venerdì 19 Aprile 2024

In Italia la peste suina è tornata a diffondersi: allarme nel Nord-ovest

Da settimane l’allarme è sottotraccia, ora è arrivata la conferma: in Italia, e in altri paesi europei, è ufficiale la propagazione di una nuova ondata di peste suina africana, il morbo che colpisce suini e cinghiali, letale circa nell’80% dei casi. La Commissione Europea ha stabilito che fino al 7 aprile l’Italia dovrà applicare le misure contro la diffusione della patologia nelle aree particolarmente infette di Piemonte e Liguria. Inoltre, il nostro Paese dovrà vietare i movimenti di suini detenuti nelle aree citate, e dei relativi prodotti, verso altri Stati membri e paesi terzi. Tuttavia, in molti stanno giocando di anticipo: Cina, Giappone, Taiwan, Kuwait e, con certe eccezioni, anche la Svizzera, hanno già vietato in via precauzionale ogni import di salumi e carni suine Made in Italy. Una misura dannosa a livello economico e almeno in parte ingiustificata. È stato ad esempio dimostrato che il processo di stagionatura cui va incontro il prosciutto nostrano è in grado abbattere o inattivare praticamente ogni patogeno.

La Peste suina africana (PSA) è una patologia virale che colpisce esclusivamente i suidi – maiali e cinghiali – altamente contagiosa e letale per gli animali, non è, in nessun caso, trasmissibile agli esseri umani. Per il morbo non esistono né cure né vaccini, pertanto, le epidemie hanno pesanti ripercussioni economiche nei Paesi colpiti. Una volta accertato anche un solo caso, è infatti necessario procedere all’abbattimento preventivo di migliaia di capi potenzialmente infetti. Per quanto riguardo invece i sintomi – quali febbre, inappetenza, debolezza, aborti spontanei, emorragie interne evidenti su orecchie e fianchi – non differiscono troppo da quelli tipici della peste suina classica, malattia analoga causata però da un virus differente. Mentre tra le modalità più rilevanti di diffusione vanno citati la circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse. C’è da dire, inoltre, che le condizioni in cui versano gli allevamenti intensivi spesso non fanno altro che esacerbare una trasmissibilità già di per sé elevata.

In ultimo, c’è la questione della diffusione in natura. I cinghiali allo stato brado rappresentano infatti dei vettori significativi del virus, tant’è che nei 60 comuni dell’area infetta a cavallo tra Piemonte e Liguria è stato anche chiesto di sospendere la caccia e le attività nel bosco. «Sia perché le battute con il metodo della ‘braccata’ disperdono i gruppi e aumentano il rischio di diffusione – ha spiegato Francesco Feliziani, veterinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche – sia perché l’uomo è il primo veicolo di contagio attraverso materiali e superfici». In questo senso, poi, il rischio maggiore sarebbe legato agli scarti di cibo lasciati incustoditi, specie nelle aree rurali. «Il gran numero di esemplari che ospitiamo sul territorio italiano – ha concluso – si sposta soprattutto in funzione delle risorse alimentari più accessibili e i rifiuti urbani possono rappresentare un pericoloso focolaio d’infezione».

[di Simone Valeri]

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