mercoledì 5 Novembre 2025
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La guerra in Ucraina fomenta la corsa alle armi in tutta Europa

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Domenica 27 febbraio il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato di voler investire la cifra record di 100 miliardi di euro per la Difesa. La decisione non costituisce un caso isolato se non nelle cifre: sono diversi gli Stati europei che hanno deciso di aumentare notevolmente le proprie spese militari in ragione dell’esplosione della guerra in Ucraina a seguito dell’invasione russa. Non è esente dalla casistica l’Italia, che con il decreto legge discusso in Consiglio dei ministri venerdì 25 febbraio ha aumentato di 174,4 milioni di euro la propria spesa (già record) per le Forze Armate.

L’annuncio del cancelliere Olaf Scholz ha suscitato non poca sorpresa: domenica 27 febbraio, durante una riunione straordinaria del Bundestag, Scholz ha infatti annunciato di voler investire l’incredibile cifra di 100 miliardi di euro per le Forze Armate. “Il mondo non sarà più come prima” afferma il cancelliere durante il suo discorso, facendo riferimento all’invasione russa, che “riporta le lancette dell’orologio al diciannovesimo secolo”. La Germania rompe così con la linea cauta mantenuta in questi decenni in seguito al ruolo detenuto durante la Seconda guerra mondiale e che ha portato a un generale sottofinanziamento del contingente militare.

In questo contesto, Scholz ha anche dichiarato che le spese militari ammonteranno d’ora in poi a ben oltre la soglia minima del 2% richiesta dagli accordi dell’Alleanza Atlantica. Secondo quanto previsto da accordi stipulati nel 2006, infatti, gli Stati facenti parte della NATO sarebbero tenuti a destinare il 2% del proprio PIL alle spese di difesa. Tuttavia a dicembre 2021 erano ancora numerosi gli Stati europei dell’Alleanza che si trovavano in un range di spesa ben lontano da quello previsto nonostante le pressioni degli Stati Uniti, i quali contribuiscono per i due terzi alla spesa per la difesa di tutta la NATO.

L’Italia, dal canto suo, che per quanto riguarda gli standard NATO si è sempre tenuta intorno a poco più dell’1%, ha aumentato significativamente la propria spesa militare ben prima che scoppiasse la crisi Ucraina. Per l’anno 2022 era infatti previsto un amento di ben oltre un miliardo di euro per l’acquisto di nuovi armamenti, portano la spesa al record storico di ben 8,27 miliardi di euro. Con il decreto legge discusso venerdì 25 febbraio dal Consiglio dei ministri è stato inoltre previsto lo stanziamento di ulteriori 174,4 milioni di euro per il potenziamento dei dispositivi della NATO a seguito dell’esplosione del conflitto Ucraina-Russia. Tali spese straordinarie non costituiscono evidentemente che una parte residuale delle cifre già stanziate nella corsa agli armamenti dell’Italia di questi ultimi anni.

Poche ore fa l’alto rappresentate per la Politica estera europea Josep Borrell ha annunciato che l’Unione Europea cederà a Kiev 450 milioni di euro per l’acquisto di armi letali e 50 milioni per quello di armi non letali, segnando così un momento di svolta nella storia recente europea. Come dichiarato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, infatti, “Per la prima volta in assoluto l’UE finanzierà l’acquisto e la consegna di armi e altre attrezzature a un paese che è sotto attacco”, abbattendo così il “tabù” della cessione di armi a un contesto di guerra da parte dell’Unione. I soldi verranno prelevati (ironicamente) dal Fondo europeo per la pace, il quale (ironicamente, di nuovo) può essere utilizzato per fornire aiuti militari.

Altri Paesi europei hanno investito notevolmente nel proprio contingente militare dopo lo scoppio del conflitto: la Grecia, per esempio, ha previsto di spendere nei prossimi quattro anni diversi miliardi di euro per sviluppare e modernizzare il proprio contingente navale, nel timore che la crescente tensione con la vicina Turchia possa portate ad un nuovo conflitto nel Mar Egeo. Dopo l’uccisione di 10 cittadini greci nella località ucraina di Mariupol, inoltre, la Grecia ha deciso di contribuire all’armamento dell’Ucraina con l’invio di aerei militari.

I Paesi europei che hanno annunciato di voler contribuire all’armamento dell’Ucraina sono numerosi: dal Belgio alla Repubblica Ceca, dalla Polonia all’Estonia e alla Lituania. Una febbrile corsa agli armamenti che ridisegna gli equilibri europei, gettandovi non poche ombre.

[di Valeria Casolaro]

Legambiente, report su tutela fauna selvatica: normativa italiana è inadeguata

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Nel nuovo report La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia Legambiente denuncia l’inadeguatezza della ormai trentennale normativa a tutela della fauna omeoterma (mammiferi e uccelli) e che regola l’attività venatoria. La legge proteggerebbe appena l’1,1% della fauna presente sul territorio e non porrebbe soluzioni adeguate a problemi quali la tutela della biodiversità e il bracconaggio. Secondo il report in Italia la gestione della fauna omeoterma è affidata per la quasi totalità ai cacciatori e solamente in parte residuale agli enti pubblici, mentre il bracconaggio alimenta un mercato d’affari che oscilla tra i 50 e i 70 milioni di euro.

Olimpiadi Cortina 2026 e retorica green: il caso della “tangenzialina” di Bormio

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La “tangenzialina” di Bormio, comune lombardo in provincia di Sondrio, si prepara a diventare realtà: si tratta di un progetto rimasto nel cassetto per anni, la cui realizzazione è tornata all’ordine del giorno grazie alla spinta acceleratrice delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026. Il consiglio comunale ha infatti approvato lo schema di accordo con la società Concessioni autostradali lombarde Spa (Cal Spa) e con la Regione Lombardia – che ha stanziato in tal senso sette milioni di euro – per la progettazione e realizzazione della tangenziale, ritenuta funzionale allo svolgimento delle Olimpiadi ed alla limitazione del traffico attualmente presente sull’abitato. La “tangenzialina” – ovverosia un chilometro di asfalto che collegherà l’area delle funivie al paese di Santa Lucia attraversando la piana agricola dell’Alute, lungo l’argine del torrente Frodolfo – preoccupa però dal punto di vista delle possibili conseguenze ambientali.

Un problema di cui l’amministrazione comunale di Bormio è consapevole a quanto pare. Per mitigare gli impatti ambientali della tangenziale infatti, avrebbe insistito per “adeguare il tracciato dell’infrastruttura, rendendolo maggiormente aderente all’argine del torrente Frodolfo”. È quanto si legge all’interno della delibera consiliare di fine gennaio diffusa da Altreconomia, che ha intervistato a tal proposito la sindaca Silvia Cavazzi:  quest’ultima, avrebbe appunto sostenuto che l’amministrazione locale sarebbe intenzionata a proporre nelle fasi di discussione e autorizzazione dell’opera un tracciato diverso, così come descritto nella delibera consiliare, al fine di tutelare le “terre più fertili che sono quelle lontane dal fiume”. Peccato però che l’argine del torrente Frodolfo faccia parte della rete ecologica regionale e sia un corridoio di biodiversità – sottolinea Altreconomia – precisando altresì che l’annunciata iniziativa parrebbe essere in contraddizione con i principi di tutela e di vincolo delle fasce di rispetto dei 150 metri dai corsi d’acqua, poichè in alcuni punti la distanza sarebbe al di sotto dei 40 metri.

Ad ogni modo, a prescindere da ciò bisogna ricordare che la “tangenzialina” verrebbe realizzata in seguito a procedure di valutazione degli impatti ambientali che fanno capo alla sola Regione. Non stupisce dunque che diverse associazioni ed organizzazioni che si occupano della tutela del paesaggio abbiano da diversi mesi chiesto al ministero della Transizione ecologica di includere la tangenziale – insieme a tutti gli altri interventi da attuare in ottica Olimpiadi – in un’unica procedura di Valutazione ambientale strategica (VAS) a livello nazionale. Come precisato ad Altraeconomia da Stefano Deliperi, presidente del Gruppo di intervento giuridico (Grig) – ossia una delle associazioni ad avere presentato la richiesta – si tratterebbe infatti di una procedura fondamentale e tutelante per comprendere gli impatti ambientali ed economico sociali di un complesso di opere che vanno a interferire con habitat di grande rilievo nonché contesti già esistenti.

I possibili problemi ambientali legati alla realizzazione della “tangenzialina” non rappresentano certo una rarità nel complesso dei lavori per Cortina ’26, una realtà che stride con la retorica costruita attorno alle Olimpiadi invernali italiane, presentate come evento simbolo della sostenibilità ambientale. Dal logo alle dichiarazioni di organizzatori e politici, ogni narrazione sull’evento è in tal senso stata infarcita di concetti come “sostenibilità”, “economia circolare” o “impatto zero” sebbene si tratti di descrizioni ben lontane dalla realtà dei fatti: a denunciarlo è anche la popolazione locale, che vede con i propri occhi gli effetti dei cantieri sulle montagne. Negli scorsi mesi, infatti, oltre 50 comitati e centinaia di singoli cittadini hanno dato vita ad una manifestazione per protestare contro le prossime Olimpiadi invernali, chiedendo tra l’altro di contrastare ogni nuova struttura avente ad oggetto il consumo di suolo.

Le loro richieste tuttavia, visto che si sta procedendo con la “tangenzialina”, sembrano non essere state prese in considerazione dalle istituzioni: sarà dunque probabilmente anche per questo che la sezione di Sondrio di Italia Nostra Onlus – un’associazione di salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali – il 22 febbraio ha scritto alla prefettura di Sondrio, al ministero dell’Interno e alla sindaca di Bormio chiedendo un referendum sulla “tangenzialina”. Il tutto su sollecitazione proprio della popolazione locale, evidentemente stanca di non essere ascoltata.

[di Raffaele De Luca]

Russia: quasi 6000 arresti fra i manifestanti no war

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Domenica 27 febbraio la polizia russa ha arrestato oltre 2000 manifestanti scesi nelle strade del Paese per protestare contro la decisione di Putin di invadere l’Ucraina. Dall’inizio delle ostilità, avvenuto il 24 febbraio scorso, si contano così quasi 6000 arresti e più di 50 città coinvolte nelle manifestazioni. A riportarlo è la ong OVD-Info, realtà impegnata in Russia nella tutela dei diritti umani e, nello specifico, nel sostegno ai perseguitati politici.

Iron Beam: il “muro laser” di Israele

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Naftali Bennett, in un discorso all’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv, ha annunciato il nuovo sistema di difesa di Israele: Iron Beam, “raggio di ferro”, altrimenti chiamato Laser Wall.  In un primo momento il sistema di difesa affiancherà il famoso Iron Dome, la “cupola di ferro”, ovvero una vasta gamma di radar, sensori e batterie missilistiche utilizzate per intercettare i razzi in volo; in futuro, invece, il sistema di difesa sarà interamente costituito da armi laser che schermeranno l’intero territorio governato da Israele. Il “muro laser” dovrebbe entrare in funziona a partire dal prossimo anno.

«Questo ci permetterà, nel medio-lungo termine, di circondare Israele con un muro laser che ci difenderà da missili, razzi, UAV e altre minacce che essenzialmente porteranno via la carta più forte che i nostri nemici hanno contro di noi», ha detto Bennett durante il discorso di presentazione.

Durante il discorso e la presentazione del “muro laser”, il Primo Ministro Bennet si è scagliato con forza e aperta ostilità nei confronti dell’Iran: «La campagna per indebolire l’Iran è iniziata. Questa campagna è in tutte le dimensioni: azioni nucleari, economiche, cibernetiche, aperte e segrete, da sole e in cooperazione con gli altri. Più debole è l’Iran, più deboli sono i suoi delegati. Più affamato è il polpo, più i suoi tentacoli si avvizziscono». Secondo Bennet la schermatura laser è da considerarsi come un asso nella partita contro l’Iran, permettendo ad Israele di sventare attacchi nemici «con un impulso elettrico che costa pochi dollari». Inoltre, Israele si dice pronto a condividere la tecnologia con gli alleati nella regione mediorientale in chiara ed esplicita funzione anti-iraniana.

I primi test che sono stati fatto dall’esercito avrebbero assicurato il 100% di precisione alla distanza di 1 chilometro. Sebbene la sperimentazione sia stata effettuata montando la tecnologia laser su piccoli aerei che hanno centrato vari e diversi obiettivi in volo, la volontà espressa dal ministero della difesa è quella di costruire armi laser con una potenza di 100 kilowatt ed una portata di 20 chilometri.

Iron Beam high-energy laser (HEL), sviluppato da Rafael Advanced Defense Systems, permetterebbe di abbattere gli enormi costi che servono per tenere attiva e in funzione la “cupola di ferro” e sarebbe di una efficacia maggiore, distruggendo il bersaglio nemico circa quattro secondi dopo che i due laser a fibra ottica ad alta energia vi siano entrati in contatto.

Le armi ad energia diretta sono in rapido sviluppo in tutte le maggiori potenze mondiali e sono parte della nuova corsa agli armamenti. Dal Rapporto sul mercato globale dei sistemi d’arma laser 2022 si legge che il valore di questo settore ammonta attualmente a 4,81 miliardi di dollari e che nel corso dell’anno crescerà fino 5,39 miliardi; le proiezioni attuali indicano che nel 2026 il mercato delle armi laser varrà circa 8,53 miliardi di dollari.

Oltre la già citata israeliana Rafael Advanced Defense Systems, tra i principali attori nel mercato globale dei sistemi d’arma laser sono Applied Technology Associates, Boeing, Elbit Systems Ltd., General Atomics, BAE Systems, Lockheed Martin Corporation, MBDA, Northrop Grumman Corporation, Raytheon Technologies Corporation, Rheinmetall AG, Thales Group, Kratos, Leidos, Leonardo.

[di Michele Manfrin]

La NATO rafforza il sostegno militare all’Ucraina

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La NATO ha emesso un comunicato nel quale riferisce che numerosi Paesi stanno “rafforzando il loro sostegno politico e pratico all’Ucraina”. Gli aiuti consistono in “migliaia di armi anticarro, centinaia di missili per la difesa aerea e migliaia di armi leggere e munizioni” che stanno per essere inviate, secondo quanto riferito. In particolare, “Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Regno Unito e Stati Uniti hanno già inviato o stanno approvando consegne significative”, mentre “l’Italia sta provvedendo a un sostegno finanziario”.

L’Ucraina accetta i colloqui di pace con Mosca

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Secondo quanto riportato da diversi media, il governo ucraino avrebbe accettato di tenere colloqui di pace con la Russia. Le delegazioni delle due parti dovrebbero incontrarsi in un luogo non specificato lungo il confine bielorusso, ma non sono state date informazioni sull’orario. Nelle scorse ore Zelensky aveva rifiutato le richieste di Mosca di tenere colloqui in Bielorussia, vista l’ingente presenza di truppe russe nel Paese. Lukashenko, presidente della Bielorussia e alleato di Putin, si sarebbe impegnato a garantire che “tutti gli aerei, elicotteri e missili che stazionano sul territorio bielorusso rimangano a terra durante il viaggio, i colloqui e il ritorno della delegazione ucraina”.

Crisi Ucraina, Italia invia 110 milioni di euro a governo Kiev

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Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio avrebbe appena firmato una delibera che dispone l’erogazione immediata di 110 milioni di euro destinati al governo ucraino, “come espressione concreta della solidarietà e del sostegno dell’Italia a un popolo con cui coltiviamo un rapporto fraterno”. Lo riferisce l’Ansa, che riporta come nella mattinata di oggi Di Maio abbia presieduto una riunione di coordinamento della Farnesina con l’ambasciata di Kiev. Nel pomeriggio il ministro parteciperà alle riunioni straordinarie del G7 Esteri e del Consiglio Affari Esteri.

Draghi dichiara lo stato di emergenza per la guerra in Ucraina: cosa significa?

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Nella giornata di venerdì 25 febbraio il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per l’intervento all’estero della durata di tre mesi per far fronte alla crisi in Ucraina e consentire interventi straordinari mirati alla protezione della popolazione civile. Il provvedimento non ha perciò nulla a che vedere con l’emergenza sanitaria e le iniziative adottate nel contesto della pandemia, ma è stato dichiarato con l’unico scopo di permettere alla Protezione civile di inviare aiuti alla popolazione ucraina vittima della guerra.

Con lo scoppio del conflitto in Ucraina l’Unione europea si è immediatamente mobilitata per offrire aiuti umanitari alla popolazione civile. Il governo di Zelensky ne aveva fatto richiesta quando l’invasione russa era ancora un’ipotesi, per quanto del tutto probabile, chiedendo all’Unione Europea di impegnarsi in eventuali iniziative di sostegno alla popolazione ucraina. Il Commissario europeo per la Gestione delle Crisi Janez Lenarčič aveva in quell’occasione dichiarato che “L’UE offre piena solidarietà alla popolazione ucraina, anche con supporti concreti. Quando l’Ucraina ha richiesto il nostro aiuto, abbiamo lavorato 24 ore al giorno per aiutare le autorità. Aiuti immediati alla popolazione civile sono già in arrivo. Slovenia, Romania, Francia, Irlanda e Austria hanno già fatto le prime offerte ed io mi aspetto ulteriori aiuti nei prossimi giorni da parte degli altri membri degli Stati europei”.

Con l’esplodere della guerra, è stato così attivato dalla Commissione europea il Meccanismo europeo di Protezione civile, istituito nel 2001 e volto a portare aiuti umanitari in un Paese quando un’emergenza ne supera le capacità di risposta. Affinché la Protezione civile italiana possa contribuire è necessario attivare una specifica procedura, che richiede la dichiarazione “dello stato di mobilitazione del Servizio nazionale della protezione civile per intervento all’estero” e la “deliberazione dello stato di emergenza per intervento all’estero“, ovvero quello emanato dal Consiglio dei ministri. Lo stesso decreto deve individuare “le risorse finanziarie nei limiti degli stanziamenti del Fondo per le emergenze nazionali”, le quali ammontano in questo caso a tre milioni di euro. Come specificato nel comunicato del Consiglio dei ministri, i fondi “comprendono, al netto di quanto sarà rimborsato dall’Unione europea, gli oneri che verranno sostenuti per il trasporto, il dispiegamento e il reintegro dei materiali”.

Nel contesto della guerra in Ucraina, la Protezione civile nazionale italiana si impegna a fornire 200 tende da campo, per una capacità totale di 1000 posti letto. Queste si vanno ad aggiungere ai contributi di altri Paesi europei, che comprendono aiuti quali kit di primo soccorso, indumenti protettivi, generatori di corrente e pompe d’acqua.

[di Valeria Casolaro]

Lavoro e partecipazione: come le multinazionali hanno vinto la lotta di classe

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Dove ci eravamo lasciati? Si parlava di alternanza scuola lavoro. Nel nostro ultimo ragionamento, abbiamo avuto modo di evidenziare come sussista una divaricazione drammatica tra le disposizioni formali in materia di lavoro e la loro effettiva declinazione. In merito a quelle questioni, ad esempio, abbiamo provato ad argomentare come quelli che formalmente dovrebbero essere percorsi formativi in realtà si trasformano in strettoie di sfruttamento e alienazione: contratti formalmente solo formativi, come lo stage, diventano illecitamente ma de facto contratti di lavoro, privi anche delle più bas...

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