domenica 9 Novembre 2025
Home Blog Pagina 1375

Ecuador: gli indigeni vincono in tribunale contro i colossi petroliferi

1

Una storica vittoria per le popolazioni indigene ecuadoriane e un importante passo avanti per il rispetto dell’ambiente, dopo che la Corte Costituzionale dell’Ecuador ha riconosciuto il diritto dei popoli indigeni a scegliere per la propria terra. D’ora in avanti dovrà esserci un processo di consultazione che coinvolga le comunità, prima di pianificare una qualsiasi attività estrattiva sul loro territorio o nelle immediate vicinanze. Non solo, le comunità indigene avranno potere decisionale, dando o meno il loro consenso a determinati progetti.

Sono quattordici le nazioni indigene in Ecuador che da tempo combattono per avere voce in capitolo su ciò che accade nei territori in cui vivono. La stessa Costituzione dell’Ecuador prevede il diritto delle popolazioni a una consultazione “libera, preventiva e informata” (FPIC, dall’inglese Free, prior and informed consent) prima che vengano attuati progetti petroliferi, minerari o simili. Eppure, questo diritto è stato violato più volte mentre lo stesso presidente Guillermo Lasso ha cercato di implementare lo sfruttamento petrolifero e minerario dell’Ecuador, vista l’importanza economica di simili pratiche (rappresentano oltre l’8 per cento del PIL dell’Ecuador). Anche a livello internazionale, ai sensi della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, viene garantito alle comunità indigene l’accesso al FPIC. Nonostante ciò, troppo spesso le popolazioni non sono state considerate. Oppure, quando chiamate a intervenire, il processo era lungi dal garantire un reale potere decisionale alle comunità e i progetti parevano già pronti per essere attuati, senza il raggiungimento di alcun reale accordo.

Ma la sentenza dello scorso 4 febbraio cambia le carte in tavola, stabilendo come qualsiasi processo debba avere l’accordo di chi in quei territori tanto ricchi di giacimenti di petrolio e minerali ci vive. Soprattutto nell’Amazzonia ecuadoriana, esistono le più importanti riserve di petrolio greggio del paese e come ricorda la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana (CONFENIAE) il 70 per cento della regione è territorio indigeno. Oltre al sacrosanto diritto, ora ristabilito e tutelato, del decidere per la propria terra, gli esperti ricordano – e da tempo – la centrale importanza della tutela di aree come quella amazzonica, per preservare la salute di chi lì vive e per far fronte al cambiamento climatico.

L’appetito dei colossi fossili certamente non diminuirà, ma grazie alla decisione della Corte suprema ci saranno tutele più forti ed efficaci col fine di evitare il verificarsi di episodi come quello di Sinagoe, quando gli indigeni Cofán scoprirono diverse macchine estrattive vicino al Parco Nazionale Cayambe Coca, senza che fossero mai stati consultati. Era il 2018 e dopo denunce e combattimenti, i giudici pretesero l’annullamento di ben 52 concessioni minerarie, in un’area di circa 324 chilometri quadrati. Da ora dovrà invece esistere una reale attenzione purché la violazione del diritto alla consultazione preventiva degli indigeni non avvenga, così come quella dei diritti della natura e di un ambiente sano, tra l’altro riconosciuti dalla Costituzione ecuadoriana. Intanto, il presidente Guillermo Lasso non ha ancora commentato la sentenza. Con la recente sentenza della Corte Costituzionale rimane la possibilità del Governo di approvare alcuni progetti estrattivi senza il consenso della comunità solo in “circostanze eccezionali“, senza però dimenticare il rispetto di determinati diritti collettivi e dell’ambiente.

[di Francesca Naima]

Rosignano: la Solvay autorizzata a sversare scarti in mare per altri 12 anni

3

Sono passati appena tre giorni dall’inserimento in pompa magna della tutela ambientale in Costituzione, e già si propone dirompente l’obiezione posta da molti movimenti ambientalisti: serve a poco inserire mirabolanti propositi in Costituzione se poi nella prassi quotidiana non se ne dà seguito. Il Ministero della transizione ecologica ha infatti rinnovato l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) alla multinazionale Solvay, permettendole di continuare a realizzare prodotti chimici nello stabilimento di Rosignano Marittimo (Livorno) e a sversare i residui della produzione in mare, con un limite di 250.000 tonnellate l’anno.

Il decreto, risalente al gennaio scorso, ha confermato l’AIA anticipando di cinque anni la sua scadenza naturale, prevista per il 2027. La decisione ha provocato le ovvie proteste dei comitati locali che da anni chiedono la chiusura dello stabilimento, parole di accusa sono giunte anche dal deputato Francesco Berti (del Movimento 5 Stelle) che, riferendosi alla decisione del Ministro Roberto Cingolani, ha parlato di una «fretta quantomeno sospetta e inusuale, visto che solo un mese e mezzo fa l’impianto livornese è stato messo sotto la lente di ingrandimento dalle Nazioni Unite».

A rispondere all’accusa con una nota al sapore di scaricabile lo stesso ministero: “Si precisa che la revisione dell’AIA è stata disposta dal precedente governo nel marzo 2018 e che l’autorizzazione non viene elaborata dal ministro, ma da una commissione indipendente composta interamente da tecnici”. Interessante notare che, per il 2027, non era soltanto fissata la ridiscussione del rapporto con la Solvay, ma anche e soprattutto il raggiungimento da parte dell’Italia dello status “buono” di tutte le acque, superficiali e di falda, da conseguire entro il 31 dicembre 2027, come disposto dalla Direttiva europea 2000/60/CE. Evidente che per Rosignano Marittimo se ne riparlerà più avanti.

Il Gruppo Solvay, fondato in Belgio da Ernest Solvay nel 1863, è oggi attivo nel settore chimico e delle materie plastiche in ben 64 paesi, con un numero di dipendenti complessivo pari a circa 24.100 unità (1.900 in Italia) e un fatturato, relativo al 2019, di 10.2 miliardi di euro. Nonostante l’accordo di programma firmato nel luglio del 2003 con gli enti locali, con cui la Solvay si impegnava essenzialmente a ridurre il proprio impatto sull’ambiente, la salute della costa livornese non è migliorata, anzi.

Nel maggio 2013, dopo quattro anni di indagini, la Procura di Livorno ha accertato lo scarico illecito di fanghi da parte di Solvay nell’area delle spiagge bianche attraverso “un sistema di scarichi non mappati che permettevano all’azienda di diluire sostanze come mercurio, piombo, selenio e fenoli affinché nel momento in cui questi arrivavano a valle risultavano in regola con i parametri previsti dalle normative di legge”.
Secondo le stime realizzate dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Pisa nella sabbia bianca la Solvay avrebbe scaricato 337 tonnellate di mercurio e altri veleni tra i quali figurano arsenico, cadmio, nickel, piombo, zinco, dicloroetano. All’inquinamento del mare si aggiungono poi un uso sconsiderato di acqua dolce e numerose emissioni in atmosfera. Il Rapporto Cheli-Luzzati (Università di Pisa) stima nel 48% l’uso di acqua dolce del territorio da parte di Solvay. L’altra metà della risorsa idrica deve soddisfare i consumi prioritari di popolazione e agricoltura. Per quanto riguarda, invece, le emissioni in atmosfera, Solvay nel 2016 ha dichiarato 168 tonnellate di ossidi di azoto, 327.000 tonnellate di anidride carbonica, 6.260 tonnellate di ossido di carbonio e 365 di ammoniaca (NH3). Il mercurio disperso in atmosfera, inoltre, è stato rilevato in 4 grammi per 1000 kg di cloro prodotto, corrispondenti a 480 kg di mercurio l’anno in atmosfera.

Tutto questo ha conseguenze sulla salute dei cittadini. Gli abitanti di Rosignano, infatti, sono esposti a un rischio maggiore di mortalità rispetto alla media nazionale, con tendenze a sviluppare malattie croniche come il diabete mellito o la demenza.

[di Salvatore Toscano]

Genova: arriva Draghi, la polizia rimuove i cartelli di protesta dall’asilo

4

La polizia ha rimosso alcuni cartelli di protesta indirizzati al premier Draghi che erano stati affissi ai cancelli di un asilo di Genova, nel quartiere di Sampierdarena, poco prima che il corteo di auto che trasportava il Primo Ministro e il sindaco del capoluogo ligure, Mario Bucci, vi transitasse davanti. Non paga, ha poi proceduto ad identificare tutti i presenti, ovvero le maestre d’asilo e i genitori di alcuni bambini. Il tutto per aver esposto piccoli striscioni colorati tutt’altro che minacciosi o ingiuriosi, con scritte come: “Signor Draghi, Sampierdarena ha bisogno di tutto, non dei depositi chimici”.

I cartelli erano stati affissi in occasione del passaggio del Presidente del Consiglio Mario Draghi, il quale si trovava a Genova per la visita al cantiere del Terzo Valico e per incontrare le famiglie delle vittime del Ponte Morandi, da parte delle maestre della scuola dell’infanzia Firpo, insieme ad alcuni genitori del Comitato solidale Firpo, per protestare contro lo spostamento presso il ponte Somalia, nel porto di Sampierdarena, dei depositi chimici che attualmente si trovano a Multedo, provvedimento che ha suscitato molta preoccupazione negli abitanti del quartiere e al quale dovrebbero essere destinati 30 milioni di finanziamenti pubblici.

La Polizia, dopo aver notato il gruppo all’esterno della scuola, avrebbe provveduto alla rimozione dei cartelli prima del passaggio dell’auto del premier e all’identificazione di tutti i presenti, cui sarebbero stati sottratti i documenti per essere restituiti solamente un’ora dopo. La Questura ha confermato che nessuno è stato denunciato.

In un comunicato stampa il Comitato solidale Firpo ha espresso indignazione per “l’ennesima prevaricazione di questa Amministrazione che non tollera dissensi ai propri piani, non accetta discussioni, non ammette voci contrarie intelligenti e di buonsenso, fondamentalmente perché non ha risposte da dare, né a chi sta protestando né a chi sta chiedendo di investire realmente su questo quartiere (e quindi su Genova intera) quei 30 milioni di euro che, invece, andranno a finanziare il loro folle progetto dello spostamento dei depositi chimici“.

[di Valeria Casolaro]

È nato il podcast de L’Indipendente

1

L’obiettivo del nostro giornale è di offrire un’informazione di qualità, svincolata da qualsivoglia condizionamento esterno. Vogliamo essere liberi di raccontare le realtà, anche quelle scomode, operando un controllo rigoroso dei nostri contenuti e rigettando le fake news o le notizie clickbait.

Per questo abbiamo scelto di non avere legami con partiti e multinazionali, e non vedrete mai apparire sul nostro sito spazi pubblicitari. La nostra è, e continuerà ad essere, un’informazione senza padroni.

Con l’obiettivo di diversificare quanto più possibile la fruizione dei nostri contenuti e offrire un’informazione completa e multicanale ai nostri utenti, siamo orgogliosi di annunciare la nascita, dopo alcune settimane di prova, del nuovo servizio di informazione podcast de L’Indipendente.

Al momento il servizio mette a disposizione degli ascoltatori la rilettura degli articoli più importanti e degli approfondimenti pubblicati sul nostro sito. Presto sarà arricchito di novità, interviste e contenuti esclusivi. È possibile ascoltare i contenuti del podcast su tutte le principali piattaforme, tra le quali Spotify, Speaker, Google Podcast e YouTube.

Iniziate a seguirci su questi canali, presto arriveranno altre novità!

Putin ha lanciato un appello a tutti i cittadini europei

2

“Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma so quelle con le quali si combatterà la quarta: sassi e bastoni”, la paternità della celebre frase è dubbia, seppur attribuita dai più ad Albert Einstein. Come che sia, le parole rilasciate dal presidente russo Vladimir Putin in conferenza stampa, con preghiera di diffusione “ai lettori e agli utenti di internet”, ripercorrono il medesimo concetto. «Capite o no che se l’Ucraina si unisse alla NATO e provasse militarmente a riprendere la Crimea i paesi europei si ritroverebbero automaticamente in guerra con la Russia? Certo la potenza della NATO e della Russia sono incomparabili, lo capiamo, ma sappiamo anche che la Russia è una delle principali potenze nucleari e in alcune componenti della modernità è davanti a molti. Non ci saranno vincitori in questa guerra».

Le parole del preside russo, rilasciate durante la conferenza stampa svoltasi al Cremlino dopo l’incontro con il presidente francese Macron, lo scorso 8 febbraio, non sono state riportate con la dovuta importanza sui media europei ed italiani, al solito impegnati a fornire una lettura unilaterale e filo-americana della disputa. Per questo abbiamo scelto di sottotitolarle e riportarle integralmente, in quanto si tratta di un monito che tutti gli europei dovrebbero avere ben chiaro, a cominciare possibilmente da chi siede nei posti di governo. Le tensioni con la Russia sono foraggiate da un paese, gli Usa, che si trova a migliaia di chilometri di distanza dall’Ucraina, mentre l’Europa si trova immediatamente a tiro delle conseguenze di questo pericoloso Risiko, con conseguenze economiche ed energetiche che già vediamo chiaramente e con rischi militari incalcolabili. Per questo è importante cercare di capire quanto sta avvenendo, cosa che per altro abbiamo già cercato di spiegare con dovizia di particolari in questo articolo.

La ricercatrice che scoprì Omicron: “Subite pressioni per dire che era grave”

5

Angelique Coetzee, la ricercatrice che per prima ha scoperto la variante Omicron del Covid-19, ha dichiarato nel corso di un’intervista al quotidiano australiano Daily Telegraph di aver subito pressioni da parte delle potenze europee e della comunità internazionale di scienziati dopo aver affermato che la nuova variante era di bassa gravità.

“A causa di tutte le mutazioni del Covid, tutti questi scienziati e politici che non provengono dal Sudafrica mi hanno contattata dicendomi che avevo torto riguardo quanto avevo affermato, che si trattava di una malattia seria… Mi hanno detto che non avevo idea di cosa stessi parlando e hanno continuato ad attaccarmi”.

La dottoressa Coetzee è a capo della South Africa Medical Association ed è stata lei, nel novembre 2021, a individuare per la prima volta la variante Omicron, osservando che causava “sintomi estremamente blandi”. La maggior parte dei pazienti da lei osservati in Sudafrica, infatti, manifestava come unici sintomi mal di gola e stanchezza, al pari di una lieve influenza. Dopo aver reso note queste informazioni, tuttavia, la dottoressa è stata oggetto di forti pressioni da parte della comunità scientifica internazionale e dei governi, che l’accusavano di “non avere idea” di ciò di cui stava parlando.

Secondo la dottoressa Coetzee, gli attacchi nei suoi confronti mascheravano una profonda paura per l’arrivo di una nuova variante sconosciuta. Tuttavia, ha dichiarato, le sue dichiarazioni non sarebbero cambiate a meno che non vi fossero state prove cliniche a dimostrazione del suo errore.

[di Valeria Casolaro]

Mafia, confermato sequestro 20 milioni beni a clan Casamonica

0

È stato confermato il sequestro di beni per un totale di 20 milioni di euro eseguito nel 2020 nei confronti di Giuseppe Casamonica, del figlio Guerrino detto Pelè e di Christian Casamonica, figlio di Ferruccio. I soggetti colpiti dal provvedimento erano dediti ad estese attività di usura ed esercizio abusivo del credito, estorsione e intestazione fittizia dei beni. Nel 2021 sono state emesse le sentenze di condanna a 10 anni e due mesi per Guerrino e a 8 anni per Christian e il clan Casamonica è stato riconosciuto come associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra i beni confiscati vi erano tre ville di lusso, due delle quali sono state assegnate per finalità sociali gestite dalla Regione Lazio e dall’Amministrazione Comunale del comune di Monterosi.

Nasce il fondo per la Repubblica Digitale, iniziativa chiave del PNRR

2

È stato siglato un protocollo d’intesa tra il Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, il Ministro dell’economia e delle finanze, Daniele Franco, e il presidente di Acri (Associazione di fondazioni e di casse di risparmio), Francesco Profumo, che stabilisce le modalità d’intervento del nuovo Fondo per la Repubblica Digitale: si tratta di un fondo a cui sono destinati 350 milioni di euro in cinque anni provenienti da fondazioni di origine bancaria e il cui principale obiettivo è quello di incrementare le competenze digitali degli italiani, in vista di una crescente digitalizzazione del mondo lavorativo e industriale.

Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) della Commissione Europea, infatti, il 58% della popolazione italiana tra i 16 e i 74 anni non ha le competenze digitali di base, rispetto al 42% della media UE. Questo comporterebbe un ritardo non solo nell’utilizzo della rete di servizi di “cittadinanza digitale” relativi alla pubblica amministrazione, ma anche un freno alla competitività e allo sviluppo economico del Paese. In questo contesto si inserisce l’azione del Fondo che selezionerà progetti rivolti alla formazione e all’inclusione digitale, da finanziare tramite bandi, a cui potranno partecipare soggetti pubblici, privati senza scopo di lucro e soggetti del Terzo settore. La governance del Fondo prevede un Comitato di indirizzo strategico che dovrà selezionare e valutare i progetti e un Comitato scientifico indipendente che si occuperà di valutare l’efficacia ex post degli interventi finanziati.

Il Fondo per la Repubblica digitale costituisce un tassello essenziale nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ossia il piano che i Paesi UE devono presentare a Bruxelles per avere accesso ai fondi del Next Generation EU. Quest’ultimo è il più importante strumento di ripresa introdotto dalla Commissione europea per fare fronte alla depressione economica innescata dalle “chiusure pandemiche”. Come si legge nel documento ufficiale del PNRR, “il NGEU segna un cambiamento epocale per l’UE”: infatti, costituisce la base economica per la realizzazione di una visione di lungo periodo, volta a rimodellare interamente l’economia, la governance e l’assetto sociale del Vecchio Continente per adattarle al nuovo paradigma industriale 4.0. Nato con l’intento di incentivare rapidamente la ripresa economica nel Vecchio continente in seguito alla pandemia, in realtà gli obiettivi del Next Generation Eu sono sganciati dal sostegno all’economia reale e in particolare alle piccole e medio imprese e sono fortemente legati all’agenda di Davos. I fondi sono inoltre fortemente vincolati alle condizionalità che implicano un alto grado di interferenza da parte di Bruxelles nelle politiche nazionali.

Non a caso, le risorse messe a disposizione dalla Commissione UE sono strettamente vincolate a precisi ambiti d’investimento, che rappresentano i pilastri del NGEU. Tra questi vi sono la transazione ecologica e la digitalizzazione: a queste due aree, il PNRR deve destinare rispettivamente almeno il 37% e il 20% delle risorse, ossia le percentuali maggiori tra le voci di spesa. Il Fondo per la Repubblica Digitale nasce quindi con l’intento di accelerare e agevolare il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal NGEU.

Gli obiettivi che il governo intende raggiungere attraverso la formazione digitale e l’efficientamento del Paese riguardano l’innovazione e la competitività, visti come elementi propulsori per la ripresa economica nazionale. Con la digitalizzazione si pongono soprattutto le condizioni indispensabili per la realizzazione della Quarta rivoluzione industriale (4RI), improntata sulle nuove tecnologie, sull’intelligenza artificiale e l’Internet of Things, della quale i consessi internazionali della grande finanza come il World Economic Forum (WEF) sono ferventi sostenitori. A riguardo, è indispensabile sottolineare che questo tipo di industria è basata sul concetto di meccanizzazione del lavoro. Dunque, sebbene si creeranno nuove figure professionali, molte occupazioni andranno perse e ciò, insieme alla recente crisi energetica che ha colpito specialmente l’Europa, non sembra andare nella direzione della ripresa economica auspicata. Ciononostante, il ministro dell’economia Franco ha dichiarato che «l’accelerazione agli investimenti in nuove tecnologie, infrastrutture e processi digitali ci consentirà di potenziare la competitività della nostra economia. Il Fondo per la Repubblica Digitale rappresenta un importante strumento di cui si dota il nostro Paese per perseguire questi obiettivi».

[di Giorgia Audiello]

Terapia CAR-T: una speranza concreta contro la leucemia

1

La speranza di prendere il controllo e sconfiggere la leucemia si fa sempre più concreta: due pazienti che si sottoposero a una cura sperimentale più di dieci anni fa, oggi non presentano alcuna traccia del tumore. La cura, attuata nel 2010 negli Stati Uniti quando ancora era alle prime fasi di sperimentazione, è la CAR-T therapy che riuscì a mandare in remissione la leucemia linfatica cronica dei due soggetti. Oggi gli esperti hanno constatato che la cura è ancora funzionante, nonostante non sia stato fatto nulla nel lungo lasso di tempo trascorso. Si tratta di una scoperta medica importantissima, che alimenta la speranza di aver trovato finalmente il modo di sconfiggere questa forma tumorale.

Ma come funziona la terapia? La CAR-T therapy vede il “rafforzamento” in laboratorio di particolari globuli bianchi, i linfociti T, al fine di rendere il sistema immunitario capace di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Nello specifico, i globuli vengono prelevati dal sangue del paziente e indotti a esprimere sulla loro superficie il recettore CAR, non esistente in natura, per permettere loro – una volta reintrodotti nel soggetto – di individuare le cellule maligne. Gli esperti hanno appurato che tali linfociti sono ancora in circolo e attivi nei due pazienti sottopostisi alla terapia dieci anni fa, e che di conseguenza, con questo tipo di cellule è possibile ottenere lunghe remissioni, senza la necessità di ricorrere a ulteriori interventi, come il trapianto delle cellule staminali.

La leucemia linfatica cronica, di cui si diagnosticano più o meno 3mila nuovi casi annui in Italia, è un tumore del sangue considerato inguaribile ma che oggi è possibile tenere sotto controllo. Quando però la malattia avanza, si rendono necessari trattamenti che, seppur generalmente efficaci, in una piccola percentuale di malati non sempre riescono ad arrestarne la progressione. Per tale motivo la scoperta fatta sulla terapia CAR-T è molto importante. Questa, se nel 2010 era in sperimentazione, oggi può essere indicata come terapia specifica per il trattamento di alcuni tumori ematologici, quali diversi tipi di linfomi, leucemie e il mieloma multiplo.

[di Eugenia Greco]

Somalia, attentato contro delegati elezioni parlamentari: almeno 6 morti

0

Un minibus all’interno del quale viaggiavano alcuni delegati delle elezioni parlamentari somale è stato fatto saltare in aria a Mogadiscio, nella mattinata di giovedì 10 febbraio, causando almeno 6 morti e una dozzina di feriti. La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata dal gruppo al-Shabab, legato ad al-Qaeda, il quale starebbe cercando di rovesciare il governo centrale. Le elezioni parlamentari, dopo numerosi rinvii, avrebbero dovuto tenersi il 25 febbraio, ma ora rischiano di essere nuovamente rimandate. I combattenti di al-Shabab sono stati cacciati da Mogadiscio nel 2011, ma controllano ancora ampie zone rurali della Somalia, dalle quali lanciano attacchi contro la capitale e altre parti del Paese.