sabato 20 Aprile 2024

La Repubblica, senza volerlo, svela i suoi “trucchi da precariato eterno”

«Caro Merlo, sono un grafico di 37 anni. Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?». È questo il contenuto di una lettera inviata al quotidiano la Repubblica, firmata da un certo Tobia Bufera.

La missiva è stata pubblicata all’interno della rubrica del giornale denominata “Posta e risposta”, curata dal giornalista di Repubblica Francesco Merlo, il quale ha così risposto dalle colonne del quotidiano: «Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno. Aspetti però di trovare di meglio delle consegne a domicilio prima di andarsene al grido di ‘Ccà nisciuno è… flesso’».

Peccato, però, che in realtà Tobia Bufera non esista, è null’altro che l’anagramma del vero autore della lettera, il giornalista Fabio Butera che ha descritto il trattamento a lui riservato proprio da La Repubblica, per la quale ha lavorato a lungo come video-reporter. A rivelarlo è stato lo stesso Butera tramite i propri profili social, dove ha commentato così la vicenda: «Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora “trucchi da precariato eterno”».

In una successiva risposta, resa pubblica, Fabio Butera ha reso pubbliche per intero le vicissitudini lavorative alle quali è stato sottoposto durante la sua lunga collaborazione con La Repubblica, svelando una storia di precariato all’interno di uno dei colossi della stampa italiana. La pubblichiamo integralmente:

«Caro Merlo, sono un ex giornalista di Repubblica e ieri hai pubblicato una lettera da me scritta e firmata con lo pseudonimo di Tobia Bufera.

Ho, solo in parte, inventato la storia di un grafico che per sei anni ha lavorato quotidianamente ed esclusivamente per un imprecisata azienda come finta partita iva fino al momento in cui gli viene chiesto di firmare, per continuare a lavorare, un foglio in cui rinuncia ai diritti acquisiti. Ecco quella storia è la mia, uniche differenze: non sono un grafico ma un giornalista e l’imprecisata azienda è Repubblica, il giornale per cui tu lavori.

Mi scuso con te per aver ritenuto di utilizzare questo escamotage per vedere rese pubbliche le brutte modalità lavorative di cui sono stato protagonista. Ho presupposto, forse sbagliando, che con la mia vera identità non le avresti pubblicate.
Altra precisazione che devo fare è che il ricatto ‘firma o non puoi più lavorare’ , quello che tu definisci ‘trucco da precariato eterno’ è avvenuto tre anni fa, nel novembre 2018.
A quella richiesta ho opposto il mio rifiuto e così non ho potuto più lavorare per il giornale a cui negli anni avevo dedicato tanto impegno e passione.

Per vedere riconoscere i miei diritti mi sono rivolto ad un tribunale del lavoro che pochi mesi fa ha stabilito che negli anni in cui lavoravo per Repubblica inquadrato come collaboratore a partita iva avrei dovuto essere assunto come redattore inviato. Dopo il torto subito un piccolo risarcimento da parte della tanto vituperata Giustizia, a cui avrei preferito non dover ricorrere. Ma questo è il mondo del lavoro contemporaneo: pochi che fanno grandi profitti e tanti lavoratori il più delle volte soli, fragili e ricattabili la cui unica speranza è il diritto del lavoro, eredità di conquiste ottenute in un’epoca sempre più lontana.

Sicuro della tua comprensione per il mio petit jeu di ieri. Ti ringrazio».

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