In Niger, nella regione meridionale di Maradi, almeno 18 persone hanno perso la vita a causa del crollo di una miniera d’oro verificatosi nella giornata di domenica. A riportare il bilancio attuale è l’agenzia di stampa Reuters, che si rifà alle parole pronunciate da Adamou Guero, il sindaco del comune di Dan Issa. Quest’ultimo, oltre a rendere noto il numero attuale dei morti, ha affermato che esso sia destinato a salire.
L’acqua del rubinetto produce uno scudo protettivo contro le microplastiche
Un team di scienziati di Dublino ha scoperto che l’acqua del rubinetto produce uno scudo protettivo naturale contro le microplastiche efficace fino al 99,8%. Una rivelazione importante che potrebbe aiutare a prevenire il rilascio di tali sostanze dannose da parte dei più comuni elettrodomestici, come i bollitori in plastica. Nello specifico, la ricerca spiega che l’acqua che sgorga nelle nostre case, non è H2O pura al 100% ma contiene oligoelementi e minerali in grado di impedire alla plastica di degradarsi e di rilasciale particelle di materiale plastico le quali, non solo sono molto inquinanti, ma possono anche essere portatrici di una serie di contaminanti particolarmente dannosi, come residui di metalli o sostanze chimiche organiche.
Quando la plastica si deteriora e rilascia microplastiche, queste contaminano l’ambiente e nuocciono alla salute dell’uomo. In condizioni di alta concentrazione o alta suscettibilità individuale, come riportato in uno studio pubblicato su Science of The Total Environment, queste possono causare lesioni infiammatorie, stress ossidativo, e persino cancerogenicità e mutagenicità. Addirittura, secondo i ricercatori, l’acqua del rubinetto può, nel tempo, far sviluppare una pellicola protettiva agli elettrodomestici nei quali è utilizzata, come i bollitori ad acqua. La prossima frontiera annunciata dal team di Dublino è quella di riprodurre in laboratorio la pellicola protettiva contro le microplastiche, con l’obiettivo di poterla applicare già in fase di fabbricazione sulla plastica, impendo così il rilascio di microparticelle nocive.
Nel frattempo, una nuova prova di come il consumo di acqua del rubinetto sia non solo più economico e sostenibile, ma pure più salutare rispetto a quella in bottiglia.
[di Eugenia Greco]
India: incendio in reparto ospedaliero, morti 4 neonati
Questa notte, a causa di un incendio verificatosi nel reparto di cure intensive del Kamla Nehru Children’s Hospital – un ospedale governativo di Bhopal, nello stato del Madhya Pradesh – quattro neonati hanno perso la vita. Al momento dell’incendio all’interno del repato vi erano 40 bambini, ed i vigili del fuoco sono riusciti a salvarne 36. Il primo ministro dello stato, Shivraj Singh Chouhan, ha fatto sapere tramite un tweet che è stata disposta un’inchiesta per fare luce sulle cause dell’incidente.
Gazprom comincia a pompare gas per Europa
L’azienda energetica russa Gazprom ha annunciato di aver cominciato a pompare gas in cinque depositi sotterranei europei per questo mese. Lo riporta l’agenzia giornalistica AGI. La Russia si era infatti impegnata a rifornire gli stoccaggi europei a partire dalla giornata di ieri, dopo l’impennata delle quotazioni del gas di ottobre, ma nulla si era mosso, causando un aumento dei prezzi del 10%. Dopo la ripresa dei rifornimenti, i prezzi di riferimento del gas sono subito calati del 3%. A causa delle scorte basse, che hanno causato impennate nei prezzi, e della ripresa della domanda con l’uscita dalla crisi economica dovuta alla pandemia, il mercato del gas europeo ed asiatico si trova in una situazione di forte pressione dall’inizio dell’anno.
I rifiuti elettronici continuano a crescere in maniera preoccupante
Secondo le ultime stime pervenute dalle Nazioni Unite, a fine 2021 ci saranno circa 57,5 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) diffusi nel mondo. Un aumento che si verifica da anni, ma mai in maniera tanto significativa quanto negli ultimi periodi, data – anche – la maggiore richiesta di prodotti elettronici (specialmente durante il periodo pandemico). Nel periodo in cui l’epidemia di Coronavirus si è diffusa (2019), sono stati generati 53,6 milioni di tonnellate di e-waste (quasi quattro milioni di tonnellate in meno rispetto all’anno corrente), un dato allarmante se messo a confronto con gli anni precedenti. Dal 2014 al 2019 i RAEE sono cresciuti del 21 percento, continuando – in maniera quasi invariata – ad aumentare del tre o quattro percento ogni anno, fino ad arrivare a un boom della domanda e del consumo di apparecchi elettronici, tra tutti personal computer e tablet. Con una richiesta sempre maggiore (un aumento di quasi il cinque percento a persona), ognuno produrrà, nel 2021, una media di 7,6 chilogrammi di e-waste. Come precisato dal Global E-Waste Monitor 2020, il rischio è quello di arrivare ad avere 74 milioni di tonnellate di RAEE entro il 2030.
È di cruciale importanza comprendere il potere inquinante degli e-waste, perché con consumatori coscienti, la situazione potrebbe migliorare esponenzialmente. Basti pensare che più o meno cinque chili di dispositivi restano inutilizzati, abbandonati in qualche gattabuia delle case (in una media di 11 articoli elettronici su 72 che una famiglia media europea possiede). I RAEE realmente riciclati sono nemmeno il 20 percento, mentre il restante 80 percento viene abbandonato nelle discariche in Africa e in Asia, per poi essere bruciato o sciolto nell’acido (una fine dannosa per l’ambiente e altamente tossica per gli esseri viventi). Riuscire nel riciclo dei RAEE vuol dire limitare le emissioni di CO2 (per ogni tonnellata di RAEE riciclata si evitano circa 2 tonnellate di emissioni di CO2) e risparmiare in più sensi. Far ricircolare merce elettronica piuttosto che lasciarla in disuso o, peggio ancora, gettarla irresponsabilmente, rappresenta anche un ottimo modo per evitare l’estrazione di nuovi materiali causando gravi danni ambientali. Non a caso l’unione Europea ha inserito nell’action plan sull’economia circolare del 2020 (punto 3) le TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) tra i punti cruciali su cui intervenire.
I rifiuti elettronici sono e continuano a essere il flusso di rifiuti in più rapida crescita al mondo ed è ormai chiaro quanto la loro produzione preveda l’impiego di importanti risorse, ecco perché è necessario rivedere e modificare l’attuale modo di gestirli. Come era stato suggerito dall’organizzazione Closing the Loop (la quale si occupa di telefoni cellulari compensati ed è stata fondata con l’obiettivo di ridurre i rifiuti elettronici) almeno il 95% dell’oro, dell’argento, del rame, del palladio e del platino inclusi nei prodotti IT può essere estratto e potenzialmente riutilizzato in nuovi prodotti: a marzo 2021, dall’Università dello Iowa, è stata diffusa l’idea di un nuovo sistema per l’estrazione dei metalli dai rifiuti elettronici. Passi avanti che però devono essere costanti e ancora più imponenti, perché è essenziale cambiare rotta e porre molta più attenzione, come palesato durante la quarta edizione dell’International E-Waste Day, tenutasi lo scorso 14 ottobre.
[di Francesca Naima]
Niger, almeno 26 bambini morti in incendio scuola
Almeno 26 bambini tra i 5 e i 6 anni sono morti e altri 13 sono rimasti feriti nella città di Maradi, in Niger, dopo che un incendio è divampato all’interno di una scuola costruita in paglia e legno. Il Niger, uno dei Paesi più poveri al mondo, ha provato a rimediare alla scarsità di edifici scolastici costruendone centinaia in legno e paglia. Dopo che un incidente simile era avvenuto a Niamey ad aprile, però, le autorità erano state allertate del rischio che le scuole si trasformassero in “tombe infiammabili per bambini”. Il presidente Bazoum ha promesso di rimpiazzare le strutture in legno, ma resta da vedere se le finanze statali possano permetterlo.
Il Messico sfida il capitalismo globale per la gestione del Litio
Come sappiamo, il litio è una risorsa centrale per il tipo di transizione energetica voluta dalle élite globali e il suo controllo, la sua estrazione e la sua gestione sono di fondamentale importanza per quanti vogliono essere al centro del gioco del nuovo capitalismo green. Per tali motivi, scelte come quella presa dal Presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, rischiano di far infuriare molti. L’intenzione di Obrador, nell’ottica di un’ampia riforma del settore energetico messicano, è quella di nazionalizzare (in parte) il prezioso metallo.
Non una vera e propria nazionalizzazione ma una forte controtendenza da quanto stabilito dalla riforma del 2013 voluta da Enrique Peña Nieto che andava a liberalizzare un settore, come quello energetico, in cui lo Stato giocava storicamente un ruolo di primo piano. Il pacchetto legislativo andrebbe a modificare gli articoli 25, 27 e 28 della Costituzione con lo scopo di rendere la Commissione Federale dell’Energia un’entità legale autonoma centrale a cui si riserva la produzione e la gestione di almeno il 54% dell’approvvigionamento energetico nazionale. Inoltre, ogni metallo e minerale che sia ritenuto strategico per la transizione energetica della nazione passerà sotto il controllo dello Stato, che ne sarà possessore di diritti esclusivi di esplorazione e estrazione.
Una delle più grandi – se non la più grande – riserve al mondo di litio è quella che si trova a Sonora, stato messicano attualmente gestito dal potente cartello di Sinaloa. La concessione mineraria è affidata a Sonora Lithium (SLL), una joint venture tra la canadese Bacanora Minerals (77,5%) e la cinese Ganfeng Lithium (22,5%). Si stima che la miniera detenga riserve comprovate e probabili di 243,8 Mt, contenenti 4,5 Mt di carbonato di litio equivalente (LCE). S & P Global Market Intelligence stima un valore di 22,6 miliardi di dollari e che, assieme al litio prodotto in Canada, potrebbe soddisfare il fabbisogno statunitense, specie quello di Elon Musk e della sua Tesla con cui Bancanora ha stretto accordi per la fornitura. Tra l’altro, l’azienda candese avrebbe deciso di procede all’estrazione con un metodo non testato prima e di cui non si conoscono gli esiti. Infatti, i depositi di litio di Sonora sono considerati “non convenzionali” e perciò il progetto non ha ancora preso piede. Il Presidente messicano tenta di inserirsi nello stallo momentaneo: ogni concessione che non sarà rispettata nei termini verrà infatti revocata. Se la produzione di Sonora non inizierà nel 2023, ogni diritto passerà in capo allo Stato. Questa potrebbe essere quindi l’unica miniera privata del Messico se dovesse passare la riforma costituzionale voluta da Obrador.
Sotto il profilo energetico i problemi del Messico sono anche di altro genere. Dalla riforma del 2013 di Nieto lo Stato è stato costretto ad acquistare energia da fornitori privati che con metodi da cartello hanno finito per gonfiare i prezzi senza però dover sostenere costi della rete di distribuzione elettrica pubblica. Risultato? Altissimi costi e servizi di scarso livello con una rete pubblica perennemente sovraccarica e con una fortissima disuguaglianza nel prezzo dell’energia che ha visto avvantaggiarsi giganti del calibro di Walmart e della catena OXXO. Il danno economico calcolato di tale riforma liberista operata dall’ex Presidente Niento è stimato attorno ai 23 miliardi di dollari. Obrador eleva quindi la lotta in corso tra il settore energetico pubblico e privato al livello di battaglia epocale. Tale riforma andrebbe anche a rivedere i rapporti con le società di fornitura elettrica, come con la spagnola Iberdrola e l’italiana Enel, per porre fine ad un tale stato di cose a tutto vantaggio dei ricchi e a discapito delle ampie fasce di popolazione che vivono nella povertà: il mercato dell’energia elettrica tornerà quindi ad avere una forte regolamentazione e più della metà dell’intero settore dovrà essere gestito dallo Stato, il quale si riserva di poter stabilire quali metalli e quali minerali considerare di interesse strategico e porre sotto un più stretto controllo.
La mossa di Andrés Manuel López Obrador è destinata certamente a ricevere una risposta forte da parte delle multinazionali dell’energia – e dei colossi che l’acquistano a prezzi stracciati – che potrebbero cercare di boicottare la riforma lasciando al buio milioni di persone.
[di Michele Manfrin]
Mafia, blitz contro clan Loiudice: 20 arresti
Dalle prime ore di questa mattina è in corso un’operazione dei Carabinieri di Bari contro capi e affiliati del clan Loiudice, attivo nella zona della Murgia. Le custodie cautelari sono a carico di 20 soggetti indagati per associazione di tipo mafioso armata, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, sfruttamento della prostituzione e molto altro. Le indagini, che hanno portato agli arresti tra le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Matera, sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.
Caos al confine tra Bielorussia e Polonia: migliaia di migranti premono alle frontiere
Al confine tra Bielorussia e Polonia, a Kuznica, terra di mezzo, ci sono centinaia di migranti arrivati a piedi per trovare asilo politico a Varsavia. Ma i militari gli hanno impedito l’accesso, sostenuti dal ministro della Difesa Mariausz Blaszczak che ha detto “Siamo pronti a difenderci”. Lungo la frontiera sarebbero già pronti ad intervenire definitivamente circa 12 mila soldati, mentre ancora il comitato per la gestione delle emergenze del governo polacco è riunito per decidere il da farsi. La notizia degli arrivi era già stata anticipata dalle autorità di frontiera bielorusse, che su Telegram avevano parlato di “Un grande gruppo di rifugiati, che portano con loro i loro effetti personali, si sta spostando verso il confine polacco lungo un’autostrada”.
I migranti in questione sono arrivati al confine per tentare di entrare attraverso la zona a sud del passaggio della frontiera. “Cercheranno di entrare in Polonia in massa”, ha avvertito sui social Stanislaw Zaryn, portavoce dei servizi di sicurezza polacchi, corredando le sue parole con un video che riprende un grosso gruppo di migranti che si muove sull’autostrada (ora chiusa al traffico) tra le due nazioni. Secondo Zaryn si tratterebbe dell’ennesima trovata del regime bielorusso contro la Polonia.
#Belarus Migrants set up a camp on the Belarusian-Polish border. There are indeed many of them. They are reportedly guarded by people in military uniform with weapons – either Belarusian border patrol or security forces pic.twitter.com/0uiGVtlqOs
— Hanna Liubakova (@HannaLiubakova) November 8, 2021
Anche l’attivista e politica Tsikhanouskaya ha condiviso il suo contributo video per denunciare la durezza con cui i migranti vengono respinti al confine da uomini armati. “Il traffico di migranti, la violenza e i maltrattamenti devono cessare. È necessaria una risposta forte”, dice.
Belarus’ regime escalates the border crisis – migrants are pushed to 🇪🇺 border by armed men. Lukashenka is fully responsible for the hybrid attack on 🇵🇱🇱🇹🇪🇺. The migrant smuggling, violence & ill-treatment must stop. Strong 🇪🇺 response is needed. #UNSC should discuss this crisis. pic.twitter.com/GhoWGWKZdH
— Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) November 8, 2021
Tuttavia non è ancora noto il numero esatto di persone ammassate al confine. Alcune fonti parlano di mille persone, altre di un massimo di cinquemila, secondo quanto riferito dalla polizia di frontiera lituana. Una situazione che preoccupa anche i “vicini”, portando il ministro dell’Interno lituano, Agne Bilotaite, a invocare lo stato di emergenza perché la situazione comincia a farsi davvero allarmante.
#Belarus Why is #Lukashenko staging this provocation now? Is pressure not working? No,it’s exactly the opposite. His logic: Europe will get scared and talks to me because of migrants, so I force them to lift sanctions. He wants it before he will have to blink because of pressure pic.twitter.com/flLtaN5K9r
— Hanna Liubakova (@HannaLiubakova) November 8, 2021
Non aiuta di certo l’indifferenza e la violenza con cui le autorità polacche si rapportano ai migranti. L’Unione Europea, intanto, si è limitata ad accusare la Bielorussia di favorire e incoraggiare flussi così consistenti di migranti illegali verso il suo territorio, come “ripicca” per le sanzioni ricevute. Alexander Lukashenko, leader bielorusso sostenuto dalla Russia, ha sempre negato di avere queste intenzioni.
In ogni caso, per ora, non si vedono concreti provvedimenti all’orizzonte da parte dell’UE, nonostante uno dei portavoce abbia detto che “negli ultimi tempi Varsavia ha riferito di 3mila attraversamenti illegali del confine ogni settimana. Si tratta della continuazione del disperato tentativo del regime di Lukashenko di usare le persone per destabilizzare l’Ue. Noi rigettiamo ogni tentativo di strumentalizzare l’immigrazione per obiettivi politici”.
Sytuacja na granicy jest coraz bardziej napięta. Tego rodzaju sytuacje są teraz niemal codziennością. Wszyscy powinniśmy być wdzięczni naszym żołnierzom i funkcjonariuszom Straży Granicznej za ich służbę. https://t.co/7KqH27oOg3
— Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) November 7, 2021
La Polonia continua a negare l’accesso alla frontiera ai media e alle Ong, respingendo allo stesso modo gli appelli delle organizzazioni umanitarie che chiedono al paese di lasciar entrare i migranti. “Il confine polacco non è solo una linea su una mappa”, ha dichiarato il premier polacco, Mateusz Morawiecki, “il confine polacco è sacro, sangue polacco è stato versato per esso”.
La situazione lungo il confine tra Bielorussia e Polonia è tesa già da quest’estate. Da allora migliaia di persone tentano di attraversare il confine. Le autorità, in risposta, spiano i telefoni, compresi quelli dei giornalisti per localizzare più in fretta i profughi. Al momento, nessuno se ne occupa, se non le Ong che lottano per fornire sostegno e ottenere informazioni.
[di Gloria Ferrari]