Il ministro della Sanità della Slovenia, Janez Poklukar, ha annunciato che la sua volontà è quella di interrompere la somministrazione del vaccino Johnson & Johnson dopo che una 20enne è morta per una trombosi da esso indotta. La correlazione tra il decesso e la somministrazione del vaccino è stata infatti confermata da un comitato di esperti che, si legge sul sito del governo, all’unanimità si è schierato a favore dell’esistenza di un «legame diretto tra la vaccinazione e l’insorgenza della sindrome». La sospensione era già stata attuata in via precauzionale dopo la morte a settembre della donna ed ora, ha spiegato Polkulkar, «il protocollo di vaccinazione provvisorio attualmente valido con Johnson&Johnson diventerà permanente».
I polli del supermercato sono ancora pieni di antibiotici
Una pratica comune all’interno degli allevamenti intensivi consiste nel somministrare antibiotici agli animali: secondo un recente rapporto dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali), infatti, nel 2020 circa 689 tonnellate di antibiotici venduti in Italia sono stati destinati agli «animali da produzione alimentare». Tra questi vi sono anche i polli: nella nostra nazione sono più di 500 milioni quelli allevati ogni anno e come testimoniato dall’associazione Essere Animali, che ha effettuato un’indagine sotto copertura in un allevamento di polli Aia, gli animali ricevono abitualmente antibiotici tramite il mangime e l’acqua e la maggior parte di essi non viene somministrata per curare le malattie bensì per prevenirle. Non si tratta però certamente di un caso singolo: negli allevamenti intensivi la somministrazione dei medicinali è attualmente praticamente indispensabile in quanto gli animali possono facilmente sviluppare malattie.
Come sottolineato da Essere Animali, infatti, i polli vengono normalmente allevati in grandi numeri ed in condizioni igienico-sanitarie pericolose. Generalmente però i polli d’allevamento rischiano fortemente di ammalarsi non solo per questo motivo ma anche a causa delle loro caratteristiche. In tal senso, gran parte di quelli utilizzati per produrre carne sono “broiler”, un tipo di pollo che deriva da incroci di varie razze e che è in grado di fornire una risposta migliore alla domanda di carne crescendo velocemente (normalmente il suo ciclo di vita varia dai 40 ai 60 giorni) ed avendo un petto molto di dimensioni enormi, spropositate rispetto a quelle degli arti. Tralasciando il fatto che per questo tende ad avere problemi allo scheletro e dunque a soffrire, bisogna ricordare che il broiler è tendenzialmente debole in quanto ha delle difese immunitarie basse a causa di un patrimonio genetico limitato.
È dunque facile comprendere perché, come detto precedentemente, è al momento indispensabile somministrare gli antibiotici a questi animali: non facendolo la possibilità che essi si possano ammalare sarebbe molto elevata. Tale pratica però rappresenta la principale causa del fenomeno dell’antibiotico resistenza: come sottolineato all’interno di un documento dell’Associazione medici per l’ambiente – Isde Italia, l’elevato uso di antibiotici negli allevamenti contribuisce ad essa, che è trasmissibile all’uomo. Abbiamo quindi a che fare con un grave problema per la salute globale: l’antibiotico resistenza, infatti, è responsabile di circa 33.000 decessi all’anno nella sola Unione europea e si stima che costi all’UE 1,5 miliardi di euro all’anno. Con ogni probabilità, dunque, è anche per tale motivo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha recentemente lanciato un appello chiedendo di smettere di somministrare gli antibiotici agli animali sani e così «prevenire la diffusione della resistenza ad essi».
[di Raffaele De Luca]
Firenze, Gkn: azienda riapre procedura licenziamenti
«Dopo aver ritardato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo fino alla fine di novembre, siamo costretti a iniziare la procedura legale»: è quanto comunicato dall’azienda Gkn Driveline Firenze ai dipendenti della fabbrica di Campi Bisenzio tramite una raccomandata datata 26 novembre ed arrivata ieri ai lavoratori. In tal senso, secondo quanto affermato dal Collettivo di Fabbrica dello stabilimento, la procedura di licenziamento nei confronti degli oltre 400 dipendenti dovrebbe ripartire nella giornata di oggi.
Litio dalla geotermia per batterie più sostenibili, al via primo impianto
L’estrazione del litio è a un passo dalla sostenibilità. Si fa sempre più concreta, infatti, la possibilità di ricavare questo ormai indispensabile metallo dalla cosiddetta salamoia geotermica, una soluzione di fluidi ipersalini generalmente impiegata nel ciclo di produzione di energia dal calore sotterraneo. Il primo impianto commerciale che sfrutterà questo processo partirà proprio in Europa, nell’Alta Valle del Reno, grazie al progetto Zero Carbon Lithium della società australiana Vulcan Energy Resources. L’obiettivo sarà quello di fornire idrossido di litio al produttore di veicoli Stellantis con cui è stato firmato un accordo quinquennale vincolante. A beneficiare della rivoluzione saranno tre futuri stabilimenti situati, rispettivamente, a Termoli, in Italia, a Kaiserslautern, in Germania, e a Douvrin, in Francia.
L’idrossido di litio – grazie agli ioni, atomi dotati di carica elettrica derivanti dalla sua dissociazione – è ad oggi materia prima essenziale per la produzione di batterie ricaricabili. La transizione ecologica, specie del settore dei trasporti, ha portato ad un’impennata nella domanda del metallo che lo costituisce, il litio per l’appunto. Secondo le stime della società NS Energy, la sua produzione mondiale, nel 2019, è stata di 77.000 tonnellate e si ritiene possa arrivare a 120.000 nel 2024. Motivo per cui, alla luce delle attuali modalità di estrazione, è stato messo da tempo l’accento sulla dubbia sostenibilità dell’intero ciclo di vita delle batterie. Ad oggi, il metallo della transizione è infatti ricavato perlopiù attraverso due fonti distinte: acqua salata o roccia. Nel primo caso, si sfrutta un processo di evaporazione forzata che richiede ingenti quantitativi di acqua e consumo di suolo. Nel secondo, invece, si tratta di aprire delle vere e proprie miniere a cielo aperto con impatti sul territorio e l’atmosfera, nonché sociali, tutt’altro che trascurabili. Ma non finisce qui. Il litio così estratto, infatti, va poi raffinato. Allo scopo, sono necessari impianti di lavorazione basati sui combustibili fossili che, di fatto, vanificano ogni taglio delle emissioni derivante dal ricorso all’energia elettrica. Per questo, quindi, si parla di “paradosso della transizione”. Non a caso l’Europa, anche a causa di un approvvigionamento instabile in rapporto alla crescente domanda, ha inserito il litio nelle Critical raw materials, materie prime critiche per cui bisogna muoversi, e in fretta, verso una produzione totalmente sostenibile.
Il progetto della Vulcan potrebbe quindi cambiare le carte in tavola. Il processo che sfrutterà, tuttavia, non è nuovo. Recentemente però è stato affinato – come ha evidenziato un recente studio – fino a far sì che possa generare un idrossido litio di alta qualità. Finora, infatti, il limite maggiore, che ha favorito le modalità di estrazione più impattanti, è che solo queste permettevano di ottenere un prodotto qualitativamente elevato. Nel dettaglio, il progetto che avrà sede fisica in Germania prevede che un fluido ricco in litio proveniente dal sottosuolo venga fatto passare attraverso delle colonne di estrazione in cui il metallo di interesse precipiterà e potrà quindi essere raccolto. Il tutto sfruttando calore ed energie rinnovabili che, se in eccesso, potranno essere reimmesse nella rete. Di conseguenza, l’impronta di carbonio potrebbe risultare persino negativa. Alla luce quindi di un pressoché totale azzeramento delle emissioni di CO2 e un decisivo taglio dei costi produttivi, la strada si conferma quella giusta. Conflitti geopolitici permettendo. Ma questo è un altro discorso.
[di Simone Valeri]
Blitz anti camorra nel Napoletano: 19 arresti
Nella giornata di oggi i carabinieri del Gruppo di Torre Annunziata hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Napoli – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di 19 individui. Questi ultimi, ritenuti appartenenti ai contrapposti clan camorristici “Gionta” e “IV Sistema” operanti nel territorio di Torre Annunziata, sono accusati a vario titolo di: associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, porto e detenzione di armi da sparo.
Livorno: incendio in raffineria Eni
In queste ore si è verificato un incendio all’interno della raffineria Eni di Stagno, in provincia di Livorno. A riportare la notizia è il quotidiano locale LivornoToday, il quale specifica che l’incendio è divampato nel primo pomeriggio di oggi in seguito ad una esplosione. Una colonna di fumo nero si è dunque sollevata intorno alla raffineria, motivo per cui la Protezione civile del Comune, a livello precauzionale, ha invitato i cittadini a tenere le finestre chiuse. Sul posto si stanno recando i vigili del fuoco, che hanno ricevuto diverse segnalazioni, mentre sono già arrivate due ambulanze. Al momento, però, non è possibile sapere se vi siano feriti.
Milano, il Tribunale obbliga una 14enne a vaccinarsi: “è disinformata”
La sezione Famiglia del Tribunale civile di Milano ha ordinato la vaccinazione di una quattordicenne, contraria ad immunizzarsi. I genitori della ragazza avevano pareri opposti sulla questione e la Corte ha dato ragione al padre, pro inoculazione. Lo riporta il Corriere della sera, sottolineando che il Tribunale, seguendo una sentenza della Cassazione del 2015, non si è conformato alla volontà della ragazza, poiché in essa ha colto un dissenso non informato ma influenzato dalla madre, giudicata «contraria alla vaccinazione con posizioni aprioristiche che trascurano del tutto gli approdi della scienza internazionale». Per questo, secondo il tribunale, la ragazza non avrebbe avuto «una adeguata informazione» e pertanto non avrebbe potuto esprimere «un consenso/dissenso veramente informato». Quindi il Tribunale ha autorizzato il padre a fare vaccinare la figlia, nonostante il parere contrario della madre e della figlia stessa.
Insomma, fuor di metafora, per il Tribunale la ragazzina è vittima della propoganda no-vax e ignora la scienza. Il fatto che la vaccinazione non sia obbligatoria non è stato tenuto in conto, così come pare evidente che non abbiano trovato spazio nei ragionamenti del giudice i numerosi studi che mettono in dubbio l’opportunità e il rapporto rischi-benefici sulle vaccinazioni dei più giovani.
«Sia papà che mamma — ha spiegato la 14enne alle giudici ed alla presidente Anna Cattaneo — mi hanno chiesto cosa volessi fare e visto che il vaccino è nuovo e potrebbe scaturire effetti collaterali, io avrei voluto aspettare ancora un po’. Non sono stata influenzata. Non vado al ristorante o in luoghi chiusi dove serva il green pass. Pertanto non vorrei vaccinarmi al momento». La ragazza era stata affidata anni prima ai Servizi sociali di un Comune milanese, ma questi ultimi non se la sono sentita di prendere una decisione. La vaccinazione Covid infatti non é tra quelle obbligatorie e così la questione è tornata di fronte al Tribunale.
[di Iris Paganessi]