venerdì 21 Novembre 2025
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Nutri-Score: il semaforo sulla qualità dei cibi aiuterà a mangiare meglio?

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L’Unione Europea già dal 2017 sta studiando e testando dei nuovi sistemi di etichettatura del cibo, con l’obiettivo di dare un giudizio sulla qualità nutrizionale degli alimenti che risulti di facile comprensione per il consumatore. Si tratta quindi di uno scopo nobile che serve per migliorare gli stili di vita e la consapevolezza delle scelte alimentari, che porterebbe alla prevenzione di molte malattie, specialmente quelle degenerative legate proprio a modelli alimentari scorretti, come diabete, obesità, patologie cardiovascolare, malattie neurodegenerative, osteoporosi e altro. Questi nuovi...

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Dopo le trivelle il governo della “transizione ecologica” difende anche il glifosato

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Il comune di Nepi ha fatto passi avanti per vietare l’uso del glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo. Nuovi divieti per l’uso indiscriminato dei fitofarmaci in agricoltura, e non solo: il sindaco Franco Viti ha anche stabilito che nei primi cento metri dai corsi d’acqua non sarà possibile coltivare, mentre nei secondi cento metri sarà consentita l’agricoltura biologica. Contro l’ordinanza del sindaco Franco Viti, si sono subito scagliati i produttori di nocciole Assofrutti, i quali sono ricorsi al Tar del Lazio, senza riuscire ad avere la meglio. Ciò che però desta preoccupazione è come l’Avvocatura dello Stato del ministero della Transizione ecologica abbia deciso di schierarsi. Famiano Crucinelli, presidente del Biodistretto della via Amerina e delle Forre, ha sottolineato come Cingolani sostenga, in un paradosso che stride con la “transizione ecologica”, la chimica di sintesi in agricoltura, «Una delle cause fondamentali della frattura degli ecosistemi» spiega Crucinelli. Quest’ultimo sottolinea che se – come presumibile – l’avvocato abbia davvero parlato per il Ministero, allora Cingolani non è altro che un «Un bradipo della Transizione ecologica». Perché difatti, «La posizione espressa al Tar è una fotocopia delle posizione dei produttori di Assofrutti». Col fine di vietare l’uso del glifosato, da tempo altri comuni seguono la linea del comune di Nepi: Gallese, Corchiano, Castello, Calcata. Il glifosato è infatti nemico della salvaguardia ambientale, tanto che si infiltra anche dove non sarebbe dovuto arrivare, e in quantità preoccupanti. Nemmeno un mese fa, il caso dei fiumi in Lombardia, in cui è stata dimostrata una presenza dell’erbicida di ben otto volte superiore al limite previsto dalla legge.

Sul glifosato si è dibattuto parecchio: dopo diversi studi, nel 2017 l’Unione Europea ha concesso l’approvazione dell’erbicida più famoso al mondo per ulteriori cinque anni, con determinate limitazioni. Il tutto, a seguito di alcune valutazioni di EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e ECHA (Agenzia europea delle sostanze chimiche) L’uso del glifosato è quindi attualmente ammesso dall’Unione Europea, fino al 15 dicembre 2022. Una data che però sembra già essere molto vacillante: basti pensare alla Francia, che avrebbe scelto di fare un passo indietro. La nazione, all’interno del comitato il cui ruolo è valutare la tossicità del glisofato (l’Assessment group of glyphosate) ha partecipato alla preparazione del rapporto in cui si parla dell’erbicida, adottando una posizione ben diversa da quella assunta precedentemente. La conclusione è che il glifosato, secondo le autorità nazionali, potrebbe senza problemi essere nuovamente autorizzato in Europa. Necessaria è la risposta dell’EFSA e dell’ECHA, prima di qualsiasi decisione ufficiale. Continua dunque un dibattito sul glifosato, già al centro di continui studi relativi all’effettiva dannosità.

Intanto in Italia delle piccole vittorie sono state ottenute dai comuni intenti a limitare l’uso dell’erbicida. Nel territorio della Tuscia, l’impatto ambientale causato dalla coltivazione malsana delle nocciole (monocoltura che coinvolge circa 25 ettari di territorio) potrebbe finalmente subire delle modifiche. Necessario è che le ordinanze possano divenire regolamenti comunali, così da vietare l’uso di pericolose sostanze nei territori interessati. Sostanze che poi, come già esplicato, non rimangono – ovviamente – solo nel luogo in cui sono state utilizzate (come fu anche dimostrato lo scorso anno). In questo un ruolo importante può avere un colosso come la Ferrero. Infatti, la coltivazione della nocciola nell’area della Tuscia è il primo polo di produzione nazionale nonché uno dei fornitori principali della Nutella Ferrero. La famosa industria dolciaria si dice infatti a favore del green, ma è necessario che essa dimostri di avere adottato tale filosofia anche nel pratico, come sottolineato da Famiano Crucinelli. Stesso concetto vale per il Ministero della Transizione ecologica, che manca ancora una volta alla vera e propria, tanto osannata, “svolta green“. Un altro passo pratico che crea grande disarmonia con le parole spese. Basti ricordare il caso delle “trivelle sostenibili” dove il ministro è parso molto più preoccupato per i colossi del petrolio quali Eni piuttosto che per il vero salto qualitativo a livello di salvaguardia territoriale. Ovviamente, trivellare per estrarre gas, “rispettando” la Terra in nome della sostenibilità, è – a qualsiasi livello – impossibile. Come impossibile risulta un uso libero e incontrollato di un pesticida quale il glifosato, senza che ci siano conseguenze negative sulla salute e sul mondo.

[di Francesca Naima]

Ucraina: un uomo ha minacciato di farsi esplodere

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Momenti di grande paura a Kiev. Direttamente da Ukraine 24, emittente televisiva ucraina, la notizia di un uomo entrato nella sede del governo. Le forze di sicurezza – fa sapere Ukraine 24 – sono già in azione per assalire l’edificio, visto che l’uomo, riuscito a infiltrarsi all’interno dello storico Palazzo Mariinskij, minaccia di farsi saltare in aria con una granata.

La NATO incomincia a temere un Afghanistan talebano

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Dopo quasi vent’anni di occupazione militare, Stati Uniti e NATO stanno afferrando armi e bagagli con l’intenzione di lasciare l’Afghanistan a sé stessa, abbandonandola di fatto alle mire espansionistiche degli eserciti talebani. La cosa è chiara a chiunque si ritagli il tempo di osservare quanto stia accadendo, ma a evidenziare chiaramente quanto l’allontanamento americano sia stato deleterio alla stabilità del Governo ufficiale è lo stesso Ashraf Ghani, ovvero il Presidente riconosciuto da quegli stessi poteri Occidentali che si stanno ritirando dall’area.

Ghani confida che le truppe talebane si dimostreranno incapaci di mantenere le città recentemente catturate e che nel giro di sei mesi lo status quo verrà ristabilito, eppure è innegabile che le Forze di opposizione stiano velocemente assalendo molti dei punti nevralgici della nazione, con Lashkar Gah, Kandahar e Herat che sono tra i bersagli più rilevanti delle loro mire. Gli scontri sono sanguinosi e i civili coinvolti si contano a centinaia.

Proprio l’esistenza massiccia di vittime e di profughi innocenti è divenuta la leva prediletta con cui la narrazione statunitense cerca di dimostrare che i talebani debbano essere fermati. Secondo USA e Regno Unito, i guerriglieri starebbero sistematicamente «massacrando i civili», nonché compiendo svariati crimini di guerra con il solo intento crudele di vendicarsi per le sconfitte subite in passato. Accuse che, ovviamente, i talebani negano con determinazione.

Che gli innocenti finiscano disgraziatamente a patire gli effetti degli scontri è tristemente un dato di fatto, tuttavia i comandanti degli insorti stanno compiendo sforzi immensi per sgravarsi dalla retorica che li disegna come sanguinari e assassini, crudeli aguzzini in linea con le tendenze Daesh.

Questo loro impegno lo si nota soprattutto nella progressiva istituzionalizzazione profonda della loro struttura organizzativa, un procedimento che si è tanto raffinato che il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha recentemente accolto una delegazione di combattenti per discutere il futuro dei rapporti diplomatici tra Cina e Afghanistan.

Russia, Cina, Pakistan e persino gli Stati Uniti stanno seriamente prendendo in considerazione la possibilità che i talebani riescano a mettere le mani su di una fetta rilevante della regione, una prospettiva che agli USA giunge estremamente sgradita.

Il Pentagono si sta dunque preparando a contrastare l’avanzata dei guerriglieri mujahidin imbastendo bombardamenti “mirati” da effettuarsi attraverso una flotta di velivoli automatizzati. Una mossa ironica, se si considera che ai talebani vengono contestati i danni causati alla popolazione locale e che i droni siano noti per avere un vertiginoso tasso di vittime collaterali.

In ogni caso gli Stati Uniti portano le mani avanti, sostenendo sin da subito che il conquistare l’Afghanistan con la forza non sia sufficiente a garantire all’esercito talebano alcun riconoscimento internazionale. Parallelamente, il Regno Unito non manca di fornire assistenza alla retorica dell’alleato d’oltreoceano e, facendo riferimento al fatto che i soldati talebani siano accusati di crimini di guerra, dichiara via social: «se ora non siete in grado di controllare i vostri combattenti, in futuro non avrete diritto a un ruolo nel Governo».

[di Walter Ferri]

Golfo Persico: una petroliera dirottata

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A 60 miglia dalla costa di Fujaiarah, negli Emirati Arabi, è stata dirottata una petroliera.  Dai media inglesi sono giunte le dichiarazioni rilasciate dalle fonti della Sicurezza britannica: un gruppo di 8-9 uomini armati sarebbe salito a bordo della Asphalt Pincess, mettendo in ostaggio l’equipaggio. La Marina Gb parla di un «Potenziale atto di pirateria» mentre altre fonti della sicurezza marittima britannica puntano il dito contro «Forze sostenute dall’Iran». Il ministero degli Esteri di Theran ha detto di essere «Pronto all’assistenza e al salvataggio della regione», definendo il nuovo episodio nel Golfo Persico  come un incidente sospetto, per infine chiedere di non creare un’aurea di falsità contro l’Iran.

Dal Centro alle Isole, l’Italia è nella morsa degli incendi

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Da giugno ad oggi, i vigili del fuoco hanno effettuato 37mila interventi. Con l’arrivo del caldo estivo l’annoso problema degli incendi è quindi tornato a devastare la nostra Penisola. La situazione è particolarmente allarmante in Sicilia dove ci sono oltre 250 roghi attivi e circa 200 persone sono state evacuate dalle spiagge catanesi. Per affrontare l’emergenza, il Presidente del Consiglio ha dichiarato lo stato di mobilitazione nazionale in modo da garantire un impiego straordinario di risorse in termini di personale e mezzi. Le fiamme però dilagano anche altrove. A Pescara, in Abruzzo, gli incendi hanno interessato la Pineta Dannunziana, determinando l’evacuazione di circa 800 persone dalle proprie case. Mentre nel Lazio le fiamme hanno colpito nei pressi dell’aeroporto di Ciampino, rendendo inevitabile l’interruzione dei voli. È emergenza anche in Campania, Calabria e Sardegna. In quest’ultima, in particolare, sono state più di 1.500 le persone costrette ad abbandonare le proprie case. Tra boschi e pascoli, nell’oristanese sono già 25mila gli ettari andati in fiamme.

Ma anche il territorio pugliese, già da anni devastato dal batterio della Xylella, è nella morsa degli incendi. In provincia di Lecce, qualche giorno fa, è andata a fuoco la pineta delle Cesine. Per ben due giorni i pompieri hanno tentato di domare i roghi che hanno già distrutto oltre 20 ettari di bosco. Situazione drammatica anche a a Gravina di Puglia, nel barese, dove da quattro giorni le fiamme avvolgono l’area verde Difesa Grande. Già 200 gli ettari di foresta devastati. Tuttavia, in Puglia come altrove, il torrido caldo estivo non è l’unico complice degli incendi. Una pessima gestione del territorio e la negligenza politica spesso contribuiscono a peggiorare la situazione. Infatti, se i periodici roghi fossero mitigati da un piano di rigenerazione ecologica e paesaggistica i danni sarebbero decisamente più limitati. A questo proposito, il comitato “Salviamo gli ulivi del Salento” ha dato il via ad una petizione scrivendo una lettera aperta alle amministrazioni regionali. Tra le altre cose, chiedono che venga attivato un immediato Piano straordinario per la gestione dell’emergenza incendi ed incentivi finanziari ai proprietari terrieri per la riforestazione e l’impianto di specie arboricole compatibili con la vocazione ecologica e paesaggistica del territorio.

Rispetto allo scorso anno, sono quasi 16mila in più gli interventi effettuati dai vigili del fuoco in Italia. E rispetto alla media, i dati dell’Ue evidenziano una stagione di incendi già significativamente più intensa. La situazione però appare drammatica anche nel resto del continente e del Pianeta. Dalla Spagna alla Siberia, passando per la Grecia, gli Stati Uniti e il Canada, le fiamme dilagano ovunque in risposta al riscaldamento globale. Le cause alla base di un rogo sono molteplici ma i cambiamenti climatici agiscono su più fronti. Da un lato, riducono resistenza e resilienza dell’ecosistema forestale ad un fenomeno di per sé naturale, dall’altro, essi stessi aumentano la probabilità che questo si verifichi. L’aumento delle temperature medie annuali, l’alterazione delle precipitazioni e il verificarsi di eventi meteorologici estremi compromettono integrità e funzionalità e delle foreste, diminuendone la capacità di fornire servizi ecosistemici e aggravando il fenomeno degli incendi.

[di Simone Valeri]

 

 

Lo studio su cui Pfizer si basa per chiedere la 3a dose è stato fatto su sole 23 persone

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Nei giorni scorsi i media italiani hanno riportato uno studio della Pfizer secondo cui la somministrazione di una terza dose del vaccino anti Covid sarebbe in grado di aumentare fortemente la protezione contro la variante Delta. Nello specifico, nei soggetti di età compresa tra i 18 ed i 55 anni essa permetterebbe di avere un livello di anticorpi 5 volte maggiore rispetto a quello che si ottiene sottoponendosi a 2 dosi, mentre negli individui tra i 65 e gli 85 anni i titoli anticorpali aumenterebbero di 11 volte.

Tuttavia, seppur tali risultati siano realmente stati forniti dall’azienda farmaceutica statunitense, i quotidiani mainstream hanno omesso un dato fondamentale contenuto nello studio: consultandolo infatti si legge (a pagina 27) che esso è stato effettuato nei confronti di sole 23 persone. Precisamente, 11 soggetti rientranti nella fascia di età 18-55 anni ed altri 12 in quella 65-85. Alla luce di ciò, è chiaro che si tratta di un semplice studio aziendale, al quale non ci si può affidare così come lo si fa nei confronti delle ricerche scientifiche vere e proprie. Esso infatti non rispetta minimamente i requisiti necessari per essere denominato in tal modo: basterà ricordare che in questo caso non si ha a che fare con una ricerca indipendente, e inoltre lo studio non è stato sottoposto alla revisione paritaria, ossia la valutazione critica che un lavoro scientifico riceve da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi lo ha effettuato, i quali stabiliscono se esso è idoneo alla pubblicazione.

Nonostante tutto ciò, però, Pfizer nelle scorse settimane aveva annunciato di voler chiedere alle autorità regolatorie l’autorizzazione per la terza dose del siero. Tuttavia, secondo quanto riportato dai media statunitensi, le autorità sanitarie degli Usa non erano molto favorevoli a tale ipotesi. Ed anche l’Ema non sembrava ben disposta: fonti dell’Agenzia europea per i medicinali avevano infatti dichiarato che fosse presto per «confermare la necessità di una ulteriore dose di richiamo» ma che, ad ogni modo, sarebbero stati «esaminati rapidamente questi dati non appena disponibili». Eppure recentemente il portavoce della Commissione Europea per la Salute, Stefan de Keersmaecker, ha affermato: «Siamo consapevoli del fatto che potrebbe essere necessario un booster di vaccino», ovvero una terza dose. «È anche per questo che abbiamo concluso un terzo contratto con BioNTech/Pfizer, annunciato qualche tempo fa, che prenota 1,8 miliardi di dosi». Dichiarazioni alquanto contrastanti con la mancanza di certezza circa la necessità e l’efficacia della terza dose.

Detto questo, vi sono alcuni Paesi che hanno anche già dato il via libera all’utilizzo della stessa nonostante, come detto, i dati siano scarni e lo studio in questione non sia una ricerca scientifica. In Israele, infatti, sono iniziate le somministrazioni: dalla giornata di domenica gli over 60 già vaccinati (sottopostisi alla seconda dose da più di 5 mesi) hanno iniziato a ricevere la terza iniezione. La Germania invece, come annunciato dal ministero della Salute tedesco, a partire da settembre metterà a disposizione degli anziani e delle persone a rischio una terza dose del vaccino Pfizer o Moderna, che sarà offerta anche a chi ha ricevuto il vaccino Astrazeneca o il Johnson&Johnson. Infine, pure nel Regno Unito si potrebbe procedere in maniera simile, e seppur ancora non vi sia un annuncio ufficiale, i media locali sottolineano come il Paese sia pronto a procedere in tal senso: secondo il quotidiano Telegraph da settembre 32 milioni di cittadini si sottoporranno alla terza dose.

[di Raffaele De Luca]

Almeno 40 civili morti nei combattimenti in Afghanistan

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In Afghanistan, almeno 40 civili hanno perso la vita ed altri 118 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore. Il tutto a causa dei combattimenti tra talebani e forze afgane nella città assediata di Lashkar Gah, situata nel sud del Paese. La notizia è stata divulgata nella giornata di oggi, tramite un tweet, dalla Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.

Bologna, 90 operai licenziati con un messaggio su WhatsApp

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Logista, leader nella distribuzione del tabacco in Italia, ha scelto di chiudere il sito di Bologna. Per avvisare i propri dipendenti della scelta presa, la multinazionale monopolista della distribuzione del tabacco ha “semplicemente” inviato, a circa novanta lavoratori, un messaggio WhatsApp. Il suddetto messaggio è il seguente: «Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali Saluti». Nella serata di sabato 31 luglio, sessantacinque addetti al magazzino di Logista hanno scoperto di essere stati licenziati, guardando le notifiche sul loro smartphone. Oltre agli addetti al magazzino, il “licenziamento telefonico” ha riguardato anche il personale delle pulizie, gli addetti alla vigilanza e il personale impiegatizio diretto. In questo modo, si arriva a circa novanta persone che hanno inaspettatamente perso il lavoro. Nessun preavviso per i dipendenti, molti dei quali si trovavano – finalmente – in ferie. Perché durante la pandemia, Logista Italia SpA non ha subito alcuno stop. Anzi, in quanto attività essenziale, i tabacchi hanno potuto evitare la forzata pausa che, invece, ha travolto moltissimi altri settori. Al sindacato è stata inviata una mail lo stesso giorno del messaggio WhatsApp, ma qualche ora prima, nel pomeriggio.

Il sindacato Sicobas esplica i motivi della scelta presa dalla multinazionale, motivi che non riguardano una crisi. «Il problema del sito di Bologna non è certo un problema di produttività, ma di costo del lavoro», sottolinea Sicobas. Logista Italia SpA avrebbe preso una scelta indubbiamente premeditata, rimasta in sordina fino a sabato 31 luglio. La scelta è quella di spostare l’attività non all’estero, bensì in zone dell’Italia dove il costo del lavoro possa essere più basso. È dal 2013 che Sicobas e i dipendenti hanno scelto di organizzarsi col fine di migliorare la loro situazione lavorativa. Anni dopo l’ottenimento di determinate richieste volte al rispetto dei diritti e al miglioramento delle condizioni economiche, la multinazionale ha ora scelto di aprire nuove sedi in luoghi che – ancora – mancano di tali incrementi. Dalla giornata di lunedì 3 luglio i lavoratori si sono organizzati per presidiare l’Interporto di Bologna, così da mostrare la loro indignazione e lottare per il loro posto di lavoro.

Un licenziamento di questo tipo è conseguenza diretta della revoca del blocco licenziamenti che ha dato il via a un domino di congedi. Le scelte di Draghi sono state appoggiate e sostenute anche dall’Unione Europea che segue la “filosofia”: se non si può proteggere tutti non si deve proteggere nessuno. La proroga disposta dal Decreto sostegni bis al blocco dei licenziamenti, varato dal Governo Conte con il fine di evitare che migliaia di lavoratori subissero le conseguenze negative della crisi economica verificatosi con la pandemia, è scaduto il 30 giugno. Solo due giorni dopo, in Brianza, i dipendenti della Gianetti Ruote (nata nel 1880) senza alcun preavviso, hanno ricevuto una mail: «chiusura dello stabilimento», quindi l’avvio della procedura di licenziamento per ben 152 dipendenti. Poi, 442 lavoratori della Gkn Driveline di Firenze, sono stati licenziati in data 9 luglio. È stata in seguito la volta dell’ex Embraco di Riva di Chieri in Piemonte, dove 400 persone hanno perso il posto di lavoro. Successivamente, la multinazionale che si occupa di elettrodomestici, la Whirlpool, ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per 327 dipendenti della sede di Napoli. Un triste modello partito dal 30 giugno e che sembra ripetersi a iosa, lasciando migliaia di persone senza un posto di lavoro, con avvisi all’ultimo minuto, mortificate e con intere famiglie da mantenere, in un momento di grave crisi.

[di Francesca Naima]

Nel mondo 2 città sono già diventate invivibili a causa del riscaldamento globale

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Il riscaldamento globale è reale: due città hanno raggiunto picchi di temperatura talmente alti da divenire invivibili per l’essere umano. Si tratta di Jacobabad, in Pakistan e, di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti. Luoghi già caratterizzati da un caldo torrido, hanno ora superato la soglia dei 52 gradi centigradi; una temperatura ritenuta letteralmente insopportabile per l’essere umano. Jacobadad è situata nella provincia del Sindh, in Pakistan, e conta duecentomila abitanti. Tra questi, solo una piccola élite può permettersi sistemi di aria condizionata in casa. Infatti, i ricoveri per problemi causati da una temperatura incompatibile con l’uomo sono sempre più frequenti. Ad aggravare la situazione, poi, i continui blackout cittadini. Jacobadad si trova in corrispondenza del Tropico del Cancro e al momento del solstizio d’estate, la città pakistana viene  perpendicolarmente colpita dai raggi del sole e a ciò si aggiunge l’aria umida proveniente dal mar Arabico. La coesistenza di calore e umidità hanno reso Jacobadad uno dei due luoghi sulla terra ad aver superato ufficialmente la soglia più calda, impossibile da sopportare per il corpo umano. L’altro luogo nel mondo con una temperatura oltre i 52 gradi è Ras Al Khaimah, capitale dell’omonimo Emirato. Ras Al Khaimah è la sesta città più grande degli Emirati Arabi Uniti ed è ora caratterizzata da violenti temporali. La pioggia in procinto di cadere non è però naturale, bensì artificiale, e viene utilizzata proprio per combattere l’ondata di caldo. Non è, questo, il primo caso del cosiddetto cloud seedinggià utlizzato in altre città degli Emirati Arabi Uniti, ma anche in Cina.

Il calore raggiunto nelle due città è a tutti gli effetti impossibile da sopportare per il corpo umano. Biologicamente, gli esseri umani non possono convivere con temperature superiori ai 52 gradi centigradi. Perché? Il motivo è legato alla capacità di termoregolazione del corpo: l’essere umano è in realtà in grado di resistere fino a una temperatura esterna di ben 120 gradi, se per un periodo di tempo molto limitato. Il tutto, a condizione che ci sia modo, per il sudore, di evaporare. Nel momento della sudorazione la pelle si raffredda e la temperatura interna rimane stabile, quindi il corpo perde calore. Se però l’umidità è troppo alta, il processo descritto non può avvenire e la temperatura corporea si alza fino a causare problemi molto gravi. È esattamente quel che sta accadendo a Jacobadad e Ras Al Khaimah, per ora. È infatti solo l’inizio di un’inospitalità che si prospetta sempre più apocalittica. Tom Matthews, esperto di cambiamento climatico, ha pubblicato uno studio con il suo team a riguardo, pubblicato lo scorso anno nella rivista Science Advances. Dallo studio pubblicato emerge che anche in parti dell’India costiera orientale, del Pakistan e dell’India nord-occidentale sono stati registrati preoccupanti picchi di caldo. In India e in Pakistan, ne 2015, sono stati più di quattromila i morti causati da due gravi ondate di calore. Anche altre zone del mondo hanno conosciuto una temperatura sempre più alta: il Golfo di California, il Golfo del Messico, l’Oregon, Washington. Recentemente, anche la città Lytton, in Canada, sono state raggiunte temperature preoccupanti, tanto che diversi residenti hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, a causa degli incendi dettati dal troppo caldo.

La situazione climatica e l’ospitalità o meno di un luogo, condizionano da sempre le scelte di vita e lo sviluppo delle società umane. Una delle svariate conseguenze del riscaldamento globale sulle comunità umane è infatti la scelta di migrare in cerca di territori più ospitali, che danno vita ai cosiddetti migranti climatici. Le conseguenze umane dei cambiamenti climatici sono state approfondite da una ricerca intitolata Groundswell : Preparing for Internal Climate Migration. Nei prossimi anni, il clima cambierà come mai prima d’ora, causando l’aumento di temperatura, periodi di siccità, alluvioni ed altri eventi estremi. In molti si ritroveranno costretti ad abbandonare i territori diventati rischiosi e inospitali, modificando radicalmente la distribuzione geografica della popolazione. Vere e proprie migrazioni di massa caratterizzeranno gli anni a venire; migrazioni che, in realtà, hanno già avuto inizio.

[di Francesca Naima]