Cinquecentomila firme raccolte in due mesi di piena estate: un successo che lascia intendere come il diritto all’eutanasia sia argomento sentito da tanti italiani. Obiettivo raggiunto che, una volta validate le firme e salvo giudizio di legittimità da parte della Corte Costituzionale, darà la possibilità ai cittadini italiani di esprimersi con un referendum sull’abrogazione parziale dell’art. 579 del codice penale, che definisce l’aiuto all’eutanasia come “omicidio del consenziente”, imponendo pene che vanno da 6 a 15 anni di carcere. Se il referendum dovesse essere approvato l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”, ma rimarrà punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.
L’Associazione Luca Coscioni e il Comitato promotore referendum ‘Eutanasia legale’ annunciano che la raccolta firme andrà comunque avanti fino al termine del 30 settembre. Con l’obiettivo di raccogliere complessivamente 750.000 firme «in modo da mettere in sicurezza il risultato da ogni possibilità di errori nella raccolta, ritardi della Pubblica amministrazione e difficoltà nelle operazioni di rientro dei moduli».
La lunga battaglia ancora non conclusa per il diritto all’eutanasia in Italia è iniziata nel 1979, ormai 42 anni fa. Una serie di casi di cronaca l’hanno ciclicamente rilanciata dividendo l’opinione pubblica e la classe politica. Nel 2016, quattro proposte di legge in materia di eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari obbligatori per i malati terminali sono state presentate in Parlamento, ma sommariamente analizzate e poi accantonate. Gli ultimi tentativi sono stati fatti dal Movimento 5 stelle, nel 2019, ancora una volta senza successo. Eppure, la maggior parte degli italiani sono favorevoli all’eutanasia. Secondo i sondaggi Eurispes, si parla di più della metà della popolazione nel 2015, una quota che nel 2021 è salita al 70,4%. L’eutanasia è completamente legalizzata in 4 paesi europei: il Belgio, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Spagna (in quest’ultima già dal 1995). In molti paesi dell’Europa orientale la pratica è vietata sia nella sua forma passiva (come interruzione delle cure sanitarie) che attive (come suicidio assistito), mentre in Italia e nel resto dell’Europa la forma passiva è implicitamente tollerata.
Mercoledì 18 agosto in Crimea, cinque membri dell’organizzazione terroristica Hizb al-Tahrir (che in Russia è bandita dal 2003) sono stati arrestati. È stata la TASS, agenzia stampa russa, a riportare la dichiarazione del Servizio Federale per la Sicurezza (FSB) della Federazione Russa; nello specifico, la FSB ha comunicato di avere arrestato due capi e tre membri del gruppo terroristico Hizb al-Tahrir, visto il materiale di propaganda sequestrato agli accusati e le diverse prove che dimostrano l’impegno degli ultimi in attività di propaganda dello Stato Islamico, per la creazione del “Califfato mondiale”.
Un altro attacco in Siria da parte di Israele; la sera del 17 agosto, Israele ha infatti colpito un avamposto militare in Siria: tre missili sono caduti a Qurs al-Nafl, vicino municipalità di Huder, nella periferia settentrionale di Quneitra. Una fonte delle Alture del Golan ha fatto sapere al quotidiano al-Araby al-Jaded che i siti militari colpiti sono stati due: Hezbollah, del gruppo sciita e l’ufficio del brigadiere generale Hussein Hamoush, comandante della novantesima Brigata della Prima divisione siriana. Per il momento, dopo l’attacco, non sono state riportate vittime.
Gli anticorpi monoclonali sono ancora in fase di approvazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), ma in Italia è stato deciso di autorizzarne l’utilizzo in via temporanea con Decreto del Minstero della salute 6 febbraio 202 e con Decreto del 12 luglio 2021. L’AIFA ha approvato le terapie monoclonali con mesi di anticipo rispetto ai protocolli europei; l’autorizzazione delle suddette terapie era infatti prevista per il mese di ottobre 2021, ma l’AIFA ha deciso di aggiornare in maniera anticipata le modalità di utilizzo degli anticorpi monoclonali anti Covid-19, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2021 ed efficaci dal giorno successivo alla pubblicazione. Nello specifico, il focus è sull’uso del medicinale sotrovimab, da somministrare per infusione in vena (flebo). L’uso del medicinale è possibile per i pazienti adulti e gli adolescenti, a partire dai 12 anni di età e con un peso pari ad almeno 40 kg. Dall’Agenzia Italiana del Farmaco si precisa che l’utilizzo di sotrovimab è possibile per il trattamento di pazienti a rischio di «Progredire verso la forma severa della malattia» ma che, comunque, non necessitano di ossigenoterapia supplementare. È inoltre stato dimostrato che l’anticorpo sotrovimab abbia un favorevole rapporto beneficio/rischio anche nei confronti delle principali varianti circolanti di Sars-CoV-2. L’anticorpo sotrovimab va ad aggiungersi agli altri anticorpi già resi disponibili: l’anticorpo monoclonale bamlanivamb, l’associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab e l’associazione di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab.
L’efficacia degli anticorpi monoclonali è già provata, sono farmaci che si conosco molto bene e già utilizzati sia per scopi diagnostici, sia per scopi terapeutici ma sono anche impiegati per potenziare le difese naturali del corpo. Gli anticorpi (immunoglobuline) sono molecole prodotte da cellule (linfociti B) che fanno parte del sistema immunitario del corpo umano, quando i il corpo umano avverte la presenza di una molecola estranea (antigene). Gli anticorpi vanno ad attaccare l’antigene così da neutralizzarne l’effetto. Gli anticorpi monoclonali (MAB) sono molecole prodotte in laboratorio, progettati appositamente per riconoscere un unico, specifico antigene così da legarsi a quest’ultimo e neutralizzarlo in maniera definitiva. I MAB sono cellule fuse (ibridoma), coltivate singolarmente per poi divenire immortali e dividersi. In questo modo, si forma un clone di cellule identiche capaci di produrre quantità illimitate dello stesso anticorpo: l’anticorpo, appunto, monoclonale.
Guido Silvestri, virologo italiano con sede ad Atlanta, ha intrapreso degli studi durante la seconda ondata di Coronavirus, sperimentando l’efficacia degli anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab per poi contattare la multinazionale che li ha sviluppati: l’azienda farmaceutica Eli Lilly. Quindi, Guido Silvestri si è ingaggiato per chiedere di mandare all’Italia le dosi utili a titolo gratuito (circa diecimila), richiesta alla quale Eli Lilly ha risposto positivamente. Però, sono sorte delle complicazioni nel momento in cui l’AIFA ha sostenuto che senza l’autorizzazione dell’EMA, sarebbe stato impossibile proseguire. L’operazione è quindi rimasta in stallo, nonostante il 29 ottobre 2020 l’AIFA avesse avuto le prove scientifiche dell’efficacia e della sicurezza del farmaco. A febbraio l’AIFA ha quindi approvato l’uso del farmaco, al contrario di ciò che aveva dichiarato due mesi prima, quando a dicembre c’era stato il rifiuto dell’approvazione da parte della stessa AIFA, visto che la terapia mancava di un’approvazione europea. Nonostante, poi, l’approvazione non fosse ancora arrivata, è iniziata a febbraio la sperimentazione gratuita che era stata proposta fin dalla seconda ondata. La tardiva approvazione ha però rallentato un processo che sarebbe stato salvifico per i più (anche Donald Trump, per esempio, era stato guarito nel 2020 dal Coronavirus grazie agli anticorpi monoclonali) e le dosi in Italia sono state davvero diffuse solo a partire da fine marzo 2021.
Nonostante i tentativi grotteschi da parte del mainstream di relegarlo a teoria complottistica, il Grande Reset è un piano preciso, ufficiale e ben documentato, sul quale istituzioni internazionali, filantropi, organizzazioni non governative e grandi aziende private collaborano apertamente.
Il tema è molto caro al World Economic Forum (WEF), che ha dedicato ad esso il summit del giugno del 2020 e del gennaio 2021, entrambi tenuti da remoto, considerati propedeutici al grande incontro “The Great Reset” da svolgersi ad agosto 2021 a Singapore, poi disdetto causa protrarsi della pandemia. È l’arg...
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Il Comune di Bologna ha riconosciuto un diritto essenziale per i bambini, ovvero quello di consentire il gioco nelle aree all’aperto degli edifici a uso abitativo. Dunque, dal prossimo 29 settembre – momento in cui la norma approvata entrerà in vigore – non sarà più vietato l’uso dei cortili e de giardini condominiali ai più piccoli. La proposta è nata da diverse associazioni, dai comitati dei genitori e dalle famiglie della consulta Cinnica, consapevoli di quanto gli spazi aperti siano essenziali per il benessere psicofisico dei bambini, specialmente dopo avere vissuto il periodo segnato dalla pandemia. Permettere ai più piccoli di muoversi all’aperto, è infatti di grande importanza anche per il processo di sviluppo sensoriale e motorio; durante l’infanzia, gli imput ricevuti sono essenziali per le capacità dei più piccoli e per la loro crescita. Ecco come, all’aperto, ciò che i bambini percepiscono è ciò che permette loro di entrare in comunicazione con il mondo – e con loro stessi.
È stato Andrea Colombo, consigliere comunale Pd, ad annunciare che in Consiglio comunale, con la prima revisione del Regolamento Edilizio, è stata inserita l’importante norma, dal valore legale sì, ma soprattutto «Di un grande valore culturale». La proposta è stata portata avanti fin dal principio da Andrea Colombo con l’appoggio di Valentina Orioli, vicesindaco e assessora all’urbanistica. L’idea è stata sviluppata ben prima della pandemia per poi – con il periodo segnato dall’emergenza sanitaria e dalla necessaria quarantena – divenire sempre più urgente. Nel riconoscimento di un diritto essenziale per i bambini viene anche data attuazione all’articolo 31 della Convenzione internazionale sui Diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (20 novembre 1989) che nell’ordinamento italiano corrisponde alla legge n. 176 del 25 maggio 1991.
Il Comune di Bologna riconosce quindi «Il diritto dei bambini al gioco e alle attività ricreative proprie della loro età», come viene specificato nel nuovo Regolamento Edilizio. Fatte salvo le ore di tutela della quiete pubblica e del riposo (che non possono superare le due ore durante il giorno), stabilite dai regolamenti condominiali, nei cortili e nei giardini, nelle aree all’aperto di qualsiasi edificio abitato, deve essere consentito il gioco ai bambini. L’intento è quello, anche, di spingere l’amministrazione comunale a promuovere attività di informazione e sensibilizzazione con Cinnica, i Quartieri e le amministrazioni condominiali.
Nicaragua, lunedì 16 agosto: dopo l’accusa, contro diverse organizzazioni senza scopo di lucro, di ostacolare i controlli interni del Paese da parte del Governo di Daniel Ortega, sei delle suddette associazioni – con origine dagli Stati Uniti e dall’Europa – sono state sospese.
Bandite dunque dal Governo Ortega sei tra le ONG europee e americane, con la seguente liquidazione di tutti i beni seguendo gli statuti costitutivi di ciascuna organizzazione; oppure, i beni diventeranno proprietà dello Stato del Nicaragua. Da anni le ONG forniscono assistenza in Nicaragua su più fronti, ma Ortega ha scelto di interrompere l’azione delle ONG da quando Stati Uniti e Unione Europea hanno aumentato le pressioni sul suo Governo.
Il cosiddetto Green Pass, più propriamente noto come certificato COVID digitale dell’UE, sta passando un brutto periodo: alle perplessità di natura etico-giuridica relative alla sua implementazione capillare si sta aggiungendo anche quella di natura prettamente tecnica, soprattutto ora che alcuni ricercatori hanno svelato come il sistema non sia in grado di rimuovere la certificazione a coloro che, nonostante la vaccinazione, risultano positivi al coronavirus.
Il docente Matteo Flora, l’avvocato Carlo Piana e il professore di cybersicurezza al politecnico di Milano Stefano Zanero hanno infatti analizzato a fondo l’applicazione del Ministero della Salute “VerificaC19”, lo strumento che gestisce i Green Pass, scoprendo che non sia in alcun modo previsto alcun meccanismo di revoca.
Paradossalmente, dunque, una persona positiva al virus potrebbe tranquillamente accedere a spazi e servizi riservati a coloro che si sono “immunizzati”, vanificando il senso stesso del limitare l’accesso ai locali pubblici alle sole persone dotate di certificazione. Questione tanto più paradossale considerando il fatto che il vaccinato positivo può comunque trasmettere il virus.
Sarebbe facile classificare questa importante mancanza come mera cialtroneria informatica, tuttavia la situazione è più complessa e sfaccettata, con i programmatori che si sono limitati ad attuare scelte consapevoli e puntuali, in linea con le linee guida europee che preservano la privacy dei cittadini.
Le meccaniche del Digital Green Certificate europeo sono state sviluppate infatti nell’ottica di evitare il più possibile che si verifichino abusi nella gestione dei dati e la creazione di un’eventuale “lista degli infetti” imporrebbe una rivisitazione profonda dei principi logici e morali che guidano l’iniziativa. In senso stretto, il Green Pass non è altro che un documento che attesta l’avvenuta vaccinazione, il risultato negativo di un tampone o la guarigione da Covid-19. In altre parole, il “Green Pass” non è affatto un “pass” e utilizzarlo come tale risulta improprio.
Diversi Governi europei, tra cui quello italiano, sembrano dunque essersi allontanati dal progetto iniziale per trasformare ufficiosamente l’attestato in un lasciapassare in tutto e per tutto affine a quello adottato da Israele, lasciapassare che guarda caso si chiama proprio Green Pass. In altre parole, il certificato COVID digitale dell’UE, non prevede la alcuna sospensione del vaccinato positivo in quanto non era nel progetto iniziale che fungesse da lasciapassare, cosa nella quale è stato poi trasformato dai governi.
A complicare ulteriormente il panorama è il fatto che l’idea alla base del Digital Green Certificate era quella di agevolare i viaggi internazionali, non quella di gestire una cernita quotidiana e locale della salute pubblica. Per quello avremmo semmai dovuto confidare sul contact tracing promesso dalla app Immuni, progetto rapidamente naufragato.
Ieri sera, 16 agosto, Joe Biden ha difeso la scelta di ritirare la truppe dall’Afghanistan durante il suo discorso alla nazione. «Sono convinto che la mia decisione sia giusta», ha sottolineato Biden, per poi precisare «Dovevo scegliere tra rispettare un accordo ereditato dal presidente Trump o continuare a combattere i talebani». Dopo una guerra durata venti anni e costata più di un trilione di dollari, Joe Biden ha spiegato che l’obiettivo è sempre stato quello di contrastare il terrorismo e non di costruire una nazione: «Non sacrificheremo altre vite di soldati americani», ha detto il presidente degli Stati Uniti.
In molti lo avevano previsto, alcuni auspicato, ma nessuno credeva che la presa di Kabul da parte dei talebani sarebbe stata così veloce. Gli ultimi report delle intelligence occidentali avevano ipotizzato sei mesi e invece dal ritiro dei militari in missione per conto della Nato ne sono trascorsi soltanto tre. L’avanzata “degli studenti”, dalle province alla capitale, è stata fulminea. Eppure quei report, agli occhi di Joe Biden sono passati inosservati. In una discussione question time dell’8 luglio riportata dal sito della Casa Bianca, parlando del piano di “exit strategy” dei soldati statunitensi, il presidente democratico spiegava che il ritorno dei talebani non era un processo ineluttabile: «i 300mila soldati afghani sono addestrati – ben addestrati come qualsiasi esercito al mondo – e posseggono una forza aerea contro qualcosa come 75mila talebani». E alla domanda in cui si tracciava un parallelismo col Vietnam replicava così: «non vedremo in nessun modo il personale diplomatico sollevato dal tetto della nostra ambasciata». Un mese dopo queste dichiarazioni, la storia è un’altra. Vent’anni dopo l’invasione statunitense, Kabul è tornata nelle mani dei talebani, sul palazzo presidenziale sventola, la bandiera bianca con la shahada in nero, simbolo dell’Emirato, e in rete già circolano le fotografie che ci riportano a Saigon nel 1975 al momento dell’evacuazione del corpo diplomatico statunitense, dal tetto dell’ambasciata appunto.
A sinistra la fuga dei funzionari Usa dall’ambasciata di Saigon (Vietnam) nel 1975, a destra da quella di Kabul (Afghanistan) nel 2021
In realtà quelle di Joe Biden erano frasi di circostanza, perché il destino dell’Afghanistan era stato già scritto a Doha negli accordi di pace firmati il 29 febbraio del 2020 tra gli Stati Uniti e la delegazione dei talebani. In cambio del ritiro delle truppe straniere, Zalmay Khalilzad, delegato dell’amministrazione Trump chiedeva al Mullah Baradar l’impegno di questi ultimi a rinunciare a ogni legame con il jihadismo transnazionale. In sintesi, già un anno e mezzo fa, la Casa Bianca voltava le spalle al governo di Kabul – che ha sempre chiesto di sedersi al tavolo delle trattative -, legittimava politicamente Muhammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar, l’Emiro che governò il Paese dal 1996 al 2001, e apriva il terreno al loro riconoscimento internazionale. Quella è la causa profonda che racconta le immagini, alcune strazianti, che stiamo vedendo in mondovisione. Altrimenti non si spiegherebbe come i talebani siano riusciti in cosi poco tempo a conquistare provincia dopo provincia, città dopo città, senza quasi sparare un colpo. I famosi 300mila soldati afghani addestrati in questi vent’anni si sono sentiti abbandonati, e di fronte all’avanzata dei talebani, hanno preferito disertare, così come il governo di Kabul non appena questi hanno accerchiato la capitale.
Il ritorno dell’ “ordine talebano”
Per vent’anni i seguaci del Mullah Omar, si sono nascosti nelle montagne, rifugiati nel Pashtunistan, dispersi tra i civili, e oggi tornano al potere con un consenso reale che proviene essenzialmente dall’Afghanistan profondo. E rispetto ai loro padri, i talebani di oggi hanno imparato l’arte della diplomazia. Esistono delle congiunture internazionali, degli attimi decisivi, che improvvisamente ti riportano dai margini della società al potere politico. Fu proprio il Mullah Omar che disse agli occidentali (e indirettamente ai suoi eredi): “voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, e il Tempo, nella storia dell’Uomo, custodisce lo Spirito che solo chi conosce il territorio può comprendere. E questa concezione quasi metafisica vale ancora di più in un Paese che possiede una struttura tribale, etnica e religiosa, e percepisce la nazione come un concetto astratto, lontano, sradicato dagli usi istituzioni e i costumi sociali. Del resto Ashraf Ghani, ormai fuggito all’estero, prima di diventare il presidente dell’Afghanistan, veniva considerato uno straniero dai suoi nemici, un tecnocrate dai suoi avversari, un corrotto dai suoi alleati. Aveva studiato e insegnato negli Stati Uniti, per diventare un funzionario della Banca mondiale, nonché un consulente per le Nazioni Unite. Ashraf Ghani è anche noto negli ambienti accademici per le sue pubblicazioni sul tema degli “Stati falliti” in cui tracciava la via della transizione politica collegata alla stabilità economica. Tra queste, le più celebri sono il libro Fixing Failed States: A Framework for Rebuilding a Fractured World e il paper Preparing for a syrian transition. Lesson from the past, thinking for the future. Pubblicazioni teoriche, speculazioni intellettuali, che lette in queste ore, svelano l’ennesimo fallimento di un modello: quello dell’esportazione della democrazia. Se dunque la storia è un cimitero di aristocrazie, l’Afghanistan torna ad essere la tomba degli Imperi. Vent’anni dopo, gli Stati Uniti lo hanno dovuto accettare, insieme alle conseguenze devastanti in termini di credibilità internazionale. Per i governi alleati, per gli Stati membri della Nato. Ma il rischio è anche calcolato, perché il ritiro voluto da Donald Trump, approvato da Joe Biden può essere perfettamente funzionale a un’altra strategia. Il ritorno all’ordine talebano può diventare una pistola puntata contro la Cina (confini dello Xinjiang musulmano), l’Iran (rivalità ideologica e religiosa) e la Russia (retaggio storico), dunque un fattore di instabilità. Al momento tutti sono seduti al tavolo, il domani è quanto mai incerto. Questa è la scommessa della Casa Bianca.
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