sabato 8 Novembre 2025
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UE, respinto ricorso di Ungheria e Polonia sullo Stato di diritto

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Statua giustizia

Il 16 febbraio la Corte di giustizia dell’Unione europea ha respinto un ricorso presentato da Ungheria e Polonia. Di cosa si tratta? I due Paesi si sono opposti al meccanismo che prevede che l’erogazione dei fondi europei sia collegato al rispetto dello Stato di diritto. In altre parole, l’UE chiude i rubinetti alle Nazioni che non si preoccupano della salvaguardia e del rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo. Questa decisione blocca, tra le altre cose, anche l’accesso ai soldi del Recovery Fund.

Molti esperti ONG, associazioni in difesa dei diritti umani, concordano sul fatto che diversi paesi membri dell’Unione Europea fanno fatica a rispettare gli standard previsti dai cosiddetti regimi democratici. In Nazioni come Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania, ci sono grossi ostacoli nel garantire l’indipendenza della magistratura, dei tribunali e della giustizia in generale, nell’assicurare trasparenza nelle decisioni governative e nel tutelare minoranze e oppositori politici.

È noto che Ungheria e Polonia sono due stati difficilmente definibili pienamente democratici. È più giusto invece reputarli a guida semi-autoritaria, soprattutto perché da anni tentano di sfuggire alle regole e controlli UE (in particolare per i fondi). Il denaro che questi Paesi ricevono è stato spesso utilizzato per rafforzare il controllo sull’economia e la politica, e consolidare il potere di chi sta a capo.

La sentenza della Corte potrebbe già entrare in vigore nel giro di poche settimane. Le motivazioni che hanno portato l’UE a prendere questa decisione sono racchiuse in poche righe: “Il regolamento mira (…) a proteggere il bilancio dell’Unione europea da pregiudizi derivanti in modo sufficientemente diretto da violazioni dei principi dello stato di diritto, e non già a sanzionare, di per sé, violazioni del genere. Il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l’Unione si fonda (…) giustifica la fiducia reciproca tra tali Stati”.

[di Gloria Ferrari]

Dl proroga stato emergenza: ok definitivo Camera

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La conversione del decreto legge n. 221/2021, recante la proroga dello stato di emergenza nazionale al 31 marzo 2022, è stata approvata in via definitiva dall’Aula della Camera con 331 voti favorevoli e 45 contrari. Il tutto dopo che ieri il governo aveva ottenuto la fiducia, posta nella giornata di martedì dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà.

 

 

Nelle carceri italiane 11 suicidi dall’inizio dell’anno

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Dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane sono stati commessi ben 11 suicidi, ovvero una media di uno ogni quattro giorni. Uno degli ultimi casi riguarda una giovane donna che si è tolta la vita impiccandosi nella propria cella, nel carcere di Messina, a poche ore dall’arresto. Questa settimana, inoltre, ben due rivolte sono scoppiate negli istituti penitenziari di Varese e Canton Mombello (Brescia): seppure non siano ancora state chiarite le cause, è evidente come all’interno delle carceri si stia vivendo un momento di altissima tensione. Il tasso di suicidi è di per sé un dato allarmante che porta a galla le carenze di un sistema retrivo che fa acqua da tutte le parti e, come spiega la Garante dei diritti dei detenuti di Alessandria Alice Bonivardo, evidenzia la situazione di «abbandono istituzionale» nella quale si trovano i reclusi.

Il Garante nazionale delle persone private della libertà personale ha descritto il quadro di una situazione allarmante. Sono 11 i suicidi compiuti all’interno delle carceri dall’inizio dell’anno, ai quali si aggiungono 4 morti “per cause ancora da accertare”. Una delle ultime detenute a togliersi la vita è stata Manuela Agosta, di 29 anni, che si è impiccata con un lenzuolo nella cella dove si trovava in custodia cautelare. Le accuse nei suoi confronti erano di concorso in spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana e hashish. I pm di Messina, a seguito dell’accaduto, hanno aperto un fascicolo per “istigazione al suicidio contro ignoti”. Si tratta di una tendenza in netto aumento rispetto agli anni passati che denota una situazione critica all’interno degli istituti penitenziari, nei quali la tutela della salute e dell’integrità dei detenuti è fortemente compromessa.

A confermare il quadro di una «situazione drammatica» è Alice Bonivardo, Garante dei detenuti di Alessandria. «Vi sono due elementi che garantiscono il buon funzionamento di un carcere: buoni rapporti con le famiglie e la tutela della salute, ovvero un’assistenza sanitaria che funzioni. Sono due sfere che, inevitabilmente, hanno molto risentito degli effetti della pandemia. Tuttavia le direttive nazionali sono state applicate in maniera disomogenea da ciascun istituto e questa è certamente una delle cause che ha contribuito a creare un clima molto teso».

Le carenze in ambito sanitario, tuttavia, precedono di molto l’esplodere della pandemia. Con il passaggio delle competenze sanitarie dal Ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale, avvenuto nel 2008, si è venuta a definire una situazione di grave criticità. «Le ASL faticano a mantenere gli standard corretti di personale presente nelle strutture penitenziarie. Durante la pandemia l’accesso alle cure è stato difficile per le persone fuori dal carcere, per i detenuti è ancora più complicato. Spiegarne a loro le ragioni non è semplice, sentono di essere stati abbandonati». Non aiuta la situazione la mancanza di supporto psicologico: «Gli psicologi ci sono e possono far capo sia al Ministero della Giustizia che all’ASL o al SERD, ma in genere ce n’è uno in tutto l’istituto e si occupa per lo più di osservazione, non fa clinica né intraprende effettivamente un percorso psicologico».

«Ciò che in genere viene messo in ombra riguardo il discorso dei suicidi è il problema grave della salute mentale all’interno delle carceri, che non può essere affrontato in maniera adeguata per tutte le carenze che ho appena descritto» sottolinea con forza Bonivardo. «Per questo motivo sono moltissimi anche i casi di autolesionismo. C’è da considerare poi che procurarsi ferite o togliersi la vita in carcere non è semplice, in genere avviene in modo davvero truce: questo comporta difficoltà anche per gli agenti penitenziari, che si trovano ad affrontare difficoltà per le quali non sono preparati. Sicuramente buona parte dei casi di autolesionismo sono atti dimostrativi a titolo di protesta, ma avvengono perché alle spalle c’è una problematica di malagestione della salute mentale, di mancanza di ascolto delle esigenze dei soggetti».

La partecipazione politica alla scena è, inoltre, del tutto inesistente: «Da quando è esplosa la pandemia nessun politico è più entrato in carcere. I Parlamentari non hanno bisogno di autorizzazione per accedere agli istituti, eppure di fatto nessuno lo fa. Allo stesso modo, se il Comune e gli assessori entrassero nel carcere si renderebbero conto di quanto la presenza del Comune sia fondamentale, soprattutto per le attività di reinserimento in società nel momento in cui termina la pena».

«L’intera concezione del carcere come istituto destinato alla rieducazione, nel quadro appena descritto, non può che vacillare. «L’art. 27 della nostra Costituzione è quello che viene applicato meno in assoluto, perché nel momento in cui si decide di applicare il carcere come pena principale e non in extrema ratio è difficile pensare che davvero si voglia pensare a un percorso rieducativo. Ad oggi, noi non educhiamo le persone detenute e non risolviamo il problema della sicurezza, perché coloro che escono di galera o commettono nuovi reati o sono comunque legati all’assistenzialismo delle istituzioni. Il carcere è un’istituzione granitica: dalla riforma del ’75 non è stato rinnovato nulla, l’unico moto che si è visto è stata l’introduzione delle nuove tecnologie, ma si è dovuto attendere il 2020 e una pandemia perché questo avvenisse. È un’istituzione irremovibile rispetto ai suoi principi fondatori, che andrebbe chiusa e completamente ripensata».

[di Valeria Casolaro]

Canada: Trudeau invoca leggi speciali contro i camionisti, ma la protesta non arretra

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Il 23 gennaio scorso un gruppo di camionisti si è messo in marcia da diverse regioni del Canada per arrivare a Ottawa e protestare contro le misure restrittive attuate dal Governo per contrastare la pandemia di Covid-19. Da quel giorno migliaia di manifestanti si sono mobilitati, scatenando la reazione dell’esecutivo guidato da Justin Trudeau che, il 14 febbraio, ha annunciato l’intenzione di invocare l’Emergencies Act, un provvedimento che autorizzerebbe il Governo ad adottare “misure temporanee speciali per garantire la sicurezza durante le emergenze nazionali e per modificare altre leggi in conseguenza di ciò”. Nonostante la volontà di applicare la norma, che dovrà essere approvata dal Parlamento, le proteste a Ottawa non sembrano arrestarsi.

Il gruppo di camionisti, ribattezzato Freedom Convoy, è arrivato il 29 gennaio nella capitale canadese, di fronte alla sede del Parlamento, chiedendo la disapplicazione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori che devono attraversare la frontiera. Alla manifestazione si sono uniti vari gruppi con rivendicazioni diverse, ampliando così le proteste a tutte le misure adottate dal governo contro la pandemia. Dopo una settimana la contestazione ha assunto le forme della rivolta, con migliaia di persone in strada e “circa 500 camion associati alla manifestazione presenti all’interno della zona rossa”, così come riportato dalla polizia. Le autorità hanno bollato la protesta come un’occupazione ben organizzata, instabile e pericolosa, annunciando l’impiego di tutte le risorse di Ottawa per contrastarla. Così il giorno successivo il sindaco della capitale, Jim Watson, ha dichiarato lo stato di emergenza. Mentre le proteste dilagavano al di fuori dei confini della capitale, dall’Ontario è arrivata una prima vittoria per i camionisti: il primo ministro, Doug Ford, ha annunciato che il Covid pass verrà revocato nella provincia canadese a partire dal primo marzo. La misura è stata confermata il 14 febbraio, un giorno dopo la riapertura del ponte che collega Ontario e Michigan, l‘Ambassador Bridge, avvenuta tramite sgombero della polizia. I giorni di occupazione sono costati all’industria dell’auto, secondo i calcoli della società Anderson Economic Group, 300 milioni di dollari. Nel frattempo la capitale resta paralizzata, il capo della polizia Peter Sloly si è dimesso e Trudeau, il 14 febbraio, ha dichiarato lo stato di emergenza pubblica nazionale.

L’Emergencies Act è stato adottato in tempi di pace soltanto in un unico precedente: era il 1970 e il Governo guidato da Pierre Trudeau, padre dell’attuale primo ministro, si trovò a gestire in Quebec la Crisi di Ottobre. Tecnicamente il provvedimento adottato in quel caso fu la War Measures Act, sostituita nel luglio del 1988 proprio dallo stato di emergenza pubblica nazionale. La differenza sostanziale è il rispetto da parte del Governo della Carta canadese dei diritti e delle libertà e la Carta dei diritti canadese, nonostante le prerogative esclusive ed eccezionali assegnatogli. Tra queste si ricordano la possibilità di regolamentare, e vietare, “qualsiasi assemblea pubblica che possa portare ragionevolmente a una violazione della pace”, lo spostamento da e verso aree specifiche e l’uso, in alcuni casi, della proprietà privata (confisca di beni). Quest’ultima misura è già in linea con quanto accaduto nei giorni scorsi quando, su pressione delle autorità governative e della polizia di Ottawa, è stata bloccata la raccolta fondi su GoFundMe che stava aiutando i camionisti a coprire i costi per il cibo, il carburante e l’alloggio. Così i 10 milioni di dollari canadesi (circa 6 milioni di euro) sono stati congelati e dovrebbero essere restituiti ai donatori nelle prossime settimane. Anche la TD Bank ha seguito la strada tracciata dal Governo, congelando due conti in cui erano stati depositati 1,4 milioni di dollari canadesi a supporto dei manifestanti. Le restrizioni non fanno però arretrare la parte di popolazione che continua ad aiutare, sia con beni materiali sia con parole di conforto, chi sta protestando da ormai 3 settimane.

Allo stesso tempo la notizia della volontà di ricorrere all’Emergencies Act non sembra suscitare nuove preoccupazioni fra i manifestanti, con l’organizzatrice del convoglio Tamara Lich che li esorta a mantenere la loro posizione. «Non ci sono minacce che ci spaventeranno. Terremo la linea. L’amore sconfiggerà sempre l’odio» ha affermato lunedì in una conferenza stampa. Trudeau ha dichiarato invece di non voler ricorrere all’esercito, affermando di «non star impedendo alle persone di esercitare il loro diritto di protestare legalmente ma di star rafforzando i principi, i valori e le istituzioni che mantengono liberi tutti i canadesi».

[di Salvatore Toscano]

Nel Milleproroghe conferma alla sperimentazione animale fino al 2025

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La sperimentazione animale in Italia potrà andare avanti fino al 1° luglio 2025, diversamente da quanto previsto dal testo originale del dl Milleproroghe che prevedeva di prolungare la norma di soli sei mesi. Lo hanno stabilito oggi le due commissioni degli Affari Costituzionali e del Bilancio della Camera, che hanno approvato alcuni emendamenti al testo del decreto legge. Il provvedimento riguarda la sperimentazione animale negli studi sugli xenotrapianti d’organo, ovvero l’uso di organi prelevati a esseri viventi di specie diversa da quella del ricevente.

I sette errori capitali dell’alimentazione occidentale moderna

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È stato calcolato che in Occidente le persone mangino in media dalle 30 alle 60 tonnellate di cibo durante l'intero arco della loro vita e sempre più scienziati dimostrano che questa enorme mole di cibo, ha un impatto significativo sullo stato di salute di una persona. Tuttavia, fino a non molto tempo fa, veniva data attenzione solo alle calorie di un alimento e non ai nutrienti in esso contenuti. Ma cosa sono i nutrienti e come li possiamo “calcolare”?
Le calorie danno una visione unidimensionale degli alimenti, quella energetica, ma gli alimenti sono molto più di un semplice carburante. Ogni...

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Siria: missili israeliani colpiscono a sud di Damasco

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Nella notte di mercoledì 16 febbraio Israele ha lanciato diversi missili superficie-superficie, colpendo e provocando danni materiali a una città a sud di Damasco. Lo riporta l’Agenzia di stampa statale siriana SANA, che aggiunge: “L’attacco è arrivato dalle alture del Golan annesse a Israele, prendendo di mira la città di Zakiya alle 23:35 circa” (22:35 ora italiana). Si tratta del secondo attacco proveniente da Israele ai danni della Siria di questo mese, dopo il lancio di diversi missili avvenuto il 9 febbraio scorso in risposta, secondo l’esercito israeliano, a un razzo partito dallo Stato confinante.

In Italia si sta verificando un aumento anomalo delle pubertà precoci

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La pubertà precoce, ovvero l’inizio della maturazione sessuale prima degli otto anni nelle bambine e prima dei nove anni nei bambini, è un fenomeno in pericoloso aumento in Italia. È quanto emerge dallo studio che ha coinvolto i centri di Endocrinologia pediatrica di svariate strutture ospedaliere italiane, coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù. I casi di pubertà precoce registrati tra marzo e settembre 2020 sono aumentati del 122 percento rispetto al 2019: con 338 casi registrati nel 2020, contro i 152 dell’anno precedente. Nello studio viene specificato come ad essere state colpite da tale fenomeno, tra l’altro annoverato come malattia rara, siano state perlopiù bambine sotto i sette anni. Le cause non sono del tutto chiare, certo è che esistono motivi anche facilmente intuibili, come l’insieme di fattori che caratterizzano un periodo come quello pandemico e tutte le conseguenze che esso ha ed ha avuto.

Simultaneamente alla pandemia, si sono intensificati i casi di pubertà precoce a rapida evoluzione, ovvero quelli che richiedono una specifica terapia farmacologica. Sono 135 le bambine che ne soffrono, su 328 bambine osservate durante il 2020. Quando nel 2019, ce ne erano 37, su 140. Questo vuol dire che le bambine con pubertà precoce a rapida evoluzione sono andate dal 26% di incremento nel 2019 al 41% nel 2020. Il diffondersi di tale disturbo sembra sia collegato a un aumento significativo dell’uso di dispositivi elettronici nello stesso periodo di tempo. Ma dallo studio emerge che già prima della pandemia le bambine a cui è stata diagnosticata la pubertà precoce a rapida evoluzione, utilizzavano maggiormente smartphone, computer e tablet. Oltre all’uso prettamente ludico o sociale, tablet, pc e smartphone sono stati essenziali per fini scolastici (come l’introduzione della Dad) e lavorativi. Durante la quarantena, i più giovani hanno dovuto rinunciare all’attività fisica praticata con la conseguenza di uno stile di vita più sedentario e un attaccamento maggiore allo “svago” regalato dai dispositivi elettronici.

Il non potere uscire di casa causa un generale malessere psicologico, con l’aumento dei sintomi connessi alla depressione e la sensazione di una vita poco soddisfacente. Inoltre, è stato riscontrato un importante cambiamento delle abitudini alimentari, come un senso di fame maggiore che però non ha forzatamente portato a un preoccupante consumo del cosiddetto “cibo spazzatura”. L’indagine svolta da esperti e ricercatori coinvolti nello studio e che prende in considerazione le testimonianze di svariate famiglie italiane, attesta quanto il comportamento dei più giovani sia cambiato (nel 59% dei casi) e anche come ci sia stata una crescita dei sintomi che caratterizzano lo stress (63% dei casi). Ed è proprio quest’ultimo a giocare un ruolo fondamentale nel sopraggiungere di determinate problematiche: per quanto ancora difficile dimostrarne scientificamente il legame, il lockdown come evento altamente stressante può avere contribuito in maniera significativa allo sviluppo prematuro in pazienti predisposti.

Nonostante non siano ancora del tutto noti i meccanismi alla base della pubertà precoce, è dimostrato come l’ormone responsabile, ovvero l’ormone ipotalamico, risenta della diversa regolazione dei neurotrasmettitori cerebrali, connessa sempre a fattori stressanti. Senza parlare del disturbi post-traumatici da stress, come dimostra un recente lavoro dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù: il 30 percento dei bambini con pubertà precoce hanno avuto disturbi da stress post-traumatico a causa della quarantena o dell’isolamento sociale. Per quanto queste siano ancora ipotesi, non sarebbe una sorpresa la correlazione tra lo sviluppo puberale così precoce e un periodo tanto unico nel suo genere come quello dettato dalla pandemia. Ci sono molti studi scientifici intenti a dimostrare l’impatto del Covid-19 sulla salute mentale di bambini e adolescenti, che attestano uno spaventoso aumento di ansie e depressione, maggiore facilità nello sviluppare comportamenti additivi e senso di paura, di disagio che portano a reagire con maggiore aggressività verso il mondo e verso se stessi. Eppure, la sanità italiana sembra ancora dare poca importanza al benessere psicologico trovandosi spesso impreparata ad affrontare le tante conseguenze di un momento storico tanto sconvolgente.

[di Francesca Naima]

Monthly report: Mare nostrum? Storia, presente e futuro del Mediterraneo

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La consuetudine quotidiana dei pescatori ragusani è stata interrotta da un perentorio avviso della Guardia costiera lo scorso 8 febbraio: attenzione a dove andate a pescare, c’è il rischio concreto di imbattersi in un sottomarino miliare. Poche centinaia di chilometri più a oriente, nello specchio di mare tra Grecia e Siria, una trentina di navi da guerra battenti bandiera di Stati Uniti, Francia e Italia sono impegnate in esercitazioni militari che dureranno fino ad aprile. Pochi giorni prima, il 2 febbraio, i satelliti avevano ripreso una flotta navale dell’esercito russo in navigazione nello stretto di Sicilia, tallonata da vicino da una fregata della Nato che ne monitorava i movimenti. Mediterraneo deriva dal latino mediterraneus, letteralmente in mezzo alle terre, ovvero, secondo la geografia degli antichi, al centro del mondo. E in un certo senso è ancora così, quantomeno parlando del nostro mondo, quello strategicamente a cavallo tra Occidente e Oriente. Ce lo ricordano i venti di guerra di questi giorni, ce lo ha ricordato pochi mesi fa il disastro sui commerci globali provocato dal banale intraversamento di una nave nel canale di Suez, ce lo ricordano quotidianamente le barche della speranza che cercano attracco sui nostri moli.

Peccato non se lo ricordino sempre i governi, a cominciare da quello italiano che ha declinato ad ogni ruolo guida nonostante il nostro Paese sia ancora oggi l’economia più forte dell’area. Il risultato è che quello che fu il mare nostrum somiglia sempre più a un mare degli altri. Se a livello ecologico il bacino mediterraneo è a rischio per la presenza di specie aliene che, causa il surriscaldamento delle acque, vi trovano accoglienza mettendo a rischio la biodiversità che da sempre lo caratterizza, la stessa presenza ingombrante di specie aliene si verifica anche a livello geopolitico. Gli Usa controllano tre basi militari sulle sue sponde (Rota in Spagna, Creta in Grecia e Napoli in Italia); il Regno Unito gli storici avamposti di Gibilterra e Cipro; la Russia controlla la base di Tartus, in Siria; mentre la Cina sta avanzando con le armi dell’economia dopo essersi assicurata il controllo di alcuni dei principali porti commerciali: da Marsiglia al Pireo, passando per Taranto. Da capitali distanti migliaia di chilometri si sono recentemente decise anche le sorti di due grandi nazioni mediterranee, Siria e Libia, con gli effetti che ancora vediamo e viviamo.

Insomma, tutto il mondo si interessa al Mediterraneo e cerca di conquistare una fetta di questo specchio di mondo, dove da millenni si consumano gli incontri, gli scontri e i commerci più prolifici. A disinteressarsene sembra proprio la nazione che ne occupa strategicamente il centro geografico, l’Italia. Per riempire questo vuoto di consapevolezza e conoscenza abbiamo deciso di dedicare proprio al Mediterraneo questo numero 7 del Monthly Report, il mensile de L’Indipendente.

Indice:

  • Siamo tutti mediterranei, una storia di identità e stereotipi
  • Mediterraneo, un mare di sguardi
  • La geopolitica del Mediterraneo: da mare nostrum a mare loro?
  • La pentola a pressione del Mediterraneo Orientale
  • L’Italia si è persa nel grande Risiko della pesca nel Mediterraneo
  • Mediterraneo, hotspot di biodiversità e cambiamento climatico
  • Il mare è in pericolo: l’impegno dei volontari di Sea Shepherd Italia
  • L’imbroglio Mediterraneo, l’Italia e la fabbricazione perpetua dell’emergenza migranti
  • Ma, in definitiva, cos’è di preciso la dieta mediterranea?
  • Enrico Mattei, un caso al centro del Mediterraneo
  • Pasta Nera: una storia italiana

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

‘Ndrangheta, maxi operazione a Roma: 65 arresti

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Maxi blitz contro la ‘Ndrangheta questa mattina nella zona di Roma e provincia: i Carabinieri del Comando provinciale, su disposizioni della Direzione distrettuale antimafia e del gip, stanno eseguendo perquisizioni, sequestri e misure cautelari nei confronti di 65 soggetti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. I soggetti avrebbero costituito una locale di ‘Ndrangheta che, infiltratasi nelle pubbliche amministrazioni, avrebbe assunto il controllo del litorale a sud di Roma, dove svolgeva anche operazioni di narcotraffico internazionale.