martedì 23 Settembre 2025
Home Blog Pagina 1453

Stop ai combustibili fossili a livello europeo, l’Italia si mette di traverso

1

Con l’obiettivo di concretizzare – entro il 2050 – il Green Deal, il 14 luglio la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di proposte in cui è compreso lo stop alla produzione e alla vendita di auto benzina e diesel in tutti i paesi membri dell’UE, a partire dal 2035. Per ora il provvedimento non è altro che una proposta in attesa di approvazione, in un iter che può subire cambiamenti e revisioni, prima dell’effettiva attuazione. Intanto è l’Italia a mettere le mani avanti, aprendo un dialogo con la Commissione.

Infatti, nonostante il dichiarato sostegno italiano alla iniziativa europea, da parte del Ministero della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è stata avanzata la richiesta di una proroga, richiesta che la Commissione europea non è, per il momento, intenzionata a concedere. Cingolani stesso ha spiegato le ragioni delle obiezioni: L’Italia intende proteggere i marchi italiani di auto sportive e di lusso – come Ferrari, Lamborghini e Maserati – dalla proposta della Commissione europea. L’Italia porta dunque avanti il concetto che sì, le auto di lusso sono sicuramente più inquinanti, ma le vendite di tali auto sono vertiginosamente più basse. Questo, dunque, “compenserebbe” la questione delle emissioni perché il mercato delle auto di lusso è una nicchia; di conseguenza, non comprendendo le auto di lusso nello stop voluto dalla Commissione, rimarrebbe solo «una frazione di un mercato che conta milioni», come precisa Cingolani.

Una proposta che questa volta pare abbia poche possibilità di passare, stando almeno alle parole ferme pronunciate da uno dei portavoce della Commissione, Tim McPhie: «Abbiamo visto i commenti del ministro Cingolani, ma noi non commentiamo mai i commenti. Ciò che posso fare è ricordare che noi abbiamo presentato un pacchetto di proposte legislative che prevede la riduzione del 100% delle emissioni delle auto entro il 2035. E tutte le case automobilistiche dovranno contribuire a questa riduzione». Ma la palla non è solo in mano alla Commissione: Il pacchetto “Fit for 55” proposto dalla Commissione dovrà comunque essere approvato da Parlamento europeo e dal Consiglio Ue, dove la proposta dovrà essere ratificata in base al complicato sistema della doppia maggioranza qualificata (55% dei voti che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea).

A prescindere da come terminerà la partita rimane un nuovo indizio di come il “Governo della Transizione ecologica”, come si era definito quello guidato da Draghi, si mostra ancora una volta piuttosto distante dal mettere realmente la questione ambientale al centro dell’azione di governo. Non è certo il primo caso in cui le decisioni prese dal ministro Cingolani stridono con le parole sulla decantata svolta green. Dal caso delle «trivelle sostenibili» – dove è già intuibile, solo dal nome, l’implicito ossimoro – fino al sostegno mostrato per l’uso dell’erbicida più famoso al mondo, il glifosato, per poi arrivare alla recente approvazione, da parte del Ministero della Transizione ecologica, dell’ampliamento della Centrale a gas di Ostiglia.

Terremoto in Messico: scossa di magnitudo 7, un morto

0

Una scossa di terremoto di magnitudo 7 ha colpito il Messico; L’Usgs (Istituto geofisico statunitense) ha individuato l’ipocentro a una profondità di 12,6 km. Il sisma ha avuto luogo alle porte della città di Acapulco (nello Stato di Guerrero). Al momento si conta almeno un morto, il quale avrebbe perso la vita perché colpito da un palo della luce, come ha fatto sapere Hector Astudillo, governatore dello Stato di Guerrero.

È morto l’attore Nino Castelnuovo, aveva 84 anni

0

È morto all’età di 84 anni, dopo una lunga malattia, l’attore Nino Castelnuovo. A darne notizia è stata la sua famiglia tramite una nota. Nato a Lecco nel 1936, Nino Castelnuovo ha partecipato a numerosi film e sceneggiati tv. A fargli acquisire una grande popolarità, però, il ruolo di Renzo Tramaglino, interpretato nella riduzione televisiva de “I promessi sposi” andata in onda sulla Rai nel 1967.

Terza dose vaccinale, anche l’Ema avvia l’iter per l’autorizzazione

2

L’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha avviato l’iter che potrebbe portare all’autorizzazione di una terza dose del vaccino Pfizer. Lo ha comunicato nella giornata di ieri la stessa agenzia regolatoria tramite una nota, nella quale si legge che è iniziata la valutazione di una domanda per l’uso di una dose di richiamo del vaccino Pfizer «da somministrare 6 mesi dopo la seconda dose a persone di età pari o superiore a 16 anni». Per ciò che concerne l’esito di tale valutazione, poi, esso è «atteso entro le prossime settimane, a meno che non siano necessarie informazioni supplementari». In tal senso, aggiunge l’Ema, «il Comitato per i medicinali umani effettuerà una valutazione accelerata dei dati presentati da Pfizer». Oltre a ciò, però, l’agenzia regolatoria sottolinea come sia anche in corso la valutazione dei «dati della letteratura sull’uso di una terza dose aggiuntiva di un vaccino a mRNA (Moderna e/o Pfizer) nelle persone gravemente immunocompromesse (cioè con sistema immunitario indebolito)».

Detto questo, però, va ricordato che vi è una differenza sostanziale tra la valutazione avente ad oggetto la somministrazione di un’ulteriore dose del vaccino per tutte le persone di età pari o superiore ai 16 anni e quella di una terza inoculazione nei confronti degli immunocompromessi. Per quanto riguarda la prima, infatti, essa è stata avviata nonostante l’Ema e l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) «non considerino urgente la necessità di dosi di richiamo nella popolazione generale». L’analisi della domanda, però, è iniziata con il fine di «garantire che siano disponibili prove a sostegno di ulteriori dosi, se necessario».

Venendo alla eventuale terza dose per le persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, invece, l’Ema e l’Ecdc avevano già sottolineato il fatto che si dovesse prendere in considerazione tale ipotesi. In un comunicato pubblicato nei giorni scorsi, infatti, si legge che «alcuni studi riportano che una dose aggiuntiva di vaccino può migliorare la risposta immunitaria negli individui immunocompromessi». In questo caso, dunque, l’approvazione appare più probabile. Essa, inoltre, farebbe seguito alla decisione della Food and Drug Administration, l’ente regolatorio statunitense, che nelle scorse settimane ha dato il via libera alla terza dose del vaccino anti Covid per le persone, appunto, che hanno un sistema immunitario debole.

Ad ogni modo, non si può non sottolineare che per ciò che concerne l’eventuale somministrazione di una terza dose vi sono però, soprattutto nei confronti dell’intera popolazione, dei dubbi a livello scientifico. Non esiste infatti ancora nessuno studio che provi che effettivamente ci sia bisogno della stessa e che i livelli di protezione calino nel tempo indicato (6 mesi). A tal proposito, per misurare il reale calo di protezione servono gli studi sugli anticorpi, ma non solo. L’immunità data dai vaccini infatti coinvolge, oltre che questi ultimi, anche le cellule T e C del sistema immunitario, che hanno memoria dello specifico virus da distruggere e possono intervenire mesi o anni dopo il vaccino. Ed in tal senso, le ricerche condotte non sono ancora sufficienti.

Nonostante tutto ciò, però, in Italia già si sta preparando l’opinione pubblica all’eventualità di una terza dose, senza attendere né la validazione dell’Ema né tantomeno che emergano studi scientifici revisionati che confermino tale necessita. Basterà ricordare il premier Mario Draghi, che negli scorsi giorni ha confermato che si arriverà alla somministrazione della stessa o, ultimo in ordine di tempo, il commissario straordinario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo, il quale nella giornata di oggi ha affermato che «si partirà già a settembre con gli immunocompromessi». A tal proposito, però, va detto che è stata la stessa Ema ad invitare gli Stati membri a “prepararsi”. Sempre nella nota sopracitata, infatti, l’agenzia europea ha precisato che «gli Stati membri possono già prendere in considerazione piani preparatori per la somministrazione di richiami e dosi aggiuntive», nonostante, appunto, non sia ancora arrivata alcuna approvazione ufficiale.

[di Raffaele De Luca]

Afghanistan: la guerra è finita, l’oppio torna al centro della geopolitica

0

Il redivivo Emirato Islamico dell’Afghanistan ha promesso che muoverà guerra contro le coltivazioni di papavero da oppio, un intento nobile e pienamente in linea con una dottrina ideologica contraria agli eccessi e all’edonismo, ma anche una posizione che difficilmente sarà attuabile nei fatti. Almeno se non cambiano prima i toni politici internazionali.

L’area che va dall’Iran al Pakistan ha di per sé una lunga storia di produzione di oppio, tuttavia negli anni Ottanta l’Afghanistan ha visto una vera e propria esplosione del mercato delle droghe, avviandosi verso una struttura socio-economica che ha fortemente stimolato il traffico e le faide per il controllo di quei territori utili alla produzione dell’eroina e della morfina.

Per comprendere quanto sia rilevante il settore della droga alla sopravvivenza del Paese basta scoprire che più dell’85% della produzione d’oppio mondiale sia di base in Afghanistan e che i proventi che smuove finanziano circa il 10% del prodotto interno lordo locale. E la tendenza ad affidarsi a questo controverso settore agricolo è in costante salita: nel solo 2020 l’area coltivabile dedicata ai papaveri è aumentata del 37%.

Stiamo parlando di interessi economici miliardari che hanno foraggiato tanto i talebani, quanto tutta una serie di organizzazioni terroristiche che operano nell’area, interessi che non sono stati affatto scalfiti dai vent’anni di occupazione NATO, anzi si sono intensificati in maniera esponenziale.

La promessa talebana parrebbe dunque inverosimile, tuttavia sarebbe ipocrita considerarla semplicemente come una vanteria vana e propagandistica. Bisogna infatti riconoscere che esistono importanti precedenti storici: nel 2000, il Mullah Omar, uomo a capo dei talebani, aveva dichiarato una feroce guerra al settore, praticamente azzerando la produzione di oppio afghana.

Si era trattata di una mossa profondamente politica, che mirava a ottenere il riconoscimento internazionale dell’Emirato Islamico; inutile dire che le cose abbiano preso una piega diversa, almeno tenendo conto che i talebani non sono stati accolti ai tavoli diplomatici neppure quando volevano discutere della consegna di Osama Bin Laden agli Stati Uniti, cosa che avrebbe potuto evitare due decadi di guerra.

Oggi la situazione è molto diversa, potenti nazioni stanno discutendo con i leader talebani trattandoli già al pari di capi di Stato, tuttavia il desiderio di essere formalmente accettati persiste, se non altro nell’ottica di consolidare la posizione finalmente conquistata. L’Emirato Islamico vuole rendersi “tollerabile” da quello stesso mondo che fino a oggi gli ha mosso battaglia e lo fa promettendo di contrastare il terrorismo, di combattere la droga e, nei limiti di quanto possibile dai suoi dogmi, di tutelare i diritti delle donne.

Il garantire nei fatti il contrasto alle coltivazioni di papavero non mancherà di infastidire un’ampia gamma di potenti coltivatori, quindi perché i talebani portino avanti il progetto è necessario che il tornaconto di una simile operazione sia commisurato ai rischi. In altre parole, il nuovo establishment afghano sta negoziando con i Governi esteri e la loro risposta contribuirà a delineare il volto dell’Afghanistan del domani.

[di Walter Ferri]

 

Green Pass: Camera boccia emendamenti interamente soppressivi

0

Sono stati bocciati da parte dell’aula della Camera, a scrutinio segreto, gli emendamenti al decreto legge Covid contenente le norme sul green pass che prevedevano la soppressione del lasciapassare sanitario. Nello specifico, essi sono stati respinti dall’Assemblea di Montecitorio con 260 no, 59 sì e 82 astenuti. Questi ultimi appartenevano tutti alla Lega.

La Repubblica, senza volerlo, svela i suoi “trucchi da precariato eterno”

3

«Caro Merlo, sono un grafico di 37 anni. Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?». È questo il contenuto di una lettera inviata al quotidiano la Repubblica, firmata da un certo Tobia Bufera.

La missiva è stata pubblicata all’interno della rubrica del giornale denominata “Posta e risposta”, curata dal giornalista di Repubblica Francesco Merlo, il quale ha così risposto dalle colonne del quotidiano: «Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno. Aspetti però di trovare di meglio delle consegne a domicilio prima di andarsene al grido di ‘Ccà nisciuno è… flesso’».

Peccato, però, che in realtà Tobia Bufera non esista, è null’altro che l’anagramma del vero autore della lettera, il giornalista Fabio Butera che ha descritto il trattamento a lui riservato proprio da La Repubblica, per la quale ha lavorato a lungo come video-reporter. A rivelarlo è stato lo stesso Butera tramite i propri profili social, dove ha commentato così la vicenda: «Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora “trucchi da precariato eterno”».

In una successiva risposta, resa pubblica, Fabio Butera ha reso pubbliche per intero le vicissitudini lavorative alle quali è stato sottoposto durante la sua lunga collaborazione con La Repubblica, svelando una storia di precariato all’interno di uno dei colossi della stampa italiana. La pubblichiamo integralmente:

«Caro Merlo, sono un ex giornalista di Repubblica e ieri hai pubblicato una lettera da me scritta e firmata con lo pseudonimo di Tobia Bufera.

Ho, solo in parte, inventato la storia di un grafico che per sei anni ha lavorato quotidianamente ed esclusivamente per un imprecisata azienda come finta partita iva fino al momento in cui gli viene chiesto di firmare, per continuare a lavorare, un foglio in cui rinuncia ai diritti acquisiti. Ecco quella storia è la mia, uniche differenze: non sono un grafico ma un giornalista e l’imprecisata azienda è Repubblica, il giornale per cui tu lavori.

Mi scuso con te per aver ritenuto di utilizzare questo escamotage per vedere rese pubbliche le brutte modalità lavorative di cui sono stato protagonista. Ho presupposto, forse sbagliando, che con la mia vera identità non le avresti pubblicate.
Altra precisazione che devo fare è che il ricatto ‘firma o non puoi più lavorare’ , quello che tu definisci ‘trucco da precariato eterno’ è avvenuto tre anni fa, nel novembre 2018.
A quella richiesta ho opposto il mio rifiuto e così non ho potuto più lavorare per il giornale a cui negli anni avevo dedicato tanto impegno e passione.

Per vedere riconoscere i miei diritti mi sono rivolto ad un tribunale del lavoro che pochi mesi fa ha stabilito che negli anni in cui lavoravo per Repubblica inquadrato come collaboratore a partita iva avrei dovuto essere assunto come redattore inviato. Dopo il torto subito un piccolo risarcimento da parte della tanto vituperata Giustizia, a cui avrei preferito non dover ricorrere. Ma questo è il mondo del lavoro contemporaneo: pochi che fanno grandi profitti e tanti lavoratori il più delle volte soli, fragili e ricattabili la cui unica speranza è il diritto del lavoro, eredità di conquiste ottenute in un’epoca sempre più lontana.

Sicuro della tua comprensione per il mio petit jeu di ieri. Ti ringrazio».

Le banche europee frenano la lotta alla crisi climatica

1

Le banche europee sono ancora troppo indietro sulla delicata questione della crisi climatica. Alcuni istituti di credito stanno dando prova della loro leadership su determinate questioni relative alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità, ma nessuna banca europea è stata – ancora – in grado di presentare un piano completo, in cui sia possibile assicurare il concetto di sostenibilità in tutti gli ambiti. È ciò che emerge dal nuovo studio pubblicato dall’ente di beneficienza ShareAction, che si pone l’obiettivo di incentivare gli investimenti responsabili, cioè «Una strategia d’investimento che integra i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nell’analisi e nelle decisioni d’investimento».

ShareAction si impegna per far sì che le banche possano indirizzare prestiti ai settori rinnovabili raggiungendo il prima possibile un’economia a basse emissioni di carbonio; le banche possono avere – e hanno – un ruolo centrale per accelerare la lotta contro il cambiamento climatico; ecco perché dovrebbero essere adottati quanto prima dei provvedimenti in tutte le aeree fondamentali di quest’ultimo (ovvero la biodiversità, l’esposizione a settori ad alto contenuto di carbonio, le politiche che limitano i servizi a settori come il petrolio e il gas, il rapporto tra la retribuzione dei dirigenti e i loro progressi sulle questioni climatiche). Lo studio di ShareAction ha dimostrato che le buste paga dei dirigenti non riescono a incoraggiare un cambiamento importante nei più grandi istituti di credito europei. Solo NatWest, ING e Credit Agricole rappresentano un’eccezione, visto che incentivano i loro amministratori delegati a porsi obiettivi climatici di impatto sui prestiti che estendono a determinati settori, collegando altresì la retribuzione a specifici impegni climatici.

Al momento, comunque, sono solo venti (delle venticinque maggiori banche europee) ad essersi impegnate per raggiungere emissioni nette pari a zero, entro e non oltre il 2050. Però, nessuna di esse ha poi abbinato tale obiettivo con piani completi per evitare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, come emerge dall’elenco di ShareAction. In pochissimi hanno poi iniziato a fare reali passi avanti: sono solo tre le banche (Lloyds Banking Group, NatWest e Nordea) impegnate a dimezzare le loro emissioni finanziate entro il 2030, così da mostrare di essere più vicine all’obiettivo del 2050.

[di Francesca Naima]

La Lega ritira gli emendamenti sul Green Pass

0

È bastata la minaccia di porre il voto di fiducia, fatta trapelare ieri sugli organi di stampa, per riportare Salvini a miti consigli sul lasciapassare sanitario. «La Lega era e rimane contro obblighi, multe e discriminazioni» aveva dichiarato appena una settimana fa il segretario del carroccio, ma già negli ultimi giorni erano emerso il “ravvedimento” con l’apertura all’obbligatorietà per i dipendenti statali. Ora la resa definitiva: la Lega ha ritirato i propri emendamenti per cambiare la norma sul Green Pass, in discussione alla Camera, che a questo punto verrà verosimilmente approvata nella forma restrittiva progettata dal ministro Speranza.

Repubblica Democratica del Congo: almeno trenta vittime dopo un attacco

0

Questo fine settimana, almeno trenta persone sono rimaste uccise dopo un attacco da parte – come accusa la popolazione vittima delle violenze – delle Forze Democratiche Alleate (ADF) di ispirazione islamica; il massacro è avvenuto nella provincia dell’Ituri, regione nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo. La notizia è stata diffusa da alcuni testimoni del luogo all’agenzia Reuters. Quello descritto è il secondo attacco in pochi giorni: il primo settembre, molti civili sono rimasti ostaggio e quattro sono rimasti uccisi quando le ADF hanno teso un’imboscata a un convoglio al Nord-Ovest della Repubblica Democratica del Congo.