giovedì 20 Novembre 2025
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Afghanistan: talebani alle porte di Kabul, Usa evacuano il personale

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Non si ferma la rapida offensiva dei ribelli talebani in Afghanistan. Poche ore fa è caduta nelle loro mani anche la città di Jalalabad, conquistata senza combattere. I talebani controllano ora almeno 25 delle 34 province del Paese. Si trovano alle porte di Kabul e sono già penetrati nella sua provincia, conquistando nella notte il distretto di Sarobi, alla periferia della capitale. A rendere evidente la gravità della situazione il fatto che – secondo quanto riportato da Al Jazeera – questa mattina alle 7:30 ora italiana gli Usa hanno iniziato l’evacuazione del loro personale rimasto a Kabul con degli elicotteri. I talebani, secondo quanto riportato anche da membri del governo, stanno concedendo corridoi sicuri non solo ai civili, ma anche a funzionari governativi e delle forze di sicurezza. Tuttavia si teme un disastro umanitario e già centinaia di civili sarebbero in fuga

Haiti: terremoto di magnitudo 7.2, si temono molte vittime

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Ad Haiti si è verificato un terremoto di magnitudo 7.2 con epicentro a circa 120 km dalla capitale Port-au-Prince. Lo si apprende dal servizio di monitoraggio geologico statunitense (Usgs), che stima un ipocentro ad una profondità di 10 km. Il sisma è stato avvertito alle 8:30 ora locale (le 13:30 italiane) e, in base alle immagini diffuse dai testimoni, sembra aver prodotto danni materiali nelle località di Jérémie e Les Cayes. Inoltre, il direttore della protezione civile, Jerry Chandler, ha dichiarato: «Ci sono delle vittime, ma non ho ancora il bilancio preciso». A tal proposito, però, l’Usgs prevede un elevato numero di morti.

Idrogeno blu: la falsa soluzione climatica che piace ai petrolieri

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Il cosiddetto idrogeno blu viene generalmente presentato come un’ottima soluzione alla crisi climatica in quanto, seppur esso sia estratto da idrocarburi fossili, è caratterizzato da un sistema di cattura e di stoccaggio permanente dell’anidride carbonica derivante dal processo. Tuttavia, in realtà ci si potrebbe trovare davanti ad una fonte di energia non veramente pulita: un recente studio, pubblicato sulla rivista Energy Science and Engineering, ha infatti fornito la prima «valutazione completa del ciclo di vita delle emissioni derivanti dalla produzione di tale tipo di idrogeno», dalla quale è emerso che esso sia responsabile di «un’impronta di gas serra maggiore rispetto a quella di qualsiasi altro combustibile fossile». In tal senso i ricercatori, dopo aver sottolineato che le emissioni di gas serra analizzate, derivanti dall’intera catena di approvvigionamento dell’idrogeno blu, siano rappresentate sia dall’anidride carbonica che dal metano incombusto, hanno precisato come l’inquinamento prodotto sia rilevante in particolare a causa del rilascio di quest’ultimo.

In tal senso, l’inquinamento generato dall’idrogeno blu viene paragonato a quello derivante dall’idrogeno grigio (che rappresenta gran parte di quello oggi prodotto) la cui fabbricazione deriva dallo “steam reforming”, un processo con cui facendo reagire il metano ed il vapore acqueo si ottiene una miscela costituita essenzialmente da monossido di carbonio e idrogeno. Ebbene, dalla ricerca è emerso che, seppur le emissioni di anidride carbonica dell’idrogeno blu siano inferiori del 9%-12% rispetto al grigio, le emissioni di metano derivanti dalla produzione dell’idrogeno blu sono superiori a quelle dell’idrogeno grigio a causa di un maggiore uso di gas naturale per alimentare il sistema di cattura del carbonio. Si tratta di un dato importante, dato che il metano «causa un riscaldamento climatico 86 volte superiore a quello dell’anidride carbonica se si prende in considerazione un periodo integrato di 20 anni in cui vi è stata un’emissione pulsata dei due gas».

Inoltre, nello studio si legge che «l’impronta di gas serra dell’idrogeno blu è superiore di oltre il 20% rispetto alla combustione del gas naturale o del carbone per il riscaldamento e di circa il 60% rispetto a quella del diesel». Va detto, però, che tali risultati si basano su una ipotesi avanzata dai ricercatori: essi hanno infatti ipotizzato un tasso di emissione di metano del 3,5% dal gas naturale. Tuttavia, anche volendo prendere in considerazione un tasso di emissione di metano pari all’1,54%, «le emissioni di gas serra dell’idrogeno blu sono ancora superiori rispetto alla semplice combustione del gas naturale, e sono solo del 18%-25% inferiori all’idrogeno grigio».  A tutto ciò si aggiunga che l’analisi «presuppone che l’anidride carbonica catturata possa essere immagazzinata indefinitamente, un’ipotesi ottimistica e non dimostrata». Ma a prescindere da ciò, «l’uso dell’idrogeno blu sembra difficile da giustificare a livello climatico».

Eppure, come anticipato precedentemente, l’idrogeno blu finora è stato dipinto come un’ottima soluzione per affrontare il cambiamento climatico o quantomeno come un’alternativa più pulita rispetto a quello grigio. In tal senso, soprattutto le aziende petrolifere si sono schierate a favore di tale tipo di idrogeno: basterà ricordare che tra i progetti dell’Eni legati all’idrogeno c’é anche quello avente ad oggetto l’idrogeno blu, che in Italia la multinazionale vorrebbe produrre a Ravenna. La sua fabbricazione, secondo Eni, sarebbe utile in ottica «decarbonizzazione dei nostri prodotti energetici». Tuttavia, se fino ad oggi la produzione dell’idrogeno blu poteva essere giustificata in tal modo, adesso le evidenze emerse dallo studio potrebbero rendere futili delle motivazioni del genere. I risultati ottenuti, infatti, senza dubbio modificano la concezione finora avuta del peso ecologico dell’idrogeno blu, motivo per cui non possono che far sperare in un cambiamento di rotta da parte delle aziende petrolifere.

[di Raffaele De Luca]

In memoria di Gino Strada: medico degli ultimi, oppositore dell’imperialismo

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È morto la mattina del 13 agosto Gino Strada, medico, attivista e fondatore di Emergency. Si trovava nella città di Rouen, in Normandia, per una breve vacanza. Anche se soffriva di cuore, la sua morte è stata un evento inaspettato, e per chi conosceva il suo lavoro, scioccante.

Strada è stato un lottatore. Ha dedicato la sua intera vita agli ultimi della terra, per attutire come possibile i danni causati dalla guerra e dal nostro sistema finanziario rapace. Sempre rifiutando di voltare le spalle ai sofferenti, per quanto piccolo potesse essere il contributo – e nel suo caso non lo è stato, visto che ha salvato la vita di centinaia di migliaia di persone.

“Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui. È un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore.” GINO STRADA

Gino Strada era nato nel comune operaio di Sesto San Giovanni, appena fuori Milano, e aveva presto aderito al comunismo, all’università e presso attivisti umanitari cattolici. Medico chirurgo (con specializzazione in chirurgia di urgenza), aveva lavorato con la Croce Rossa in zone di conflitto tra cui la Bosnia, il Pakistan, l’Afghanistan e la Somalia.

Nel 1994 aveva fondato con la moglie Teresa Sarti e con alcuni colleghi l’associazione Emergency, che ha fornito supporto medico gratuito e di qualità alle vittime di guerra, delle mine antiuomo e della povertà per quasi tre decenni. Lo scopo, costruire strutture sanitarie consone che potessero poi essere lasciate alla popolazione locale.

È stato un personaggio divisivo perché radicale, coerente nella sua opposizione alla guerra e al sistema, il capitalismo, che la nutre. Quando non era sul campo, in luoghi devastati dai conflitti, era comunque una voce critica instancabile – è rimasto nel ricordo di molti come un pessimista, un uomo eternamente arrabbiato. «Io non sono pacifista, io sono contro la guerra», ripeteva spesso. La sua era un’opposizione intransigente, non solo contro la guerra, ma contro la mala gestione della sanità, dell’immigrazione, contro le industrie avide e approfittatrici e contro gli interessi economici, che scavalcano i diritti umani.

Profondo è stato il suo legame con l’Afghanistan, paese in cui visse 7 anni e in cui costruì un ospedale. Soprattutto, Gino Strada non smise mai di parlare dell’Afghanistan, paese invaso dagli Stati Uniti e dal resto dell’Occidente nella piena illegalità internazionale. E proprio in corrispondenza della sua morte, la questione afghana sta tornando a divenire pressante, con la rivalsa talebana seguita al ritiro formale delle truppe USA e NATO. Come ha dichiarato il portavoce di Amnesty International in un tweet,

A ridosso della morte, il pensiero di Gino Strada andava proprio all’Afghanistan. Aveva scritto un articolo, pubblicato il 13 agosto stesso da La Stampa, in cui ancora una volta biasimava la cieca politica occidentale, responsabile di aver devastato un paese, privandolo di ogni possibilità di sviluppo. Una guerra, quella in Afghanistan, che è stata un totale fallimento sotto ogni punto di vista: i paesi aggressori hanno speso miliardi di dollari, per poi di fatto essere sconfitti e scappare a gambe levate. Miliardi di dollari che poi hanno riempito le tasche dell’industria delle armi, che, come scrive Strada nell’articolo, «se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera».

[di Anita Ishaq]

Piogge torrenziali in Giappone: 5 milioni di persone evacuate

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Secondo quanto riportato dalla Cnn, in Giappone a cinque milioni di persone è stato ordinato di evacuare a causa delle piogge torrenziali che si stanno verificando sulla costa meridionale. Sono oltre 20 le prefetture in cui è stata individuata la minaccia di frane ed inondazioni. Inoltre, nello specifico, secondo l’emittente pubblica NHK l’allerta di livello 4 è stata assegnata a 17 prefetture, coinvolgendo così oltre 4 milioni di persone, mentre la più elevata, quella di livello 5, riguarda oltre un milione di individui presenti in altre 4 prefetture: Saga, Nagasaki, Fukuoka e Hiroshima.

Elogio dell’imprevedibile

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Spero che non mi stia leggendo qualcuno in attesa del check-in, a cui è stato rinviato il volo di tre ore: un ritardo, comunque, benché imprevisto, non sarebbe, dati i tempi, del tutto imprevedibile.

Vorrei parlare invece dell’imprevedibile come orizzonte filosofico, pensando per esempio a Karl Popper quando, in una memorabile intervista (La lezione di questo secolo, Marsilio 1992), afferma che la storia ci mette di fronte sempre a rivoluzioni impensabili, come è stata quella elettronica o prima ancora quella ferroviaria. Rivoluzioni che hanno inciso sugli aspetti del calcolo e della velocità, ad esempio, allo scopo di moltiplicare o facilitare le prestazioni, i contatti e gli spostamenti. E hanno obbligato la mente degli esseri umani a adottare nuove strategie nel rapporto con gli altri, segnando nuove tappe dell’evoluzione. “Non abbiamo bisogno di un senso della storia”, aggiunge Popper: quindi, l’avvenire è aperto, la storia non si muove in una direzione riconoscibile, sempre meglio la libertà del controllo, meglio la fantasia del timore, meglio il coraggio dell’obbedienza, l’ansia dell’oppressione ecc. ecc.

Il processo storico, sosteneva Jurij Lotman (La cultura e l’esplosione, Feltrinelli 1993), può essere paragonato a un esperimento, “l’esperimento che uno scienziato realizza al fine di scoprire delle leggi a lui stesso ancora ignote”. Nessun pronostico ci potrebbe avvertire dei “processi esplosivi”, vale a dire delle brusche svolte della storia: esse non sono di solito quelle che ci aspettiamo, non hanno nulla a che fare con i “processi graduali”, con gli eventi correnti a cui siamo preparati.

Sotto l’aspetto del linguaggio l’imprevedibile e l’inesprimibile coincidono: deve ancora succedere qualcosa che non può essere enunciato dal linguaggio che ora conosciamo. L’inconoscibile allora ci spingerà a inventare nuove parole per le scoperte, per le novità che ci attendono. Il pensiero adotterà nuove rappresentazioni simboliche all’irrompere di eventi dalle conseguenze non attese.

Il linguaggio e il tempo sono artisti. Il declino della vecchia cultura orale, dei racconti, delle fiabe, delle feste popolari, delle leggende e delle tradizioni, ma anche delle chiacchiere e delle conversazioni informali, ha ridotto, secondo Lotman, la parola sociale a un meccanismo comunicativo, quasi spento sul piano dell’immaginario, ininfluente sulla lunga durata, semplicemente efficiente, adeguato agli eventi ma spoglio di aspettative, uniforme, omologato, estraneo al futuro. Una parola che diventa sempre più veicolo di prescrizioni, di saperi accertati o di insinuazioni, di conoscenze già repertoriate, di istruzioni da seguire. Internet, a fronte di una esplosione artistica, di una invenzione rivoluzionaria che cosa vale?

L’impressionismo aveva valorizzato l’interiorità del vedere, il futurismo aveva osannato la velocità, il cubismo il cortocircuito dei punti di vista, l’esistenzialismo la prigionia del destino e le ambiguità del presente, il neorealismo la lotta per la vita, l’iperrealismo la rappresentazione estatica dell’attimo, e via così; ogni movimento estetico proietta nella propria ispirazione un’ideale, spinge le forme espressive a darsi un nuovo compito principale, osserva il mondo in modo originale, anche prepotente, rintracciando aspetti ancora non chiari, forzando per quanto può il pensiero a prendere in considerazione l’inconoscibile. Fa proiezioni, sì, ma non pretende di avere ragione.

Quale dev’essere allora la lezione per il nostro secolo? Penso all’imprevedibile come suggestione estetica, creativa, al posto della paura, dell’attesa conflittuale, del calcolo, del controllo in base alle aspettative. Non uno Stato paternalista o un governo, allora, che si occupi del benessere e della felicità di ognuno. Non sappiamo in che cosa consistano. Non un governo che limiti le ansie e quindi le libertà. È in azione il principio kantiano rimesso in gioco da Stuart Mill: lo Stato è tenuto a obbligare il cittadino a qualcosa che lui non vorrebbe, in base al presupposto che sarebbe per il suo bene? Mai e poi mai. “Nessuno mi può costringere a essere felice in un certo modo, ma ciascuno può cercare la propria felicità nel modo che gli sembra opportuno”.

Che cosa c’entra questa affermazione di Kant con l’imprevedibile? Se accettiamo l’imprevedibile è perché ammettiamo l’irregolarità del divenire e delle sue conseguenze, la varietà delle scelte, delle motivazioni e delle vie che si possono prendere. Il mondo potrebbe essere sempre diverso da come è. Altrimenti saremmo una società congelata in una drammatica forma di autismo.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Usa: via libera definitivo a terza dose vaccino Covid per fragili

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In seguito all’autorizzazione di una terza dose del vaccino anti Covid per gli immunodepressi da parte della Fda (Food and Drug Administration), è arrivato l’ok anche dai vertici della Cdc (Centers for Disease Control and Prevention), la più importante autorità sanitaria statunitense. L’approvazione riguarda appunto i soggetti che hanno un sistema immunitario debole, come chi ha subito un trapianto o coloro che sono malati di cancro.

Post-Pandemia, il mondo che verrà

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Il compito più importante del giornalismo è quello di unire i puntini. Questo è quanto insegnavano un tempo i maestri del giornalismo. Un compito oggi ancor più urgente e difficile.

I puntini sono le notizie che ci travolgono ogni giorno, ad un ritmo così incessante e caotico da rendere quasi impossibile orientarsi. La funzione di un giornalismo realmente al servizio della verità è quello di porsi di fronte a questi puntini con la pazienza e il rigore del miglior enigmista allo scopo di selezionarli e unirli nell’ordine corretto al fine di ricavarne il disegno complessivo, e poi spiegarlo al lettore.

Questo è il compito che proveremo ad assolvere con Monthly Report, il mensile riservato agli abbonati de L’Indipendente. Facendolo con coraggio e rimanendo sempre ben ancorati ai fatti, ai dati e alle verifiche. Per metterci alla prova abbiamo ben pensato di cominciare dal tema più arduo e urgente di tutti: la pandemia. O meglio la post-pandemia: il “nuovo mondo” che si sta dipanando in questa emergenza.

Nel monthly report “Post Pandemia, il mondo che verrà” si trovano 30 pagine di inchieste, riflessioni e spunti per provare a capire come la fase che stiamo vivendo potrà influenzare il mondo che verrà e soprattutto come alcuni grandi attori economici stiano cercando di utilizzarla per aumentare la loro influenza, nella consapevolezza che – come dichiarato dal presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, «Molti si stanno chiedendo quando le cose ritorneranno alla normalità. La risposta in breve è: mai».

Nel numero partiamo proprio dal disegno pianificato ed esposto ufficialmente dal World Economic Forum, ovvero il consesso delle più grandi imprese multinazionali del mondo, sotto il nome di Great Reset. Un articolo firmato dall’economista Ilaria Bifarini ci accompagna alle radici del “sogno” di molti degli uomini forti dell’economia mondiale, su come i governi del mondo dovrebbe utilizzare l’assist del coronavirus per accelerare verso una nuova rivoluzione industriale, caratterizzata da una sempre maggiore integrazione ed interdipendenza, non solo delle economie mondiali nel classico disegno della globalizzazione, ma dei poteri, dell’informazione e dell’uomo stesso in una simbiosi con un futuro fatto di intelligenze artificiali.

Si prosegue andando a verificare come effettivamente da febbraio 2020 molte cose siano già cambiate. Raccontiamo come l’economia mondiale abbia visto un’accelerazione senza precedenti della concentrazione della ricchezza, con i magnati legati ad internet ed al commercio online che hanno realizzato profitti d’oro grazie ai lockdown, mentre tra i nuovi miliardari spuntano con decisione i manager delle bigpharma. Tratteggiamo poi, con dovizia di dati e fonti, come nella pandemia il potere dei Big Three, ovvero i tre grandi fondi d’investimento globali (BlackRock, Vanguard e State Street) abbia irrimediabilmente oltrepassato il livello di guardia democratico.

Si parla poi di tecnologia, andando a capire “a che punto è il futuro” tra intelligenze artificiali, usi militari e controllo delle informazioni. Settori sempre più al centro di cospicui investimenti da parte degli stati e di soggetti privati, in una corsa alla tecnologia che sfocia in quello che è stato definito capitalismo del controllo. Con la pandemia che – come sottolineato dall’Onu – è stata usata in molti paesi come scusa per restringere i diritti democratici. Anche nel cuore del vecchio continente, come insegna quanto sta avvenendo in Francia e nel Regno Unito.

Un panorama dove il controllo dell’informazione diventa sempre più stringente, con la libertà di espressione sorvegliata dagli algoritmi dei social e i media attraverso un utilizzo sempre più politico dell’etichetta di “fake news”, con il rischio che questa diventi – come vedremo – un marchio impresso a fuoco sulle testate che diffondono notizie scomode.

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

Covid: Cina si oppone a nuova indagine richiesta dall’Oms

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La Cina ha respinto la richiesta dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di effettuare una nuova indagine sull’origine del Covid-19. Il viceministro degli Esteri, Ma Zhaoxu, ha infatti comunicato ai giornalisti che la Cina sostiene il tracciamento scientifico ma non quello politico, ed a tal proposito ha aggiunto: «Abbandoniamo il rapporto congiunto». Esso era stato pubblicato dopo che un team di esperti dell’OMS aveva visitato Wuhan nel mese di gennaio.

La Pfizer abolisce gli studi in doppio cieco sul vaccino, gli unici realmente affidabili

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Pfizer, la nota azienda farmaceutica statunitense, nell'ultimo periodo sta cercando di evidenziare l'importanza di sottoporsi ad una terza dose del suo vaccino anti Covid. Tuttavia, stando ai dati ed agli studi effettuati, non solo la reale efficacia e sicurezza di una terza iniezione sembrano non essere certe, ma nemmeno la necessità della stessa può, alla luce dei fatti, essere data per scontato.
In tal senso, basterà ricordare che per giustificare l'introduzione di una ulteriore somministrazione innanzitutto bisogna essere sicuri del fatto che la protezione che si ottiene sottoponendosi sol...

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