sabato 12 Luglio 2025
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Pakistan, terremoto nella notte: almeno 20 morti

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Almeno 20 persone sono rimaste uccise e circa 300 ferite a causa del terremoto di magnitudo 5.7 nel Belucistan, a sud del Pakistan. L’epicentro si trova a circa 20 km di profondità, a 100 km dal capoluogo Quetta. La scossa è stata registrata nelle prime ore del mattino, mentre molte delle vittime dormivano. I soccorritori affermano che molte delle vittime sono bambini. Molti edifici sono stati danneggiati e almeno 100 abitazioni sono crollate, lasciando centinaia di persone senza casa. Il Pakistan è soggetto a fenomeni sismici anche di grande intensità, in quanto si trova al di sopra di due placche tettoniche che collidono frequentemente.

La giornalista Zhang Zhan, che aveva raccontato l’epidemia da Wuhan, è ancora in carcere

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Zhang Zhan, una delle prime giornaliste ad essersi recate nella città di Wuhan per documentare lo svolgersi della pandemia, è ancora in carcere in grave condizioni di salute. Una coalizione di 45 ONG attive nella difesa dei diritti umani (tra le quali Amnesty e Reporters Sans Frontières) ha redatto una lettera per sollecitare il presidente cinese Xi-Jinping a concederne il rilascio insieme al decadimento delle accuse.

L’accusa ufficiale contro Zhang Zhan, per la quale è stata condannata a quattro anni di carcere, è di “aver provocato discussioni e problemi“. Si tratta di un’accusa infondata e vaga che, come riporta l’International Federation of Journalists, “spesso viene rivolta dalle autorità contro gli elementi critici del Partito Comunista Cinese”. Zhan si era recata a Wuhan, epicentro della pandemia, già nel febbraio 2020: qui aveva realizzato brevi video dove documentava lo svolgersi dei fatti nella città allora blindata. La sua iniziativa aveva infastidito il governo il quale, nel tentativo di mantenere un’unica narrativa ufficiale della gestione della pandemia, l’aveva fatta arrestare nel maggio 2020.

Le accuse contro di lei erano di diffondere falsa informazione attraverso i social media, nonché di trarne beneficio rilasciando anche interviste a media internazionali. Al processo Zhan si è dichiarata non colpevole ma il 28 dicembre è arrivata la condanna definitiva, dopo un processo durato appena tre ore. “La sua unica colpa è di aver dato voce all’angoscia delle famiglie delle prime vittime del Covid-19, che le autorità avevano attribuito a una ‘polmonite misteriosa’” scrive sul proprio sito Amnesty International.

Dal suo primo arresto nel maggio 2020 Zhan ha iniziato uno sciopero della fame, per protestare contro le infondate accuse rivolte nei suoi confronti. Il sistema carcerario ha proceduto con l’alimentazione forzata tramite cannula nasale, ma la salute fisica di Zhan è andata deteriorandosi sempre più. Nell’agosto 2021, in seguito a un peggioramento critico delle condizioni di salute, è stata ospedalizzata per 11 giorni e poi riportata in carcere. La sua famiglia, recatasi a visitarla in ragione delle precarie condizioni di salute, ha diffuso su alcune pagine social cinesi messaggi di profonda preoccupazione.

La Cina si configura come il Paese che detiene più giornalisti al mondo in prigione, almeno 122 secondo quanto riportato da Reporters Sans Frontières (ne abbiamo parlato anche qui). Di questi almeno dieci, insieme a Zhang Zhan, rischiano la morte. Tra di loro vi sono il reporter investigativo Huang Qi, vincitore del RSF World Press Freedom, l’editore svedese Gui Minhai e il giornalista ugiuro Ilham Tohti. Nel gennaio 2021 ha perso la vita a causa dei maltrattamenti in prigione Kunchok Jinpa, fonte importante per l’informazione sugli avvenimenti in Tibet. Liu Xiaobo, Nobel per la Pace nel 2010, e Yang Tongyang, blogger dissidente, sono entrambe morti nel 2017 in carcere, per cancro non trattato. La Cina si colloca 177ma su 180 Paesi nell’RSF World Press Freedom Index 2021, l’indice di calcolo della libertà di stampa (nel quale l’Italia occupa il quarantunesimo posto).

[di Valeria Casolaro]

OMS approva il primo vaccino al mondo contro la malaria

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L’OMS ha dato il via libera al primo vaccino contro la malaria mai realizzato, che potrà salvare la vita a centinaia di migliaia di bambini nelle zone dell’Africa subsahariana. Il vaccino, creato dall’azienda farmaceutica GSK, agirà contro la variante P. falciparum, la più diffusa in Africa oltre che la più mortale. Con più di 260 000 vittime ogni anno, la malaria è tutt’oggi una delle cause primarie di mortalità tra i bambini dell’Africa subsahariana. Alcuni studi hanno mostrato che la somministrazione del vaccino potrebbe prevenire il contagio di 4.3 milioni di bambini sotto i cinque anni e 22 000 morti all’anno.

La Colombia continua a bombardare col glifosato i campi di coca: non ha mai funzionato

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Il governo colombiano guidato da Iván Duque continua a incentivare le fumigazioni aeree con il glifosato per distruggere i raccolti di coca e portare avanti una forte campagna contro la droga.

Già a marzo scorso, però, più di 180 studiosi appartenenti a università statunitensi, colombiane e di altri paesi avevano scritto a Biden, (sostenitore della ripresa delle fumigazioni in Colombia, come il suo predecessore Trump) ricordando come l’uso del glifosato risultasse inefficace, costoso e devastante per la salute delle persone, le comunità agricole e gli ecosistemi (e inefficace a contrastare un’economia fortemente basata e radicata sulla produzione di coca).

Prima ancora, nel 2015, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva definito l’erbicida glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. Non era della stessa opinione, invece, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, che smentiva la pericolosità dell’erbicida.

Partiamo dal presupposto che la Colombia è il più grande produttore mondiale di cocaina, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC). Dato che dovrebbe spingere l’amministrazione a capire che, per condurre una battaglia solida e sicura contro gli stupefacenti, servirebbe un altrettanto solida strategia, in grado di fornire un’alternativa concreta a chi, con la coltivazione di coca, sfama una famiglia intera.

Parliamo di quegli agricoltori che utilizzano le piantagioni di coca come mezzo di sussistenza e che da un po’ di anni temono per la propria condizione economica, di salute e per un potenziale aumento della violenza nelle loro regioni, già piegate dalle bande criminali.

Le stesse bande che stanno invadendo grosse aree protette, esenti dall’utilizzo del glifosato, per trovare nuovi terreni coltivabili. Soprattutto dopo aver appreso da diversi studi scientifici che le fumigazioni con glifosato contaminano le riserve idriche rurali, danneggiano il suolo fertile e distruggono intere fasce di colture diverse dalla coca: insomma, rendono i campi sterili e inutilizzabili.

Ma Duque, con il sostegno americano, sembra determinato a portare avanti la sua personale guerra alla droga. Secondo le Nazioni Unite, il presidente avrebbe ridotto le colture destinate alla coca da 154.000 ettari nel 2019 a 143.000 ettari nel 2020. E il prossimo obiettivo è dimezzarle entro dal fine del 2023. Servendosi, in particolare, della fumigazione aerea, reputata dal governo più efficace: in questo modo potrebbero essere distrutti ogni giorno da 400 a 600 ettari di coca. Estensioni di terreno molto più ampie rispetto ai 170 ettari che si riuscirebbero ad eliminare manualmente.

Non è sbagliato portare avanti una campagna anti droga (seppur con metodi discutibili). È sbagliato, invece, pensare che combattere la coca in Colombia in questo modo significhi semplicemente tagliare le gambe ai grossi fornitori, alle multinazionali e alle bande di criminali. O meglio, non è solo così.

Molti agricoltori locali, impoveriti dagli ultimi accadimenti, affermano che la coca è l’unico modo per guadagnarsi da vivere, perché costerebbe di più coltivare e trasportare qualsiasi altro raccolto nelle città vicine. E non aiutano i lunghi ritardi burocratici: i finanziamenti voluti dal governo per l’istituzione di programmi alternativi alle colture di coca e l’eradicazione volontaria della coca impiegano anni ad arrivare. Come ribadiscono i gruppi in sostegno dei diritti umani ad Al-Jazeera, “tali sforzi saranno inutili se gli agricoltori nelle parti remote del paese non riceveranno un sostegno istituzionale a lungo termine dopo decenni di conflitto”.

[di Gloria Ferrari]

Aceto di mele: i motivi per cui è un alimento speciale

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L’aceto di mele è utilizzato da secoli come rimedio popolare per vari disturbi di salute. Si ottiene miscelando delle mele tritate con acqua e zucchero, e poi lasciando il composto a fermentare e macerare. Da questa fermentazione, una parte finale del prodotto sarà composta da una sostanza chiamata acido acetico.

Nonostante sia un alimento acidulo e dal sapore piuttosto classico, al contrario di prodotti più gustosi come l’aceto balsamico, l’aceto di mele è diventato incredibilmente popolare negli ultimi decenni, per il fatto che il suo utilizzo è stato messo in relazione con molti effetti positivi di salute, dall’eliminare le doppie punte dei capelli lunghi al trattamento dell’artrite fino all’aiuto nell’obesità e nel dimagrimento. Questi però sono più che altro gli aspetti messi in rilievo dalle mode pubblicitarie e dai trend salutistici basati sulla mitizzazione di cibi e sostanze, che vengono sfruttati a livello di marketing e profitto dalle aziende alimentari.

I reali benefici dell’aceto di mele

Ma quale, fra tutti questi claim pubblicitari (la parola inglese Claim significa “slogan, proclama”), semmai ne volessimo scegliere uno valido, è davvero accurato e supera lo scrutinio della prova scientifica? Ebbene, proprio di recente un programma televisivo della BBC inglese, chiamato Trust me, I am a doctor (“Fidati, sono un medico”) si è occupato di indagare la validità scientifica dei vari claim attribuiti all’aceto di mele. Il programma è condotto da due medici britannici, Michael Mosley e James Brown.

I due medici hanno indagato dapprima il claim che sembra godere di maggiore popolarità, ovvero quello secondo cui bere due cucchiai di aceto di mele, diluiti in acqua, prima dei pasti, possa contribuire a un maggiore controllo dell’assorbimento di zuccheri nel sangue, facendo dunque salire meno il valore della glicemia dopo il pasto. Per verificare l’attendibilità di questa affermazione, i due medici hanno reclutato un gruppo di volontari sani e hanno fatto loro mangiare due bagel al mattino dopo il digiuno notturno (il bagel è un panino a forma di ciambella col buco). Il livello della glicemia nel sangue è stato misurato sia prima che dopo l’assunzione dei panini, e come ci si aspettava, dopo l’assunzione vi è stato un rapido e copioso aumento della glicemia nel sangue dei partecipanti.

Il giorno successivo, i due medici hanno fatto mangiare nuovamente i due bagel ai partecipanti, ma stavolta gli hanno chiesto di bere prima due cucchiai di aceto di mele diluiti in un piccolo bicchiere d’acqua. Nei giorni successivi hanno ripetuto l’esperimento ma somministrando dell’aceto di malto anzichè l’aceto di mele.

Il risultato? L’aceto di mele, ma non l’aceto di malto, ha dimostrato di avere un grande impatto sui livelli di glicemia dei partecipanti, riducendo del 36% i livelli di glucosio nel sangue, dopo 90 minuti dal pasto, rispetto al pasto con i bagel senza aceto di mele. Questo effetto, è dovuto molto probabilmente all’acido acetico, il quale ha la facoltà di bloccare la scomposizione degli amidi (gli amidi dei panini) in zuccheri più semplici (glucosio). Ciò significa che assumere dell’acido acetico prima di un pasto ricco di carboidrati a base di farinacei, porterà come risultato a un minore assorbimento di zuccheri nel sangue. I due medici si aspettavano che anche l’aceto di malto svolgesse tale funzione ipoglicemizzante, ma nel loro piccolo esperimento ciò non si è verificato.

L’azione benefica sul colesterolo

Un secondo esperimento condotto dai due ricercatori, ha mirato a verificare altri supposti benefici dell’aceto di mele a favore della perdita di peso, della riduzione del colesterolo e della riduzione dei livelli di infiammazione (riduzione di sintomi che potrebbe apportare benefici e un miglioramento in patologie infiammatorie quali l’artrite reumatoide e l’eczema). A tale scopo sono stati reclutati 30 volontari sani, divisi in 3 gruppi. Al primo gruppo è stato chiesto di assumere 2 cucchiai di aceto di mele diluiti in 200 ml di acqua tutti i giorni prima di pranzo e cena. Al secondo gruppo, è stato chiesto di fare la stessa cosa ma con l’aceto di malto, e infine al terzo gruppo è stato dato un placebo consistente in una bevanda di acqua colorata.

Il risultato? Nessuno dei partecipanti ha perso peso. Sul fronte dell’infiammazione, sono stati misurati i valori della proteina C reattiva (PCR), un marker importante dell’infiammazione. Nessun cambiamento rilevante nemmeno in questo caso, sebbene in alcuni partecipanti che avevano assunto l’aceto di mele vi sia stato un lieve calo nel valore della PCR.

Tuttavia, nel test finale di misurazione dei lipidi nel sangue (colesterolo e trigliceridi), il dottor Brown ha rivelato che chi aveva assunto l’aceto di mele aveva ridotto il valore del colesterolo del 13% e per quanto riguarda i trigliceridi la riduzione era stata ancora più importante e ampia, mentre sia nel gruppo dell’aceto di malto che del placebo nessuna riduzione di colesterolo e trigliceridi si era verificata. Il dottor Brown ha affermato che la riduzione del colesterolo di una simile entità è stata davvero importante, perché potrebbe significare ridurre la probabilità di avere un infarto.

Dunque, l’aceto di mele non aiuterà probabilmente nessuno a dimagrire, ma potrebbe rivelarsi un validissimo aiuto naturale per le persone che hanno problemi di glicemia alta o di elevati livelli di colesterolo. Provate ad assumere questa bevanda, magari diluita in acqua prima dei pasti, e verificare gli andamenti della vostra glicemia.

Come scegliere e assumere l’aceto di mele

E’ importante che l’aceto non sia pastorizzato perché la pastorizzazione eliminerebbe la carica di batteri probiotici benefici per il nostro intestino, contenuti nell’aceto di mele. Si usa per condimento delle insalate, delle patate e dei secondi piatti, oppure si assume diluendo in un bicchiere di acqua 2 cucchiai di aceto. L’ideale è bere i 2 cucchiai diluiti in acqua appena prima di iniziare ogni pasto principale (il pranzo e la cena). La diluizione in acqua serve a mitigare la forte acidità dell’aceto a contatto con lo stomaco, che potrebbe dare problemi di bruciore o fastidi, specialmente in persone molto sensibili agli alimenti e alle bevande acide. Per scegliere un prodotto non pastorizzato, dovete leggere con attenzione l’etichetta e acquistare la bottiglia che riporta la dicitura “non pastorizzato” (vedi foto prodotto qui sotto).

[di Giampaolo Usai]

La Svezia sospende il vaccino Moderna per i più giovani

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La Svezia ha deciso di sospendere la somministrazione del vaccino anti Covid Moderna per le persone nate dal 1991 in poi. L’Agenzia svedese per la sanità pubblica ha infatti comunicato, tramite una nota, tale decisione, che è stata presa tenendo conto del fatto che sono in aumento le segnalazioni di effetti collaterali come la miocardite o la pericardite. Tuttavia, precisa l’agenzia, «il rischio di essere colpiti è molto basso» e la sospensione è stata stabilita «per motivi precauzionali». Inoltre, i soggetti che hanno ricevuto una dose del vaccino Moderna «non riceveranno attualmente una seconda dose», ed in tal senso «sono in corso discussioni sulla soluzione migliore». In totale, conclude l’agenzia, si tratta di circa 81.000 persone.

I colossi schiacciano le librerie: come si ferma la moria dell’editoria indipendente?

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Libreria

“Un libro dev’essere un’ascia per rompere il mare ghiacciato che è dentro di noi”, diceva lo scrittore Franz Kafka, per evidenziare la capacità terapeutica e la forza motrice della lettura. Invece in Italia, oscurata da una spessa lastra di ghiaccio, tra il 2012 e il 2017 hanno chiuso 2300 librerie. Fra queste, 231 erano librerie indipendenti. Solo a Roma hanno chiuso definitivamente i battenti 223 librerie, secondo i dati forniti da Confcommercio. Motivo per cui la Regione Lazio nell’ultimo bilancio ha stanziato per il nuovo anno (il 2021) un milione di euro da destinare alle librerie indipen...

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Austria: cancelliere Sebastian Kurz indagato per favoreggiamento corruzione

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Il Cancelliere federale dell’Austria, Sebastian Kurz, è attualmente indagato per favoreggiamento della corruzione. A renderlo noto sono stati alcuni media locali, tra cui in particolare i quotidiani Die Presse e Der Standard. Questa mattina sono state effettuate perquisizioni avvenute in Cancelleria e nella sede dell’Oevp, il partito che ha come leader proprio Sebastian Kurz: a far scattare l’inchiesta una serie di sondaggi pubblicati dal quotidiano Oesterreich e dalla tv privata oe24, i quali sarebbero stati finanziati dal ministero delle finanze «esclusivamente per scopi partitici». Oltre a Kurz, però, ad essere indagati sarebbero anche alcuni suoi stretti collaboratori.

I punti oscuri della nuova (costosissima) pillola anti-covid in approvazione

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L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi: la multinazionale Merck è pronta a richiedere alla FDA statunitense l’approvazione per l’uso di emergenza della prima pillola anti-covid. Prontamente l’azienda ha diffuso il comunicato stampa che trasmette i promettenti risultati: dimezzamento di ricoveri e decessi assumendo 4 pillole al giorno per 5 giorni, con trattamento da effettuare nei primi giorni dall’infezione. Prontissime le manifestazioni di entusiasmo dei virologi più in vista. Anthony Fauci, il factotum della gestione pandemica americana, ha parlato di «dati impressionanti», mentre dall’Italia, Matteo Bassetti, ha rilanciato definendolo un «risultato straordinario». Oltre a comunicati stampa e dichiarazioni, però, quanto si sa sulla pillola è ancora molto poco. I ricercatori che volessero verificare i dati hanno a disposizione solo il comunicato stampa aziendale e la sperimentazione è stata sospesa prima di essere completata, basandosi sulla metà dei volontari inizialmente previsti. Di certo per ora c’è solo l’altissimo costo della pillola (700 dollari a trattamento) e l’immediato e brusco rialzo del valore delle azioni della multinazionale americana in borsa.

Le zone d’ombra che ancora avvolgono il molnupiravir (questo il nome della pillola anti-Covid) sono diverse. Il comunicato sull’efficacia si basa sui risultati preliminari di uno studio di fase 3, ultima tappa prima dell’eventuale approvazione. Gli studi di fase 3 prevedono di dividere i soggetti partecipanti in due gruppi: uno da trattare con il farmaco, l’altro con il placebo o altri farmaci già in uso. Nel caso specifico si è scelto di confrontare il molnupiravir con il placebo. Dallo studio è appunto emerso che il farmaco sia efficace al 50% in quanto il 7,3% dei pazienti trattati con esso è stato ricoverato, mentre il 14,1% dei pazienti che hanno ricevuto il placebo è stato ricoverato o è morto. Tuttavia, già la scelta di comparare il molnupiravir al placebo (una sostanza farmacologicamente inerte) nonostante vi fosse la possibilità di confrontarlo, ad esempio, con i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), che la stessa Aifa (Agenzia italiana del farmaco) consiglia per il trattamento del Covid, potrebbe averne amplificato l’efficacia. È quanto sostiene ad esempio il ricercatore italiano Andrea Capocci in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Manifesto.

Un altro punto critico è rappresentato dal fatto che, in seguito a tali risultati, lo studio è stato interrotto anticipatamente, e i risultati diffusi si basano sulla valutazione dei dati provenienti da 775 pazienti, poco più della metà dei 1500 pazienti inizialmente previsti per la sperimentazione. Questo può averne inficiato i risultati? Nessuno può escluderlo. Di certo il motivo per il quale le ricerche scientifiche prevedono sempre bacini numerosi di volontari non è casuale: più il campione è ristretto, più alto è il rischio che i dati siano inficiati dalla variabilità statistica. I motivi addotti dalla Merck per giustificare l’interruzione della sperimentazione sono i seguenti: «Il risultato positivo ha indotto i ricercatori a interrompere il test, per non somministrare ai volontari un placebo in presenza di un’alternativa efficace».

La storia recente mostra oltretutto come una ricerca terminata in anticipo possa dare risultati anche molto diversi da quelli che poi si riscontrano sul campo. A insegnarlo è la vicenda del remdesivir, antivirale sviluppato in origine contro il virus Ebola e successivamente proposto come cura anti-Covid. In quel caso i test furono interrotti in anticipo per la medesima ragione e il remdesivir fu autorizzato all’uso. Peccato che un test più ampio svolto direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ne abbia poi mostrato la sostanziale inefficacia e l’Oms attualmente ne sconsiglia l’impiego. Questo non ha impedito alla casa produttrice Gilead di venderne dosi per 2,8 miliardi di dollari nel 2020 e prevedere ricavi analoghi per il 2021.

Evidente dunque come l’efficacia reale della pillola anti-covid rimanga da dimostrare. Particolare che però non sembra preoccupare gli Usa, che già hanno siglato con la Merck un contratto di approvvigionamento che gli garantirà forniture per 1,7 milioni di trattamenti alla cifra di 1,2 miliardi di dollari. Fanno 700 dollari a trattamento, ovviamente versati alla multinazionale con fondi pubblici. Il contratto diverrà operativo non appena l’Fda (l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici) concederà al farmaco l’autorizzazione per l’uso di emergenza. Gli americani non sono soli: anche l’Australia, secondo quanto riportato dai media locali, ha infatti deciso di acquistare 300mila dosi. Anche in questo caso si aspetterà l’approvazione delle autorità statuali. Autorizzazioni sulle quali la multinazionale americana pare pronta a scommettere dato che ha comunicato di essere già attrezzata per «produrre 10 milioni di cicli di trattamento entro la fine del 2021».

Per ora, tra l’altro, i profitti della Merck paiono essere l’unico fatto realmente verificabile della vicenda. Solo l’annuncio della richiesta di autorizzazione ha infatti prodotto un immediato e robusto rialzo del suo valore, passato dai 75 dollari per azione del 30 settembre (giorno precedente l’annuncio) agli 83,10 dollari del 4 ottobre

[di Raffaele De Luca]

Una centrale nucleare slovena mette a rischio l’Italia?

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Il governo di Lubiana ha deciso per il raddoppio della centrale nucleare di Krško. Una decisione che desta più di una preoccupazione, presa nonostante diversi esperti abbiano sollevato più di una perplessità. Come nel caso dei potenziali rischi per l’Italia. L’impianto, infatti, sorge su un’area a rischio sismico a soli 130 chilometri da Trieste ed è privo di un deposito per smaltirne i rifiuti. In tutto questo – denuncia Altreconomia – Roma però tace. Il provvedimento è stato approvato lo scorso luglio dal parlamento sloveno con 49 voti a favore e 17 contrari. La struttura, unica centrale nucleare dell’ex Jugoslavia, avrebbe dovuto chiudere battenti nel 2023, ma il governo già nel 2016 optò per prorogarne la chiusura di vent’anni, al 2043.

L’impianto di Krško, da solo, soddisfa il 40% dell’intero fabbisogno energetico nazionale sloveno. Motivo per cui la nazione ne è tanto affezionata. Quando fu costruito, ormai quarant’anni fa, però non si disponevano di informazioni adeguate sulla sismicità del sito. Ora, però, ne siamo a conoscenza: la struttura ricade in un’area a rischio sismico medio-alto. L’unica in tutta Europa a essere collocata in una zona con tale grado di pericolosità. E non si tratta solo di ipotesi avanzate da studi geologici: di conferme, infatti, ce ne sono fin troppe. Basti pensare allo scorso dicembre, quando la cittadina croata di Petrinja è stata gravemente colpita da un terremoto di magnitudo 6.4, a circa 80 chilometri di distanza dalla centrale nucleare Krško. Oppure a marzo 2020, quando a tremare è stata Zagabria, a 50 chilometri dall’impianto, o peggio, al 2015, quando un sisma di magnitudo 4.5 si è verificato a soli 12 chilometri dalla struttura.

Le autorità slovene hanno tuttavia sempre rassicurato su quanto la centrale sia tra le più sicure in Europa ed inoltre, nel 2016, la Commissione Ue ha ribadito i risultati incoraggianti di uno ‘stress test‘ realizzato nel 2011. Non è però dello stesso parere il sismologo Livio Sirovich: «gli impianti – ha spiegato – erano stati calcolati per resistere a terremoti troppo piccoli. Si capì che un evento sismico, lì, poteva generare accelerazioni massime del suolo addirittura doppie rispetto a quelle considerate dal progetto. Solo che, ormai, era troppo tardi per modificare le strutture. In ballo c’erano già troppi interessi economici per fare marcia indietro». La Slovenia, tra l’altro, sarebbe fortemente intenzionata a realizzare una nuova centrale, col triplo della potenza, adiacente a questa. Nonostante le opinioni in merito siano discordanti. Nel 2013, ad esempio, il Servizio nazionale francese di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare (Irsn) scrisse alla società energetica Gen Energija, proprietaria dell’impianto, che «la scoperta di una nuova faglia attiva non permette di concludere in modo favorevole sull’adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare».

[di Simone Valeri]

Aggiornamento (07/10/2021): Il titolo e parti dell’articolo sono stati modificati di modo che non vengano alimentati allarmismi ingiustificati. Le opinioni in merito alla sicurezza della Centrale rimangono contrastanti, tuttavia, questo non indica che l’Italia si trovi in una situazione di pericolo imminente.