Secondo quanto affermato nella giornata di oggi dall’IFRC, la Federazione Internazionale della Croce Rossa, il tifone Rai che si è abbattuto sulle Filippine a dicembre avrebbe distrutto circa un milione e mezzo di abitazioni, “più di qualsiasi altro tifone negli ultimi decenni”. Secondo quanto riportato dal governo, il 90% almeno degli edifici dell’isola è danneggiato. Da quando il tifone si è abbattuto sull’isola gli abitanti sono rimasti senza corrente elettrica e vivono in alloggi di fortuna, come scuole e centri di evacuazione. Secondo le stime l’ammontare totale dei danni potrebbe arrivare a 790 milioni di dollari. “Si tratta di una catastrofe molto più grave di come il mondo l’ha percepita un mese fa” sostengono dall’IFRC.
Russia contro NATO: è realmente possibile una guerra per l’Ucraina?
Non si placano le tensioni relative all’Ucraina, anzi, a leggere i principali media internazionali, sembrerebbe di essere alle soglie di un conflitto. Praticamente ogni giorno, i lettori vengono “bombardati” di notizie che riguardano esercitazioni militari, consegne di armamenti, navi e aerei da guerra che si apprestano a raggiungere il fronte. Mentre gli attori principali, Stati Uniti, Russia e il governo di Kiev, si rimbalzano le colpe a suon di accuse, spesso basate su mezze verità, sul chi sia il vero colpevole per questa situazione.
Lo scorso 20 gennaio, si è tenuto a Ginevra, Svizzera, l’ultimo di una serie di incontri tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il Segretario di Stato americano Antony Blinken. Questi colloqui, volti a cercare di ridurre le possibilità di un conflitto più ampio in Ucraina, per l’ennesima volta hanno raggiunto la fase di stallo su quello che è il punto principale di tutta la questione: l’ingresso di Kiev nella NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord).
Per Mosca l’entrata dell’Ucraina nella NATO sarebbe considerata come un vero e proprio atto ostile da parte degli Stati Uniti, da anni il Cremlino, infatti, denuncia i tentativi di accerchiamento. Proprio per questo durante il meeting di Ginevra, Lavrov avrebbe chiesto a Blinken garanzie scritte da parte degli Stati Uniti che non avrebbero accettato l’Ucraina (e la Georgia) come paesi membri dell’alleanza atlantica. Garanzie che in tutta probabilità non arriveranno, Washington infatti ha sempre dichiarato che la NATO è aperta ad accettare nuovi paesi membri. Per gli Stati Uniti, infatti, l’Ucraina come paese indipendente avrebbe tutto il diritto di entrarne a farne parte, alla luce del conflitto in corso nel Donbass e in risposta all’annessione della Crimea da parte dei russi nel 2014.
Ma siamo realmente sull’orlo di una guerra?
Senza dubbio un conflitto in Ucraina è possibile. Per Mosca mantenere l’Ucraina fuori dalla NATO e sotto la propria sfera d’influenza è di vitale importanza, sia dal punto di vista strategico che dal punto di visita politico. Perdere l’Ucraina sarebbe probabilmente il colpo più duro che il Presidente russo Putin si sia mai trovato ad affrontare nella sua lunga carriera. Ma la perdita dell’Ucraina a favore della Russia sarebbe un duro colpo anche per il presidente americano Biden. Gli Stati Uniti infatti continuano a considerare l’Europa come il loro “giardino di casa”, grazie alla NATO e alla presenza di numerose basi militari. Il vecchio continente è strategico per gli Washington anche dal punto di vista commerciale. Tuttavia, per una analisi che rifugga le semplificazioni e essenziale considerare alcuni punti:
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Nonostante sembrino soffiare forte i venti di guerra il dialogo tra gli Stati Uniti e la Russia non si è mai fermato. Nuovi incontri tra Lavrov e Blinken si terranno nelle prossime settimane, e il fatto che le relazioni diplomatiche tra i due paesi non si siano fermate sta a significare proprio che il punto di rottura sull’Ucraina non sia stato ancora raggiunto.
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Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ordinato l’evacuazione delle famiglie dei diplomatici in Ucraina. La notizia ha avuto ampia eco, ma l’evacuazione delle ambasciate non significa automaticamente che la guerra sia imminente. Basti pensare a quanto dichiarato dal portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko: «Con tutto il rispetto del diritto degli stati stranieri di garantire la sicurezza delle loro missioni diplomatiche, noi consideriamo questa misura presa dagli americani come prematura ed eccessiva». Anche la il ministero degli Esteri italiano non fa menzione sul proprio sito del pericolo di una guerra imminente, per i cittadini italiani che decidano di recarsi in Ucraina.
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Altra questione importante da considerare è la possibile reazione degli stati Europei di fronte ad un possibile conflitto in Ucraina. Se a parole praticamente tutti non hanno esitato a condannare l’operato di Mosca, con i fatti si sono mossi, per ora, solo Francia, Spagna e Danimarca. Altri paesi, invece hanno fatto sapere che non avrebbero inviato armi in sostegno a Kiev, come ad esempio la Germania. Anche il premier inglese Boris Johnson, a parole sempre tra i più attivi nella guerra diplomatica con Mosca, ha fatto capire come al momento non ci siano piani che prevedano l’invio di truppe da combattimento britanniche per difendere l’Ucraina. Di certo l’Europa non ha nessun interesse ad una guerra aperta contro la Russia, anzi, a dirla tutta per gli interessi economici dell’unione sarebbe proprio l’ultima cosa.
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I movimenti di truppe. È diventato oramai un tormentone il fatto che Mosca avrebbe ammassato più di 100.000 soldati pronti a combattere in prossimità del confine ucraino, così come giornalmente ci sono notizie sugli spostamenti di truppe della NATO verso l’Ucraina. I movimenti sono reali, mentre sui reali numeri interessati non si sa nulla di certo. Ad ogni modo, esercitazioni e movimenti di truppe, seppure possano far presagire al peggio, al momento non sono una prova del fatto che una guerra è inevitabile. Anzi, molto più spesso, movimenti di questo tipo rientrano nella partita a scacchi della diplomazia.
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L’Ucraina. Seppure le preoccupazioni da parte del governo di Kiev siano, almeno in parte giustificabili, bisogna sottolineare come questa situazione faccia da un lato anche comodo. Proprio oggi sono arrivati dall’Unione Europea un grosso pacchetto di aiuti del valore di 1,2 miliardi di euro. Aiuti economici e forniture militari erano arrivati nei giorni scorsi anche da parte degli Stati Uniti. Sorge quindi il dubbio che il governo del Presidente ucraino Volodímir Zelenski stia un po’ sfruttando le tensioni con la Russia per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Scalpore hanno fatto anche le dichiarazioni dell’ex campione di pugilato Vitali Klitschko, ora sindaco di Kiev, che ha accusato la Germania di «tradimento» e «omissione di soccorso» per la decisione di Berlino di non inviare armi. Come se i carri armati russi fossero già sulla via della capitale ucraina.
Questi sono alcuni dei fattori che posso far comprendere meglio quale sia al momento la situazione in Ucraina e quanto una guerra sia o meno probabile. Non vi sono dubbi che di fronte ad azioni militari chiaramente offensive in Ucraina da parte di Mosca una conflitto sarebbe pressoché inevitabile. Sarebbe messa in gioco la credibilità del presidente americano Biden se non intervenisse, ma ad ogni modo sarebbe improbabile che Usa ed alleati facessero qualcosa più che fornire armi e aiuto all’Ucraina. Nonostante le tensioni crescenti rimane comunque altamente improbabile che una guerra in Ucraina possa iniziare a causa di decisioni deliberate. Una guerra aperta non avrebbe senso né per Mosca né per Washington. Il vero pericolo invece potrebbe piuttosto arrivare da azioni sconsiderate da parte dei gruppi paramilitari impiegati nel conflitto nella regione del Donbass, dove milizie filorusse combattono da tempo contro i militari di Kiev. La presenza di volontari e mercenari nelle fila ucraine e in quelle filorusse è cosa risaputa, e proprio questi soldati di ventura al momento rappresentano il pericolo maggiore. Anche se qualche giorno fa Biden ha dichiarato che: una «piccola incursione» da parte della Russia susciterebbe una risposta minore rispetto a un’invasione su vasta scala del paese. Come a dire che anche qualche schermaglia nel Donbass non sarebbe abbastanza per dare il via una guerra aperta. Dichiarazioni che poi, dopo le lamentele da parte di Kiev, sono state rettificate.
Governo Perù denuncia Repsol per crisi ecologica dopo fuoriuscita petrolio
Il Ministero degli Esteri del Perù ha denunciato la compagnia petrolifera Repsol a causa dei danni provocati dalla fuoriuscita di petrolio da una nave il 19 gennaio. Si tratterebbe, secondo il governo peruviano, di uno dei peggiori disastri ecologici avvenuti negli ultimi tempi e non sarebbe stato causato da “onde anomale”, come dichiarato dalla compagnia. Il governo ha disposto l’interruzione di tutte le attività della raffineria fino a che non sarà determinata con maggior chiarezza la dinamica dell’incidente. Da Repsol negano le responsabilità nell’accaduto, suggerendo che l’eruzione vulcanica avvenuta nei pressi dell’isola di Tonga avrebbe causato onde anomale tali da provocare danni alla nave, ma le ispezioni effettuate sembrerebbero negare tale dinamica.
Sorveglianza e carcere per chi lotta: quando la magistratura si fa apparato repressivo
Le proteste che si sono susseguite nel corso degli anni, seppur mutando la propria forma o modo di manifestarsi, sono spesso state espressione di malcontento e insoddisfazione nei confronti di qualche tassello o aspetto della società. È capitato che a prendere parte per primi a cortei o iniziative di piazza siano stati i giovani, notoriamente abbandonati e inascoltati da una politica che volge lo sguardo sempre troppo in alto. Dall’altra parte, però, non è scontato trovare dialogo, comprensione e confronto. E soprattutto, non è facile trovare una visione d’insieme che non ometta alcune parti del racconto.
Nei notiziari, negli articoli di giornale, sui social succede che il sensazionalismo prenda il sopravvento sulla verità, e che le cariche, i lacrimogeni, gli sgomberi forzati ci sembrino degli interventi di cui la polizia si è dovuta obbligatoriamente servire per difendersi dagli attacchi dei manifestanti. È lo stesso meccanismo che si presenta anche nelle aule dei tribunali, quando l’unico obiettivo è stroncare le proteste prima che prendano del tutto piede, con mezzi apparentemente legittimi.
Soprattutto negli ultimi 20 anni, infatti, per tenere a bada le tensioni sociali – e reprimerle – “si utilizzano dispositivi di legge che in qualche modo sarebbero stati pensati per contrastare il terrorismo e che permettono di utilizzare anche strumenti investigativi particolarmente aggressivi nonché l’applicazione di misure cautelari in maniera molto estesa”. Sono le parole con cui Enrico Zucca, pubblico ministero all’epoca del processo per le torture alla scuola Diaz del 2001, ha descritto all’Indipendente gli strumenti di cui lo Stato si serve per reprimere il dissenso. Tra questi il “reato di devastazione e saccheggio”, il “principio di sorveglianza speciale” e il “concorso morale”. Di cosa si tratta?
Devastazione e saccheggio
L’origine del reato di devastazione e saccheggio risale al codice penale fascista chiamato Rocco – dal nome del suo principale estensore -. Nonostante il passare degli anni, da allora non ha subito significative trasformazioni, neppure nel nome. Anche se parlare di “devastazione e saccheggio” evoca epoche barbare, la stessa pena – descritta dall’articolo 419 del codice penale – viene inflitta ai giorni nostri a persone di ogni sesso ed età che si ritrovano a manifestare. Chi ne viene accusato può subire dagli 8 ai 15 anni di carcere. Dagli anni 2000 il reato è servito principalmente a sanzionare gli ultras e i partecipanti alle proteste di piazza, come è accaduto nel caso del processo del G8 di Genova.
Ma l’articolo non dà una spiegazione univoca del reato né fornisce chiarimenti sulla sua attuazione. I giudici, per questo, finiscono per dare una propria libera interpretazione, sempre diversa, a volte paradossale. Presi singolarmente i due termini – devastazione e saccheggio – hanno già una normativa che li regola: il reato di danneggiamento è disciplinato dall’art. 635 del codice penale, mentre quello di furto è punito dall’art. 624 con la reclusione da sei mesi a tre anni. Una bella differenza temporale con i 15 anni previsti dal 419. Per questo succede sempre più spesso che quello di “Devastazione e saccheggio” è un reato “all’occorrenza”, che si plasma a seconda di chi l’ha commesso, delle situazioni e dell’interpretazione soggettiva del giudice di turno.
Ci sono alcuni esempi passati alla storia come simbolo dell’utilizzo scorretto dell’articolo 419, in molti casi dei quali l’accusa poi non non ha retto fino alla fine. Primo fra tutti l’accanimento giudiziario nei confronti del movimento No Tav e a seguire il processo per devastazione e saccheggio intentato dalla procura di Genova nei confronti dei partecipanti alle proteste per il G8.
E ancora, 31 agosto 2002: durante un’amichevole Lazio-Juve i tifosi protestano contro la cessione della Lazio di due giocatori; la protesta si trasforma in scontro con la polizia. 20 settembre 2003: in seguito ad una carica dei poliziotti ai cancelli dello stadio di Avellino, il tifoso Sergio Ercolano precipita dagli spalti e muore. Nei momenti successivi si susseguono invasioni di campo e scontri. Negli esempi precedenti le incriminazioni per “devastazione e saccheggio” non sono mai arrivate fino alla fine. Negli accadimenti del 2003, invece, per la prima volta il processo per 5 ultras incriminati termina con la Cassazione nel 2008. E per la prima volta l’articolo 419 arriva fino all’ultimo grado di giudizio. E non sarà l’ultima.
Concorso morale e sicurezza nazionale
Ma c’è un altro primato. È l’11 marzo del 2006. Una folla di persone scende in piazza per impedire una manifestazione fascista che si sarebbe dovuta svolgere in Porta Venezia. In seguito alle cariche delle Forze dell’Ordine vengono fermate 45 persone. La Cassazione, nel 2009, conferma 16 condanne a 4 anni. Per la prima volta la giurisprudenza si è servita del reato di concorso morale. Da quel momento, per essere accusato ed eventualmente condannato per devastazione e saccheggio, sarebbe bastato esserci, essere lì in quella piazza, in quella strada, anche senza agire. La sola presenza, secondo i giudici, darebbe forza agli altri individui e li spingerebbe a creare scompiglio. La gravità dell’introduzione del reato è che l’accusa è potenzialmente estendibile nei confronti di tutti quelli che si trovano in un determinato luogo, fisicamente, in quel momento.
Dal 2011 in poi, l’utilizzo dell’articolo 419 e degli altri strumenti come capo d’imputazione per giornate di proteste, è decisamente aumentato. Un altro caso abbastanza recente è quello avvenuto a Cremona nel 2015, quando in seguito all’aggressione di Casapound ai danni del centro culturale Dordoni un uomo finisce in coma. Per questo motivo, nei giorni a seguire viene indetto un corteo antifascista il cui obiettivo è quello di chiudere la sede dei fascisti. Nel corso della giornata avvengono diversi scontri con le forze dell’ordine e il corteo non riesce a raggiungere la sede di Casapound. Il risultato è: 8 arresti. Tutti gli imputati sono accusati di devastazione e saccheggio.
Possiamo davvero definirlo tale? In realtà con l’aumentare dei movimenti di protesta, lo Stato ha tentato di rafforzare il suo potere centrale, legittimando normative discutibili e applicate arbitrariamente in nome della sicurezza nazionale. Creando, quindi, un enorme strumento politico a sua disposizione per intimidire e criminalizzare per dimostrare chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
Criminalizzare ogni opposizione sociale
Il reato di devastazione e saccheggio è stato introdotto in origine per essere utilizzato in casi estremi di messa in pericolo dello Stato e dell’intera società. Sono sufficienti pochi individui per attuare piani di così vasta portata? “Stiamo assistendo a una crescente criminalizzazione della protesta nei regimi “ibridi”, ma anche nei Paesi democratici. Siamo di fronte a una strumentalizzazione da parte di alcuni”, ha detto Donatella Della Porta, professoressa di Sociologia Politica alla Scuola Normale Superiore di Firenze.
Secondo la studiosa la criminalizzazione delle proteste potrebbe avere due tipi di effetti, entrambi pericolosi per il sistema politico. “Anzitutto, la criminalizzazione potrebbe concludersi con successo, diffondendo la paura tra le persone. E quando le persone sono spaventate da un regime, generalmente le proteste si fanno più radicali, perché giustamente i cittadini intuiscono che è venuto meno lo spazio per la resistenza pacifica. Allo stesso tempo, il processo di criminalizzazione riduce la capacità dei governi di raccogliere informazioni sulle varie istanze e di trovare nuove alleanze per risolvere i problemi”.
La sorveglianza speciale
C’è un altro strumento in mano alla magistratura che si presta facilmente a libera interpretazione e arbitrario utilizzo. È la sorveglianza speciale, per cui se una persona viene identificata come potenzialmente pericolosa, la si limita della sua libertà per prevenire ed evitare che il pensiero criminoso si trasformi in atto. Anche se ufficialmente se ne è cominciato a parlare nel decreto legislativo 159/2011, le sue origini, anche in questo caso sono un po’ più antiche.
Prima che l’Italia proclamasse la sua unità, a subire una sorveglianza di questo tipo erano i vagabondi e i briganti. Lo stesso metodo utilizzato dal regime fascista per contenere il dissenso – confinando i manifestanti – senza dover passare prima da ulteriori iter giudiziari. Tutto il contrario di quello che si legge nell’art. 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, secondo cui si “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo”. Anche in questo caso esistono degli esempi. Quello più significativo, senza dubbio, riguarda una cittadina genovese di 49 anni, nei confronti della quale la sezione “misure di prevenzione” del tribunale di Genova ha previsto il provvedimento di sorveglianza speciale. Per quale motivo? A causa del suo attivismo, che l’aveva vista protagonista di molte manifestazioni in piazza e occupazioni. Secondo il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia (Dda) Federico Manotti la misura doveva “contrastare una pericolosità sociale generica”.
Gli esempi e le testimonianze non finiscono qui ma, a prescindere dall’elenco dei fatti che potrebbe durare all’infinito, c’è una necessità che sorge e accomuna tutte le vicende: creare leggi per riformare o abolire del tutto questi strumenti, perché come ha detto Enrico Zucca a l’Indipendente, “in Italia vi è una mancata attitudine da parte delle istituzioni nel saper gestire le tensioni sociali e di piazza. In Italia la repressione giudiziaria dei fenomeni di piazza è sproporzionata. Si è verificato un cortocircuito perverso in cui lo Stato, che contestava ai manifestanti di non rispettare le regole democratiche, le ha violate a sua volta. Ma la violazione delle regole da parte dello Stato, si badi bene, è molto più grave”.
[di Gloria Ferrari]
Assange: Alta Corte di Londra concede nuovo ricorso contro estradizione negli Usa
Julian Assange potrà presentare un nuovo ricorso dinanzi alla Corte Suprema britannica contro il via libera alla sua estradizione negli Stati Uniti, dove rischia una condanna fino a 175 anni di carcere. Nella giornata di oggi, infatti, l’Alta Corte di Londra ha concesso al fondatore di WikiLeaks tale possibilità, il tutto dopo che lo stesso tribunale aveva ribaltato -il 10 dicembre scorso – la sentenza di primo grado emessa un anno fa che negava la sua estradizione in territorio americano.
Il greenwashing dietro la cattura del carbonio emerge da un primo rapporto
Un impianto per la produzione di idrogeno blu firmato Shell, con annesso sistema di cattura del carbonio, è finito nel mirino dell’Ong Global Witness. La multinazionale petrolifera, al riguardo, decantava una rimozione di gas serra attorno al 90%. Invece – secondo le stime dell’organizzazione – non si è andati oltre il 48% di emissioni catturate. L’impianto in questione è uno dei pochi al mondo per la produzione di idrogeno fossile che, come previsto, sfrutta un sistema di cattura del carbonio. Il progetto si chiama Quest ed è stato presentato come un baluardo della transizione ecologica. Ma se le valutazioni di Global Witness venissero confermate, questo avrebbe la stessa impronta di carbonio di 1.2 milioni di auto a benzina.
L’impianto della Shell, situato ad Alberta, in Canada, produce idrogeno mediante lo Steam Methane Reforming (SMR). Il processo, il più comune allo scopo, consiste nello scaldare il gas naturale con del vapore fino ad ottenere una miscela di monossido di carbonio e idrogeno. L’intero procedimento genera anche gas ad effetto serra che dovrebbero essere però rimossi dal Sistema di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Secondo i dati della Shell, questo avrebbe risparmiato all’atmosfera l’80% delle emissioni generate dallo SMR. Tuttavia – come spiega l’organizzazione – il processo in questione rappresenta solo il 60% delle emissioni complessivamente generate dall’intero impianto. Un altro 40%, infatti, proviene dal cosiddetto ‘vapore di scarto’ – flue gas – che non viene per nulla rimosso dal CCS. «La promozione dell’idrogeno fossile da parte delle compagnie petrolifere – ha dichiarato Dominic Eagleton, responsabile senior della campagna sul gas di Global Witness – è una foglia di fico che permette loro di portare avanti l’estrazione e la combustione dei combustibili fossili. Il modo migliore per aziende come la Shell di aiutare ad affrontare la crisi climatica è quello di eliminare gradualmente tutte le operazioni legate a gas e petrolio, piuttosto che trovare modi per nascondere la loro attività dannosa per il clima dietro false soluzioni». Giusto per rendere l’idea: mentre la Shell afferma di aver catturato 5 milioni di tonnellate di gas ad effetto serra nel suo impianto canadese in meno di cinque anni, ne ha emesse, nello stesso periodo, altre 7.5 milioni qua e là.
Il rapporto, sebbene non abbia la stessa validità di una ricerca scientifica sottoposta a revisione paritaria, conferma i timori iniziali. Infatti, sono già numerosi gli studi che demoliscono le potenzialità sostenibili del cosiddetto idrogeno blu. Ad esempio – secondo uno dei più recenti – l’impatto di quest’ultimo, in termini di gas climalteranti, sarebbe del 20% maggiore di quello derivante dalla combustione di gas naturale o perfino del carbone. Ad ogni modo, anche i calcoli di Global Witness – basati sui dati pubblicati dalla stessa Shell e dal Pembina Institute, tra i principali gruppi di esperti canadesi sull’energia – potrebbero stimolare ulteriori studi in questo senso. Si spera – come auspica da tempo la comunità scientifica – che la farsa dell’idrogeno fossile finisca presto.
[di Simone Valeri]
Ue: Ursula von der Leyen annuncia pacchetto aiuti da 1,2 mld a Ucraina
Un nuovo pacchetto di aiuti finanziari all’Ucraina da 1,2 miliardi di euro è stato varato dall’Unione europea: lo ha annunciato oggi la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. «L’Ucraina è uno Stato libero e sovrano», ha affermato la presidente, precisando che l’Ue è al suo fianco ed è fermamente impegnata alla soluzione della crisi. «Contiamo sul Consiglio e sul Parlamento europeo per l’adozione di questa assistenza finanziaria di emergenza il prima possibile», ha inoltre aggiunto von der Leyen. Saranno infatti Consiglio e Parlamento europeo ora a dover dare il via libera definitivo, in seguito al quale verrà rapidamente erogata una prima tranche di 600 milioni di euro. Oltre a ciò, la presidente ha infine affermato che la Commissione «procederà al quasi raddoppiamento della sua assistenza bilaterale in sussidi e saranno stanziati altri 120 milioni di euro».
Le regole sul Green Pass stanno impendendo a migliaia di ragazzi di fare sport
Con le ultime disposizioni del Governo a partire dal 10 gennaio 2022 è stato fatto divieto a tutti coloro che abbiano più di 12 anni e siano sprovvisti di super Green Pass di accedere alla maggior parte degli impianti sportivi e ricreativi, sia all’aperto che al chiuso. Si è precluso in questo modo l’accesso alle attività sportive di una grossa fetta della popolazione giovanile, una delle fasce che più di tutte ha risentito degli effetti psicofisici della pandemia, con il rischio di esacerbarne ulteriormente gli effetti negativi. Ciò è avvenuto nonostante la preoccupazione per il disagio giovanile e l’importanza dell’attività fisica durante la pandemia da Covid-19 sia stato oggetto di costante preoccupazione da parte di numerose istituzioni, sia pubbliche che private.
Gli studi sugli effetti della pandemia sui giovani e gli adolescenti si sono moltiplicati in tutta Europa negli ultimi due anni ed il quadro che ne emerge è sostanzialmente coerente: esiste una situazione di “malessere generalizzato” diffuso a causa delle misure restrittive che hanno costretto i ragazzi al confinamento sociale e ad una sostanziale riduzione dell’attività fisica e di socializzazione. Le conseguenze sono evidenti sentimenti diffusi di ansia, tristezza e disagio, ai quali l’impossibilità di praticare attività fisica aggiunge maggiori livelli di irascibilità e apatia.
In un contesto simile sono molte le istituzioni che hanno ricordato l’importanza rivestita dalla pratica dello sport in particolare per la fascia di popolazione più giovane: lo stesso Parlamento Europeo, in una risoluzione adottata il 10 febbraio 2021, sottolineava come “lo sport e l’esercizio fisico sono particolarmente importanti nelle circostanze dettate dalla pandemia, in quanto rafforzano la resilienza fisica e mentale […] (il Parlamento) è preoccupato per la mancanza di attività fisica osservata tra i molto giovani durante il confinamento e le possibili conseguenze per la salute pubblica”.
Con le ultime misure adottate dal Governo, tuttavia, viene previsto l’obbligo di super Green Pass non solo per accedere alle competizioni e agli eventi sportivi, ma anche per poter frequentare impianti sportivi e piscine. L’obbligo si applica a una fascia di popolazione estremamente ampia, comprendendo tutti coloro che abbiano più di 12 anni, con evidenti ricadute molto differenti su soggetti di età diverse. In particolare il benessere psico-fisico dei giovani e degli adolescenti tra i 12 e i 19 anni rischia di essere fortemente compromesso, dal momento che in molti si troveranno a non poter svolgere regolare attività sportiva.
La pratica sportiva rappresenta per queste fasce d’età una tappa fondamentale per il corretto sviluppo sia fisico che sociale, dal momento che costituisce un’occasione di integrazione e scambio. Come ha ricordato Valentina Vezzali, Sottosegretaria di Stato con delega allo sport, “Gli allenatori, al pari degli insegnanti, hanno funzioni educative”, aggiungendo che questi “assolvono non solo la funzione di promozione della salute e del benessere, ma anche quella ricreativa, inclusiva, relazionale e di occasione di realizzazione della propria personalità. Lo sport è il luogo dove i bambini sperimentano e imparano valori importanti quali ad esempio il rispetto”. Alle sue affermazioni fanno eco quelle dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti, che ricorda come il diritto al gioco, alla socialità e all’educazione costituiscano “elementi essenziali per la vita e l’armonico sviluppo dei minorenni“.
Secondo quanto riferito da Dino Ponchio, presidente del Coni Veneto, nelle fasce d’età tra i 12 e i 18 anni si è registrato un calo delle attività sportive di base che si aggira tra il 15 e il 18% a seconda delle discipline prese in considerazione. Si tratta di dati associati alle normative sull’utilizzo del Green Pass che non andrebbero affatto sottovalutati.
Sono numerose le associazioni che protestano contro le misure adottate dall’ultimo decreto, come nel caso di 10 società sportive del cesenate e del forlivese che si sono opposte a quelle che definiscono “discriminazioni tra ragazzi” messe in atto “in questa cervellotica attuazione di protocolli incomprensibili che spaventano, disorientano, ghettizzano” e che rischiano di costituire un esempio “diseducativo e pericoloso”.
Affermare che la prevenzione del disagio giovanile debba costituire un elemento centrale nelle politiche governative suona quasi lapalissiano. Tuttavia, stando agli ultimi provvedimenti adottati dal Governo, forse è bene riportare la questione all’attenzione di tutti.
[di Valeria Casolaro]
La NATO aumenta contingente militare in Europa orientale
Secondo quanto comunicato sul proprio sito internet, la NATO starebbe aumentando il contingente militare nell’Europa orientale. Lo scopo sarebbe quello di costituire un deterrente per eventuali attacchi, nel contesto delle crescenti tensioni tra Russia e Ucraina. Numerosi Paesi, tra i quali Spagna, Francia, Paesi Bassi e Danimarca stanno inviando mezzi navali e aerei militari e truppe verso gli Stati orientali, mentre gli USA hanno dichiarato di essere intenzionati ad aumentare la propria presenza nell’area. La presenza di dispiegamenti militari dell’Alleanza Atlantica nelle zone dell’Europa Orientale si registra a partire dal 2014, in seguito all’annessione della Crimea da parte della Russia.










