Ieri sera, 16 agosto, Joe Biden ha difeso la scelta di ritirare la truppe dall’Afghanistan durante il suo discorso alla nazione. «Sono convinto che la mia decisione sia giusta», ha sottolineato Biden, per poi precisare «Dovevo scegliere tra rispettare un accordo ereditato dal presidente Trump o continuare a combattere i talebani». Dopo una guerra durata venti anni e costata più di un trilione di dollari, Joe Biden ha spiegato che l’obiettivo è sempre stato quello di contrastare il terrorismo e non di costruire una nazione: «Non sacrificheremo altre vite di soldati americani», ha detto il presidente degli Stati Uniti.
Afghanistan: l’inevitabile fallimento dell’impero USA
In molti lo avevano previsto, alcuni auspicato, ma nessuno credeva che la presa di Kabul da parte dei talebani sarebbe stata così veloce. Gli ultimi report delle intelligence occidentali avevano ipotizzato sei mesi e invece dal ritiro dei militari in missione per conto della Nato ne sono trascorsi soltanto tre. L’avanzata “degli studenti”, dalle province alla capitale, è stata fulminea. Eppure quei report, agli occhi di Joe Biden sono passati inosservati. In una discussione question time dell’8 luglio riportata dal sito della Casa Bianca, parlando del piano di “exit strategy” dei soldati statunitensi, il presidente democratico spiegava che il ritorno dei talebani non era un processo ineluttabile: «i 300mila soldati afghani sono addestrati – ben addestrati come qualsiasi esercito al mondo – e posseggono una forza aerea contro qualcosa come 75mila talebani». E alla domanda in cui si tracciava un parallelismo col Vietnam replicava così: «non vedremo in nessun modo il personale diplomatico sollevato dal tetto della nostra ambasciata». Un mese dopo queste dichiarazioni, la storia è un’altra. Vent’anni dopo l’invasione statunitense, Kabul è tornata nelle mani dei talebani, sul palazzo presidenziale sventola, la bandiera bianca con la shahada in nero, simbolo dell’Emirato, e in rete già circolano le fotografie che ci riportano a Saigon nel 1975 al momento dell’evacuazione del corpo diplomatico statunitense, dal tetto dell’ambasciata appunto.

In realtà quelle di Joe Biden erano frasi di circostanza, perché il destino dell’Afghanistan era stato già scritto a Doha negli accordi di pace firmati il 29 febbraio del 2020 tra gli Stati Uniti e la delegazione dei talebani. In cambio del ritiro delle truppe straniere, Zalmay Khalilzad, delegato dell’amministrazione Trump chiedeva al Mullah Baradar l’impegno di questi ultimi a rinunciare a ogni legame con il jihadismo transnazionale. In sintesi, già un anno e mezzo fa, la Casa Bianca voltava le spalle al governo di Kabul – che ha sempre chiesto di sedersi al tavolo delle trattative -, legittimava politicamente Muhammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar, l’Emiro che governò il Paese dal 1996 al 2001, e apriva il terreno al loro riconoscimento internazionale. Quella è la causa profonda che racconta le immagini, alcune strazianti, che stiamo vedendo in mondovisione. Altrimenti non si spiegherebbe come i talebani siano riusciti in cosi poco tempo a conquistare provincia dopo provincia, città dopo città, senza quasi sparare un colpo. I famosi 300mila soldati afghani addestrati in questi vent’anni si sono sentiti abbandonati, e di fronte all’avanzata dei talebani, hanno preferito disertare, così come il governo di Kabul non appena questi hanno accerchiato la capitale.

Per vent’anni i seguaci del Mullah Omar, si sono nascosti nelle montagne, rifugiati nel Pashtunistan, dispersi tra i civili, e oggi tornano al potere con un consenso reale che proviene essenzialmente dall’Afghanistan profondo. E rispetto ai loro padri, i talebani di oggi hanno imparato l’arte della diplomazia. Esistono delle congiunture internazionali, degli attimi decisivi, che improvvisamente ti riportano dai margini della società al potere politico. Fu proprio il Mullah Omar che disse agli occidentali (e indirettamente ai suoi eredi): “voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, e il Tempo, nella storia dell’Uomo, custodisce lo Spirito che solo chi conosce il territorio può comprendere. E questa concezione quasi metafisica vale ancora di più in un Paese che possiede una struttura tribale, etnica e religiosa, e percepisce la nazione come un concetto astratto, lontano, sradicato dagli usi istituzioni e i costumi sociali. Del resto Ashraf Ghani, ormai fuggito all’estero, prima di diventare il presidente dell’Afghanistan, veniva considerato uno straniero dai suoi nemici, un tecnocrate dai suoi avversari, un corrotto dai suoi alleati. Aveva studiato e insegnato negli Stati Uniti, per diventare un funzionario della Banca mondiale, nonché un consulente per le Nazioni Unite. Ashraf Ghani è anche noto negli ambienti accademici per le sue pubblicazioni sul tema degli “Stati falliti” in cui tracciava la via della transizione politica collegata alla stabilità economica. Tra queste, le più celebri sono il libro Fixing Failed States: A Framework for Rebuilding a Fractured World e il paper Preparing for a syrian transition. Lesson from the past, thinking for the future. Pubblicazioni teoriche, speculazioni intellettuali, che lette in queste ore, svelano l’ennesimo fallimento di un modello: quello dell’esportazione della democrazia. Se dunque la storia è un cimitero di aristocrazie, l’Afghanistan torna ad essere la tomba degli Imperi. Vent’anni dopo, gli Stati Uniti lo hanno dovuto accettare, insieme alle conseguenze devastanti in termini di credibilità internazionale. Per i governi alleati, per gli Stati membri della Nato. Ma il rischio è anche calcolato, perché il ritiro voluto da Donald Trump, approvato da Joe Biden può essere perfettamente funzionale a un’altra strategia. Il ritorno all’ordine talebano può diventare una pistola puntata contro la Cina (confini dello Xinjiang musulmano), l’Iran (rivalità ideologica e religiosa) e la Russia (retaggio storico), dunque un fattore di instabilità. Al momento tutti sono seduti al tavolo, il domani è quanto mai incerto. Questa è la scommessa della Casa Bianca.
[di Sebastiano Caputo]
Il lato oscuro degli yogurt in vendita al supermercato
Proprio perché ha la buona nomea di essere un alimento sano, lo yogurt viene sfruttato abilmente dall’industria alimentare, la quale riesce a vendere prodotti col nome di yogurt che in realtà sono delle preparazioni dolciarie con zucchero aggiunto in grandi quantità (in alcuni casi ne contengono più della Coca-Cola), aromi, coloranti, addensanti, sciroppi, purea di frutta sciroppata, amido, ecc.
Da prodotto sano e utile per la dieta quotidiana (lo yogurt naturale), il nostro alimento può diventare un boomerang per il consumatore, in particolare in questa versione “truccata” dall’industria favorisce sovrappeso e obesità, diabete, dipendenza dallo zucchero e alterazione della flora batterica. L’industria ci fa credere con la pubblicità che si tratti sempre di un prodotto salutare, gli spot affermano che lo yogurt “riduce i livelli di colesterolo nel sangue”, “aiuta il benessere intestinale”, ma in realtà questo è completamente falso per tutti i preparati definiti yogurt che sono diversi dallo yogurt naturale.
Lo yogurt naturale è certamente un alimento salutare, che può rientrare nella dieta di tutti anche per un uso quotidiano, dal momento che il suo contenuto di grassi è molto basso (al massimo 4 grammi di grassi su 100g di alimento, rispetto ad altri latticini come per esempio i formaggi che hanno una media di 20g di grassi su 100g) e soprattutto perché apporta sostanze probiotiche (fermenti lattici) in grado di potenziare e ricostruire la nostra flora batterica intestinale (microbiota). Il microbiota è considerato un vero e proprio organo ed è la sede del nostro sistema immunitario, si colloca lungo tutto l’apparato digerente dalla bocca fino al colon-retto. Qualità importanti che però non si trovano in gran parte dei vasetti in vendita presso la grande distribuzione.
Perché bisogna stare attenti allo zucchero contenuto nello yogurt?
Spesso erroneamente consideriamo yogurt dei prodotti che non lo sono. In commercio si trovano 3 categorie di prodotti apparentemente simili: lo yogurt, i latti fermentati e i probiotici. La legge italiana definisce yogurt soltanto il “latte vaccino fermentato con due specifici batteri, il Lactobacillus bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus”. Mentre nello yogurt per essere definito tale devono essere presenti unicamente questi due batteri specifici, nei latti fermentati possono essere presenti altri fermenti oltre a questi, oppure possono essere prodotti attraverso dei microrganismi differenti. Il vero yogurt, quello naturale e anche legale, è dunque costituito soltanto da 2 ingredienti: latte e fermenti lattici. La legge parla di latte vaccino, ma non cambia la sostanza col latte di capra o di pecora.
Secondo un’indagine del 2018 pubblicata sul British Medical Journal (rivista medico-scientifica tra le più autorevoli al mondo) alcuni yogurt contengono molto zucchero. Alcuni prodotti denominati yogurt sono in realtà dei finti yogurt perché contengono un enorme quantitativo di zucchero, aromi, conservanti e amidi che li rendono dei veri e propri dessert ricchi di calorie e di zuccheri. Bisogna stare attenti a questi finti yogurt perché non si possono assumere con regolarità come si può fare con uno yogurt naturale. Alcuni yogurt al supermercato contengono un quantitativo di zucchero che è fino a 5 volte superiore a quello di uno yogurt bianco naturale.

Nello yogurt bianco naturale intero e in quello bianco magro ci sono rispettivamente 4 e 4,5 grammi di zucchero per vasetto. Per rendere meglio l’idea parliamo del quantitativo di un cucchiaino di zucchero circa. E si tratta dello zucchero naturale del latte, il lattosio. Durante la trasformazione da latte a yogurt, per l’azione dei batteri il lattosio si scinde in 2 zuccheri differenti chiamati glucosio e galattosio, facilmente digeribili anche per le persone che soffrono di intolleranza al lattosio. Questo è il motivo per cui lo yogurt è più digeribile del latte. Restano sempre 4 grammi di zuccheri in tutto, ad ogni modo, che anziché essere 4g di lattosio sono 4g di glucosio e galattosio. I valori nutrizionali del latte e di un vasetto di yogurt sono infatti esattamente gli stessi, se lo yogurt viene fatto solo col latte senza aggiunta di altri ingredienti. Attenzione quindi all’etichetta. Se sull’etichetta del prodotto la quantità di zucchero è superiore a questi parametri di riferimento (dai 4 ai 4,5 grammi) significa che c’è stata un’aggiunta di zucchero per addolcire ulteriormente il prodotto.


Più zucchero della Coca-Cola
Come accennato in precedenza, alcuni yogurt in vendita al supermercato hanno una quota di zuccheri aggiunti superiore addirittura a quella presente in una bibita dolce come la coca-cola. Qualcuno non vedrà un nesso tra i due prodotti, dal momento che si tratta in fondo di due categorie merceologiche diverse. Questo è corretto, ma utilizzo spesso deliberatamente questo paragone perché consente una riflessione che diversamente fa fatica ad emergere nella mente dei consumatori. Il punto è che mentre quasi tutti sono consapevoli del fatto che la coca-cola non è una bevanda salutare e quando la si consuma lo si fa limitandosi, e con ogni probabilità solo saltuariamente, quando acquistiamo invece uno yogurt pieno di zuccheri e aromi non abbiamo la stessa percezione e quindi ne facciamo un uso frequente, quasi quotidiano per molte persone, ignorandone gli aspetti deleteri o nocivi che un quantitativo così elevato di zuccheri comporta per la salute.

Consapevolezza dunque, o meglio spesa consapevole, per un beneficio indubbio sulla nostra salute. Deve essere chiaro che possiamo certamente acquistare e consumare saltuariamente i “finti yogurt”, ma è bene considerarli esattamente per quello che sono: dei dessert ricchi di zucchero e calorie! E’ come se mangiassimo una porzione di dolce al cucchiaio, non uno yogurt. Guardate nelle foto qui illustrate i quantitativi di zuccheri e di additivi presenti in alcuni cosiddetti yogurt in commercio e capirete meglio questo concetto. Si noti bene che la dicitura in etichetta è quella di “yogurt” e non di “crema di yogurt”, che denoterebbe più correttamente la natura di dessert in alcuni tipi di yogurt in vendita.
[di Gianpaolo Usai]
Mense aziendali, senza green pass non si mangia: protestano i sindacati di polizia
Dopo giorni di discussione a segnare il punto è stata una breve nota pubblicata nella sezione FAQ (domande e risposte) del sito della presidenza del Consiglio: “Sì, per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti”. In pratica i lavoratori non vaccinati verranno privati del diritto ad accedere alla mensa aziendale.
Una decisione che va a smentire quanto avevano affermato fino al giorno prima le amministrazioni locali, ad esempio la Regione Piemonte che aveva specificato che le mense dei lavoratori non andassero intese come ristoranti e quindi non vi dovesse essere obbligo del pass per accedere. Una decisione che appare inoltre di difficile comprensione, specie considerando il fatto che lo stesso sito della presidenza del Consiglio specifica che i clienti di un albergo possono accedere al ristorante della struttura ricettiva “anche in caso di consumo al tavolo in un locale al chiuso, senza mostrare una certificazione verde COVID-19”. Una distinzione che pare quantomeno arduo motivare con argomentazioni scientifiche.
A farlo notare è anche il presidente del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ed ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, che in una intervista, specifica: «L’obbligo di Green Pass nelle mense, che sembra confermato seppur in modo irrituale dalle Faq del governo, è francamente contraddittorio e paradossale: non si capisce perché persone che lavorano insieme non possano mangiare insieme, con le regole di sicurezza che sappiamo».
A protestare contro la nota di Mario Draghi sono anche le forze di polizia. Il sindacato FSP (Federazione Sindacale di Polizia) ha inviato una lettera di protesta al ministro dell’Interno nella quale si denuncia l’utilizzo del certificato verde «come una clava anche su questioni attinenti allo svolgimento del servizio obbligatorio». I rappresentanti delle forze dell’ordine denunciano anche i cortocircuiti logici del provvedimento. «Non è dato sapere se, prima e dopo il famigerato pasto in mensa, i colleghi vaccinati e non per i più svariati motivi, potranno continuare, come al solito, a prendere sassate insieme, a lavorare nei centri ammassati con migliaia di persone sprovviste di green pass e se, come sempre, potranno continuare a viaggiare sullo stesso blindato privo di aerazione idonea».
Scontri in Cisgiordania: polizia israeliana uccide 4 palestinesi
Almeno quattro palestinesi sono stati uccisi all’interno del campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata. Ad ucciderli le forze armate israeliane in uno scontro a fuoco avvenuto all’alba. Al momento mancano ricostruzioni imparziali sull’accaduto, secondo quanto riportato dal governo israeliano: “la polizia di frontiera israeliana conduceva una operazione a Jenin volta ad arrestare una persona implicata in attività terroristiche quando è stata bersaglio di spari. Fuoco pesante è stato aperto sulla forza a distanza ravvicinata e da un gran numero di persone. Le forze di infiltrazione della polizia di frontiera hanno risposto al fuoco e hanno neutralizzato i terroristi”. Difficile ovviamente stabilire se si tratta di una ricostruzione fedele dei fatti, visto che proviene dalle stesse forze di occupazione israeliane. Di certo tra i poliziotti israeliani non vi sono stati feriti.
Haiti: almeno 300 morti nel terremoto
Almeno 300 vittime, in una conta assolutamente parziale e che pare destinata a salire, queste le notizie che arrivano da Haiti dopo che un terremoto di magnitudo 7,2 ha colpito il paese alle 13:30 (ora italiana) di ieri con epicentro a 120 km dalla capitale Port-au-Prince. Il terremoto è stato addirittura più forte di quello che nel 2010 causò 220.000 vittime, ma fortunatamente l’epicentro è stato più distante dalla popolatissima capitale. I dispersi sono migliaia e secondo quanto riportato dai media si attende anche l’arrivo di un uragano.
Afghanistan: governo verso dimissioni con mandato di governo ai talebani
Afghanistan, atto finale. I talebani sono a un passo dalla conquista del governo. Secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno, Abdul Sattar Mirzakwal: «I talebani hanno iniziato a entrare a Kabul e avanzano da ogni lato». Secondo l’Associated Press i negoziatori talebani sono diretti verso il palazzo presidenziale per preparare il “trasferimento” di potere. Mentre il media arabo Al Arabia, citando due fonti del governo, sostiene che “il presidente Ashraf Ghani, nelle prossime ore si dimetterà lasciando a un governo ad interim che sarà guidato dai talebani”. Prosegue intanto la fuga del personale internazionale, per stasera sarebbe previsto il volo di rimpatrio per gli italiani.
Afghanistan: talebani alle porte di Kabul, Usa evacuano il personale
Non si ferma la rapida offensiva dei ribelli talebani in Afghanistan. Poche ore fa è caduta nelle loro mani anche la città di Jalalabad, conquistata senza combattere. I talebani controllano ora almeno 25 delle 34 province del Paese. Si trovano alle porte di Kabul e sono già penetrati nella sua provincia, conquistando nella notte il distretto di Sarobi, alla periferia della capitale. A rendere evidente la gravità della situazione il fatto che – secondo quanto riportato da Al Jazeera – questa mattina alle 7:30 ora italiana gli Usa hanno iniziato l’evacuazione del loro personale rimasto a Kabul con degli elicotteri. I talebani, secondo quanto riportato anche da membri del governo, stanno concedendo corridoi sicuri non solo ai civili, ma anche a funzionari governativi e delle forze di sicurezza. Tuttavia si teme un disastro umanitario e già centinaia di civili sarebbero in fuga
Haiti: terremoto di magnitudo 7.2, si temono molte vittime
Ad Haiti si è verificato un terremoto di magnitudo 7.2 con epicentro a circa 120 km dalla capitale Port-au-Prince. Lo si apprende dal servizio di monitoraggio geologico statunitense (Usgs), che stima un ipocentro ad una profondità di 10 km. Il sisma è stato avvertito alle 8:30 ora locale (le 13:30 italiane) e, in base alle immagini diffuse dai testimoni, sembra aver prodotto danni materiali nelle località di Jérémie e Les Cayes. Inoltre, il direttore della protezione civile, Jerry Chandler, ha dichiarato: «Ci sono delle vittime, ma non ho ancora il bilancio preciso». A tal proposito, però, l’Usgs prevede un elevato numero di morti.







