mercoledì 19 Novembre 2025
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Terza dose vaccinale, anche l’Ema avvia l’iter per l’autorizzazione

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L’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha avviato l’iter che potrebbe portare all’autorizzazione di una terza dose del vaccino Pfizer. Lo ha comunicato nella giornata di ieri la stessa agenzia regolatoria tramite una nota, nella quale si legge che è iniziata la valutazione di una domanda per l’uso di una dose di richiamo del vaccino Pfizer «da somministrare 6 mesi dopo la seconda dose a persone di età pari o superiore a 16 anni». Per ciò che concerne l’esito di tale valutazione, poi, esso è «atteso entro le prossime settimane, a meno che non siano necessarie informazioni supplementari». In tal senso, aggiunge l’Ema, «il Comitato per i medicinali umani effettuerà una valutazione accelerata dei dati presentati da Pfizer». Oltre a ciò, però, l’agenzia regolatoria sottolinea come sia anche in corso la valutazione dei «dati della letteratura sull’uso di una terza dose aggiuntiva di un vaccino a mRNA (Moderna e/o Pfizer) nelle persone gravemente immunocompromesse (cioè con sistema immunitario indebolito)».

Detto questo, però, va ricordato che vi è una differenza sostanziale tra la valutazione avente ad oggetto la somministrazione di un’ulteriore dose del vaccino per tutte le persone di età pari o superiore ai 16 anni e quella di una terza inoculazione nei confronti degli immunocompromessi. Per quanto riguarda la prima, infatti, essa è stata avviata nonostante l’Ema e l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) «non considerino urgente la necessità di dosi di richiamo nella popolazione generale». L’analisi della domanda, però, è iniziata con il fine di «garantire che siano disponibili prove a sostegno di ulteriori dosi, se necessario».

Venendo alla eventuale terza dose per le persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, invece, l’Ema e l’Ecdc avevano già sottolineato il fatto che si dovesse prendere in considerazione tale ipotesi. In un comunicato pubblicato nei giorni scorsi, infatti, si legge che «alcuni studi riportano che una dose aggiuntiva di vaccino può migliorare la risposta immunitaria negli individui immunocompromessi». In questo caso, dunque, l’approvazione appare più probabile. Essa, inoltre, farebbe seguito alla decisione della Food and Drug Administration, l’ente regolatorio statunitense, che nelle scorse settimane ha dato il via libera alla terza dose del vaccino anti Covid per le persone, appunto, che hanno un sistema immunitario debole.

Ad ogni modo, non si può non sottolineare che per ciò che concerne l’eventuale somministrazione di una terza dose vi sono però, soprattutto nei confronti dell’intera popolazione, dei dubbi a livello scientifico. Non esiste infatti ancora nessuno studio che provi che effettivamente ci sia bisogno della stessa e che i livelli di protezione calino nel tempo indicato (6 mesi). A tal proposito, per misurare il reale calo di protezione servono gli studi sugli anticorpi, ma non solo. L’immunità data dai vaccini infatti coinvolge, oltre che questi ultimi, anche le cellule T e C del sistema immunitario, che hanno memoria dello specifico virus da distruggere e possono intervenire mesi o anni dopo il vaccino. Ed in tal senso, le ricerche condotte non sono ancora sufficienti.

Nonostante tutto ciò, però, in Italia già si sta preparando l’opinione pubblica all’eventualità di una terza dose, senza attendere né la validazione dell’Ema né tantomeno che emergano studi scientifici revisionati che confermino tale necessita. Basterà ricordare il premier Mario Draghi, che negli scorsi giorni ha confermato che si arriverà alla somministrazione della stessa o, ultimo in ordine di tempo, il commissario straordinario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo, il quale nella giornata di oggi ha affermato che «si partirà già a settembre con gli immunocompromessi». A tal proposito, però, va detto che è stata la stessa Ema ad invitare gli Stati membri a “prepararsi”. Sempre nella nota sopracitata, infatti, l’agenzia europea ha precisato che «gli Stati membri possono già prendere in considerazione piani preparatori per la somministrazione di richiami e dosi aggiuntive», nonostante, appunto, non sia ancora arrivata alcuna approvazione ufficiale.

[di Raffaele De Luca]

Afghanistan: la guerra è finita, l’oppio torna al centro della geopolitica

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Il redivivo Emirato Islamico dell’Afghanistan ha promesso che muoverà guerra contro le coltivazioni di papavero da oppio, un intento nobile e pienamente in linea con una dottrina ideologica contraria agli eccessi e all’edonismo, ma anche una posizione che difficilmente sarà attuabile nei fatti. Almeno se non cambiano prima i toni politici internazionali.

L’area che va dall’Iran al Pakistan ha di per sé una lunga storia di produzione di oppio, tuttavia negli anni Ottanta l’Afghanistan ha visto una vera e propria esplosione del mercato delle droghe, avviandosi verso una struttura socio-economica che ha fortemente stimolato il traffico e le faide per il controllo di quei territori utili alla produzione dell’eroina e della morfina.

Per comprendere quanto sia rilevante il settore della droga alla sopravvivenza del Paese basta scoprire che più dell’85% della produzione d’oppio mondiale sia di base in Afghanistan e che i proventi che smuove finanziano circa il 10% del prodotto interno lordo locale. E la tendenza ad affidarsi a questo controverso settore agricolo è in costante salita: nel solo 2020 l’area coltivabile dedicata ai papaveri è aumentata del 37%.

Stiamo parlando di interessi economici miliardari che hanno foraggiato tanto i talebani, quanto tutta una serie di organizzazioni terroristiche che operano nell’area, interessi che non sono stati affatto scalfiti dai vent’anni di occupazione NATO, anzi si sono intensificati in maniera esponenziale.

La promessa talebana parrebbe dunque inverosimile, tuttavia sarebbe ipocrita considerarla semplicemente come una vanteria vana e propagandistica. Bisogna infatti riconoscere che esistono importanti precedenti storici: nel 2000, il Mullah Omar, uomo a capo dei talebani, aveva dichiarato una feroce guerra al settore, praticamente azzerando la produzione di oppio afghana.

Si era trattata di una mossa profondamente politica, che mirava a ottenere il riconoscimento internazionale dell’Emirato Islamico; inutile dire che le cose abbiano preso una piega diversa, almeno tenendo conto che i talebani non sono stati accolti ai tavoli diplomatici neppure quando volevano discutere della consegna di Osama Bin Laden agli Stati Uniti, cosa che avrebbe potuto evitare due decadi di guerra.

Oggi la situazione è molto diversa, potenti nazioni stanno discutendo con i leader talebani trattandoli già al pari di capi di Stato, tuttavia il desiderio di essere formalmente accettati persiste, se non altro nell’ottica di consolidare la posizione finalmente conquistata. L’Emirato Islamico vuole rendersi “tollerabile” da quello stesso mondo che fino a oggi gli ha mosso battaglia e lo fa promettendo di contrastare il terrorismo, di combattere la droga e, nei limiti di quanto possibile dai suoi dogmi, di tutelare i diritti delle donne.

Il garantire nei fatti il contrasto alle coltivazioni di papavero non mancherà di infastidire un’ampia gamma di potenti coltivatori, quindi perché i talebani portino avanti il progetto è necessario che il tornaconto di una simile operazione sia commisurato ai rischi. In altre parole, il nuovo establishment afghano sta negoziando con i Governi esteri e la loro risposta contribuirà a delineare il volto dell’Afghanistan del domani.

[di Walter Ferri]

 

Green Pass: Camera boccia emendamenti interamente soppressivi

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Sono stati bocciati da parte dell’aula della Camera, a scrutinio segreto, gli emendamenti al decreto legge Covid contenente le norme sul green pass che prevedevano la soppressione del lasciapassare sanitario. Nello specifico, essi sono stati respinti dall’Assemblea di Montecitorio con 260 no, 59 sì e 82 astenuti. Questi ultimi appartenevano tutti alla Lega.

La Repubblica, senza volerlo, svela i suoi “trucchi da precariato eterno”

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«Caro Merlo, sono un grafico di 37 anni. Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?». È questo il contenuto di una lettera inviata al quotidiano la Repubblica, firmata da un certo Tobia Bufera.

La missiva è stata pubblicata all’interno della rubrica del giornale denominata “Posta e risposta”, curata dal giornalista di Repubblica Francesco Merlo, il quale ha così risposto dalle colonne del quotidiano: «Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno. Aspetti però di trovare di meglio delle consegne a domicilio prima di andarsene al grido di ‘Ccà nisciuno è… flesso’».

Peccato, però, che in realtà Tobia Bufera non esista, è null’altro che l’anagramma del vero autore della lettera, il giornalista Fabio Butera che ha descritto il trattamento a lui riservato proprio da La Repubblica, per la quale ha lavorato a lungo come video-reporter. A rivelarlo è stato lo stesso Butera tramite i propri profili social, dove ha commentato così la vicenda: «Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora “trucchi da precariato eterno”».

In una successiva risposta, resa pubblica, Fabio Butera ha reso pubbliche per intero le vicissitudini lavorative alle quali è stato sottoposto durante la sua lunga collaborazione con La Repubblica, svelando una storia di precariato all’interno di uno dei colossi della stampa italiana. La pubblichiamo integralmente:

«Caro Merlo, sono un ex giornalista di Repubblica e ieri hai pubblicato una lettera da me scritta e firmata con lo pseudonimo di Tobia Bufera.

Ho, solo in parte, inventato la storia di un grafico che per sei anni ha lavorato quotidianamente ed esclusivamente per un imprecisata azienda come finta partita iva fino al momento in cui gli viene chiesto di firmare, per continuare a lavorare, un foglio in cui rinuncia ai diritti acquisiti. Ecco quella storia è la mia, uniche differenze: non sono un grafico ma un giornalista e l’imprecisata azienda è Repubblica, il giornale per cui tu lavori.

Mi scuso con te per aver ritenuto di utilizzare questo escamotage per vedere rese pubbliche le brutte modalità lavorative di cui sono stato protagonista. Ho presupposto, forse sbagliando, che con la mia vera identità non le avresti pubblicate.
Altra precisazione che devo fare è che il ricatto ‘firma o non puoi più lavorare’ , quello che tu definisci ‘trucco da precariato eterno’ è avvenuto tre anni fa, nel novembre 2018.
A quella richiesta ho opposto il mio rifiuto e così non ho potuto più lavorare per il giornale a cui negli anni avevo dedicato tanto impegno e passione.

Per vedere riconoscere i miei diritti mi sono rivolto ad un tribunale del lavoro che pochi mesi fa ha stabilito che negli anni in cui lavoravo per Repubblica inquadrato come collaboratore a partita iva avrei dovuto essere assunto come redattore inviato. Dopo il torto subito un piccolo risarcimento da parte della tanto vituperata Giustizia, a cui avrei preferito non dover ricorrere. Ma questo è il mondo del lavoro contemporaneo: pochi che fanno grandi profitti e tanti lavoratori il più delle volte soli, fragili e ricattabili la cui unica speranza è il diritto del lavoro, eredità di conquiste ottenute in un’epoca sempre più lontana.

Sicuro della tua comprensione per il mio petit jeu di ieri. Ti ringrazio».

Le banche europee frenano la lotta alla crisi climatica

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Le banche europee sono ancora troppo indietro sulla delicata questione della crisi climatica. Alcuni istituti di credito stanno dando prova della loro leadership su determinate questioni relative alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità, ma nessuna banca europea è stata – ancora – in grado di presentare un piano completo, in cui sia possibile assicurare il concetto di sostenibilità in tutti gli ambiti. È ciò che emerge dal nuovo studio pubblicato dall’ente di beneficienza ShareAction, che si pone l’obiettivo di incentivare gli investimenti responsabili, cioè «Una strategia d’investimento che integra i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nell’analisi e nelle decisioni d’investimento».

ShareAction si impegna per far sì che le banche possano indirizzare prestiti ai settori rinnovabili raggiungendo il prima possibile un’economia a basse emissioni di carbonio; le banche possono avere – e hanno – un ruolo centrale per accelerare la lotta contro il cambiamento climatico; ecco perché dovrebbero essere adottati quanto prima dei provvedimenti in tutte le aeree fondamentali di quest’ultimo (ovvero la biodiversità, l’esposizione a settori ad alto contenuto di carbonio, le politiche che limitano i servizi a settori come il petrolio e il gas, il rapporto tra la retribuzione dei dirigenti e i loro progressi sulle questioni climatiche). Lo studio di ShareAction ha dimostrato che le buste paga dei dirigenti non riescono a incoraggiare un cambiamento importante nei più grandi istituti di credito europei. Solo NatWest, ING e Credit Agricole rappresentano un’eccezione, visto che incentivano i loro amministratori delegati a porsi obiettivi climatici di impatto sui prestiti che estendono a determinati settori, collegando altresì la retribuzione a specifici impegni climatici.

Al momento, comunque, sono solo venti (delle venticinque maggiori banche europee) ad essersi impegnate per raggiungere emissioni nette pari a zero, entro e non oltre il 2050. Però, nessuna di esse ha poi abbinato tale obiettivo con piani completi per evitare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, come emerge dall’elenco di ShareAction. In pochissimi hanno poi iniziato a fare reali passi avanti: sono solo tre le banche (Lloyds Banking Group, NatWest e Nordea) impegnate a dimezzare le loro emissioni finanziate entro il 2030, così da mostrare di essere più vicine all’obiettivo del 2050.

[di Francesca Naima]

La Lega ritira gli emendamenti sul Green Pass

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È bastata la minaccia di porre il voto di fiducia, fatta trapelare ieri sugli organi di stampa, per riportare Salvini a miti consigli sul lasciapassare sanitario. «La Lega era e rimane contro obblighi, multe e discriminazioni» aveva dichiarato appena una settimana fa il segretario del carroccio, ma già negli ultimi giorni erano emerso il “ravvedimento” con l’apertura all’obbligatorietà per i dipendenti statali. Ora la resa definitiva: la Lega ha ritirato i propri emendamenti per cambiare la norma sul Green Pass, in discussione alla Camera, che a questo punto verrà verosimilmente approvata nella forma restrittiva progettata dal ministro Speranza.

Repubblica Democratica del Congo: almeno trenta vittime dopo un attacco

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Questo fine settimana, almeno trenta persone sono rimaste uccise dopo un attacco da parte – come accusa la popolazione vittima delle violenze – delle Forze Democratiche Alleate (ADF) di ispirazione islamica; il massacro è avvenuto nella provincia dell’Ituri, regione nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo. La notizia è stata diffusa da alcuni testimoni del luogo all’agenzia Reuters. Quello descritto è il secondo attacco in pochi giorni: il primo settembre, molti civili sono rimasti ostaggio e quattro sono rimasti uccisi quando le ADF hanno teso un’imboscata a un convoglio al Nord-Ovest della Repubblica Democratica del Congo.

Guinea: un nuovo golpe militare nella terra della bauxite

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Guinean Special Forces soldiers conduct weapons range training for both close quarters rifle and sniper skills during FLINTLOCK 20 in Nouakchott, Mauritania, February 17, 2020. Flintlock is an annual, integrated military and law enforcement exercise that has strengthened key partner-nation forces throughout North and West Africa since 2005. Flintlock is U.S Africa Command’s premier and largest annual Special Operations Forces exercise. (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Evan Parker)

Domenica 5 settembre 2021, un colpo di stato ha rovesciato il governo del presidente guineano Alpha Condé. A guidare il golpe, Mamady Doumbouya, tenente colonnello ed ex soldato della legione straniera francese. Analogamente ad altri leader di stati africani politicamente instabili, Condé aveva modificato la costituzione del paese per poter governare oltre il limite prestabilito, e questo ha causato proteste, anche sanguinose, che raggiunto il momento di saturazione hanno portato al colpo di stato.

Nella capitale Conakry, gli ufficiali delle forze speciali hanno catturato il presidente (del quale hanno garantito l’integrità fisica e morale) e hanno dichiarato la dissoluzione delle istituzioni, imponendo il coprifuoco in tutto il paese. Ancora non è chiaro cosa seguirà a questo rovesciamento, ma si tratta di un evento non inusuale in Africa e in parte preannunciato dagli eventi che hanno caratterizzato la politica guineana negli ultimi anni. Condé, eletto democraticamente nel 2010, ha negli ultimi anni governato nell’irregolarità, attraendo un certo scontento.

Certo, la sua riforma costituzionale era stata approvata da un referendum (risalente al marzo 2020), ma aveva anche attratto numerose critiche da parte di costituzionalisti. Particolarmente problematici sono stati considerati due passaggi: il primo elimina la possibilità di candidarsi indipendentemente, senza sostegno di un partito o sponsorizzazione elettorale, il secondo rafforza i poteri del presidente. In risposta a queste modifiche considerate illegittime, l’opposizione si è concentrata all’interno del Fndc (Front national pour la défence de la constitution), un fronte compatto che si è impegnato in proteste, pressioni e atti di boicottaggio. 

Situata nella parte più occidentale del continente africano, la Guinea è un paese particolarmente ricco di risorse soprattutto minerarie che ha presto interessato l’Occidente. È stato, tra il 1890 e il 1958, una colonia francese, oltre che uno dei primi paesi africani ad essere toccati dalla tratta degli schiavi. Come molti stati del continente africano che hanno sofferto la colonizzazione a causa della ricchezza naturale delle proprie risorse, la Guinea ha poi avuto difficoltà ad instaurare regimi politici stabili e ad avviare una vera e propria democratizzazione.

Le condizioni economiche della Guinea sono molto precarie, nonostante sia il paese col sottosuolo più ricco d’Africa con tanti giacimenti di petrolio, oro, ferro, platino e soprattutto è il secondo produttore mondiale di bauxite, roccia mineraria che costituisce la principale fonte nella produzione di alluminio. Non a caso tra le conseguenze globali immediate del colpo di stato c’è stata un’impennata dei prezzi di bauxite e alluminio sul mercato.

Nonostante le ricchezze naturali ancora nel 2006 il 47% dei guineani viveva sotto la soglia di povertà. Il paese fa parte della lista dei Paesi Meno Sviluppati, stilata dalle Nazioni Unite. L’Indice di Sviluppo Umano, attorno allo 0,3, è uno dei più bassi del mondo.

Negli ultimi anni, la sua politica è stata caratterizzata da numerose violazioni dei diritti umani, perpetrate soprattutto nei confronti di dissidenti e manifestanti. Da quando, nel 2019, Alpha Condé ha modificato la costituzione in suo favore per potersi candidare per la terza volta, più di un centinaio di persone hanno perso la vita protestando, per mano della polizia.

[di Anita Ishaq]

Raid di Israele contro Gaza

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Dopo l’attacco con dei palloni incendiari – per mano, probabilmente, del gruppo palestinese Hamas – partiti dalla Striscia di Gaza, nella notte tra il 6 e il 7 settembre le Forze di Difesa aerea israeliana hanno risposto conducendo un raid contro l’enclave. Sarebbero stati colpiti due siti per l’addestramento militare e ci sarebbero importanti danni materiali ma nessuna vittima, come ha fatto sapere un corrispondente di al-Jazeera.

Vaccini, report Aifa: in Italia 84mila reazioni avverse segnalate, il 12% gravi

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L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ha recentemente pubblicato il settimo rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini Covid-19: si tratta dell’ultimo documento, in ordine di tempo, in cui vengono raccolte le sospette reazioni avverse ai sieri segnalate dai cittadini italiani. Il report ha ad oggetto un periodo che va dal 27 dicembre 2020 al 26 luglio 2021 e da esso si apprende che, durante questo lasso di tempo, vi sono state 84.322 segnalazioni su un totale di 65.926.591 dosi somministrate. Si tratta, in partica, di 128 segnalazioni ogni 100.000 dosi. Le sospette reazioni avverse si sono verificate nella maggior parte dei casi nella «stessa giornata della vaccinazione o il giorno seguente e solo più raramente oltre le 48 ore successive», il tutto indipendentemente dal tipo di vaccino somministrato, dalla dose effettuata e dalla tipologia di evento segnalato.

«L’età media delle persone che hanno avuto un sospetto evento avverso è di 48,5 anni». Come già emerso dai precedenti rapporti, infatti, «il tasso di segnalazione è maggiore nelle fasce di età comprese tra i 20 e i 60 anni e diminuisce in quelle più avanzate». Dunque proprio i giovani, per i quali come è noto il Covid comporta rischi minori rispetto agli anziani, rientrano nella categoria composta da coloro che segnalano in maniera maggiore i sospetti eventi avversi. Venendo poi a giovanissimi, invece, nella fascia di età compresa fra 12 e 19 anni sono state inserite 530 segnalazioni di sospetto evento avverso su un totale di 1.986.221 dosi inoculate, con «un tasso di segnalazione di 27 eventi avversi ogni 100.000 dosi somministrate».

Detto questo è interessante notare come, a fronte di una esposizione sovrapponibile fra i sessi (53% delle dosi somministrate nel sesso femminile e 47% nel sesso maschile), il 72% delle segnalazioni riguarda le donne (175 ogni 100.000 dosi somministrate) e il 27% gli uomini (73 ogni 100.000 dosi somministrate), indipendentemente dal vaccino e dalla dose effettuata. Nell’1% delle segnalazioni, invece, il sesso non è stato riportato. Quella delle maggiori segnalazioni da parte delle donne è una tendenza emersa anche nel penultimo rapporto Aifa, e rappresenta un «andamento osservabile anche negli altri Paesi europei».

Andando nello specifico, poi, dal report emerge che il 68% del totale delle segnalazioni è relativo al vaccino Pfizer/BioNTech, il 25% a quello AstraZeneca, il 6% al siero Moderna, e l’1% a quello della Johnson & Johnson. Si tratta di percentuali «in linea con i rapporti precedenti» e che sono direttamente proporzionali al modo in cui ciascun vaccino ha contribuito a portare avanti la campagna vaccinale italiana. Infatti, il Pfizer è il vaccino attualmente più utilizzato (71% delle dosi somministrate), seguito dal vaccino Astrazeneca (17%). C’è poi quello Moderna (10%) e, infine, il vaccino della Johnson & Johnson (2%).

Per quanto riguarda la gravità delle presunte reazioni, inoltre, essa non è riportata solo nello 0,1% delle segnalazioni. Per il resto, invece, l’87,1% delle segnalazioni sono riferite a eventi non gravi (come dolore in sede di iniezione, febbre, stanchezza o dolori muscolari) mentre quelle gravi corrispondono al 12,8% del totale, con un tasso di segnalazione pari a «16 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate». Si tratta di una percentuale maggiore rispetto a quella riportata nel penultimo report dell’Aifa, nel quale gli eventi gravi rappresentavano l’11,9% del totale. Già quest’ultimo numero, però, era superiore a quello presente in tutti i rapporti precedenti.

Inoltre, «il 58% circa delle reazioni gravi riporta come esito la risoluzione completa, o il miglioramento dell’evento, e il 25% risulta non ancora guarito al momento della segnalazione». In più, «indipendentemente dalla tipologia di vaccino, dal numero di dose e dal nesso di causalità, 498 segnalazioni riportano l’esito decesso, con un tasso di segnalazione di 0,75 ogni 100.000 dosi somministrate». Quest’ultimo, però, è «in flessione rispetto ai rapporti precedenti». ͘Per quanto riguarda l’età media dei decessi, poi, essa è di 76 anni, ed in 343 casi la morte è stata registrata dopo la prima dose e in 145 dopo la seconda, mentre il momento in cui il decesso si è verificato non è stato specificato in 10 schede di segnalazione.

Detto ciò, va sottolineato che le segnalazioni non devono essere viste come delle certe reazioni avverse: si tratta infatti solo di eventi sospetti, essendo delle semplici denunce effettuate da parte dei cittadini. Per tale motivo, però, ci sarebbe bisogno di approfondire la vicenda e capire quindi se si ha a che fare o meno con delle effettive reazioni avverse. Una questione giustamente sottolineata dal quotidiano italiano online Affaritaliani.it, che ha cercato, invano, di mettersi in contatto con i vertici dell’Aifa per «chiedere conferma sulle reazioni avverse post vaccino». Come testimoniato dal quotidiano infatti, che ha cercato ripetutamente di avere risposte in merito, sembra che da parte dell’Aifa non vi sia la volontà di fare chiarezza in tal senso. Eppure si tratterebbe di un modus operandi che impedirebbe di alimentare ulteriore sfiducia nei confronti delle vaccinazioni. La speranza, quindi, è che si faccia luce su tali segnalazioni per stabilire con certezza se vi sia o meno una correlazione tra gli eventi segnalati ed i vaccini.

[di Raffaele De Luca]