martedì 23 Settembre 2025
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Come i big data possono impedire il commercio illegale di specie selvatiche

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I big data possono essere un’arma utile per contrastare il commercio illegale di animali selvatici: è questo l’assunto su cui si basa il WildTrade, un progetto finanziato dall’Unione europea, che ha messo a disposizione dello stesso un budget complessivo di quasi 1,5 milioni di euro, ed a cui capo vi è Enrico Di Minin, professore associato di geografia della conservazione presso l’Università di Helsinki. Il progetto è iniziato nel 2019 e la sua fine è prevista per il 2024, anno entro il quale dovranno essere «quantificati i modelli e le tendenze globali del commercio illegale di specie selvatiche». Per riuscire a raggiungere tale scopo, appunto, verranno utilizzati i big data estratti dai social media, così da identificare «le specie selvatiche che vengono scambiate ed i motivi alla base del loro commercio» nonché «gli hotspot e i mercati globali».

La motivazione della scelta di dare vita a questo progetto può essere facilmente individuata nel fatto che «migliaia di animali selvatici e prodotti associati vengono venduti illegalmente e spediti quotidianamente in tutto il mondo». Questo costituisce una delle principali minacce per ciò che concerne il problema dell’estinzione, nei confronti del quale certamente vi è la «volontà politica di fermarlo», tuttavia l’entità e la portata del commercio illegale di specie selvatiche «sono state studiate relativamente poco rispetto ad altre minacce che interessano la conservazione della biodiversità». Ciò anche poiché, comunque, attualmente non vi sono molti dati a disposizione e risulta quindi complesso «determinare il volume del commercio illegale nonché capire quale sia la disponibilità di prodotti della fauna selvatica illegale sul mercato».

L’esigenza di portare avanti un progetto del genere e di utilizzare i big data appare dunque chiara, a maggior ragione se si considera che questo commercio illecito sia ormai «un’impresa criminale globale multimiliardaria che ora sta esplodendo online». In tal senso, basterà ricordare che anche secondo l’Interpol, un’organizzazione internazionale dedita alla cooperazione della polizia e al contrasto del crimine internazionale, la compravendita illegale relativa alla fauna selvatica si sta spostando online, con i trafficanti che utilizzano proprio i social media per la pubblicizzazione e la vendita.

[di Raffaele De Luca]

Patrick Zaki ancora in carcere: processo aggiornato al 28 settembre

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È stato aggiornato al 28 settembre il processo che si svolge a Mansura nei confronti di Patrick Zaki, l’attivista per i diritti umani e studente dell’Università di Bologna detenuto in Egitto da più di un anno. Egli resterà dunque in manette fino a questa data. A testimoniarlo è stata l’agenzia di stampa ANSA, secondo cui l’annuncio è stato dato da un poliziotto al termine della prima udienza tenutasi nella giornata di oggi. Quest’ultima è durata 5 minuti e Zaki, ammanettato nella gabbia degli imputati, ha in sostanza affermato di essere stato detenuto per un periodo di tempo maggiore di quello previsto dalla legge per i reati minori di cui è attualmente accusato.

Monthly Report: I padroni del cibo, chi controlla il nostro carrello

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Dai contadini curvi sui campi di grano e nelle risaie indiane, agli indios degli altipiani boliviani che raccolgono la quinoa tanto di moda nelle diete occidentali, agli sfruttati nei campi di cacao nell’Africa occidentale. Nel mondo centinaia di milioni di persone coltivano le terre dalle quali si raccolgono le materie prime alla base dei cibi industriali che troviamo al supermercato. Rappresentano l’altra faccia della medaglia di ciò che mettiamo in tavola. Non li vediamo ma sono strettamente legati a noi. La filiera dell’alimentazione contemporanea è organizzata in uno schema a clessidra: da un lato miliardi di produttori, dall’altro miliardi di consumatori, i granelli di sabbia che scorrono sono i prodotti dalla terra da un lato e il denaro che serve per acquistarli dall’altro. Al centro della clessidra, a determinare e gestire gli scambi, pochissimi soggetti sempre più potenti: le multinazionali del cibo e dei semi, un manipolo di potenti intermediari finanziari, i colossi della grande distribuzione. Sono loro i padroni del cibo. Determinano i salari e i diritti sul lavoro di milioni di contadini, il livello di sofisticazione e di salubrità del prodotto finito che mettiamo a tavola nonché il prezzo che dobbiamo pagare per acquistarlo. Molto spesso, come vedremo, riuscendo a piegare i poteri legislativi che dovrebbero regolare la filiera nell’interesse dei cittadini.

Un meccanismo che va spezzato. E il primo passo per farlo è conoscerlo.

Dall’altro lato della clessidra, quello più povero e in teoria con meno armi per combattere, si stanno dando da fare. Sarà forse perché alcune cose alla base della filiera emergono con più evidenza, o forse perché hanno meno da perdere, fatto sta che hanno saputo sollevarsi e prendere la mira contro i veri bersagli, ottenendo la vittoria in qualche importante battaglia. In India, dalla regione contadina del Punjab, centinaia di migliaia di contadini si sono mossi in una marcia di protesta durata mesi. I gruppi più radicali hanno attaccato fisicamente le sedi dei colossi dell’agrobusiness, sequestrandone i beni, tagliando i cavi elettrici, danneggiandone sedi e attrezzature. Una lotta durata mesi e culminata nella sospensione di quelle che i contadini avevano ribattezzato le “leggi nere”, provvedimenti per liberalizzare i prezzi dei prodotti agricoli scritti dal governo in base alle esigenze delle grandi aziende esportatrici. Dall’altra parte del mondo, nella regione di Sololà, oltre centocinquantamila contadini appartenenti a 82 comunità diverse si sono dati appuntamento dopo settimane di marcia con mezzi di fortuna dai punti più lontani del Guatemala. Hanno bloccato le strade, subito le cariche della polizia, contrattaccato con la determinazioni di chi lotta per i propri diritti di base. Anche loro hanno vinto: il governo guatemalteco si è visto costretto a ritirare la legge di Obtencion Vegetales, dai contadini ribattezzata più correttamente Legge Monsanto, che avrebbe aperto le porte del Paese ai semi geneticamente modificati.

E dal nostro lato della clessidra? I motivi di preoccupazione non mancano. La filiera del cibo che portiamo a tavola è sempre più storta, i contadini sempre più vincolati ai bassi prezzi imposti dalla grande distribuzione, i cibi sempre più carichi di zuccheri e antibiotici, l’ambiente sempre più attaccato da metodi di produzione intensivi ed energivori. Ma anche qua le cosa possono cambiare, e alcune esperienze di resistenza stanno crescendo. È una guerra, e i consumatori possono essere l’ago della bilancia. Non a caso siamo stati educati a non ragionare, a non leggere le etichette, a fidarci delle pubblicità. In poche parole, a riempire il carrello senza fare domande. Ma è tempo di cambiare le cose.

Il secondo numero del nostro Monthly Report, il mensile di approfondimento e inchiesta riservato agli abbonati de L’Indipendente, è dedicato a questo affascinante tema. Al suo interno oltre 30 pagine di contenuti esclusivi per comprendere le dinamiche che si celano sotto la nostra tavola e tratteggiare come – tra tecnologia, finanza e “svolta green” – le cose potrebbero cambiare nel futuro prossimo.

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

Le mascherine prodotte da FCA con soldi pubblici non funzionano: ritirati interi lotti

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In una nota del 6 settembre dal Minstero della Salute al Ministero dell’Istruzione, si dispone la necessità di ritirare due lotti (00914086180 e 00914086190) di mascherine facciali prodotte da FCA Italy S.P.A., perché non conformi. I lotti indicati sono stati prodotti presso lo stabilimento di Mirafiori di Torino, nel periodo che va dal 24 agosto 2020 al 17 dicembre 2020.

Le mascherine sono state quasi integralmente distribuite nelle scuole italiane, e già a partire da gennaio 2021 Rete Iside, USB e Osa avevano deciso di verificare l’effettiva conformità delle mascherine FCA, viste le svariate segnalazioni ricevute; era dunque stato presentato un esposto-denuncia alla magistratura, in cui veniva segnalato come i presidi non rispondessero ai requisiti di norma in tema di efficienza di filtrazione batterica (BFE). Nella nota esplicativa dell’esposto-denuncia si chiedeva la verifica del reato di frode «In pubbliche forniture e più in generale di pericolo per la salute pubblica». Infatti, l’azienda della famiglia Agnelli ed Elkann ha siglato un accordo con il Governo Conte Bis nell’estate del 2020, per la produzione – ogni giorno – di decine di milioni di mascherine con il logo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, utilizzando soldi pubblici con il fine, soprattutto, di produrre al più presto presidi medici in grado di proteggere i soggetti più deboli.

Nonostante le verifiche effettuate e la denuncia per frode, la sopracitata nota del Ministero della Salute è stata pubblicata solo nove mesi dopo le segnalazioni e qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni. Rimangono dunque lotti di mascherine distribuite dalla FCA negli istituti di tutta Italia senza che esse siano state verificate come conformi; viene da sé l’impossibilità di risalire a quali mascherine – tra le milioni che circolano nelle scuole – siano o non siano adatte alla protezione di chi frequenta gli istituti scolastici. Per questo motivo, diviene imperativo il ritiro in tutta Italia delle mascherine FCA.

[di Francesca Naima]

Usa, la Bayer-Monsanto di nuovo a processo: è accusata di avere intossicato una scuola

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La Monsanto, di proprietà di Bayer, dovrà affrontare un nuovo processo nel tribunale dello Stato di Washington, vista l’ultima accusa ricevuta: la Monsanto sarebbe infatti responsabile di una presunta contaminazione chimica nello Sky Valley Education Center (scuola pubblica di Monroe, Washington). Secondo chi frequenta la scuola (dagli studenti e i loro genitori, agli insegnanti, al personale scolastico) la multinazionale deve rispondere alle lesioni causate dall’esposizione ai PCB (policlorobifenili) che sono sostanze chimiche tossiche per l’uomo e per l’ambiente. L’apertura del processo è prevista per il 20 settembre presso la King County Superior Court ed è la seconda volta in poco tempo che la Monsanto si trova in tribunale.

Poche settimane fa, infatti, la multinazionale ha risarcito tre insegnanti – sempre parte dell’istituto Sky Valley di Monroe – i quali affermavano di avere subito lesioni neurologiche e problemi di salute (grave affaticamento, difficoltà cognitive…) per l’esposizione ai PCB dal 2011 al 2015. Gli insegnanti hanno puntato il dito contro l’unica azienda che produce PCB – appunto, la Monsanto – precisando che quest’ultima fosse a conoscenza della dannosità dei PCB – e ben prima di essere banditi negli anni ’70 – . In risposta, l’azienda ha detto che il livello di esposizione ai PCB nella scuola è troppo basso per causare davvero lesioni, sostenendo che i danni riscontrati potrebbero nascere da altre problematiche legate alla struttura, come un’estesa presenza di muffe.

Comunque, alla fine, gli insegnanti hanno avuto la meglio e il verdetto del 27 luglio è stato il seguente: 50.150.000 dollari di danni compensativi e 135 milioni di dollari di danni punitivi assegnati al gruppo di insegnanti. Dal 20 settembre si aprirà, quindi, un secondo processo di natura molto simile al sopracitato; per la multinazionale statunitense si prospetta un’ulteriore trafila legale, e non sembra sia l’ultima. Ci sono infatti svariate azioni legali in corso contro la Monsanto (sempre relative all’esposizione ai PCB), e non solo da parte dei circa 200 querelanti nella sola struttura di Sky Valley, ma in tutti gli Stati Uniti. Le accuse relative all’uso dei PCB si aggiungono ad altri scandali legali che hanno coinvolto la Bayer-Monsanto.

[di Francesca Naima]

Roma: esplosione e fiamme in una palazzina

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Nella periferia di Roma, nello specifico in via Atteone (Zona Tor Bella Monaca) un’esplosione ha coinvolto una palazzina, facendone crollare una parte. Sono partite le fiamme che hanno coinvolto tutta la struttura e secondo ciò che si apprende finora, sono tre le persone che risulterebbero ferite. I pompieri hanno per il momento evacuato tutto il palazzo. Dalle prime informazioni pervenute, la causa dell’esplosione sarebbe legata alla fuga di gas avvenuta nell’appartamento situato all’ultimo piano della palazzina.

Texas, la reiniezione petrolifera ha causato 2.000 terremoti in un anno

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Quest’anno nella cittadina di Pecos, in Texas, hanno avuto luogo 1.971 terremoti. Un aumento considerevole rispetto al 2020, quando se ne sono verificati 227, e rispetto al 2019, anno in cui lì la terra ha tremato appena 97 volte. Sebbene il Texas sia frequentemente soggetto a fenomeni sismici naturali, in questo caso non c’è dubbio: i terremoti sono causati dalle attività petrolifere. Nel 2007, infatti, l’area di Pecos risultava praticamente priva di attività sismica. Successivamente questa – come rivelano i monitoraggi del US Geological Survey – è andata ad aumentare progressivamente nel tempo. Così come l’estrazione di combustibili fossili nella stessa area. Si arriva così ai quasi 2 mila terremoti registrati nel 2021. Tutti con magnitudo 1,5 o superiore. Non è certo se la totalità di questi dipenda dall’attività industriale, ma la correlazione tra questa e il fenomeno – dicevamo – è ormai incontrovertibile.

Nel mirino, in particolare, c’è la pratica della reiniezione. L’attività prevede che le acque sotterranee, precedentemente estratte insieme agli idrocarburi, vengano reimmesse nella roccia serbatoio di origine allo scopo di essere smaltite. Questo genera cambiamenti nella pressione sotterranea e porta alla riduzione dell’attrito che inibisce lo scorrimento tra faglie esistenti. Con il risultato che determinati terremoti potrebbero scatenarsi o amplificarsi proprio a seguito di tali processi. Anche altre attività estrattive potrebbero avere conseguenze analoghe ma, in proporzione, quelle legate all’industria fossile sono di gran lunga le più frequenti. E il tutto – come dimostra un report dell’Environmental Protection Agency – è noto già da decenni. Rispetto ad allora le evidenze si sono però moltiplicate.

Uno studio del 2020, condotto proprio nell’area di Pecos, ad esempio, ha dimostrato come i tassi di sismicità annuali aumentino insieme ai volumi annuali di estrazione di petrolio e smaltimento dei relativi rifiuti fluidi. Gli autori, in base alle loro evidenze, suggeriscono quindi un nesso causale tra i due fenomeni. Dallo studio emerge poi che la quota dei circa 2 mila terremoti annui, in realtà, era già stata raggiunta nel 2017. «Nel periodo analizzato – scrivono inoltre i ricercatori – i terremoti hanno avuto profondità focali comprese tra i 4 e i 5,2 km sotto il livello del mare, ovvero, all’interno o appena al di sotto degli strati in cui vengono reiniettate le acque reflue. Il fenomeno sismico più intenso – hanno aggiunto – ha toccato una magnitudo di 3.7, ma i recenti alti tassi di attività suggeriscono che potrebbero essere possibili magnitudo maggiori». Quella di Pecos però è solo una delle tante regioni del globo afflitte dall’industria fossile, per le quali – a dirla tutta – i terremoti sono il minore dei mali. Dentro i nostri confini c’è la Basilicata, non a caso, soprannominata il ‘Texas d’Italia’. Ed è qui che Eni, supportando uno studio pubblicato su Nature, ha tentato di legittimare proprio la pratica della reiniezione. Nel mentre, dopo decenni di trivellazioni e nonostante le promesse, la regione resta la più povera d’Italia e registra, specie nei pressi degli impianti petroliferi, incrementi di mortalità allarmanti.

[di Simone Valeri]

Pakistan, piogge monsoniche: sale a 182 il numero di vittime

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Sale a 182 il numero di morti in Pakistan a causa delle piogge monsoniche. Gli ultimi decessi (in tutto 18) sono stati registrati nelle ultime 24 ore e si vanno ad aggiungere alle vittime del monsone che sta dilaniando il Pakistan da inizio stagione. Il Paese sta subendo danni molto gravi, con 263 case rase al suolo a causa del monsone di quest’anno. La provincia pakistana più colpita è quella di Khyber Pakhtunkhwa, a Nord-Ovest del Paese, come ha fatto sapere la National Disaster Management Authority (NDMA).

Vaccini Covid: in Italia dal 20 settembre terza dose per categorie a rischio

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Nella giornata di oggi si è svolta una riunione tra il Commissario Straordinario all’emergenza sanitaria, Francesco Paolo Figliuolo, ed il Ministro della Salute, Roberto Speranza, avente ad oggetto la somministrazione di dosi addizionali e di dosi “booster” nei confronti di determinate categorie maggiormente esposte o con un più elevato rischio di sviluppare una malattia grave. Durante tale riunione, si è stabilito che le somministrazioni «avverranno dal 20 settembre a partire dai soggetti immunocompromessi». Lo si apprende da una nota della struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo.

Artico, in Alaska stop alla mega miniera d’oro e molibdeno

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L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sta effettuando dei passi in avanti per proteggere le acque della baia di Bristol, in Alaska, mettendo così i bastoni tra le ruote ad un vasto progetto di estrazione mineraria. Si tratta del cosiddetto Pebble Project, di cui si occupa la compagnia Northern Dynasty Minerals, la quale da anni cerca di approdare nella baia sulla costa occidentale dell’Alaska per estrarre oro e molibdeno. Da un comunicato dell’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA), si apprende in tal senso che «il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, in un deposito presso il tribunale distrettuale, ha annunciato l’intenzione dell’EPA di richiedere che l’avviso di revoca del 2019 sia rinviato e reso inoperativo». Sotto l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, infatti, l’EPA aveva «emesso un avviso tramite il quale era stata ritirata la sua proposta di determinazione del 2014», con cui l’amministrazione dell’allora presidente Barack Obama aveva cercato di proteggere la baia di Bristol.

Una «recente decisione del tribunale del nono circuito», però, «ha sottolineato che l’EPA possa ritirare una proposta di determinazione solo se sia improbabile che lo scarico dei materiali abbia un effetto negativo inaccettabile». E in tal senso, l’agenzia ritiene che la revoca del 2019 non abbia soddisfatto tali standard. Da qui, dunque, deriva la richiesta ora effettuata dall’EPA, la quale inoltre si basa sulla sezione 404 (c) del Clean Water Act (CWA), che autorizza l’agenzia a vietare o limitare attività del genere se quest’ultima stabilisce che «uno scarico possa avere un effetto negativo inaccettabile su determinate risorse».

Adesso, se la richiesta dell’EPA dovesse essere accolta, verrebbe riavviato automaticamente il processo di revisione da parte sua ai sensi della sezione 404(c) ed essa annuncerebbe un programma per la ripresa della protezione di alcune acque dello spartiacque della baia di Bristol, che sono essenziali per la pesca commerciale, di sussistenza e ricreativa, la quale supporta i nativi e le comunità dell’Alaska. Essa infatti vale centinaia di milioni di dollari all’anno e crea migliaia di posti di lavoro. «La posta in gioco è prevenire l’inquinamento che avrebbe un impatto sproporzionato sui nativi dell’Alaska e proteggere un futuro sostenibile per la pesca del salmone più produttiva del Nord America», ha affermato a tal proposito l’amministratore dell’EPA Michael S. Regan.

Detto ciò, un commento alla notizia è ovviamente arrivato da parte della Northern Dynasty Minerals che, tramite una nota, si è detta delusa per la decisione dell’agenzia ed ha inoltre aggiunto:« Abbiamo combattuto e vinto contro i tentativi politici dell’ex presidente Obama di uccidere il progetto, e faremo lo stesso di nuovo». Una reazione negativa di cui senza dubbio non c’é da meravigliarsi dato che, per la seconda volta, l’amministrazione statunitense ha scelto di tutelare i diritti dei nativi e l’ambiente, anziché di schierarsi a favore dell’estrazione dell’oro e del molibdeno.

[di Raffaele De Luca]