lunedì 22 Settembre 2025
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Macron: le forze francesi uccidono capo jihadista

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Le forze francesi hanno ucciso il leader dell’organizzazione dello Stato Islamico nel Grande Sahara (Eigs), Adnan Abou Walid al-Sahrawi. È stato il presidente Emmanuel Macron ad annunciare la morte del capo del gruppo jihadista, considerato responsabile della maggior parte degli attentati che hanno avuto luogo tra Mali, Niger e Burkina Faso, zona delle “tre frontiere”. Dopo decine di assalti da parte del leader jihadista, gli Stati Uniti, nel 2019, avevano offerto una taglia di 5 milioni di dollari per chiunque avesse informazioni su Adnan Abou Walid al-Sahrawi.

Green Pass: ok del Senato, il dl diventa legge

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Il cosiddetto dl Green Pass, con il quale ad agosto è stato introdotto l’obbligo di munirsi del lasciapassare sanitario per accedere, tra l’altro, ai ristoranti al chiuso, alle competizioni sportive, alle mostre, ai musei, alle piscine e alle palestre, ha ricevuto l’ok anche da parte del Senato. La fiducia posta dal governo ha infatti ottenuto 189 voti favorevoli, 32 contrari e 2 astensioni. Il decreto, che prevede anche la proroga dello stato di emergenza nazionale al 31 dicembre 2021, diventa dunque legge.

Usa, terremoto alla FDA: dirigenti lasciano contro l’approvazione della terza dose vaccinale

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La FDA, l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, si era vista recapitare il mese scorso le dimissioni di due dei suoi legislatori, la dottoressa Marion Gruber e il dottor Philip Krause. Da subito un articolo del New York Times aveva ipotizzato che alla base della decisione ci fosse la contrarietà all’approvazione della dose di richiamo del vaccino anti-Covid, giudicata senza basi scientifiche. Una ipotesi che oggi diventa certezza, dato che il duo ha partecipato alla scrittura di un articolo, firmato anche da altri 16 ricercatori internazionali e pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, che spiega come il rapporto rischi-benefici relativo al richiamo vaccinale per il Covid sia troppo ambiguo per giustificarne la somministrazione nella popolazione generale.

In tal senso, bisogna ricordare la posizione da parte dell’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, riguardo l’iniezione dei cosiddetti “booster”: in pratica, la volontà è quella di far sì che questi ultimi siano messi a disposizione degli americani a partire dal 20 settembre. Si tratta di un obiettivo fissato però prima che gli scienziati federali potessero esaminare i dati ed esprimersi in merito, motivo per cui, nonostante i funzionari abbiano ribadito che la somministrazione non sarebbe comunque iniziata senza l’autorizzazione delle agenzie sanitarie statunitensi, l’ipotesi che i due legislatori si siano dimessi a causa dei condizionamenti, o come affermato dal New York Times delle “pressioni” nei loro confronti, non sembra priva di fondamento.

Seppur i due dirigenti non abbiano partecipato alla stesura dell’articolo con l’intento ufficiale di motivare le loro dimissioni, il fatto che esso sia stato pubblicato a distanza di poche settimane dal “terremoto” generato all’interno della FDA e che sia incentrato sulle criticità relative ad una eventuale terza dose vaccinale, induce a pensare che quanto sostenuto dal New York Times possa corrispondere al vero. Al suo interno, infatti, si legge che i booster potrebbero essere utili esclusivamente per gli individui che con la vaccinazione primaria potrebbero non essere stati protetti adeguatamente, ad esempio gli immunocompromessi. Tuttavia, «le persone che non hanno risposto correttamente alla vaccinazione primaria potrebbero farlo anche in seguito ad un richiamo» e inoltre al momento «non è noto se tali individui immunocompromessi riceverebbero maggiori benefici da una dose aggiuntiva dello stesso vaccino o di un vaccino diverso».

Venendo poi alla popolazione generale, i ricercatori sottolineano come nessuno dei dati sui vaccini anti Covid per ora fornisca prove credibili a sostegno di una terza dose per essa. A tal proposito, riguardo la sua necessità, questi ultimi ricordano che vi sono «studi osservazionali che hanno tentato di valutare gli effetti del vaccino su particolari varianti o la durata della sua efficacia» ma che una parte degli stessi non è stata sottoposta a revisione paritaria ed è perciò «probabile che alcuni dettagli siano errati in modo importante». Ad ogni modo, però, mettendo insieme le diverse ricerche sull’efficacia del vaccino, esso «sembra essere sostanzialmente protettivo nei confronti delle malattie gravi provocate da tutte le principali varianti virali».

I ricercatori, poi, precisano che «i benefici della vaccinazione primaria contro il COVID-19 superano chiaramente i rischi», tuttavia ciò non toglie che «potrebbero esserci dei rischi con i richiami, nello specifico se essi dovessero essere introdotti troppo presto o troppo frequentemente». Ciò in quanto si parla comunque di «vaccini che possono avere effetti collaterali come la miocardite o la sindrome di Guillain-Barre».

Dunque per tutti questi motivi – e qui sembra esservi un riferimento alla posizione dell’amministrazione Biden – «il messaggio che il potenziamento potrebbe presto essere necessario, se non giustificato da dati e analisi robusti, potrebbe influire negativamente sulla fiducia nei confronti dei vaccini». Inoltre, concludono gli scienziati, la scelta di dare il via libera ad una terza dose è sicuramente una di quelle «decisioni ad alto rischio che dovrebbero essere basate su dati sottoposti a revisione paritaria e disponibili al pubblico, nonché su solide discussioni scientifiche internazionali».

E tornando ad essa, infine, va ricordato che nonostante tutto ciò una commissione di consulenti della Fda si riunirà nella giornata di venerdì per esaminare i dati a disposizione relativi alla terza dose del vaccino Pfizer in tutti gli individui di età pari o superiore a 16 anni. Nel caso in cui, però, il booster dovesse ricevere il via libera, non potranno che sorgere dubbi essendo, come affermato nell’articolo pubblicato su The Lancet, svariate le ragioni per cui sarebbe preferibile non prendere decisioni affrettate in merito.

[di Raffaele De Luca]

Ue, Ursula von der Leyen: 100 mln in più di aiuti umanitari all’Afghanistan

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La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, durante un discorso sullo stato dell’Unione tenutosi presso il Parlamento Ue nella giornata di oggi, ha affermato: «Aumenteremo il nostro aiuto umanitario per l’Afghanistan di 100 milioni di euro, parte di un nuovo pacchetto di sostegno per il paese». A tal proposito, inoltre, la presidente ha aggiunto: «Dobbiamo fare di tutto per evitare il rischio di una grande carestia e di un disastro umanitario».

Islanda, al via la più grande macchina cattura carbonio

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Si presenta come un enorme container accanto alla centrale geotermica di Hellisheidi ma la sua funzione è molto particolare: catturare anidride carbonica e intrappolare la CO2 nel sottosuolo. Delle installazioni già presenti in tutta Europa, Orca – questo è il nome dell’impianto, prodotto dall’azienda svizzera Climeworks e da quella islandese Carbfix – è l’unica che smaltisce in modo definitivo il gas. Il mega container – il più grande al mondo nel suo genere -, si trova nella zona di Strumsvik, in un altopiano nel sud-ovest dell’Islanda e sarà in grado di catturare 4mila tonnellate di carbonio all’anno, quantità pari a quella prodotta da 870 vetture. La struttura è stata costruita nel giro di qualche mese – a partire dal dicembre del 2020 – ed è formata da quattro impianti di aspirazione collegati a otto container i quali, grazie a delle potenti ventole alte circa un metro e all’energia prodotta dalla vicina centrale geotermica, aspirano costantemente aria dall’esterno per poi veicolarla verso una particolare sostanza assorbente – costituita da microscopici granuli – ai quali l’anidride carbonica si lega per reazione chimica. Dopodiché entra in scena una sorgente idrotermale che, innalzando velocemente la temperatura, rilascia di nuovo la CO2 che viene quindi miscelata con l’acqua e poi pompata sotto terra a una profondità di mille metri, dove raffreddandosi si pietrifica.

L’immissione di alcuni tipi di gas nel sottosuolo è una pratica diffusa, per esempio per aumentare la pressione nei pozzi dai quali si estrae il petrolio. Inoltre, parte della CO2 assorbita tramite questo sistema, potrebbe essere trasformata in carburante aggiungendola all’idrogeno, oppure immagazzinata in contenitori in pressione e venduta a fabbriche produttrici di bibite gasate per renderle frizzanti. Insomma, che Orca sia un impianto notevole è indubbio, ma ci sono alcuni particolari che stanno facendo storcere il naso. In molti, infatti, fanno notare che le 4mila tonnellate di CO2 catturate ogni anno sono niente rispetto ai 35 miliardi di tonnellate che emettiamo nello stesso arco di tempo. Inoltre, impianti del genere funzionano soltanto per l’anidride carbonica e non per altri gas serra – come il metano o il protossido d’azoto – con una tecnologia ancora troppo costosa e “ingombrante”. Attualmente, infatti, l’intero processo ha costi notevoli che si aggirano tra i 600 e gli 800 dollari per tonnellata di gas. Allo stesso tempo, non è detto che in altri paesi sia facilmente sviluppabile un sistema del genere come in Islanda, la quale offre la giusta geologia sotterranea e ampie riserve di energia geotermica.

[di Eugenia Greco]

La Russia verso le elezioni: i cittadini staranno ancora con Putin?

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Tra il 17 e il 19 settembre del 2021, si terranno in Russia le elezioni parlamentari per nominare i 450 deputati della Duma di stato, l’Assemblea federale, il primo ministro e vari rappresentanti delle legislature locali. In Occidente, tutto il processo elettorale è stato già preventivamente delegittimato, per via della stretta che Russia Unita ha imposto su opposizione politica, media indipendenti e “agenti stranieri.”

Da anni Russia Unita (RU) è il partito più forte del paese, detenendo 334 dei 450 seggi della Duma. Il suo leader, Putin, è stato primo ministro per quattro mandati (non consecutivi). Quest’anno, però, il supporto popolare sembra vacillare. Tra i motivi principali di questo calo di popolarità ci sono la corruzione, la crisi economica e l’eco della questioni legate all’oppositore Aleksej Navalny. Secondo le voci critiche, Putin starebbe facendo il possibile, con mezzi anche poco leciti, per assicurarsi un’altra vittoria.

Innanzitutto, avrebbe esteso diritto di voto a circa 600.000 ucraini in possesso di passaporto russo provenienti dalle province separatiste di Donetsk e Lugansk, storicamente vicine al Cremlino. Inoltre, avrebbe imposto una stretta sul numero di osservatori esterni consentiti nel paese, per cui l’Ocse, limitata nella sua autonomia, ha dichiarato che non monitorerà le elezioni. Una mossa che è stata interpretata, dal governo russo, come una scusa volta solo a delegittimare le elezioni. Il governo ha poi oscurato il sito Smart Voting, creato da Navalny per unire l’opposizione contro Russia Unita: un sistema intelligente che informa i cittadini, a ridosso delle elezioni, su quale candidato ha le maggiori probabilità di sconfiggere RU. Molte figure dell’opposizione, soprattutto tra quelle vicine a Navalny, hanno lasciato il paese.

A questi episodi i media occidentali hanno risposto contrariati. Sicuramente Russia Unita non brilla per trasparenza, ma è vero che il suo è un tentativo disperato e autoritario di contenere tutto un elettorato filo-occidentale che agogna più democrazia?

Secondo il Levada Center, che dal 1996 conduce sondaggi sull’opinione pubblica russa, il paese non sarebbe particolarmente interessato ad un modello di democrazia di tipo occidentale. Solo il 16% degli intervistati preferirebbero passare ad un sistema più vicino alla democrazia liberale, mentre il 18% è contento della linea governativa che ha caratterizzato il paese negli ultimi 30 anni, il modello Yeltsin/Putin. Il 49% auspicherebbero un ritorno al sistema sovietico, un dato piuttosto alto, e in aumento rispetto all’ultimo sondaggio del 2016 (quando si attestava al 37%).

Secondo il quotidiano russo RT, i russi non amano particolarmente il loro governo attuale, ma rispetto agli anni ’80 e ’90 hanno assunto un punto di vista più disilluso rispetto alle promesse della democrazia liberale. Non c’è, insomma, un’equivalenza tra i sentimenti anti-governativi e i sentimenti pro-Occidente.

[di Anita Ishaq]

Per gli adolescenti vaccinarsi potrebbe essere più rischioso che prendere il Covid

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I ragazzi di età compresa tra i 12 e i 15 anni e senza patologie pregresse potrebbero avere più probabilità di finire in ospedale dopo la vaccinazione – a causa della miocardite, una malattia infiammatoria del tessuto muscolare del cuore – piuttosto che essere ricoverati a causa del Covid. Sono i risultati contenuti in una ricerca scientificasottomessa al British Medical Journal ma ancora in attesa di revisione paritaria – condotta da ricercatori dell’Università della California. I risultati non sono quindi ancora confermati in via definitiva dalla comunità scientifica. Nonostante questo, in Gran Bretagna, dopo che le conclusioni provvisorie delle studio sono state pubblicate dalla prestigiosa testata The Guardian, si è già aperto un dibattito pubblico sulla questione.

La miocardite è uno degli effetti collaterali già riconosciuti (classificato raro) del vaccino Pfizer/BioNTech e i soggetti colpiti hanno generalmente manifestato i sintomi entro qualche giorno dalla seconda dose Pfizer. Tra i ragazzi colpiti presi in esame dalla ricerca è risultata molto alta la percentuale di coloro che sono dovuti essere sottoposti a cure ospedaliere: l’86%. Dallo studio retrospettivo condotto emergono poi i dati medici della ricerca, che è stata effettuata analizzando i casi di adolescenti statunitensi di età compresa tra i 12 e i 17 anni, nel periodo che comprende i primi sei mesi del 2021. Il tasso di ragazzi a cui è stata diagnosticata la miocardite dopo la doppia dose di Pfizer/BioNTech è pari a 162,2 casi per milione (per chi ha un’età compresa tra 12 e 15 anni) e 94 casi per milione per chi va dai 16 ai 17 anni; le ragazze, sembrerebbero invece essere meno a rischio, visto che i tassi equivalenti corrispondono rispettivamente a 13,4 e 13 casi per milione.

Seguendo gli attuali dati registrati negli Stati Uniti, nei prossimi 120 giorni c’è il rischio di avere un tasso di ricoveri pari a 44 casi per milione. Dallo studio si evince anche che delle reazioni simili a quelle riscontrate dopo la doppia dose di Pfizer sono state notate – in alcuni casi – anche con il vaccino Moderna. Infine, precisano gli esperti, la stragrande maggioranza delle miocarditi compare dopo la seconda dose di vaccino. Motivo per cui, mentre lo studio statunitense rimane in attesa di approvazione, gli studiosi suggeriscono che ai i più giovani quantomeno venga somministrata una sola dose vaccinale.

[di Francesca Naima]

Aggiornamento (17/09/2021): Dopo una revisione più accurata, alcune parti dell’articolo sono state modificate di modo da non indurre il lettore a pensare che quanto contenuto nello studio fosse già un’evidenza scientifica. Come è stato correttamente precisato dal principio, infatti, la ricerca in questione, pur sottomessa ad una rivista medica, non è ancora stata sottoposta alla revisione paritaria. Pertanto le conclusioni cui è giunta potrebbero essere successivamente modificate anche in modo sostanziale.

Isole Fær Øer: quasi 1.500 delfini massacrati

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Domenica scorsa 1.428 delfini sono stati massacrati durante la Grindadrap: la triste caccia tradizionale delle Isole Fær Øer, che va avanti da secoli. La pratica consiste nel trascinare i mammiferi fino a riva per poi accoltellarli; ogni anno vengono brutalmente uccisi migliaia di delfini e di altri cetacei come le cosiddette “balene pilota”, ma quella di domenica è stata una strage con numeri ancora più alti. La caccia ai cetacei è approvata dalle autorità locali e rappresenta un evento significativo per chi è del posto, anche se questa volta la reazione della popolazione sembra essere stata «Di smarrimento e shock a causa del numero straordinariamente grande», come riportano alcuni media locali.

Sardegna, a processo per terrorismo gli attivisti contro le basi militari NATO

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Il Tribunale di Cagliari ha deciso di rinviare a giudizio 43 militanti antimilitaristi del movimento sardo A Foras che si batte contro la presenza delle basi militari americane sul territorio sardo. Verso cinque attivisti i magistrati hanno deciso di contestare addirittura la violazione dell’articolo 270 bis, ovvero “associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico”. Rischiano pene fino a 15 anni di carcere, senza che a loro carico sia contestato alcun fatto violento, a meno che non si vogliano considerare tali gli “episodi di imbrattamento e danneggiamento con scritte su beni delle Poste Italiane, istituti di credito, Tirrenia e della Rwm, la fabbrica di armamenti di Domusnovas finita negli ultimi anni al centro delle polemiche per le armi vendute in Medio Oriente”. Questi sono infatti gli atti più “gravi” riportati a loro contestazione dagli organi di stampa locali.

Il giudice ha accolto le richieste del sostituto procuratore Guido Pani, disponendo che vengano processati 43 dei 45 indagati nell’inchiesta sui disordini durante alcune manifestazioni contro le basi militari in Sardegna. Tra le manifestazioni finite nel mirino degli investigatori ci sono quelle avvenute davanti al poligono di Capo Frasca, Salto di Quirra e Decimomannu, tra il 2014 e il 2017.

La realtà delle “servitù militari” che la Sardegna paga alla Nato è impressionante. L’isola pur ospitando appena il 2% della popolazione italiana è gravata dal 60% dell’onere militare. Sull’isola sono oltre 35.000 gli ettari di territorio sotto vincolo di servitù militare. I disagi sono enormi: in occasione delle esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta, uno specchio di mare di oltre 20.000 chilometri quadrati. Sull’isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da una condotta che attraversa la città, oltre a numerose caserme e sedi di comandi militari (di Esercito, Aeronautica e Marina). Si tratta di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato. Il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu (nella Sardegna orientale) di 12.700 ettari e il poligono di Teulada di 7.200 ettari sono i primi due poligoni italiani per estensione, mentre il poligono Nato di Capo Frasca (costa occidentale) ne occupa oltre 1.400. Inoltre il problema è anche ambientale e di salute. Nei pressi dei poligoni di tiro è stata rilevata la presenza di metalli pesanti quali cadmio, piombo, tungsteno, antimonio e altri in valori oltre la soglia, risultanti sia dalle operazioni di brillamento degli esplosivi, sia dall’interramento indiscriminato dei rifiuti militari pericolosi in forma di polveri sottili, le quali, insinuandosi ovunque, avrebbero inquinato i territori e le falde acquifere. Esistono anche procedimenti giuridici in corso per decessi sospetti, in particolari per tumori al sistema emolinfatico, forse correlati alle attività militari.

Il movimento A Foras si batte appunto contro questo stato di cose, chiedendo la fine di quella che chiamano «occupazione militare» della Sardegna. In seguito agli arresti è stato emesso un comunicato che nel quale si precisa che «A Foras non è certo sorpresa da questa decisione, che conferma la natura politica di questa indagine e del processo che comincerà il 6 dicembre. La contestazione del reato associativo, come se gli attivisti sardi fossero mafiosi e non militanti politici, indica come il vero obiettivo del processo non sia quello di far luce sui singoli reati che gli indagati avrebbero commesso, tutti da dimostrare peraltro. L’obiettivo è quello di mettere sotto accusa e disperdere un movimento che gode di una diffusa simpatia popolare e che negli ultimi anni aveva rialzato la testa. Proprio a partire dalla grande manifestazione di Capo Frasca di cui ricorreva ieri il settimo anniversario. I 45 indagati e indagate sono stati scelti per spaventare tutti i sardi e le sarde che da decenni lottano contro le basi militari. Questo processo vuole spaventare i sardi con una chiara minaccia: chi lotta contro le basi è un terrorista eversore».

Hong Kong: condannati 9 attivisti

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Condannati a pene dai sei ai dieci mesi di carcere i nove attivisti pro-democrazia di Hong Kong. Col fine di scontare una pena meno severa, gli attivisti si erano intenzionalmente dichiarati colpevoli di incitamento e partecipazione a una manifestazione non autorizzata; ma la loro condanna arriva a causa della partecipazione alla veglia in memoria delle vittime del sanguinoso Massacro di Piazza Tienanmen, del 4 giugno 1989. L’anno successivo, nel 1990, fu vietata qualsiasi veglia in memoria delle migliaia di vittime.