mercoledì 19 Novembre 2025
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Texas, la reiniezione petrolifera ha causato 2.000 terremoti in un anno

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Quest’anno nella cittadina di Pecos, in Texas, hanno avuto luogo 1.971 terremoti. Un aumento considerevole rispetto al 2020, quando se ne sono verificati 227, e rispetto al 2019, anno in cui lì la terra ha tremato appena 97 volte. Sebbene il Texas sia frequentemente soggetto a fenomeni sismici naturali, in questo caso non c’è dubbio: i terremoti sono causati dalle attività petrolifere. Nel 2007, infatti, l’area di Pecos risultava praticamente priva di attività sismica. Successivamente questa – come rivelano i monitoraggi del US Geological Survey – è andata ad aumentare progressivamente nel tempo. Così come l’estrazione di combustibili fossili nella stessa area. Si arriva così ai quasi 2 mila terremoti registrati nel 2021. Tutti con magnitudo 1,5 o superiore. Non è certo se la totalità di questi dipenda dall’attività industriale, ma la correlazione tra questa e il fenomeno – dicevamo – è ormai incontrovertibile.

Nel mirino, in particolare, c’è la pratica della reiniezione. L’attività prevede che le acque sotterranee, precedentemente estratte insieme agli idrocarburi, vengano reimmesse nella roccia serbatoio di origine allo scopo di essere smaltite. Questo genera cambiamenti nella pressione sotterranea e porta alla riduzione dell’attrito che inibisce lo scorrimento tra faglie esistenti. Con il risultato che determinati terremoti potrebbero scatenarsi o amplificarsi proprio a seguito di tali processi. Anche altre attività estrattive potrebbero avere conseguenze analoghe ma, in proporzione, quelle legate all’industria fossile sono di gran lunga le più frequenti. E il tutto – come dimostra un report dell’Environmental Protection Agency – è noto già da decenni. Rispetto ad allora le evidenze si sono però moltiplicate.

Uno studio del 2020, condotto proprio nell’area di Pecos, ad esempio, ha dimostrato come i tassi di sismicità annuali aumentino insieme ai volumi annuali di estrazione di petrolio e smaltimento dei relativi rifiuti fluidi. Gli autori, in base alle loro evidenze, suggeriscono quindi un nesso causale tra i due fenomeni. Dallo studio emerge poi che la quota dei circa 2 mila terremoti annui, in realtà, era già stata raggiunta nel 2017. «Nel periodo analizzato – scrivono inoltre i ricercatori – i terremoti hanno avuto profondità focali comprese tra i 4 e i 5,2 km sotto il livello del mare, ovvero, all’interno o appena al di sotto degli strati in cui vengono reiniettate le acque reflue. Il fenomeno sismico più intenso – hanno aggiunto – ha toccato una magnitudo di 3.7, ma i recenti alti tassi di attività suggeriscono che potrebbero essere possibili magnitudo maggiori». Quella di Pecos però è solo una delle tante regioni del globo afflitte dall’industria fossile, per le quali – a dirla tutta – i terremoti sono il minore dei mali. Dentro i nostri confini c’è la Basilicata, non a caso, soprannominata il ‘Texas d’Italia’. Ed è qui che Eni, supportando uno studio pubblicato su Nature, ha tentato di legittimare proprio la pratica della reiniezione. Nel mentre, dopo decenni di trivellazioni e nonostante le promesse, la regione resta la più povera d’Italia e registra, specie nei pressi degli impianti petroliferi, incrementi di mortalità allarmanti.

[di Simone Valeri]

Pakistan, piogge monsoniche: sale a 182 il numero di vittime

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Sale a 182 il numero di morti in Pakistan a causa delle piogge monsoniche. Gli ultimi decessi (in tutto 18) sono stati registrati nelle ultime 24 ore e si vanno ad aggiungere alle vittime del monsone che sta dilaniando il Pakistan da inizio stagione. Il Paese sta subendo danni molto gravi, con 263 case rase al suolo a causa del monsone di quest’anno. La provincia pakistana più colpita è quella di Khyber Pakhtunkhwa, a Nord-Ovest del Paese, come ha fatto sapere la National Disaster Management Authority (NDMA).

Vaccini Covid: in Italia dal 20 settembre terza dose per categorie a rischio

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Nella giornata di oggi si è svolta una riunione tra il Commissario Straordinario all’emergenza sanitaria, Francesco Paolo Figliuolo, ed il Ministro della Salute, Roberto Speranza, avente ad oggetto la somministrazione di dosi addizionali e di dosi “booster” nei confronti di determinate categorie maggiormente esposte o con un più elevato rischio di sviluppare una malattia grave. Durante tale riunione, si è stabilito che le somministrazioni «avverranno dal 20 settembre a partire dai soggetti immunocompromessi». Lo si apprende da una nota della struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo.

Artico, in Alaska stop alla mega miniera d’oro e molibdeno

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L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sta effettuando dei passi in avanti per proteggere le acque della baia di Bristol, in Alaska, mettendo così i bastoni tra le ruote ad un vasto progetto di estrazione mineraria. Si tratta del cosiddetto Pebble Project, di cui si occupa la compagnia Northern Dynasty Minerals, la quale da anni cerca di approdare nella baia sulla costa occidentale dell’Alaska per estrarre oro e molibdeno. Da un comunicato dell’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA), si apprende in tal senso che «il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, in un deposito presso il tribunale distrettuale, ha annunciato l’intenzione dell’EPA di richiedere che l’avviso di revoca del 2019 sia rinviato e reso inoperativo». Sotto l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, infatti, l’EPA aveva «emesso un avviso tramite il quale era stata ritirata la sua proposta di determinazione del 2014», con cui l’amministrazione dell’allora presidente Barack Obama aveva cercato di proteggere la baia di Bristol.

Una «recente decisione del tribunale del nono circuito», però, «ha sottolineato che l’EPA possa ritirare una proposta di determinazione solo se sia improbabile che lo scarico dei materiali abbia un effetto negativo inaccettabile». E in tal senso, l’agenzia ritiene che la revoca del 2019 non abbia soddisfatto tali standard. Da qui, dunque, deriva la richiesta ora effettuata dall’EPA, la quale inoltre si basa sulla sezione 404 (c) del Clean Water Act (CWA), che autorizza l’agenzia a vietare o limitare attività del genere se quest’ultima stabilisce che «uno scarico possa avere un effetto negativo inaccettabile su determinate risorse».

Adesso, se la richiesta dell’EPA dovesse essere accolta, verrebbe riavviato automaticamente il processo di revisione da parte sua ai sensi della sezione 404(c) ed essa annuncerebbe un programma per la ripresa della protezione di alcune acque dello spartiacque della baia di Bristol, che sono essenziali per la pesca commerciale, di sussistenza e ricreativa, la quale supporta i nativi e le comunità dell’Alaska. Essa infatti vale centinaia di milioni di dollari all’anno e crea migliaia di posti di lavoro. «La posta in gioco è prevenire l’inquinamento che avrebbe un impatto sproporzionato sui nativi dell’Alaska e proteggere un futuro sostenibile per la pesca del salmone più produttiva del Nord America», ha affermato a tal proposito l’amministratore dell’EPA Michael S. Regan.

Detto ciò, un commento alla notizia è ovviamente arrivato da parte della Northern Dynasty Minerals che, tramite una nota, si è detta delusa per la decisione dell’agenzia ed ha inoltre aggiunto:« Abbiamo combattuto e vinto contro i tentativi politici dell’ex presidente Obama di uccidere il progetto, e faremo lo stesso di nuovo». Una reazione negativa di cui senza dubbio non c’é da meravigliarsi dato che, per la seconda volta, l’amministrazione statunitense ha scelto di tutelare i diritti dei nativi e l’ambiente, anziché di schierarsi a favore dell’estrazione dell’oro e del molibdeno.

[di Raffaele De Luca]

Scuola: protesta degli studenti davanti al Miur

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Questa mattina, nel primo giorno di rientro a scuola, un gruppo di studenti ha protestato davanti alla sede del Ministero dell’Istruzione, a Roma. La manifestazione è stata organizzata dalla “Rete degli Studenti Medi” ed i ragazzi che vi hanno partecipato hanno urlato slogan come «la scuola è pubblica e non si tocca». A tal proposito Tommaso Biancuzzi, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi, ha affermato: «Studentesse e studenti non sono più disposti a portare sulle proprie spalle il fallimento di una classe dirigente che, priva di un piano preciso per il sistema d’istruzione, si è limitata ad annunci e a chiusure senza affrontare i nodi centrali del problema, dall’edilizia scolastica al trasporto pubblico».

Svolta in Inghilterra: il governo annuncia lo stop al Green Pass

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In Inghilterra – la nazione più grande del Regno Unito – il governo di Boris Johnson ha preso la decisione di non introdurre l’NHS Covid Pass (sistema per attestare l’effettiva somministrazione della doppia dose, l’equivalente del Green Pass italiano). L’approvazione di tale misura anti-contagio era stata prevista entro la fine settembre: la disposizione detta il possesso obbligatorio del passaporto vaccinale – o, in alternativa, di un test negativo – per potere accedere a qualsivoglia evento di massa o per entrare nei locali notturni. Invece, come annunciato dal ministro della Sanità Sajid Javid, in Inghilterra il provvedimento non sarà approvato. «Non dovremmo fare le cose per il gusto di farle», ha detto Sajid Javid (Segretario di Stato per la salute) mentre alla BBC dava la notizia della decisione presa: nonostante i piani per introdurre i passaporti vaccinali saranno tenuti in considerazione come opzione – nel caso di un nuovo peggioramento della situazione sanitaria – Sajid Javid ha fatto sapere che il governo ha deciso di non andare avanti con i suddetti piani.

Javid ha inoltre negato che il Governo abbia fatto il brusco dietro front dopo le critiche ricevute, giustificando la scelta presa parlando del «Muro di difesa» creatosi, facendo riferimento all’alto assorbimento di vaccini, ai test, all’attenta sorveglianza e ai nuovi trattamenti. Però, solo una settimana prima, il ministro dei vaccini Nadhim Zahawi aveva chiarito come settembre fosse il momento migliore per avviare lo schema del passaporto vaccinale per tutti gli eventi di massa. I motivi del cambio di programma sembrano quindi essere principalmente due: uno sanitario e l’altro politico. Il primo è relativo a ciò che ha osservato Sajid Javid, il sopracitato “muro di difesa”: Javid ha fatto notare come in molti Paesi il Green pass sia stato effettivamente introdotto per incoraggiare i cittadini a vaccinarsi, obiettivo già in via di raggiungimento nel Regno Unito. Il secondo motivo fa invece capire che, probabilmente, la disposizione non sarebbe passata in Parlamento, considerando che gran parte dello stesso partito conservatore di Boris Johnson si è schierata contro, così come si sono vivamente opposti i liberal democratici. Anche il leader del Partito Laburista Keir Starmer si è opposto alla misura, definendola «Contraria allo spirito britannico».

Anche se le decisioni prese finora sembrano appoggiarsi su una situazione più rosea, solo qualche settimana fa è stato registrato il secondo tasso di contagio più alto in Inghilterra (il caso del boom di contagi al Boardmasters Festival, nonostante l’obbligo dell’NHS Covid Pass e svariate ferree restrizioni); inoltre, secondo i più recenti dati del Governo, nel Regno Unito sono stati registrati 29.173 nuovi casi di Coronavirus. Per quanto riguarda, invece, le altre nazioni che compongono il Regno Unito, solo la Scozia – dal primo ottobre – introdurrà un passaporto vaccinale per coloro che hanno dai diciotto anni in su. Per quanto riguarda il Galles, è necessario attendere una settimana purché i ministri decidano se dare il via o meno alla direttiva. Solo l’Irlanda del Nord rimane, per il momento, senza piani ufficiali.

[di Francesca Naima]

Gli Usa prima di lasciare l’Afghanistan hanno compiuto l’ennesima strage di civili

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Il New York Times ha pubblicato un video, proveniente da una telecamera di sicurezza, che testimonia l’attacco di un drone, a Kabul, che anziché colpire l’Isis-k stermina una famiglia di 10 persone. Come ha riportato la BBC, il Pentagono ha dichiarato di non essere nella posizione di smentire queste accuse. Il responsabile dei rapporti con la stampa, John Kirby, ha però provato a giocarsela con la rassicurazione morale: «non c’è esercito sulla faccia della terra che si impegni più di quello statunitense per evitare morti di civili». Sarà, fatto sta che l’ultimo atto dell’esercito Usa prima di abbandonare la terra afghana dopo una ventennale occupazione sarebbe stata l’ennesima strage di innocenti.

Il 29 agosto 2021, i militari statunitensi hanno lanciato un attacco con un drone perché sospettavano che nella vettura in questione ci fosse almeno un membero dell’Isis-k, gruppo che nei giorni precedenti aveva ucciso 13 soldati americani e 169 civili afghani in un attentato presso l’aeroporto di Kabul. Per ore i soldati hanno seguito la macchina, per poi farla attaccare. Secondo le fonti statunitensi, l’auto era sospetta perché aveva appena lasciato un edificio conosciuto come rifugio Isis.

Invece, nella vettura viaggiava una famiglia di civili afghani, che con l’Isis non avevano alcuna relazione. Anzi, si trattava di un operatore umanitario impiegato in una ONG americana, in compagnia dei figli che erano andati a trovarlo. Sono stati tutti uccisi in una serie di esplosioni consecutive, che hanno bruciato i loro corpi fino a renderli irriconoscibili anche ai parenti. Tra i deceduti, 7 bambini di cui uno di appena 2 anni.

La vittima principale, un uomo di 43 anni di nome Zemari Ahmadi, lavorava da 14 anni nella ONG Nutrition & Education International. Stava portando dei contenitori di acqua dall’ufficio, per aiutare il suo vicino di casa: questi contenitori erano stati subito considerati sospetti. Insieme alla famiglia, aveva recentemente fatto richiesta per ottenere un visto speciale per trasferirsi negli Stati Uniti.

Se il New York Times non avesse ottenuto le riprese fatte da una telecamera di sicurezza nei pressi dell’attacco e se non avesse aperto un’investigazione a riguardo, l’esercito USA avrebbe continuato a dichiarare di aver eliminato dei terroristi dell’Isis-k. Di fronte ai filmati, hanno comunque ridimensionato la gravità dell’evento, spostando l’attenzione su altri fatti, sottolineando di essere assolutamente votati alla protezione dei civili nelle zone di guerra, e giustificando la propria avventatezza dicendo di non aver visto né donne né bambini.

Secondo il Bureau of Investigative Journalism, gli attacchi di droni, strumento molto frequente e molto controverso della strategia antiterroristica USA, hanno ucciso almeno 4126 persone (ma le stime toccano le 10.000) dal 2004 ad oggi. Di queste, tra i 300 e i 900 sarebbero civili.

[di Anita Ishaq]

Cannabis, duecentomila firme in 48 ore per il referendum

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In sole quarantotto ore sono state raccolte duecentomila firme per la proposta di referendum che prevede di modificare alcuni punti della legislazione sulla cannabis per raggiungere una reale depenalizzazione del consumo. Per rispettare i termini il referendum dovrà riuscire a raccogliere 500.000 firme entro il 30 settembre prossimo, obiettivo decisamente ambizioso, ma che pare raggiungibile dopo la partenza oltre le aspettative. Una testimonianza della grande attenzione pubblica sul tema e della volontà crescente di spronare la politica ad adottare provvedimenti volti a modificare l’approccio proibizionista figlio dell’era della cosiddetta “War on Drugs“. Per aderire al referendum cannabis legale, iniziativa del Comitato promotore che raccoglie diverse associazioni (Antigone, Forum Droghe, +Europa…) è possibile raggiungere l’apposito sito così da firmare online – se in possesso di SPID o della Carta di Identità Elettronica.

Il quesito referendario si pone tre obiettivi fondamentali: l’eliminazione del reato di coltivazione (rimarrebbero comunque in vigore la condotte di detenzione, produzione e fabbricazione per tutto ciò che non riguarda l’uso personale), la rimozione delle pene detentive per qualsiasi condotta legata alla cannabis (con l’eccezione dell’associazione finalizzata al traffico illecito) e l’annullamento della sanzione amministrativa che prevede il ritiro della patente per coloro in possesso della sostanza, ma la sanzione rimane comunque in vigore per chi guida in uno stato di alterazione psicofisica (dunque, sì ad averla con sé mentre si guida ma no, ovviamente, a guidare dopo averne fatto uso). Tre punti, quelli da rivedere, che fanno parte della legge 309/90 (il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti e psicotrope). Le richieste mosse sono un esempio della necessità di superare un trentennio in cui è valso un approccio proibizionista e, com’è stato evidente, criminalizzante sulla cannabis. Basti pensare che le carceri pullulano di chi viene riconosciuto colpevole del reato di detenzione e spaccio, gran parte delle volte piccoli spacciatori o consumatori, seguendo un modello indifferenziato per qualsivoglia “droga”.

Con un tale approccio è stato riscontrato l’esistere di squilibri ma anche ingiustizie marcate da labili confini, mentre i tribunali si sono riempiti di chi ha violato l’articolo 73 della legge 309/90 (appunto, detenzione e spaccio) senza davvero ridurre il giro della criminalità organizzata, visto che i condannati per la violazione dell’articolo 74 della legge 309/90 (traffico) rappresentano solo una minima parte. Chi è, quindi, un consumatore abituale di cannabis – in Italia se ne contano più di sei milioni – si trova in un bivio: coltivare cannabis, rischiando il carcere, o finanziare lo spaccio illegale. Non solo, anche chi è autorizzato a usufruire della droga leggera per scopi terapeutici risente delle trafile burocratiche e problemi dettati da un forte proibizionismo di base. Allora, è giunto il momento per i cittadini di scegliere se appoggiare il quesito referendario per la depenalizzazione, che rappresenta, tra l’altro, un grande passo avanti verso una possibile, futura, legalizzazione della cannabis anche in Italia.

[di Francesca Naima]

In Francia la nuova candidata alle presidenziali è Anne Hidalgo

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Domenica 12 settembre Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, ha fatto sapere che si candiderà per le presidenziali, le quali avranno luogo il prossimo anno. Anne Hidalgo è figlia di immigrati spagnoli, tra coloro che fuggirono dalla dittatura di Francisco Franco. Anne Hidalgo, del partito socialista, è per ora la favorita e sfidante di Emmanuel Macron. La sindaca di Parigi dovrà espandersi sempre più a livello nazionale, ma sembrerebbe avere le carte in regola per potere diventare la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Francia.

Bill Gates punta il turismo di lusso con un investimento da 2,2 miliardi

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Il magnate Bill Gates, attraverso la Cascade Investment LLCholding statunitense che gestisce il suo enorme patrimonio – verserà 2,2 miliardi di dollari per acquistare azioni della catena alberghiera di lusso Four Season. L’accordo – interamente in contanti  – sarà finalizzato entro gennaio 2022 e consisterà nel rilevare il 23,75 per cento di Four Season, rilevandolo dal miliardario saudita Prince Alwaleed bin Talal.

Evidentemente il “filantropo e fondatore di Microsoft intende scommettere sulla fine delle restrizioni pandemiche, andando a investire in uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi, quello del turismo. Four Seasons ha inoltre un’impronta non solo turistica: con quasi due dozzine di hotel in Medio Oriente e in Africa, è un marchio molto popolare tra consulenti, banchieri e chi ha ruoli di spicco nell’imprenditoria e settori simili. Investirci significa quindi anche puntare su nuovo boom dei viaggi d’affari di alto livello. Nelle grandi città, tali spostamenti lavorativi hanno subito un grave stop durante la pandemia; per esempio, il Four Seasons che si trova al centro di Manhattan è attualmente chiuso. La grande catena di hotel di lusso, secondo quanto riportato dalla testata specializzata Forbes sta anche investendo molto sul mercato immobiliare, intendendo associare il proprio marchio ad appartamenti esclusivi in affitto nelle principali città del pianeta.

Quello del turismo non è di certo l’unico settore nel quale Gates – ritenuto il quinto uomo più ricco al mondo e parte interessata nella gestione pandemica attraverso la Bill e Melinda Gates Foundation e come ideatore e finanziatore di COVAX, l’agenzia globale che si occupa – finora con scarsi risultati – di rendere i vaccini disponibili per i paesi poveri – sta investendo. Nel frattempo, sempre attraverso la Cascade Investment LLC, il magnate è diventato anche il più grande proprietario privato di terreni agricoli coltivabili negli Stati Uniti. Un investimento che ha visto protagonista non solo Bill Gates, ma diversi miliardari del mondo. A dettarlo non un’improvvisa passione per la vita di campagna, ma la comprensione di alcune dinamiche finanziarie, prime tra tutte il mercato dei crediti di carbonio.

[di Francesca Naima]