lunedì 10 Novembre 2025
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L’Italia è diventata il regno del populismo tecnocratico

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La rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica rappresenta il miglior esito possibile per l’establishment euroatlantico che da anni eterodirige il nostro paese. 
Da un lato garantisce la sopravvivenza dell’attuale governo fino alla fine della legislatura, lasciando carta bianca a Draghi per procedere indisturbato per un altro anno nella sua opera di neoliberalizzazione del paese fatta di privatizzazioni, liberalizzazioni, svendita del “made in Italy” ai grandi fondi esteri, tagli alla spesa sociale, tagli ai sussidi pandemici e ulteriori trasferimenti di ricchezza dai lavo...

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UE inserisce definitivamente gas e nucleare nella tassonomia verde

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L’Unione Europea ha approvato l’inserimento di energia nucleare e gas nella cosiddetta tassonomia verde, la classificazione in base alla quale si identificano gli investimenti considerati sostenibili. In questo modo finanza e operatori saranno portati a investire in questo tipo di risorse anziché nelle rinnovabili, gettando i Paesi al di fuori del percorso verso la sostenibilità climatica e la decarbonizzazione. L’eurodeputata Eleonora Evi, co-portavoce nazionale di Europa Verde, definisce la manovra “una vergognosa operazione di greenwashing” che mette “seriamente in pericolo la credibilità dell’UE come mercato leader per la finanza sostenibile”. La decisione è stata approvata nonostante l’opposizione di numerosi tecnici, del comitato scientifico SCHEER e di almeno 4 Paesi membri.

Nuovo decreto Covid: le regole italiane imboccano definitivamente la via dell’assurdo

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Nel corso del Consiglio dei Ministri svoltosi il 2 febbraio sono state adottate nuove misure in materia di Green Pass, scuola e generale gestione della pandemia da Covid-19. Queste prevedono l’introduzione di una sostanziale discriminazione tra studenti vaccinati e non vaccinati, che avranno diverso diritto di accesso alle lezioni in base al possesso o meno del Green Pass. Prevista poi l’estensione illimitata della durata della certificazione verde a chi abbia ricevuto la dose booster o chi abbia contratto il Covid dopo le prime due dosi. Escluso da tale misura sembra risultare chi, invece, abbia affrontato il percorso contrario, ovvero sia stato contagiato dal virus e a seguito abbia ricevuto l’inoculazione del vaccino.

Sembrano le regole di una nuova versione del celebre war game da tavolo Risiko e invece si tratta delle ultime disposizioni del Governo in materia di misure per il contenimento della pandemia da Covid-19. I principali focus di interesse sono la scuola e l’estensione della durata del Super Green Pass, ora divenuta illimitata. Se si possono sollevare dubbi sulla valenza scientifica di tale misura (non vi sono infatti ragioni scientifiche apparenti che lascino supporre che la dose booster sia la soluzione definitiva per avviarsi verso il termine della pandemia) non vi sono di fatto alternative, in quanto come lo stesso Speranza ha dichiarato “le nostre autorità scientifiche non hanno ancora individuato un percorso per la quarta dose, che sarà oggetto di un confronto sul piano tecnico-scientifico”.

Tuttavia, non è chiaro il principio per il quale, stando al comunicato del Governo, “Al regime di chi si è sottoposto alla terza dose è equiparato chi ha contratto il Covid ed è guarito dopo il completamento del ciclo vaccinale primario“. Cambiando l’ordine degli addendi, a quanto pare, il risultato cambia: se la contrazione del Covid precede le due inoculazioni del ciclo vaccinale, sembra si sia esclusi da tale misura.

Le discriminazioni più allarmanti, tuttavia, sono quelle messe in atto contro gli studenti della scuola primaria e secondaria: superato il livello massimo di casi positivi riscontrati nelle aule (5 per la scuola primaria, 3 per la secondaria) gli studenti vaccinati potranno proseguire con le lezioni in presenza, mentre i non vaccinati dovranno rimanere a casa in DAD (Didattica A Distanza). Anche in questo caso sfugge il criterio scientifico adottato dal Governo, dal momento che sono ormai numerosi gli studi che mostrano come se può essere vero che il vaccino riduca la gravità dell’infezione del soggetto che la contrae, non previene la diffusione del virus. Esenti da questa misura le scuole dell’infanzia, per le quali ancora non si è giunti a discriminare i bambini o a imporre coercitivamente la vaccinazione.

Per il Ministro della Scuola Bianchi la DAD “non è il male assoluto”, ma anzi “una grande risorsa per molti studenti”. Affermazioni che evidentemente ignorano i numerosi studi e resoconti di questi due anni di pandemia e gestione a singhiozzo dell’intero sistema scolastico, che hanno dimostrato quanto la mancanza di socializzazione e l’isolamento abbia influito sulle capacità di apprendimento e sulla salute mentale dei giovani.

[di Valeria Casolaro]

Pasta De Cecco, da dove viene il Grano? Il colosso accusato di frode

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Dal Tribunale di Chieti è stata confermata l’accusa di frode in commercio nei confronti della nota azienda italiana De Cecco. Qualche giorno fa il gip ha ordinato l‘imputazione coatta nei confronti del presidente dell’azienda, del direttore degli acquisti e dell’ex direttore del controllo qualità. Perché la provenienza delle materie prime utilizzate dal pastificio di Fara San Martino sarebbe stata riportata in maniera inesatta, a partire da un grano classificato dalla De Cecco come pugliese ma, in realtà, di origine francese. Questa incongruenza, denunciata da un ex dirigente dell’azienda, è stata la prima e principale causa delle brighe giuridiche vissute dall’azienda abruzzese che ora potrebbe portare il presidente della stessa, Filippo Antonio De Cecco, al processo. L’inchiesta non riguarda però solo il già citato grano “pugliese” (4.500 tonnellate circa) ma anche l’uso di semole acquistate da fornitori esterni all’azienda e l’impiego di grani del North Dakota, precisa Il Salvagente, primo a sottolineare le anomalie interne alla De Cecco.

Da Fara San Martino non viene mostrato alcun tipo di turbamento dopo l’accusa, anzi. Effettivamente, se non fosse stato per l’opposizione di AssoConsum, il caso sarebbe stato archiviato proprio come richiesto dal sostituto procuratore della Repubblica di Chieti, Giuseppe Falasca. Per questo, anche, dalla De Cecco si dicono “Sereni e fiduciosi nella magistratura” considerando la richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero. Dall’azienda precisano poi l’importanza data alla tutela del prodotto e la dimostrabile alta qualità, tutto retto da una filosofia di trasparenza e rispetto per i consumatori. Se dalla De Cecco non ci sono preoccupazioni, le informazioni riportate sulle confezioni rimangono effettivamente ingannevoli, precisa il gip. Non solo, oltre al problema delle etichette ingannevoli, che per il giudice sarebbero state “Frutto di una precisa strategia aziendale”, c’è anche la volontà di fare chiarezza sugli altri aspetti sopracitati.

Per quanto riguarda la questione delle etichette, tutto è partito nel 2019, quando la De Cecco ha avuto a che fare con l’Antitrust. Questi aveva aperto un procedimento per pratica commerciale scorretta, in quanto le etichette della pasta di semola di grano duro parevano dare informazioni inesatte e ingannevoli ai consumatori, sull’assoluta italianità del prodotto, non poi così assoluta. In parole povere, nonostante la filiera produttiva della pasta sia perlopiù italiana, per l’effettiva produzione il grano è anche di origine estera ma questo, sosteneva l’Antitrust, non era chiaro. Esisteva anche una dicitura, comunque fuorviante secondo l’Antitrust: “Paese di coltivazione del grano: Ue e Non Ue”. Insomma, il Made in Italy se e quando utilizzato, deve essere reale, attendibile e non destare ambiguità. Allora all’epoca la De Cecco seguì le precisazioni dell’Antitrust, togliendo ciò che potesse confondere i consumatori e inserendo la dicitura “I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona”. Ma sarebbe proprio questa frase a rappresentare “Un’informazione infedele” com’è poi stato comprovato. Visto che l’uso dei grani non si limita solo a “italiani, californiani e dell’Arizona”, ora l’accusa di frode in commercio è stata confermata per il particolare caso di grano francese magicamente divenuto pugliese. Comunque, intanto, la dicitura è stata nuovamente modificata. Dalla scorsa estate, sulle confezioni dei prodotti De Cecco si trova infatti la frase “I migliori grani italiani e del resto del mondo”. Una soluzione sì, ma che fa pensare e che non va a scagionare chi è ora sotto accusa per avere dato delle informazioni non vere.

[di Francesca Naima]

Siria, raid USA uccide almeno 12 civili tra profughi di guerra

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Almeno una dozzina di civili, tra i quali 7 bambini, sono stati uccisi nella città di Atmeh, in Siria, nel corso di un raid messo in atto dalle forze speciali statunitensi che ha causato anche la distruzione di alcuni edifici. L’attacco aveva come obiettivo una zona della città nella quale si trovano gli alloggi di fortuna destinati a decine di migliaia di sfollati dalla guerra e, secondo quanto riportato da Reuters, avrebbe avuto di mira un leader jihadista.  Il Pentagono non ha dato dettagli significativi sull’operazione, premurandosi tuttavia di specificare che si è tratta di una “missione antiterrorismo” e che “non ci sono state vittime americane”.

California: una grande foresta di sequoie è stata restituita ai nativi

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La Save the Redwoods League ha restituito la tutela di una foresta di sequoie a una coalizione di tribù native. L’area in questione, conosciuta col nome di Andersonia West e situata nella contea di Mendocino in California, è stata acquistata nel luglio del 2020  dall’organizzazione no profit, la quale si dedica alla conservazione delle sequoie, grazie a una serie di donazioni. Solo qualche giorno fa è stato annunciato il trasferimento di proprietà al Concilio Intertribale della Sinkyone Wilderness, una confederazione di dieci tribù i cui antenati hanno abitato pacificamente nelle foreste per secoli, fino alla seconda metà del 1700 quando l’uomo bianco, per conquistare terre e fondare città, ha portato violenza, ucciso animali e sfruttato senza limiti le risorse minerarie e naturali del posto.

Da adesso in poi, gli indigeni saranno i responsabili della salvaguardia della foresta ceduta. Questa, grande 211 ettari, è stata ribattezzata Tc’ih-Léh-Dûñ – nella lingua Sinkyone significa “parco per i pesci” – non solo in segno di emancipazione e resilienza indigena, ma anche per identificare l’area come luogo sacro, intrinseco della storia dei nativi. La foresta è un vero e proprio tesoro di biodiversità pullulante di alberi secolari, laghi, fiumi e alcune specie in via di estinzione, come il gufo maculato, la trota iridea, il salmone Coho, l’urietta marmorizzata (uccello marino) e la rana dalle zampe gialle.

Tc’ih-Léh-Dûñ rappresenta la seconda donazione da parte di Save the Redwoods League al Concilio Intertribale. La prima risale al 2021 e comprende la Four Corners, una foresta di sequoie grande quanto 125 campi da calcio, situata a poche ore a nord di San Francisco. La decisione di cedere ettari di foreste alle nuove generazioni autoctone, si rifà al movimento che sta prendendo piede negli Stati Uniti “Land Back”, il quale evoca la restituzione delle terre ai discendenti delle tribù indigene che, per millenni, le hanno abitate. Questi, infatti, come rivelato da un recente report della FAO, sono i migliori custodi dei questi luoghi, poiché possiedono una solida esperienza nella salvaguardia dell’ecosistema forestale.

[di Eugenia Greco]

Recensioni indipendenti: Nimble Fingers – documentario

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«Sei in grado di lavorare velocemente? Sai concentrarti per ore senza distrarti? Senza sentire la stanchezza, senza porti domande?» Con queste parole, la voce della giovane 22enne Bay, protagonista di questo documentario, che proviene dal villaggio sulle palafitte di Muong nel nord del Vietnam, ci fa capire immediatamente quali sono le condizioni di lavoro a cui sono costrette le operaie che nel sobborgo di Hanoi sono impiegate nel parco industriale di Thang Long fra i più grandi al mondo specializzato principalmente nella produzione di dispositivi elettronici. La rivoluzione industriale vietnamita, sempre più in crescita e in competizione con gli altri Stati Asiatici, utilizza per l’80% mano d’opera femminile grazie alle loro “nimble fingers”, dita agili e sottili, determinandone le condizioni di vita e di lavoro oltre che psicologiche, scandite rigorosamente dal sistema produttivo tanto da indurle a recitare come un mantra: «Siamo tutte giovani e forti qui, siamo donne rigogliose, precise e efficienti. Questo è il posto per quelle come noi».

Con Bay viviamo alcune giornate di una quotidianità sempre uguale e con gli stessi ritmi. Prepararsi per andare a lavoro e raggiungere la fabbrica in bicicletta partendo dalle piccole e fatiscenti abitazioni nella periferia della capitale dove per ridurre i costi coabita con altre ragazze in ambienti ristretti e squallidi, con i servizi ridotti al minimo, ottimizzando al massimo i beni di prima necessità perché la cosa più importante è non perdere il lavoro e guadagnare, produrre, essere concentrate e non fallire mai. In fabbrica il minimo errore, come posizionare male una vite, rallentare la linea di produzione o un semplice giorno di malattia comporterebbero una valutazione negativa, facilmente convertibile, data l’innumerevole richiesta di lavoro, in licenziamento. «Quando non raggiungi gli obiettivi chiedi di rimanere oltre l’orario di uscita, devi fare sempre di più». Il pochissimo tempo libero (un giorno al mese) viene impiegato cercando di dare importanza alle piccole cose, chiacchierare, confrontarsi sulla vita, il lavoro e i sogni. Si gioca a carte, si mangia insieme e si fanno passeggiate per le strade della caotica città di Hanoi, troppo cara per i loro stipendi, dove in una specie di sincronizzato caos mezzi e persone si sfiorano senza scontrarsi, come in un gigantesco formicaio in continuo fermento. Il lavoro in fabbrica non viene mai mostrato, infatti non è stato dato da nessuna azienda il permesso di filmare all’interno. Il regista ha affrontato il problema risolvendolo con un’idea originale. Il lavoro delle operaie viene perfettamente descritto con dei semplici e didascalici disegni animati che mostrano la meccanicità dei movimenti sempre uguali che le operaie devono fare continuamente video sorvegliate e con l’obbligo tassativo di accettare che: «Qui funziona così, chiedi il permesso se devi parlare, se devi mangiare, se devi muoverti»

Il contrasto tra modernità e tradizione si fa sentire con l’attesissimo breve ritorno al villaggio o ai paesi di origine che avviene durante il periodo del capodanno cinese in concomitanza della tradizionale festa del Tet tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, dove in contrapposizione con la frenetica vita cittadina, come per “magia”, tutto si rallenta. Le famiglie si riuniscono ed emergono i più antichi usi e costumi della tradizione vietnamita. Un’occasione per pensare al futuro della propria esistenza, elaborando il distacco dalla vita rurale simbolo di una trasformazione più grande di un paese e di un’intera generazione, dove le aspirazioni e i sogni per la libertà e l’indipendenza si scontrano con l’alternativa di rimanere a lavorare nelle risaie o essere soggetti allo sfruttamento industriale.

Questo documentario di 52 minuti che è possibile vedere online sulla piattaforma Open DDB, prima rete distributiva di produzioni indipendenti in Europa, già premiato in molti festival nazionali e internazionali, è il risultato delle lunghe e accurate ricerche fatte sul campo dal regista, antropologo e giornalista italiano Parsifal Reparato, in collaborazione con L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e l’Accademia di Scienze Sociali Vietnamita.“Nimble Fingers” nonostante l’argomento, non cade mai nel banale stereotipo del vittimismo, presentando la situazione così com’è, diretta e reale, dove la semplice vita di una giovane operaia vietnamita ci offre lo spunto per numerose riflessioni e inquietanti domande sul futuro dell’essere umano sopraffatto dalla continua e sfrenata industrializzazione.

[di Federico Mels Colloredo]

La Germania si muove per difendere la propria sovranità tecnologica

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In un mondo post-pandemico che è grandemente alimentato da legami politici ormai logori e da una furiosa corsa alla digitalizzazione, ci è sempre più comune il notare Governi che decidono di opporsi ad acquisti e assorbimenti di Mercato che vanno a toccare i settori strategici della modernità: difesa, telecomunicazioni, trasporti, energia. Questo diritto – detto “golden power” – è stato esercitato in questi giorni da Berlino, la quale si è trovata dopo una lunga riflessione a intervenire sulla vendita di una delle sue aziende di semiconduttori, “bruciando” una transazione da ben 4,35 miliardi di euro.

Le aziende coinvolte nella faccenda sono la tedesca Siltronic e la concorrente taiwanese GlobalWafers e la battuta d’arresto è stata determinata formalmente da un inghippo procedurale. Le autorità hanno infatti lamentato di non essere riuscite a vagliare tutte le pratiche entro i termini previsti del 31 gennaio 2022, scaricando però la colpa sulle controparti cinesi, le quali hanno formalizzato i requisiti governativi solamente a ridosso della scadenza. Requisiti che, in tutta franchezza, erano perlopiù abbastanza prevedibili.

La Cina è sempre stata esplicita nella sua tendenza ad anteporre le proprie necessità a quelle altrui, quindi non stupisce che l’antitrust del gigante asiatico abbia preteso che la GlobalWafers si impegnasse a rifornire la nazione con i suoi microchip anche dopo l’eventuale acquisizione di Siltronic. Piuttosto, risulta immediatamente chiaro che la sempre presente minaccia statunitense di sanzionare qualsiasi azienda tech che supporti il grande avversario cinese non debba essere stato un grande incentivo per l’establishment, il quale si dev’essere fatto qualche calcolo anche al di fuori del settore finanziario.

Negli ultimi anni si è delineata in maniera esplicita e predominante la tendenza di Berlino a voler salvaguardare la sua “sovranità tecnologica”, ovvero il desiderio estremo di assicurarsi che la propria tecnica non finisca nelle mani extraeuropee, le quali non solo sarebbero in grado di presentare sul Mercato prodotti dal costo più competitivo, ma avrebbero anche occasione di ingigantire un’influenza produttiva che è ormai palese.

La Germania si è resa conto della situazione già nel 2016, anno in cui ha subito una doccia gelida nel non riuscire a bloccare la vendita dell’industria robotica Kuka a degli imprenditori cinesi. Da allora il Governo ha coltivato i poteri del Ministero dell’Economia in modo che una simile situazione non si ripetesse con tanta facilità, quindi ha intensificato ulteriormente i propri sforzi in concomitanza con le quarantene pandemiche.

La crisi economica, la corsa alla digitalizzazione, l’individualismo scomposto delle varie nazioni e la carenza patologica di microchip ha causato un tutti-contro-tutti che ha danneggiato diversi settori tecnologici, primo tra tutti quello dell’automotive, motore trainante dell’economia tedesca. Nel giro di pochi mesi si sono vissuti i lati peggiori della competitività neoliberista, ma è anche emerso quanto i Paesi “evoluti” siano effettivamente dipendenti da materie prime, componenti elettronici e supporto tecnico delle cosiddette realtà in via di sviluppo.

Ecco dunque che, con nonchalance, la Germania ha intensificato i controlli sugli investimenti ed è passata dall’esaminare 78 contratti nel 2019 al verificarne ben 306 nel 2021. Berlino e i Governi che ne seguono le direttive si trovano ora a discutere una posizione difensiva e anti-globale, a diffidare degli innegabili progressi digitali della Cina, ma anche a nutrire malessere verso certe minacce statunitensi. Ne emerge un panorama bizzarro che riflette la tendenza della geopolitica attuale a voler promuovere l’istituzione di un mercato digitale privo di barriere, ma dove gli attori non si privano di barriere doganali e politiche di stampo nazionalista. A mancare è, in tutta evidenza, una politica di cooperazione tra gli stati, tanto più all’interno degli stessi paesi europei. 

[di Walter Ferri]

Non si ferma la protesta degli studenti contro l’alternanza scuola-lavoro

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La lotta studentesca contro l’alternanza scuola-lavoro, che come è noto ha recentemente causato la morte del 18enne Lorenzo Parelli, non si ferma: in tutta Italia infatti si terranno delle manifestazioni a riguardo nella giornata di venerdì. Innanzitutto c’è la città di Torino, dove, nonostante la violenta carica da parte della polizia nei confronti degli studenti scesi in piazza lo scorso 28 gennaio, questi ultimi hanno deciso di esprimere nuovamente il loro dissenso. Il Kollettivo Studenti Autorganizzati Torino (Ksa), infatti, ha lanciato un appello invitando tutti gli studenti, i collettivi e le organizzazioni sindacali e studentesche a rispondere «con la massima mobilitazione possibile, per costruire il prossimo venerdì 4 Febbraio una manifestazione cittadina che risponda al clima di intimidazione e repressione in città, per rilanciare la lotta contro questo modello di alternanza scuola-lavoro e contro un’istruzione che mette a rischio pure la nostra vita».

Un’altra sigla particolarmente attiva nelle proteste, l’Osa (Opposizione Studentesca d’Alternativa), ha indetto per la medesima data scioperi e mobilitazioni studentesche in tutta Italia con il fine di chiedere da un lato le dimissioni del Ministro dell’istruzione Bianchi, accusato per il suo «silenzio-assenso» sul tema dell’alternanza scuola-lavoro e sulle manganellate ai ragazzi scesi in piazza nonché per la proposta relativa al nuovo esame di maturità.

Per saperne di più a riguardo, abbiamo contattato Tommaso Marcon, portavoce nazionale di Osa: «Siamo da sempre per l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, motivo per cui ci siamo sempre opposti anche ad eventuali riforme della stessa. L’alternanza scuola lavoro è una pratica che va abolita e la morte di Lorenzo dimostra che si tratta di una pratica disastrosa». L’Osa metterà al centro delle rivendicazioni nelle mobilitazioni del fine settimana la lotta contro il nuovo esame di stato, l’alternanza scuola-lavoro e la repressione che colpisce gli studenti. La mobilitazione degli studenti ormai è in campo e l’appuntamento seguente è fissato per il 5 e 6 febbraio, quando a Roma si svolgerà l’assemblea studentesca nazionale indetta dal movimento studentesco la Lupa: nel primo giorno gli studenti si confronteranno con l’obiettivo di dare vita ad un dibattito costruttivo e di prospettiva che dovrebbe poi concretizzarsi il giorno successivo. In tal senso, Marcon spiega che infatti la lotta degli studenti non si fermerà, ed i relativi dettagli a riguardo saranno appunto a breve concordati dagli studenti.

Il caso della repressione contro gli studenti, ed in particolare dei fatti di Torino è arrivato anche a svegliare il Parlamento. Prese di posizione anche da parte del Partito Democratico, che agli studenti paiono, non senza ragione, tardive e pretestuose, non fosse altro perché si tratta di un partito che ha messo in campo le norme stesse che gli studenti contestano. Enrico Letta, segretario del Pd, ha chiesto dei chiarimenti «sulla questione di ordine pubblico», mentre il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha parlato di «bastonatura di ragazzi e ragazze che poteva e doveva essere evitata». Proprio per questo Sinistra Italiana ha negli scorsi giorni ha annunciato un’interrogazione parlamentare al Governo, con la ministra Lamorgese che – secondo quanto si apprende da fonti parlamentari – dovrebbe riferire in aula la prossima settimana. Agli studenti tuttavia la «solidarietà di facciata» dei politici non interessa, le loro richieste sono chiare e sul tavolo, e per ottenere risposte continueranno la mobilitazione.

[di Raffaele De Luca]

Il greenwashing di Eni è arrivato dentro il festival di San Remo

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eni pubblicità ingannevole

È cominciata la 72esima edizione del Festival di Sanremo, che ha già messo in luce molte criticità. Prima fra tutte quella sollevata da Greenpeace, che ha denunciato l’ennesimo episodio di greenwashing dell’industria dei combustibili fossili ENI. La principale azienda italiana di petrolio e gas è infatti sponsor del Festival, vetrina attraverso cui l’impresa ha deciso di presentare la nuova compagnia Plenitude. Il progetto, raccontato come alternativa green e svolta sostenibile di ENI, è l’ennesimo tentativo di “nascondere la polvere sotto al tappeto”. Nello specifico, secondo Eni, Plenitude aiuterà la compagnia a centrare l’obiettivo emissioni zero entro il 2040, grazie a “nuove idee e propositi che puntano a un futuro migliore”, come si legge sul sito dell’Ente Nazionale Idrocarburi.

Peccato che la realtà sia ben diversa. Come può raggiungere tale obiettivo un’azienda che risulta essere la maggior produttrice di gas dannosi per il clima in Italia, e dodicesima al mondo? Non dimentichiamo, tra l’altro che Eni è stata anche multata dall’antitrust per pubblicità ingannevole. Sbattere in prima serata i suoi falsi propositi non fa altro che aumentare il rischio che questo riaccada. Nella città dei fiori, tra l’altro. Secondo un rapporto stilato da Greenpeace, circa due terzi delle pubblicità online delle aziende dei combustibili fossili promuovono false soluzioni per il clima, mentre continuano a far fruttare i propri profitti con le fonti fossili.

«È inaccettabile che ENI sfrutti la vetrina di Sanremo, e dei tanti altri eventi che sponsorizza, per fare greenwashing e promuovere un’immagine di azienda attenta all’ambiente che non corrisponde affatto alla realtà» ha ribadito Greenpeace. Secondo l’Associazione, ENI continua e continuerà a investire sul gas e sul petrolio, riconfermando di essere il principale emettitore italiano di gas serra e una delle aziende più inquinanti del pianeta.

“Il mondo della musica, della cultura, dello sport e dell’istruzione dovrebbero essere liberi dalla dannosa propaganda dell’industria dei combustibili fossili” ha detto Federico Spadini, esponente della campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia.

Secondo il rapporto “Words vs Action: the truth behind fossil fuel advertising” infatti, solo l’8% degli annunci di ENI promuove i combustibili fossili, nonostante questi costituiscano circa l’80% del suo portfolio. Eni ha davvero intenzione di cambiare? Leggendo i suoi piani per il prossimo futuro è lecito dubitarne. Anzi, nel suo piano strategico è previsto un aumento della produzione di idrocarburi fino al 2024, con un investimento di circa 18 miliardi di euro. Una bella differenza, rispetto ai 4 miliardi destinati alle energie rinnovabili.

Cosa possiamo fare per contrastare il fenomeno? Greenpeace ad esempio ha lanciato un’iniziativa per chiedere l’introduzione di una legge europea “che vieti le pubblicità e le sponsorizzazioni dell’industria dei combustibili fossili”. Se la petizione raggiungerà un milione di firme raccolte, la Commissione Europea sarà obbligata a prendere in considerazione la proposta di legge.

[di Gloria Ferrari]