martedì 25 Novembre 2025
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Il ritorno dei grandi carnivori in Europa: orsi, lupi e linci salvi dall’estinzione 

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I grandi carnivori europei – orsi, lupi e linci – stanno ricolonizzando la loro storica area di distribuzione in Europa. Lo conferma uno studio – pubblicato sulla rivista Diversity and Distributions – condotto dai ricercatori del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie della Sapienza di Roma e del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Se prima queste specie erano a rischio estinzione, sembra proprio che ultimamente stiano riprendendosi, grazie a due grandi cambiamenti: la progressiva rinaturalizzazione di aree prima destinate ad attività umane come l’agricoltura e la minore densità della popolazione dovuta al graduale abbandono delle aree rurali.

Gli studiosi hanno analizzato i movimenti dei grandi carnivori in un periodo compreso tra il 1992 e il 2015, arrivando alla conclusione che il diverso sfruttamento del suolo e l’abbandono delle terre, abbiano influito molto di più della graduale espansione delle aree protette. Questo perché spesso, le zone naturali protette, o non sono abbastanza grandi da poter soddisfare il fabbisogno di questi animali, o perché minimamente alterate dall’uomo e quindi non coinvolte nel processo di ricolonizzazione. Secondo Luca Santini, ricercatore e senior author della Sapienza, approfittare dei cambiamenti socioeconomici e paesaggistici per creare nuove opportunità di recupero per le specie, sarà una sfida per l’Europa, la quale dovrà anche impegnarsi in una corretta educazione ambientale fatta di norme legislative e una gestione dei conflitti fra uomo e fauna selvatica nelle aree recentemente colonizzate dai grandi carnivori.

Draghi: al via le consultazioni per il nuovo governo

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Da oggi alle 15:30 a sabato mattina il premier incaricato Mario Draghi incontrerà i gruppi parlamentari per verificare i presupposti per la formazione di un nuovo governo. Intanto dai partiti arrivano parziali chiarimenti sulle posizioni ma c’è ancora grande confusione. Il centro-destra si recherà diviso ai colloqui, segno di come non vi sia ancora una posizione comune tra Fi, Lega e Fdi, mentre nel M5S vi sono varie prese di posizione più possibiliste rispetto al no iniziale: “In questa fragile cornice, il M5S ha il dovere di partecipare, ascoltare e poi assumere una posizione sulla base di quello che i parlamentari decideranno”, ha dichiarato Di Maio.

Colpo di Stato in Myanmar: i militari bloccano l’accesso a Facebook per reprimere il dissenso

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La nuova giunta militare del generale Min Aung Hlaing, che il primo febbraio ha preso il potere in Myanmar con un colpo di stato, ha bloccato l’accesso a Facebook nel tentativo di reprimere il dissenso della popolazione. Il ministero delle Comunicazioni ha detto che Facebook sarà bloccato fino a domenica, sostenendo che gli utenti stavano «turbando la stabilità del Paese», utilizzando la rete per diffondere «fake news e disinformazione». Facebook, che in Myanmar registra 22 milioni di utenti, negli ultimi giorni è stato utilizzato per coordinare azioni di disobbedienza civile e proteste. Mercoledì, gli operatori sanitari in 70 ospedali hanno lasciato il lavoro per protestare contro le azioni dell’esercito. Nelle proteste serali, centinaia di residenti sono usciti sui loro balconi sbattendo pentole e padelle: per la popolazione il gesto è un atto simbolico per scacciare il male. Anche Instagram e WhatsApp sono soggetti a restrizioni. Il portavoce di Facebook Andy Stone ha esortato le autorità a ripristinare i servizi, «in modo che le persone in Myanmar possano comunicare con le loro famiglie e amici e accedere a informazioni importanti».

Nonostante il tentativo dell’esercito di reprimere l’attivismo, giovedì nella città di Mandalay si è svolta la prima protesta in strada. I manifestanti – circa 20 persone davanti la Mandalay Medical University – hanno sventolato striscioni e cantato slogan contro il colpo di stato. Secondo Reuters, ci sono stati almeno tre arresti.

Salute: in 10 anni +37% persone guarite da un tumore

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Rispetto a 10 anni fa, le persone che guariscono dai tumori sono aumentate del 37%. Lo rileva l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) in occasione della Giornata mondiale contro il cancro. Oggi, sono circa 3,6 mln coloro che sono sopravvissuti dopo una diagnosi di tumore.

Tuttavia, l’Aiom lancia l’allarme: a seguito del Covid-19, infatti, i ritardi nelle diagnosi precoci “possono causare un aumento della mortalità”.

Paradosso lockdown: con la diminuzione dello smog è aumentata la temperatura globale

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La ridotta attività sociale e i lockdown hanno influenzato a tal punto le emissioni inquinanti, da aver riscaldato il pianeta per diversi mesi l’anno scorso. Lo ha rilevato uno studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters. L’analisi è stata condotta dal Centro nazionale per la ricerca atmosferica (NCAR), dall’Università di Oxford, dall’Imperial College e dall’Università di Leeds. Gli studiosi hanno analizzato l’influenza delle particelle sospese nell’aria che impediscono il passaggio in entrata della luce solare.

Il gruppo di ricerca ha utilizzato due dei principali modelli climatici per eseguire le simulazioni e ha regolato le emissioni di aerosol. Gli esperti hanno affermato che dalla scorsa primavera, le temperature, in alcune zone della superficie terrestre, sono aumentate fino a 0,3°C. Più di quanto ci si potesse aspettare. L’effetto è stato maggiore nelle regioni normalmente associate alle emissioni di aerosol, Russia e USA.

Nonostante gli effetti del riscaldamento a breve termine, il team di ricerca sottolinea che l’impatto su lungo periodo potrebbe rallentare il cambiamento climatico causato dalle emissioni di anidride carbonica. Gli aerosol, al contrario, provocano impatti che svaniscono nel giro di pochi anni ma con effetti complicati. Questo lavoro potrebbe aiutare gli scienziati a comprendere meglio l’influenza di vari tipi di aerosol in diverse condizioni atmosferiche, contribuendo a informare gli sforzi per ridurre al minimo il cambiamento climatico.

Covid-19, anticorpi monoclonali: via libera dall’Aifa

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L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato l’uso dei due anticorpi monoclonali anti-Covid delle americane Eli Lilly e Regeneron, per l’impiego in fase precoce in pazienti ad alto rischio.

Il Chief Scientific Officer di Lilly Dan Skovronsky aveva offerto gratuitamente all’Italia migliaia di dosi per uno studio clinico. Tuttavia, questa proposta venne rifiutata ad ottobre.

“Sarebbe importante ora spiegare al Paese per quali motivi si approva a inizio febbraio una cosa che fu fatta fallire ad ottobre” scrive su Facebook il virologo Guido Silvestri.

Accordo Italia-Libia, 4 anni di abusi e torture per migliaia di migranti

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Sono passati 4 anni dalla firma del Memorandum di intesa fra Italia e Libia, per mano del Presidente del Consiglio dell’epoca Paolo Gentiloni e del primo ministro libico Fayez al-Sarraj. Da quel 2017 l’Italia ha speso 785 milioni di euro per il “patto” contro i migranti, impiegati per respingere almeno 50mila persone in Libia, in condizioni degradanti. 12.000 solo nel 2020. Per questo enti come Emergency, Medici Senza Frontiere e Sea-Watch hanno lanciato un appello urgente al Parlamento per chiedere la revoca immediata dell’accordo, il ripristino delle attività istituzionali di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e l’apertura di un’inchiesta sui fondi pubblici spesi.

A distanza di 4 anni il bilancio degli effetti del Memorandum fa acqua da tutte le parti. Mostra sicuramente il fallimento dalla politica italiana ed europea che impiega fondi pubblici per bloccare gli arrivi invece di tutelare la vita e la dignità umana. Quella di chi rimane intrappolato in Libia e quella di chi rischia di essere risucchiato dal mare. Della cifra totale, più di 210 milioni di euro sono stati spesi direttamente in Libia, ma in pratica hanno solo contribuito a destabilizzare ulteriormente la situazione. Molti trafficanti, infatti, hanno convertito il business della tratta di esseri umani, in industria della detenzione, tenendo in ostaggio centinaia di persone. La Libia è un paese in cui violenza e brutalità rappresentano la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati.

Francia, sentenza storica: Tribunale condanna lo Stato perché non ha agito per il clima

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Una decisione storica è stata appena emessa dal Tribunale amministrativo di Parigi. Mercoledì 3 febbraio, lo Stato francese è stato dichiarato colpevole di inerzia climatica. Durante l’udienza è stata rilevata “la mancata adozione da parte dello Stato di misure pubbliche vincolanti, con conseguente eccedenza annuale di emissioni di gas serra che aggrava il danno ecologico”. Il Tribunale amministrativo di Parigi ha ordinato allo Stato di pagare alle quattro associazioni fondatrici di “L’Affaire du siècle” – Oxfam France, Notre affaires à tous, Foundation for Nature and Humanity e Greenpeace France – la somma di un euro simbolico a titolo di risarcimento del danno ecologico e morale. Tuttavia, le richieste di pagamento sono state respinte.

L’Affaire du Siècle, campagna di giustizia climatica in Francia, è stata avviata il 17 dicembre 2018. Tramite una petizione, aveva raccolto più di un milione di firme in meno di 48 ore e superato i due milioni in meno di tre settimane, diventando la più massiccia mobilitazione online della storia francese. Il 14 marzo 2019, nonostante le pressioni della petizione, il governo aveva respinto la richiesta di risarcimento dell’Ong. A seguito di tale rigetto, le quattro organizzazioni avevano intentato un’azione legale contro lo Stato presso il Tribunale amministrativo di Parigi. Il 3 febbraio 2021, in una decisione considerata “una vittoria storica per il clima“, il Tribunale riconosce la colpa dello Stato e lascia due mesi per presentare osservazioni prima di pronunciarsi sull’ingiunzione.

Mario Draghi ha ricevuto l’incarico per formare il governo

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Mario Draghi ha accettato con riserva l’incarico a cercare di formare un governo da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo l’incontro al Quirinale l’ex presidente della Bce si è detto fiducioso “dal confronto con i partiti, con i gruppi parlamentari e le forze sociali emerga unità e capacità di dare una risposta responsabile”. Al momento il raggiungimento di una maggioranza non pare comunque semplice visto il No annunciato dal Movimento 5 Stelle.

Iran-Usa: prove di pace sul trattato nucleare

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Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha chiesto all’Unione Europea di mediare con Washington per riportare pienamente in vigore l’accordo sul nucleare siglato nel 2015. La nuova amministrazione americana per ora risponde con cautela (“prima ci consulteremo con alleati e congresso poi potremo fare qualche proposta” secondo le parole del portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price) ma l’intenzione pare quella di cercare di riattivare l’accordo. Per ora c’è stallo su chi dovrebbe fare la prima mossa: l’Iran chiede che vengano rimosse le sanzioni e poi provvederà a fermare l’arricchimento dell’uranio, Biden ha già precisato che casomai il processo deve essere quello inverso, tuttavia sono dettagli superabili se ce ne sarà l’intenzione politica. Un nuovo accordo che tutti sembrano volere tranne Israele, il cui ministro agli Affari coloniali Tzachi Hanegbi ha dichiarato: “”Gli USA non attaccheranno mai gli stabilimenti nucleari in Iran. Israele deve decidere se accettare un Iran con il nucleare o agire in maniera indipendentemente per eliminare un tale pericolo”.

L’Accordo di Vienna , firmato da Teheran con le grandi potenze (Stati Uniti, Cina, Russia, Germania, Francia, Regno Unito) oltre che con l’UE, impegnava la Repubblica islamica a rinunciare al proposito di acquisire la bomba atomica, in cambio della revoca di tutte le sanzioni economiche. Un accordo nato sotto l’amministrazione Obama e dal quale Donald Trump uscì unilateralmente nel 2018.