La statua del navigatore genovese Cristoforo Colombo, situata in uno dei viali principali di Città del Messico, sarà sostituita da quella di una donna indigena. Lo ha annunciato la sindaca della capitale messicana, Claudia Sheinbaum, la quale ha affermato che verrà portata in un parco nel quartiere di Polanco ed ha aggiunto che la rimozione non rappresenta un tentativo di «cancellare la storia» ma di fornire «giustizia sociale». La statua, inoltre, era stata rimossa lo scorso anno dal governo cittadino in vista di una bellicosa manifestazione con slogan anticolonialisti.
Il gasdotto Nord Stream 2 tra Europa e Russia è pronto: “in funzione tra pochi giorni”
La costruzione del Nord Stream 2, il gasdotto che collega direttamente Russia e Germania passando per il Mar Baltico, è stata completata nella giornata di lunedì. Da un comunicato della compagnia operatrice “Nord Stream 2 AG”, infatti, si apprende che l’ultimo tubo è stato saldato e «calato in acque tedesche». Ora non resta che collegarlo alla sezione proveniente dalle acque territoriali danesi: il tutto con l’obiettivo di «rendere operativo il gasdotto entro la fine di quest’anno». In tal senso, però, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si è sbilanciato maggiormente, ed ha affermato che in pochi giorni il progetto sarà completato ed il gasdotto inizierà a funzionare.
Ad ogni modo, la messa in funzione del Nord Stream 2 è ormai vicina. Esso andrà a replicare il percorso del gasdotto gemello, il Nord Stream, inaugurato nel 2012. In tal modo, dunque, il nuovo gasdotto raddoppierà la quantità gas naturale (metano) trasportabile dalla Russia alla Germania. A tal proposito, si legge ancora nella nota della compagnia operatrice, esso «contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine del mercato energetico europeo, migliorando la sicurezza e l’affidabilità dell’approvvigionamento e fornendo gas a condizioni economiche ragionevoli».
Tutto ciò nonostante il fatto che la realizzazione del gasdotto è stata fin dall’inizio ostacolata da alcuni Paesi, in maniera particolare dagli Stati Uniti. Basterà ricordare il Dipartimento di Stato dell’ex presidente Donald Trump, che aveva infatti emesso diverse restrizioni e misure finanziarie contro le aziende coinvolte nella sua costruzione, o la posizione del nuovo presidente Joe Biden, che si era schierato contro di esso nei mesi scorsi definendolo un pessimo affare per l’Europa e minacciando di applicare sanzioni economiche.
Tuttavia il progetto, costantemente sostenuto dai funzionari della Germania, è andato avanti, ed alla fine nel mese di luglio gli Stati Uniti si sono arresi. Un compromesso è stato infatti siglato dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente Usa Joe Biden, e con esso si è stabilito che l’opera potesse essere conclusa senza il timore di dover incappare nelle sanzioni d’oltreoceano. La minaccia di applicarle, ovviamente, era dovuta al fatto che Washington non voleva che gli alleati atlantisti si legassero economicamente e strutturalmente al proprio avversario. Tuttavia nel mese sopracitato, con il 90 per cento del gasdotto ormai già pronto per l’attivazione, Biden non ha potuto che rassegnarsi e sottoscrivere appunto un accordo.
[di Raffaele De Luca]
Yemen, continuano gli scontri a Ma’rib: più di 80 vittime
A Ma’rib, regione situata a circa 120 chilometri e Est di Sanaa, nello Yemen, si contano circa ottanta vittime a causa delle violente battaglie tra i ribelli Houthi e le forze filogovernative. Durante gli attacchi aerei delle ultime 24 ore sono stati uccisi sessanta ribelli Houthi, mentre sono diciotto i soldati deceduti e decine i feriti negli scontri delle ultime 48 ore, come specificato da alcune fonti militari.
Esclusivo: gli Usa hanno modificato la definizione di vaccino durante l’approvazione di Pfizer
Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), ovvero l’ente governativo statunitense deputato, in base alla legge Usa, al controllo sulla sanità pubblica e a monitorare, insieme alla Food and Drugs Amministration (FDA), la sicurezza dei vaccini, ha modificato la definizione stessa di cos’è un vaccino.
Oggi, accedendo alla pagina relativa sul sito del CDC, è definito vaccino: “Una preparazione che viene usata per stimolare la risposta immunitaria del corpo contro le malattie”.

Ma accedendo ad una versione precedente della medesima pagina web si può facilmente verificare che la definizione di cosa sia un vaccino è stata modificata. Nella versione che risultava pubblicata il 12 agosto 2021 (e nelle altre precedenti) veniva infatti definito vaccino: “Un prodotto che stimola il sistema immunitario di una persona a produrre immunità a una malattia specifica, proteggendo la persona da quella malattia”.

Una differenza evidentemente non formale, ma sostanziale: se in base alla definizione originaria un vaccino, per essere considerato tale, doveva rivelarsi un preparato in grado di “produrre immunità” (in italiano, secondo la definizione data dal dizionario Garzanti – “una condizione di refrattarietà di un organismo a una malattia infettiva”); passando alla nuova definizione un vaccino diviene più modestamente un preparato in grado di “stimolare” una risposta immunitaria, eliminando il requisito del produrre reale refrattarietà.
Da notare come la modifica della definizione di vaccino da parte dell’ente statunitense sia avvenuta in corrispondenza temporale con l’approvazione definitiva del vaccino anti-Covid 19 prodotto da Pfizer-BioNTech. Nel comunicato ufficiale di approvazione dello stesso, pubblicato dalla Food and Drugs Amministration in data 23 agosto, si legge che il vaccino sarà commercializzato “per la prevenzione della malattia COVID-19”. Un risultato probabilmente in linea con la nuova definizione di vaccino nel frattempo modificata dal CDC, ma che non avrebbe soddisfatto la precedente definizione, secondo la quale avrebbe dovuto produrre “immunità”.
Stop ai combustibili fossili a livello europeo, l’Italia si mette di traverso
Con l’obiettivo di concretizzare – entro il 2050 – il Green Deal, il 14 luglio la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di proposte in cui è compreso lo stop alla produzione e alla vendita di auto benzina e diesel in tutti i paesi membri dell’UE, a partire dal 2035. Per ora il provvedimento non è altro che una proposta in attesa di approvazione, in un iter che può subire cambiamenti e revisioni, prima dell’effettiva attuazione. Intanto è l’Italia a mettere le mani avanti, aprendo un dialogo con la Commissione.
Infatti, nonostante il dichiarato sostegno italiano alla iniziativa europea, da parte del Ministero della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è stata avanzata la richiesta di una proroga, richiesta che la Commissione europea non è, per il momento, intenzionata a concedere. Cingolani stesso ha spiegato le ragioni delle obiezioni: L’Italia intende proteggere i marchi italiani di auto sportive e di lusso – come Ferrari, Lamborghini e Maserati – dalla proposta della Commissione europea. L’Italia porta dunque avanti il concetto che sì, le auto di lusso sono sicuramente più inquinanti, ma le vendite di tali auto sono vertiginosamente più basse. Questo, dunque, “compenserebbe” la questione delle emissioni perché il mercato delle auto di lusso è una nicchia; di conseguenza, non comprendendo le auto di lusso nello stop voluto dalla Commissione, rimarrebbe solo «una frazione di un mercato che conta milioni», come precisa Cingolani.
Una proposta che questa volta pare abbia poche possibilità di passare, stando almeno alle parole ferme pronunciate da uno dei portavoce della Commissione, Tim McPhie: «Abbiamo visto i commenti del ministro Cingolani, ma noi non commentiamo mai i commenti. Ciò che posso fare è ricordare che noi abbiamo presentato un pacchetto di proposte legislative che prevede la riduzione del 100% delle emissioni delle auto entro il 2035. E tutte le case automobilistiche dovranno contribuire a questa riduzione». Ma la palla non è solo in mano alla Commissione: Il pacchetto “Fit for 55” proposto dalla Commissione dovrà comunque essere approvato da Parlamento europeo e dal Consiglio Ue, dove la proposta dovrà essere ratificata in base al complicato sistema della doppia maggioranza qualificata (55% dei voti che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea).
A prescindere da come terminerà la partita rimane un nuovo indizio di come il “Governo della Transizione ecologica”, come si era definito quello guidato da Draghi, si mostra ancora una volta piuttosto distante dal mettere realmente la questione ambientale al centro dell’azione di governo. Non è certo il primo caso in cui le decisioni prese dal ministro Cingolani stridono con le parole sulla decantata svolta green. Dal caso delle «trivelle sostenibili» – dove è già intuibile, solo dal nome, l’implicito ossimoro – fino al sostegno mostrato per l’uso dell’erbicida più famoso al mondo, il glifosato, per poi arrivare alla recente approvazione, da parte del Ministero della Transizione ecologica, dell’ampliamento della Centrale a gas di Ostiglia.
Terremoto in Messico: scossa di magnitudo 7, un morto
Una scossa di terremoto di magnitudo 7 ha colpito il Messico; L’Usgs (Istituto geofisico statunitense) ha individuato l’ipocentro a una profondità di 12,6 km. Il sisma ha avuto luogo alle porte della città di Acapulco (nello Stato di Guerrero). Al momento si conta almeno un morto, il quale avrebbe perso la vita perché colpito da un palo della luce, come ha fatto sapere Hector Astudillo, governatore dello Stato di Guerrero.
È morto l’attore Nino Castelnuovo, aveva 84 anni
È morto all’età di 84 anni, dopo una lunga malattia, l’attore Nino Castelnuovo. A darne notizia è stata la sua famiglia tramite una nota. Nato a Lecco nel 1936, Nino Castelnuovo ha partecipato a numerosi film e sceneggiati tv. A fargli acquisire una grande popolarità, però, il ruolo di Renzo Tramaglino, interpretato nella riduzione televisiva de “I promessi sposi” andata in onda sulla Rai nel 1967.
Terza dose vaccinale, anche l’Ema avvia l’iter per l’autorizzazione
L’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha avviato l’iter che potrebbe portare all’autorizzazione di una terza dose del vaccino Pfizer. Lo ha comunicato nella giornata di ieri la stessa agenzia regolatoria tramite una nota, nella quale si legge che è iniziata la valutazione di una domanda per l’uso di una dose di richiamo del vaccino Pfizer «da somministrare 6 mesi dopo la seconda dose a persone di età pari o superiore a 16 anni». Per ciò che concerne l’esito di tale valutazione, poi, esso è «atteso entro le prossime settimane, a meno che non siano necessarie informazioni supplementari». In tal senso, aggiunge l’Ema, «il Comitato per i medicinali umani effettuerà una valutazione accelerata dei dati presentati da Pfizer». Oltre a ciò, però, l’agenzia regolatoria sottolinea come sia anche in corso la valutazione dei «dati della letteratura sull’uso di una terza dose aggiuntiva di un vaccino a mRNA (Moderna e/o Pfizer) nelle persone gravemente immunocompromesse (cioè con sistema immunitario indebolito)».
Detto questo, però, va ricordato che vi è una differenza sostanziale tra la valutazione avente ad oggetto la somministrazione di un’ulteriore dose del vaccino per tutte le persone di età pari o superiore ai 16 anni e quella di una terza inoculazione nei confronti degli immunocompromessi. Per quanto riguarda la prima, infatti, essa è stata avviata nonostante l’Ema e l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) «non considerino urgente la necessità di dosi di richiamo nella popolazione generale». L’analisi della domanda, però, è iniziata con il fine di «garantire che siano disponibili prove a sostegno di ulteriori dosi, se necessario».
Venendo alla eventuale terza dose per le persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, invece, l’Ema e l’Ecdc avevano già sottolineato il fatto che si dovesse prendere in considerazione tale ipotesi. In un comunicato pubblicato nei giorni scorsi, infatti, si legge che «alcuni studi riportano che una dose aggiuntiva di vaccino può migliorare la risposta immunitaria negli individui immunocompromessi». In questo caso, dunque, l’approvazione appare più probabile. Essa, inoltre, farebbe seguito alla decisione della Food and Drug Administration, l’ente regolatorio statunitense, che nelle scorse settimane ha dato il via libera alla terza dose del vaccino anti Covid per le persone, appunto, che hanno un sistema immunitario debole.
Ad ogni modo, non si può non sottolineare che per ciò che concerne l’eventuale somministrazione di una terza dose vi sono però, soprattutto nei confronti dell’intera popolazione, dei dubbi a livello scientifico. Non esiste infatti ancora nessuno studio che provi che effettivamente ci sia bisogno della stessa e che i livelli di protezione calino nel tempo indicato (6 mesi). A tal proposito, per misurare il reale calo di protezione servono gli studi sugli anticorpi, ma non solo. L’immunità data dai vaccini infatti coinvolge, oltre che questi ultimi, anche le cellule T e C del sistema immunitario, che hanno memoria dello specifico virus da distruggere e possono intervenire mesi o anni dopo il vaccino. Ed in tal senso, le ricerche condotte non sono ancora sufficienti.
Nonostante tutto ciò, però, in Italia già si sta preparando l’opinione pubblica all’eventualità di una terza dose, senza attendere né la validazione dell’Ema né tantomeno che emergano studi scientifici revisionati che confermino tale necessita. Basterà ricordare il premier Mario Draghi, che negli scorsi giorni ha confermato che si arriverà alla somministrazione della stessa o, ultimo in ordine di tempo, il commissario straordinario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo, il quale nella giornata di oggi ha affermato che «si partirà già a settembre con gli immunocompromessi». A tal proposito, però, va detto che è stata la stessa Ema ad invitare gli Stati membri a “prepararsi”. Sempre nella nota sopracitata, infatti, l’agenzia europea ha precisato che «gli Stati membri possono già prendere in considerazione piani preparatori per la somministrazione di richiami e dosi aggiuntive», nonostante, appunto, non sia ancora arrivata alcuna approvazione ufficiale.
[di Raffaele De Luca]
Afghanistan: la guerra è finita, l’oppio torna al centro della geopolitica
Il redivivo Emirato Islamico dell’Afghanistan ha promesso che muoverà guerra contro le coltivazioni di papavero da oppio, un intento nobile e pienamente in linea con una dottrina ideologica contraria agli eccessi e all’edonismo, ma anche una posizione che difficilmente sarà attuabile nei fatti. Almeno se non cambiano prima i toni politici internazionali.
L’area che va dall’Iran al Pakistan ha di per sé una lunga storia di produzione di oppio, tuttavia negli anni Ottanta l’Afghanistan ha visto una vera e propria esplosione del mercato delle droghe, avviandosi verso una struttura socio-economica che ha fortemente stimolato il traffico e le faide per il controllo di quei territori utili alla produzione dell’eroina e della morfina.
Per comprendere quanto sia rilevante il settore della droga alla sopravvivenza del Paese basta scoprire che più dell’85% della produzione d’oppio mondiale sia di base in Afghanistan e che i proventi che smuove finanziano circa il 10% del prodotto interno lordo locale. E la tendenza ad affidarsi a questo controverso settore agricolo è in costante salita: nel solo 2020 l’area coltivabile dedicata ai papaveri è aumentata del 37%.
Stiamo parlando di interessi economici miliardari che hanno foraggiato tanto i talebani, quanto tutta una serie di organizzazioni terroristiche che operano nell’area, interessi che non sono stati affatto scalfiti dai vent’anni di occupazione NATO, anzi si sono intensificati in maniera esponenziale.
La promessa talebana parrebbe dunque inverosimile, tuttavia sarebbe ipocrita considerarla semplicemente come una vanteria vana e propagandistica. Bisogna infatti riconoscere che esistono importanti precedenti storici: nel 2000, il Mullah Omar, uomo a capo dei talebani, aveva dichiarato una feroce guerra al settore, praticamente azzerando la produzione di oppio afghana.
Si era trattata di una mossa profondamente politica, che mirava a ottenere il riconoscimento internazionale dell’Emirato Islamico; inutile dire che le cose abbiano preso una piega diversa, almeno tenendo conto che i talebani non sono stati accolti ai tavoli diplomatici neppure quando volevano discutere della consegna di Osama Bin Laden agli Stati Uniti, cosa che avrebbe potuto evitare due decadi di guerra.
Oggi la situazione è molto diversa, potenti nazioni stanno discutendo con i leader talebani trattandoli già al pari di capi di Stato, tuttavia il desiderio di essere formalmente accettati persiste, se non altro nell’ottica di consolidare la posizione finalmente conquistata. L’Emirato Islamico vuole rendersi “tollerabile” da quello stesso mondo che fino a oggi gli ha mosso battaglia e lo fa promettendo di contrastare il terrorismo, di combattere la droga e, nei limiti di quanto possibile dai suoi dogmi, di tutelare i diritti delle donne.
Il garantire nei fatti il contrasto alle coltivazioni di papavero non mancherà di infastidire un’ampia gamma di potenti coltivatori, quindi perché i talebani portino avanti il progetto è necessario che il tornaconto di una simile operazione sia commisurato ai rischi. In altre parole, il nuovo establishment afghano sta negoziando con i Governi esteri e la loro risposta contribuirà a delineare il volto dell’Afghanistan del domani.
[di Walter Ferri]









