mercoledì 5 Novembre 2025
Home Blog Pagina 1349

Rifiuti di plastica, al via i negoziati per un accordo globale

0

Nella giornata di ieri i ministri dell’ambiente ed altri rappresentanti di oltre 170 nazioni si sono riuniti a Nairobi, in Kenya, per dare inizio ad una 3 giorni di negoziati nell’ambito della quinta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unea), un’organo che si occupa di stabilire le priorità in materia di politiche ambientali a livello globale. È quanto si apprende dal sito dell’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), dal quale si evince che tali negoziati si stiano tenendo con l’obiettivo di arrivare ad un accordo globale sull’inquinamento da plastica. Quest’ultimo, nello specifico, dovrebbe avere ad oggetto “l’intero ciclo di vista della plastica”, ovvero la produzione ed il design degli imballaggi nonché la gestione dei rifiuti: a renderlo noto è stata l’agenzia di stampa Reuters, la quale ha fatto sapere che sarebbero questi alcuni dei punti contenuti in una bozza di risoluzione da essa visionata. Nella stessa sarebbe inoltre anche prevista la promozione della progettazione sostenibile degli imballaggi in plastica così da poterli riutilizzare e riciclare, il che vorrebbe dire chiudere definitivamente il capitolo sulla plastica monouso.

Non si hanno invece certezze su un altro aspetto di fondamentale importanza, ovverosia il possibile carattere legalmente vincolante dell’accordo. La bozza, infatti, è enigmatica già a partire dal titolo, nel quale si afferma semplicemente la volontà di dirigersi “verso uno strumento giuridicamente vincolante a livello internazionale”. Tuttavia, sembra comunque probabile l’inserimento della vincolatività nell’accordo dato che, come dichiarato dal direttore esecutivo dell’Unep, Inger Andersen, “un’azione ambiziosa per combattere l’inquinamento da plastica dovrebbe”, tra le altre cose, “essere legalmente vincolante”.

A tal proposito, bisogna ricordare che una settimana di negoziati ha preceduto la creazione della bozza, che solo nelle prime ore della giornata di ieri è stata messa a punto. Ora dunque spetterà ai ministri e rappresentati delle 170 nazioni dare l’ok definitivo all’accordo, cosa che dovrebbe essere fatta nella giornata di mercoledì. Se poi si dovesse raggiungere l’intesa sul documento, quest’ultimo prevedrebbe la formazione di un comitato di negoziazione intergovernativo che dovrebbe limare gli ultimi dettagli con l’obiettivo di avere un accordo pronto per la ratifica nel 2024. Dunque, anche con il raggiungimento di un accordo si dovrebbe comunque aspettare ancora prima che esso diventi realtà, tuttavia ciò non toglie che le riunioni attuali siano di fondamentale importanza dato che con esse si concorderanno i punti fermi dello stesso.

Detto ciò bisogna ricordare che il documento di cui si sta discutendo a Nairobi, che costituirebbe il primo accordo globale per affrontare l’inquinamento da plastica, farebbe seguito ad una direttiva dell’Unione europea recentemente entrata in vigore con cui sono stati messi al bando alcuni oggetti in plastica monouso. Essa però esclude diversi prodotti usa e getta e dunque, seppur rappresenti senza dubbio un primo passo verso la riduzione dell’impatto ambientale della plastica, non costituisce una svolta definitiva. Sarà quindi probabilmente anche per questo che l’Ue, che sta partecipando ai negoziati, propende per un “accordo globale giuridicamente vincolante”, sostenendo inoltre che “solo gli sforzi coordinati a livello mondiale riusciranno a fare fronte all’inquinamento da plastica costituendo esso un problema globale”.

Una posizione ovviamente sostenuta dall’Unep, la quale ricorda che “ogni minuto l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di plastica viene scaricato negli oceani”. “Circa 7 miliardi dei 9,2 miliardi di tonnellate di plastica prodotte dal 1950 al 2017 sono diventati rifiuti”, aggiunge l’Unep, sottolineando altresì che l’inquinamento da plastica possa “alterare gli habitat ed i processi naturali, riducendo la capacità degli ecosistemi di adattarsi ai cambiamenti climatici e colpendo direttamente i mezzi di sussistenza di milioni di persone, le capacità di produzione alimentare ed il benessere sociale”.

[di Raffaele De Luca]

Siria: nel mese di febbraio 333 persone uccise in conflitto

0

Nel solo mese di febbraio 2022, in Siria, 333 persone sarebbero state uccise nel conflitto armato in corso nel Paese da oltre 10 anni: a renderlo noto è l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), secondo cui tra le vittime vi sarebbero 161 civili, di cui 34 tra bambini e adolescenti ed 11 donne. “Invitiamo ancora una volta la comunità internazionale a lavorare sodo per fermare lo spargimento di sangue in Siria”, si legge a tal proposito sul sito dell’Osservatorio.

La guerra ucraina si svolge anche online

0

Le reazioni geopolitiche all’invasione dell’Ucraina sono poste sotto i riflettori globali ormai da giorni, ma parallelamente alle mobilitazioni di truppe c’è una seconda, innovativa, battaglia che sta sconvolgendo il panorama bellico da dietro le quinte, quello della guerra cibernetica (“cyberwarfare”). L’importanza di questa sfera strategica si è dimostrata evidente già nei giorni che hanno preceduto le dichiarazioni indipendiste del Donbass da parte del Cremlino, quando la Computer Emergency Response Team ucraina (CERT-UA) ha segnalato una massiccia manovra di phishing potenzialmente ricollegato a criminali informatici della Bielorussia.

L’assalto non si è fermato però al solo phishing, anzi è presto evoluto in attacchi ransomware che si sono a loro volta tramutati in ondate di data wiping, ovvero nella cancellazione coatta dei dati presenti sui server. In un mondo sempre più digitalizzato, l’hacking si sta dimostrato in questi giorni un mezzo comparabile al sabotaggio di ponti e ferrovie, un mezzo essenziale nel rallentare le capacità di coordinamento degli ingranaggi amministrativi che governano l’Ucraina.

Pensare che il cybercrimine sia stato sfruttato unilateralmente sarebbe però ingenuo. I gruppi hacker, mossi da motivazioni etiche o pecuniarie, si stanno frammentando e ridistribuendo tra le due parti, scatenando un ginepraio digitale che rappresenta un’anticipazione di un possibile futuro fatto di duelli di matrice informatica: gruppi ransomware passati alla Russia si sono visti a loro volta colpiti da colleghi che ne hanno rivelato i dati sensibili, il celebre collettivo di Anonymous sta sfidando la Russia e i politici occidentali che si sono dimostrati accomodanti con il Presidente Vladimir Putin, il gruppo GhostSec sta assalendo le pagine web dei corpi militari russi e lo stesso Governo ucraino ha imbastito uno squadrone di hacker.

Questa “cyber-falange” è stata imbastita in tempi da record da Mykhailo Fedorov, Ministro ucraino della transizione digitale, e coinvolge più di 250mila volontari con sede in ogni angolo del mondo, i quali si coordinano sommariamente attraverso il gruppo Telegram @itarmyofukraine2022. Il plotone si dichiara responsabile dell’abbattimento della webpage del Ministero degli Esteri russo, della borsa valori e di alcune banche direttamente legate alla politica di Mosca. Persino le pagine internettiane di alcune testate giornalistiche russe si sono trovate vittima di attacchi, con il risultato che sono state tramutate per breve periodo in bacheche ricolme di messaggi critici nei confronti di Putin.

Da una parte e dall’altra si registrano insomma centinaia di migliaia di hacker pronti a saggiare le difese avversarie, uno sciame privo di gerarchia che colpisce orizzontalmente giocando la carta dei grandi numeri, un’onda cibernetica che probabilmente è destinata a rimanere per sempre anonima. La guerra in Ucraina sta tuttavia mostrano anche un’altra faccia della guerra dei tempi digitali: quella satellitare. Molti esperti concordano nel suggerire che gli attacchi hacker attribuiti alla Russia siano stati ben al di sotto delle reali possibilità a disposizione del Cremlino, che le forze attaccanti abbiano contenuto per superbia o per strategia la potenza del proprio intervento, una fiacchezza a cui ora, sospettano le Intelligence statunitensi, si cercherà di porre rimedio preparandosi a interferenze satellitari.

Nel caso si tratterebbe della prima dimostrazione concreta dell’esoguerra – ovvero della guerra orbitale – una prospettiva che gli Stati Uniti e gli osservatori terzi stanno temendo. Lo si nota nella scelta di Elon Musk di mettere a disposizione la rete StarLink – soggetta a contratti militari con gli USA – al popolo ucraino qualora le telecomunicazioni dovessero crollare, ma anche nei suggerimenti forniti dal leader di Wikileaks Julian Assange, il quale raccomanda a tutte le persone dell’area di scaricarsi l’app di messaggistica Briar, applicazione che è particolarmente attenta alla privacy e che funziona anche in assenza di wifi grazie a un sistema peer-to-peer in chiave Bluetooth.

Le incertezze in campo sono ancora molte, ma questa sfida globale sta mettendo in scena degli approcci informatici la cui portata era stata fino a ora solamente teorizzata. Considerando l’ampia lista di armi “futuristiche” che ambo le parti hanno raccolto nei reciproci arsenali, non resta che sperare che la situazione non degeneri ulteriormente.

[di Walter Ferri]

Perché l’idea di sostituire il gas russo con le estrazioni in Italia non ha senso

2

Nelle scorse settimane il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (il PiTESAI) ha visto la sua definitiva approvazione dopo 3 anni di attese. A che serve? Si tratta di una specie di documento guida che in più di 200 pagine evidenzia le zone dove in Italia è possibile riprendere a trivellare. Proprio quando si comincia a parlare di fonti rinnovabili e ed energia pulita, il Governo tira fuori con estremo ritardo alcune dritte su come e dove reperire più fonti fossili possibili. Gas in particolare. Un atteggiamento reso ancor più forte dall'inizio della guerra in Ucraina...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Perù: stop al proibizionismo, via al patto sociale con i “cocaleros”

0

In Perù, il governo di Pedro Castillo dimostra di voler imporre una concreta rottura con il passato e adotta una nuova politica di lotta alle coltivazioni di droga, basata su un nuovo tipo di patto sociale piuttosto che sulla repressione. Castillo si era già dimostrato una figura innovativa nel panorama politico peruviano degli ultimi decenni per le posizioni di “zero tolleranza” nei confronti delle multinazionali dopo il caso Repsol, non lasciandosi intimidire dalla minaccia di ripercussioni da parte della multinazionale. Ora il presidente approva una politica in netta rottura con il modello americano di contrasto alla droga con il quale si è perseverato in Perù e altre zone di produzione dell’America Latina negli ultimi decenni e i cui risultati sono stati nulli, portando anzi ad un incremento del traffico e dello spaccio di stupefacenti.

Quella proposta da Pedro Castillo, presidente del Perù da giugno 2021, e Ricardo Soberón, nuovo capo delle politiche antidroga in Perù e presidente esecutivo della Commissione nazionale per lo sviluppo della vita senza droghe (Devida) è una soluzione del tutto innovativa, che cambia del tutto l’approccio alla lotta allo spaccio di sostanze stupefacenti, guardando al fenomeno da tutt’altro punto di vista. Il patto sociale con i cocaleros, ovvero i coltivatori della pianta di coca, vuole infatti favorire una “eradicazione volontaria, pacifica e progressiva” delle coltivazioni di coca, offrendo ai contadini mezzi alternativi di sostentamento.

In Perù sono infatti 150 mila le famiglie contadine che vivono della coltivazione di piante di coca, per un totale di 61 mila ettari di terreno coltivati e circa 600 tonnellate di cocaina prodotte ogni anno (stime ufficiali del Governo, di molto inferiori a quelle stilate dagli Stati Uniti). L’80% della cocaina prodotta in Perù è destinata allo smercio in Europa, il 20% agli Stati Uniti, i quali si riforniscono soprattutto di cocaina prodotta in Colombia. La repressione violenta e la criminalizzazione dei cocaleros non ha fornito ad oggi alcuna soluzione concreta al problema della vendita di cocaina, perché alla criminalizzazione dei contadini non è seguita alcuna iniziativa per favorirne il transito ad nuovi mezzi di sostentamento.

«La politica di criminalizzazione dei cocaleros ha fallito e deve cambiare» spiega Soberón: «Continuare con una eradicazione come fino ad ora senza verificarne la sostenibilità porta a perdere denaro e generare conflitti e nuovi focolai di produzione di coca. Fino ad ora non vi è stata una sincronizzazione tra eradicazione e sviluppo alternativo per gli agricoltori, ora la vogliamo ottenere». L’idea alla base del patto sociale, quindi, è sostituire l’intervento sociale a quello poliziesco e repressivo, dopo che quest’ultimo si è dimostrato del tutto inefficace perché non in grado di offrire alternative ai contadini per il proprio sostentamento, portando quindi le dinamiche a ripetersi dopo ogni intervento.

Come dimostrano decenni di studi del settore, il proibizionismo costituisce una politica del tutto inefficace per la lotta allo spaccio di sostanze stupefacenti. Come denunciato dal rapporto della Global Commission Drug Policy pubblicato nel dicembre 2021, il piano d’azione estremamente semplificato dell’usare il pugno duro contro la delinquenza non ha portato all’eradicazione della problematica delle droghe, ma ha anzi diretto la tendenza del mercato verso una sempre maggiore diversificazione ed espansione. Nel 2019, 329 ONG hanno approvato un rapporto per chiedere ai leader mondiali una riforma integrale delle politiche antidroga, dopo che i dati rilevati hanno constatato come nel decennio 2009-2019 i decessi per droga fossero aumentati del 60% arrivando a un numero di 450 mila all’anno, circa 50 ogni ora.

In Perù, le questioni legate alla droga sono state definite, fino al 2021, dal CORAH, il Progetto speciale per il controllo e la riduzione della coltivazione di coca. Tale progetto fu creato nell’Ambito dell’Accordo di Cooperazione del 1981 tra Perù e USA e, per quanto dipenda dal Ministero dell’Interno peruviano, è sempre stato interamente finanziato dai NAS (la Sezione narcotici) dell’ambasciata statunitense in Perù. Il CORAH, sotto probabile spinta degli Stati Uniti, di imporre le proprie politiche anche a Castillo, il quale tuttavia ha dimostrato di voler seguire ben altra linea. Come fa notare Hugo Cabieses, economista esperto di questioni legate alla cocaina in Perù, “l’approccio criminale-poliziesco eradicante e repressivo non ha funzionato in nessun luogo del pianeta e lo stesso vale per altri crimini: l’ONU, l’UE e gli studiosi in materia lo riconoscono, ma gli USA no”.

Castillo, uscito per un soffio vincitore dalle elezioni del 2021 che lo vedevano concorrere con la candidata conservatrice Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, dimostra ancora una volta di voler rappresentare una rottura con decenni di politiche neoliberiste e filoamericane, offrendo un importante cambio di rotta nella politica peruviana.

[di Valeria Casolaro]

Ucraina: ok del Senato a risoluzione bipartisan

0

A conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, l’Aula del Senato ha dato il via libera alla risoluzione bipartisan con 244 voti favorevoli, 13 contrari e 3 astenuti. Il testo approvato – si legge sul sito del Senato – impegna, tra l’altro, il Governo ad “esigere l’immediata cessazione delle operazioni belliche e il ritiro delle forze militari”, a sostenere ogni iniziativa “utile alla de-esclation militare e alla ripresa di un percorso negoziale”, ad “assicurare sostegno al popolo ucraino con azioni di assistenza umanitaria e finanziaria e – tenendo informato il Parlamento e in coordinamento con altri paesi europei e alleati – con la cessione di apparati e strumenti militari per la difesa dell’Ucraina” e ad “attivare strategie di diversificazione degli approvvigionamenti energetici”.

Diritto alla casa contro Airbnb: la proposta di legge dei cittadini veneziani

1

Il 6 marzo verrà presentata una proposta di legge che possa finalmente salvaguardare il diritto all’abitare, riequilibrando il mercato immobiliare. Le amministrazioni locali si sono trovate disarmate quando, soprattutto nei comuni ad alta tensione abitativa, gli affitti brevi sono aumentati in maniera esponenziale. La conseguenza è stata un’ovvia crescita dei canoni mensili e sono state riscontrare difficoltà sempre maggiori a trovare abitazioni dove risiedere. Allora, a partire dalla mobilitazione nella città di Venezia, comitati e associazioni hanno ora intenzione di agire a livello nazionale per proporre un iter legislativo volto a difendere e regolamentare la residenzialità. L’obiettivo principale è quello di arrivare a un equilibrio tra l’incontrollata diffusione delle locazioni brevi turistiche e il diritto all’abitare, venuto meno quasi completamente per un vuoto normativo esistente in tutta la Penisola.

Motivo per cui c’è la volontà di creare uno strumento efficace per ridisegnare e finalmente moderare gli effetti dell’improvviso boom delle locazioni brevi turistiche, che ha avuto conseguenze importanti sul mercato immobiliare, pesando non poco ai residenti. Anche a causa della diffusione di appositi siti, in molti hanno optato per rendere case di proprietà abitazioni praticamente solo ricettive, rendendo quasi impossibile trovare alloggi a prezzi accessibili. Una situazione che è letteralmente sfuggita di mano alle amministrazioni italiane e dove si sente la mancanza di un’azione legislativa volta a tutelare il sacrosanto diritto alla casa. In Italia manca una reale regolamentazione del fenomeno, eppure non è impossibile prendere provvedimenti, tanto a livello statale quanto cittadino. Basti guardare altri Paesi in Europa, come la Francia o l’Olanda. Un’azione simile c’era stata con la proposta di un emendamento al “Decreto Milleproroghe”. L’emendamento, che risale al 2020, è però stato bocciato. Rimane comunque l’esigenza di avere giusti strumenti per controllare e ridisegnare il rapporto tra residenzialità ed economia turistica, altrimenti continuerà a verificarsi quel che poi ha portato all’urgente dialogo e necessaria azione a Venezia.

Per riportare alcuni dati dell’Osservatorio Civico sulla casa e la residenza – Venezia (OCIO), a Venezia su 76.347 posti letto totali, circa 26.793 sono per locazioni turistiche (novembre 2021 settore alberghiero ed extra-alberghiero). Seguendo poi i dati della Regione Veneto, gli alloggi privati costituiscono il 92% delle strutture ricettive della Venezia insulare. Nonostante abbiano una capacità di accoglienza inferiore a un albergo, gli alloggi di privati adibiti per i turisti coprono la maggior parte dei posti letto dell’offerta ricettiva complessiva (ovvero il 56%). Il problema è che in Italia la locazione breve non è considerata una vera struttura ricettiva, anche se costituisce parte dell’offerta ricettiva del territorio ed è chiaro quanto ormai sia centrale nell’ospitalità turistica. Ecco come la nuova proposta di legge cerchi di “Colmare un vuoto normativo con una regolamentazione nazionale”, cosicché ci siano i giusti modi per arrivare a un rapporto equo e bilanciato tra casa, città e turismo. 

[di Francesca Naima]

Anche l’Italia invierà armi all’Ucraina

5

Negli ultimi giorni l’Unione europea ha varato diverse sanzioni nei confronti della Russia, in risposta all’invasione dell’Ucraina. Dopo la chiusura dello spazio aereo, Ursula Von der Leyen ha annunciato che «per la prima volta in assoluto l’Unione europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi ed equipaggi per un Paese sotto attacco». «Questo è un momento di svolta» ha poi aggiunto. I diversi Paesi membri si sono subito allineati alla linea tracciata dall’Ue, tra cui l’Italia, dove il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il decreto-legge per fornire sostegno militare e aiuti umanitari all’Ucraina. Nel decreto è specificato che l’invio di “mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari” al Governo ucraino potrà avvenire “fino al 31 dicembre”, data in cui terminerà lo stato di emergenza appena dichiarato, ma “previa risoluzione delle Camere”.

In mattinata Mario Draghi ha dunque comunicato al Senato gli sviluppi sul conflitto tra Russia e Ucraina, affermando la necessità che «il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese. A un popolo che si difende da un attacco militare e chiede aiuto alle nostre democrazie, non è possibile rispondere soltanto con incoraggiamenti e atti di deterrenza». «Questa è la posizione italiana, dell’Unione europea, dei nostri alleati» ha poi aggiunto il Presidente del Consiglio. Tra le misure annunciate, l’Italia invierà in Ucraina “missili terra-aria Stinger, missili anti-tank, mitragliatrici MG 42/59” e raddoppierà le forze aeree presenti in Romania «in modo da garantire copertura continuativa, assieme agli assetti alleati». Infine, chiedendo al Parlamento di appoggiare queste decisioni, Mario Draghi ha citato Alcide De Gasperi: «Il cuore del popolo italiano è pronto ad associare la propria opera a quella di altri Paesi, per costruire un mondo più giusto e più umano».

L’Italia si allinea così all’Ue e ai suoi membri, che in queste ore stanno dichiarando l’appoggio alla causa Ucraina. Tra questi, la Norvegia ha appena confermato la volontà di “fornire armi e assistenza umanitaria al Paese per un valore di 226 milioni di dollari”; la Finlandia ha abbandonato il suo status neutrale e il suo Ministro della difesa, Antti Kaikkonen, ha affermato che «saranno inviati 2.500 fucili d’assalto, 150.000 munizioni, 1.500 lanciarazzi, vista la situazione estremamente difficile in Ucraina a causa dell’attacco militare russo». Nel frattempo la risposta del Cremlino non si è fatta attendere: il suo portavoce, Dmitry Peskov, ha dichiarato nella giornata di ieri che «la consegna di armi e munizioni all’Ucraina da parte dell’Ue diventerà un fattore estremamente pericoloso, che potrebbe portare a critiche conseguenze a lungo termine».

[Di Salvatore Toscano]

Cisgiordania, forze israeliane uccidono due palestinesi nel campo di Jenin

0

Le forze armate israeliane hanno ucciso due palestinesi nel corso di un raid nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. L’incursione, secondo quanto affermato da Reuters, è stata riportata da testimoni presenti sulla scena, i quali avrebbero visto le forze israeliane sotto copertura entrare nel campo per arrestare un uomo ricercato per “attività terroristiche”. Il Ministero della Sanità ha confermato che due giovani palestinesi sono stati uccisi nel corso degli scontri: Abdullah al-Husari, 22 anni, e Shadi Najm, 18 anni. Almeno altri tre sarebbero rimasti feriti.

Sentenza del Tar Lombardia: No alla sospensione dei medici non vaccinati

3

Secondo i giudici del Tribunale amministrativo regionale (TAR) Lombardia, i professionisti legati al mondo sanitario che rifiutano il vaccino anti-Covid non possono essere sospesi dall’Ordine ma, anzi, devono essere messi in condizione di poter svolgere il proprio lavoro da remoto. Se da un lato il TAR, in linea con la Corte costituzionale, sembrerebbe giustificare il “temporaneo sacrificio dell’autonomia decisionale degli esercenti delle professioni sanitarie” in ordine alla somministrazione del vaccino, dall’altro pare aprire uno spiraglio all’alternativa telematica.

La sentenza n. 109/22 del primo grado della giustizia italiana fa leva sulla discrezionalità relativa all’interpretazione dell’articolo 4, comma sesto, del decreto legge 44/2021, convertito poi nella legge 76/2021. Secondo la norma, la vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 costituisce requisito essenziale per l’esercizio del lavoro da parte “degli esercenti di professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario”. La sentenza del TAR reinterpreta parte della disposizione alla luce di un principio di matrice europea, secondo cui fra le scelte necessarie a soddisfare l’interesse pubblico bisognerebbe adottare “l’opzione meno gravosa per i soggetti interessati, evitando sacrifici inutili” e mantenendo dunque una certa proporzione fra il fine e i mezzi, fra l’interesse pubblico e le misure impiegate per il suo perseguimento.

Secondo quest’interpretazione, ad esempio, il titolare non vaccinato di uno studio medico potrebbe continuare a esercitare la propria professione, non in presenza, ma in telemedicina, garantendo ugualmente tutta una serie di attività rese possibili dalla tecnologia, tra cui fornire prime diagnosi o comunque seguire lo stato di salute dei propri pazienti.

[Di Salvatore Toscano]