La cosiddetta “guerra difensiva popolare”, che sta avendo luogo in Myanmar, è segnata da una crescente violenza. Sono almeno venti le persone uccise negli scontri tra le milizie e le forze di sicurezza del Myanmar, come fanno sapere testimoni e media del Paese. Un altro violento combattimento che arriva dopo che sabato, gli attivisti e le forze anti-militari, hanno fatto appello alla comunità internazionale purché quest’ultima possa agire, visto che la resistenza armata è anche conseguenza della mancanza di interventi esterni significativi.
Viva la cucina! Pietra tombale degli oppressori
“Il diritto, il bisogno di pensare in termini diversi da quelli dell’uso comune“: è una affermazione di Herbert Marcuse, 1964. Ma oggi che cos’è l’uso comune? Quello che si impone nella televisione e nei social a fronte della vita di tutti i giorni? Oppure quello che si sta preparando all’orizzonte come omologazione planetaria dove di consapevolmente comune, anche in modo residuale, non rimarrà più niente? E sul terreno della alimentazione, del cibo, quali sono le condizioni?
Prendiamo alla sprovvista la logica del buon senso e non facciamoci domande sul futuro, sui rischi che corriamo ecc. ecc. Andiamo direttamente sul luogo del delitto, e poi chiediamoci quale può essere il movente. Eccoci dunque in cucina, il luogo più allegorico che ci è rimasto, l’ultima frontiera della produzione simbolica, il fronte bollente della difesa dall’invasione del cibo pianificato, il fortino della diversità, del bollente e del tiepido, dell’unto e del vapore, dell’umido e del secco. Il grande antropologo Claude Lévy Strauss intitolava il suo capolavoro, erano gli anni di Marcuse, Il crudo e il cotto. Da questo principio culinario e metafisico nessuna cultura del mondo transige. Nemmeno le capitalistiche microonde ci sottraggono al bisogno di trovare la giusta temperatura, ciò che il piatto e i commensali richiedono.
Nessuno dunque con successo speri di propinarci, qui o in qualsiasi contrada del mondo, lo stesso cibo preconfezionato, conforme ai profitti dei controllori mondialisti, sterile, neutrale papocchio della loro ipocrisia.
Dopo le straordinarie, molteplici iniziative, ad esempio di Slow Food e Eataly, non è pensabile ridurre l’umanità alle stesse porzioni e scatolette, con il pretesto dell’equa distribuzione. Il cibo è iniquo invece, è giustamente sintomo delle disuguaglianze, dei bisogni. Con tutto ciò saranno i pescatori e i contadini, con la loro fatica e le loro lotte a salvare il mondo, sempre che i consumatori non credano all’ignoranza e al credo distopico degli equalizzatori del mondo.
Viva le cucine etniche e multietniche, le prescrizioni religiose e le trasgressioni, viva le ricette delle più grandi tradizioni e quelle delle più eccessive contaminazioni.
Guardiamo pure i format culinari in tivù con il loro impietoso spirito competitivo, con le ansie e le lacrime, con le loro cucine chirurgiche e i loro giudici intolleranti. Seguiamo i food blogger più intelligenti ma anche quelli scemi, tutto purché in qualche parte oscura del mondo non si preparino le razioni per tutti come se la alimentazione fosse un problema di sopravvivenza. No, è la cucina che deve sopravvivere, la cucina, il tempio dell’oikos, dimora dell’incontro, con i suoi fumi e i suoi profumi, i suoi tempi e i suoi spazi, le sue sconfitte e le sue glorie. La cucina, luogo del sistema nervoso centrale periferico della civiltà, pietra tombale degli oppressori.
Tomaso Garzoni, il fantasmagorico scrittore cinquecentesco, così percorreva con la sua prosa immaginifica e roboante i tratti costitutivi della cucina: “I golosi del loro dio divoti corrono sovente al cerchio dell’Hostarie, come da una campana desti e svegghiati, alla cucina come al tempio, alla dispensa come all’altare; alla cantina come al lavello di sacristia, al pollaro come al luogo delle vittime; e si dilettano del fumo degli arrosti come d’incenso, del colar del grasso come di balsamo, dello stridor delle padelle come di suono d’organo e del friger delle teglie come di canto fermo e figurato insieme. Ebbe questa professione il suo principio in Asia…, e quindi come racconta Tito Livio le morbidezze forastiere… entrarono nella città di Roma, e fu la prima volta allora che le vivande s’incominciarono apparecchiare con maggior cura e spesa, e fu allora che i cuochi salirono in prezzo e, uscendo fuori d’una cucina tutta onta, bagnati ancora di brodo, tinti di fumo, sporchi di grasso, onti di olio, con le pentole, i piatti, il pestello, il mortaio e lo spiedo, entrarono nelle scuole e, drizzando un’Accademia di Leccardia, si cominciarono a far conoscere per maestri e dottori di quanto in tutta la lor arte si ritrova” (Della Piazza Universale di tutte le professioni del mondo, discorso XCIIII).
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Talebani, Onu: uccisi almeno 4 manifestanti dalla presa del potere
Almeno 4 manifestanti sono stati uccisi dai Talebani dal giorno della presa del potere a Kabul. È quanto si legge in un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani di Ginevra, all’interno del quale si condannano i Talebani a causa della «crescente repressione» del dissenso attuata attraverso l’uso, contro i dimostranti, di armi da fuoco, fruste e bastoni. A tal proposito, una portavoce ha affermato: «chiediamo lo stop immediato delle violenze contro i cittadini che esprimono il loro diritto a radunarsi pacificamente ed i giornalisti che seguono le proteste».
L’Italia armerà i suoi droni? Lo lascia intendere un documento della Difesa
Gli aeromobili militari a pilotaggio remoto, meglio noti come droni o UAV, sono ormai parte integrante delle strategie di sorveglianza e di difesa delle Forze armate occidentali in quanto rappresentano un enorme vantaggio nelle dinamiche di guerra, soprattutto in un panorama bellico asimmetrico.
Allo stesso tempo, i droni non mancano di sollevare parecchie perplessità, se non altro perché i modelli dotati di missili terra-aria sono noti per essere soggetti a un uso scriteriato che porta a un numero disarmante di vittime collaterali. Fino a oggi, l’Italia si è chiamata fuori da questo bagno di sangue e ha adoperato gli apparecchi incriminati solamente nell’ottica dello spionaggio, sembra tuttavia che le cose stiano per cambiare e che anche i militari nostrani siano in procinto di entrare nel settore dei bombardamenti hi-tech.
A suggerirlo tra le righe è il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2021-2023, il carteggio con cui la Difesa esplicita pubblicamente le previsioni di spesa del budget per gli anni venturi. Tra le più di duecento pagine digitali, emerge una rapidissima parentesi in cui si annuncia l’adeguamento del “payload” – il carico utile – dei MQ-9, droni colloquialmente detti MALE Reaper.
Cosa si intenda nel contesto per payload è motivo di dibattito. Ciò che sappiamo è che il dicastero sia convinto che tale aggiornamento renderà «disponibile una flessibile capacità di difesa esprimibile dall’aria» e che introdurrà «una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza».
Secondo RID, rivista specializzata del settore, non vi sono ambiguità: l’esercito italiano avrebbe accantonato ogni dubbio etico per abbracciare con convinzione l’uso degli UAV armati, strategia definitiva con cui minimizzare le proprie perdite. Un’interpretazione estrema, ma per nulla inverosimile, se si tiene conto che i principi etici del Bel Paese si siano già dimostrati flessibili nel momento in cui si è scelto di lasciar decollare MQ-9 dotati di missili dalla base americana di Sigonella, Sicilia.
Vista l’ambiguità della terminologia adottata dal Ministero della Difesa è altresì possibile che si tratti di un grande fraintendimento, che la modifica del carico utile abbia magari a che fare con strumentazioni non letali. Per risolvere l’arcano abbiamo provato a chiedere chiarimenti agli uffici ministeriali, ma siamo ancora in attesa di un opportuno riscontro.
[di Walter Ferri]
Pantelleria: tromba d’aria provoca 2 morti e 9 feriti
Due persone hanno perso la vita ed altre nove sono rimaste ferite: è questo il bilancio attuale della tromba d’aria che si è abbattuta nel tardo pomeriggio di ieri sull’isola di Pantelleria. Le condizioni meteo non hanno consentito, però, nella notte di trasferire negli ospedali di Palermo i feriti, quattro dei quali, secondo quanto affermato dalla Protezione Civile, sono in gravi condizioni. Il primo trasferimento, dunque, dovrebbe avvenire non appena le condizioni meteo permetteranno all’elisoccorso di partire in sicurezza.
Alitalia, Ue: “illegali aiuti da 900 milioni del 2017, Italia li recuperi”
La Commissione europea ha stabilito che i due prestiti statali concessi dall’Italia ad Alitalia nel 2017, relativi ad un importo complessivo di 900 milioni di euro, sono illegali ai sensi delle norme Ue in materia di aiuti di Stato. Nello specifico, come dichiarato dalla vice presidente della Commissione europea Margrethe Vestager, tali presiti «hanno conferito ad Alitalia un vantaggio sleale rispetto ai suoi concorrenti». L’Italia è perciò tenuta a recuperare gli aiuti dalla compagnia, maggiorati degli interessi.
L’improbabile guerra dei giudici contro i canali “no Green Pass” su Telegram
In Italia, ultimamente si sta intensificando l’azione degli apparati dello Stato nei confronti di coloro che i media mainstream definiscono “no vax”, termine generalmente utilizzato per indicare indistintamente tutti coloro che si oppongono non solo ai vaccini anti covid ma anche al Green Pass. Ad essere preso di mira è il social Telegram, e in maniera particolare il gruppo “Basta Dittatura”, ritenuto la base operativa da cui sono derivati alcuni episodi di violenza e descritto (erroneamente) dai media come il quartier generale di tutte le persone che si oppongono alle politiche post-pandemiche.
Come anticipato, però, non solo i giornali si stanno accanendo contro questo canale: basterà ricordare che recentemente la Procura di Torino ha emesso un decreto di sequestro nei suoi confronti. Come riportato dal quotidiano La Stampa infatti, che cita fonti del palazzo di Giustizia, il testo è stato inviato a una mail istituzionale di Telegram, utilizzata dall’autorità giudiziaria per fare presente la richiesta di chiudere la chat alla struttura legale del social. Il decreto fa seguito al fascicolo aperto nei giorni scorsi avente ad oggetto l’ipotesi dei reati di trattamento e diffusione illecita di dati personali e, come annunciato la settimana scorsa dalla direttrice della Polizia Postale Nunzia Ciardi, di istigazione a delinquere con finalità terroristiche aggravata dall’utilizzo di mezzi informatici. Tale reato, è appunto anche alla base delle indagini sui canali Telegram ad opera della Polizia Postale, le quali devono quindi aggiungersi all’operato della Procura di Torino.
Tornando ad essa, va detto che dalla struttura legale di Telegram, la cui sede è a Dubai, non è ancora arrivata una risposta ufficiale ed al momento la chat in questione è aperta e funzionante. In tal senso non è da escludere il fatto che, se nei prossimi giorni dovesse proseguire questa situazione di stallo, i magistrati potrebbero avviare una rogatoria internazionale.
Ad ogni modo, però, non ci si deve meravigliare dell’attuale indifferenza da parte di Telegram, che si propone come una piattaforma del tutto libera e priva di censura. La sua mancata risposta, inoltre, può essere meglio compresa soprattutto se si pone l’attenzione su vicende simili che hanno coinvolto il social in passato. C’è ad esempio il caso della Germania, con le autorità tedesche che negli scorsi mesi hanno avviato un procedimento contro l’app di messaggistica accusandola di non rispettare le leggi che impongono ai social media di controllare le azioni dei propri utenti e di vietare le chat con contenuti illegali. Anche quella volta, però, Telegram ha ignorato la richiesta delle autorità.
Da menzionare poi anche il caso della Bielorussia dove, come è risaputo, da oltre un anno si svolgono proteste contro il governo, le quali più volte sono state represse con la violenza. Ebbene, è all’interno di tale contesto che si colloca la richiesta della nota azienda multinazionale Apple, la quale nel 2020 ha invitato Telegram a chiudere 3 canali gestiti da manifestanti bielorussi in cui erano stati pubblicati i dati personali di individui appartenenti alle forze dell’ordine. A tale richiesta, però, il fondatore del social, Pavel Durov, ha risposto così: «Preferirei lasciare stare i canali, ma in genere Apple non offre molta scelta ad app come Telegram in tali situazioni. Sfortunatamente, presumo che questi gruppi finiranno per essere bloccati su iOS (sistema operativo sviluppato da Apple), ma rimarranno disponibili su altre piattaforme». Successivamente Apple ha dichiarato che la richiesta non fosse quella di eliminare i 3 canali in questione ma solo i messaggi specifici contenenti dati personali, al che Durov ha risposto ancora: «questi canali sono costituiti interamente da informazioni personali degli oppressori violenti. Nascondendo le loro richieste con un linguaggio vago, Apple sta cercando di non assumersi la responsabilità di quanto richiesto».
Dunque, alla luce di tutto ciò, l’attuale menefreghismo da parte di Telegram nei confronti della richiesta della procura di Torino non rappresenta di certo una novità, ed in base agli episodi sopracitati sembra alquanto improbabile che Telegram prenda in considerazione il decreto di sequestro.
[di Raffaele De Luca]
Napoli: protesta dei lavoratori della Whirlpool
Ancora una volta, gli operai dello stabilimento Whirlpool di Napoli sono scesi in strada a protestare. Questa mattina, sono partiti in corteo dalla sede del sito in via Argine e si sono diretti verso il porto del capoluogo campano, dove hanno bloccato i mezzi in entrata ed in uscita. A fine settembre, infatti, scadrà il termine per i licenziamenti.
Contrordine, Erdogan secondo Draghi non è più un dittatore: “rapporti eccellenti”
Era l’8 aprile scorso quando il presidente del Consiglio Mario Draghi definiva in conferenza stampa il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan «un dittatore del quale abbiamo bisogno». Cinque mesi dopo le cose sono evidentemente cambiate. Quantomeno dal modo in cui il sito ufficiale di Palazzo Chigi riporta la notizia della conversazione telefonica intercorsa ieri tra i due leader. La nota della presidenza del Consiglio parla di «fruttuoso e amichevole scambio di vedute» sulla crisi afghana, di «rinnovato invito» fatto dal premier italiano ad Erdogan per partecipare al prossimo vertice del G20 a Roma, finanche di «eccellenti rapporti bilaterali» e delle «opportunità di ulteriore rafforzamento del partenariato italo-turco in tutti i settori». Una svolta completa, o forse solo una dimostrazione di come i binari dei rapporti tra stati si muovano ben al di fuori di certe dinamiche televisive, buone più per il consenso interno che per la realtà della geopolitica.
Nel discorso dell’8 aprile Draghi aveva anche avvisato che con questi “utili dittatori” sarebbe stato «franco nell’esprimere la diversità di vedute, di opinioni, di comportamenti e di visioni della società». Di tale franchezze però nel comunicato non vi è alcuna traccia. E non che la Turchia abbia mutato atteggiamento nella repressione dell’opposizione interna e nella guerra contro i curdi. Appena quattro giorni fa l’esercito di Erdogan ha bombardato con dei droni nientemeno che il campo profughi di Makhmur, nel Kurdistan iracheno, in una operazione contro i civili che lo stesso ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite ha definito una violazione del diritto internazionale. Nient’altro che l’ultimo capitolo di una lunga scia di violazioni dei diritti civili e politici in Turchia, che passa dagli arresti degli studenti che si oppongono al regime, ai tentativi di messa al bando del partito filo-curdo, fino al controllo sui social media e al divieto di manifestare per la comunità Lgtb.