primario dell’ospedale Sacco è che, nella veste di presidente della commissione giudicatrice della selezione bandita nel giugno 2019 per un posto di professore di ruolo di seconda fascia all’Università Statale in malattie cutanee, infettive e dell’apparato digerente nel Dipartimento di scienze biomediche e cliniche dell’ospedale Sacco, avrebbe condizionato l’intera procedura allo scopo di penalizzare un candidato (Massimo Puoti, direttore di struttura complessa di malattie infettive dell’ospedale Niguarda di Milano) attraverso criteri di valutazione dei punteggi che nel febbraio 2020 favorissero invece il candidato poi risultato vincente, Agostino Riva, legato a Galli da stima professionale e fiducia personale”.

A Galli viene contestato un secondo episodio analogo: nel giugno 2020, durante la procedura di selezione per assumere quattro dirigenti biologi da assegnare all’Unità malattia infettive del Sacco, avrebbe concordato con il direttore generale dell’Azienda sociosanitaria territoriale Fatebenefratelli-Sacco, Alessandro Visconti, la preparazione di un avviso pubblico ritagliato sulle caratteristiche di due candidate che intendeva a favorire (di cui una poi vincente).

L’altra accusa che pende sul capo del virologo è quello di turbativa d’asta: l’imputazione in questione si riferisce a un concorso per un posto come professore di ruolo di prima fascia in Igiene generale e applicata sempre alla Statale di Milano, bandito nell’aprile 2020 e vinto da Gianguglielmo Zehender. In questo caso Galli avrebbe “ritagliato il profilo del concorso sul ritratto di Zehender” per farlo vincere.

L’impero di Facebook è andato in cortocircuito, e non sarà l’ultima volta

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Lunedì 4 ottobre 2021 le app e le pagine web sotto all’ombrello di Facebook Inc. sono risultate irraggiungibili per almeno sei ore. Niente Facebook, niente WhatsApp, niente Instagram, niente Messenger e niente OculusVR. Un evento che ha del cataclismatico, tenendo conto che viviamo in un’era in cui i social rappresentano il nucleo delle interazioni, del marketing e del commercio. Un evento tanto straniante che alcuni hanno teorizzato sin da subito l’intervento invasivo di hacker dalla deriva anarchica, ma che sembra spiegarsi in tecnicismi tutt’altro che accattivanti.

In coda alla crisi, Facebook Inc. ha infatti pubblicato sul suo blog una dichiarazione con cui ha chiesto scusa ai suoi utenti, assicurando che i tecnici stiano lavorando per riportare a pieno regime il sistema e spiegando che le cause del disservizio sarebbero legate a una non meglio specificata «variazione di configurazione» dei router. L’azienda assicura inoltre che nessun dato sia stato compromesso.

Non è chiaro quali siano state le modifiche scatenanti, tuttavia il traffico tra i vari centri dati è stato temporaneamente annichilito, dettaglio che ha portato alcuni analisti a pensare che la Big Tech stesse ricalibrando il suo Border Gateway Protocol (BGP), il protocollo di routing che ottimizza i percorsi del traffico dati, o che abbia toccato il Domain Name System (DNS), il sistema usato per assegnare i nomi ai nodi di Rete. L’intoppo ricorda comunque da vicino quanto già accaduto lo scorso 19 marzo e non è da escludere che la nostra crescente dipendenza dalla digitalizzazione ci porterà sempre più a vivere episodi di crisi affini a quello appena terminato, se non altro perché i sistemi di comunicazione tradizionali faticano a reggere il passo delle Big Tech.

L’incidente non ha comunque posto in buona luce Facebook Inc., il quale ha dovuto appoggiarsi a Twitter, social network della concorrenza, per comunicare con la propria utenza, il tutto mentre il sistema di messaggistica Telegram si è trovato a dover reggere il traffico di tutti coloro che normalmente fanno affidamento su WhatsApp e Messenger. Il risultato è stato comunque un effetto a catena che ha parzialmente sovraccaricato i canali di comunicazione internettiani, da Zoom a Gmail tutti sembrano infatti aver registrato disservizi di qualche tipo.

Passata la tempesta, molti fanno notare che il titolo in Borsa di Facebook sia immediatamente crollato del 5% e che il valore attribuito al CEO Mark Zuckerberg sia calato in un solo colpo di più di 6 miliardi di dollari. Una volatilità che, a ben vedere, non sarebbe però da attribuire tanto all’inciampo tecnico, quanto alla funesta settimana che attende l’azienda: proprio oggi Frances Haugen, ex ingegnere informatico di Facebook, porterà al Senato statunitense documenti e testimonianze che dovrebbero dimostrare la deliberata decisione della ditta digitale di peggiorare la società pur di garantirsi un ritorno economico.

[di Walter Ferri]