domenica 9 Novembre 2025
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No Tav, scarcerato Emilio Scalzo: era stato estradato in Francia

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L’attivista no Tav Emilio Scalzo, che era stato estradato in Francia nel dicembre del 2021 e detenuto nel carcere di Aix en Provence, è stato scarcerato. Scalzo, 65 anni, era stato arrestato con l’accusa di aggressione ai danni di un gendarme francese durante una mobilitazione in sostegno dei migranti che tentano di superare il confine alpino tra Francia e Italia. ll tribunale di Grenoble avrebbe riconosciuto un vizio di forma nella richiesta di estradizione. Scalzo dovrà per il momento rimanere in Francia, con obbligo di dimora e di firma settimanale in attesa del processo.

La Pfizer teme la diffusione dei dati sul vaccino, ora lo ha scritto chiaramente

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La Pfizer teme la diffusione dei dati sull’efficacia e sugli effetti collaterali relativi al vaccino anti-Covid da lei prodotto nonché le conseguenze sugli affari della fine della pandemia. È tutto scritto nero su bianco nell’ultimo rapporto rilasciato dallo stesso colosso farmaceutico, relativo agli utili nel quarto trimestre 2021. Nel capitolo intitolato “Rischi relativi al nostro Business, al settore e alle operazioni e allo sviluppo dell’attività” si leggono parole gravi, che lasciano tanto più colpiti in quanto scritte pubblicamente senza, evidentemente, che vi sia alcun timore che queste generino legittime rimostranze da parte dei Governi, come sarebbe lecito aspettarsi. “Vi è il rischio che un maggiore utilizzo del vaccino o di Paxlovid porti ad ulteriori informazioni sull’efficacia, la sicurezza o altri sviluppi, incluso il pericolo di ulteriori reazioni avverse, alcune delle quali possono essere gravi” si legge a pagina 39 del rapporto. Mentre a poche righe di distanza si accenna ai rischi economici derivanti dalla “possibilità che il Covid19 diminuisca in severità o diffusione o che scompaia interamente”.

Fin dalla prima pagina del documento sono presentati i dati attinenti ai ricavi dell’azienda rapportati a quelli conseguiti nel 2020: la Pfizer ha registrato un fatturato complessivo di 81,3 miliardi di dollari, con una crescita del 92% rispetto all’anno precedente e ciò, quasi esclusivamente, grazie alla vendita dei vaccini anti-Covid. Ad offuscare questo eccezionale scenario economico, vi sono appunto le preoccupazioni relative ai dati clinici e preclinici, all’efficacia e agli effetti avversi dei sieri anti-Covid19, analizzate meticolosamente nel report in questione. Questi rischi riguardano innanzitutto la diffusione di ulteriori dati clinici e preclinici, soprattutto dopo che un giudice federale del Texas ha imposto alla FDA di pubblicare 55000 pagine al mese della documentazione dei test clinici del vaccino Pfizer-BionTech. Si legge, dunque, che i problemi per l’attività della multinazionale potrebbero derivare, tra gli altri, dal “rischio associato ai dati preclinici e clinici (compresi i dati della fase 1/2/3 o della fase 4 per Comirnaty), inclusa la possibilità di ulteriori informazioni riguardanti la qualità dei dati preclinici, clinici e di sicurezza che possono emergere in seguito a audit e ispezioni”.

Nonostante questi timori riguardanti i dati della sperimentazione e l’evoluzione della situazione pandemica, il presidente e amministratore delegato, Albert Bourla, ha messo in luce gli enormi successi della compagnia conseguiti negli ultimi due anni i quali, a suo dire, «hanno fondamentalmente cambiato la Pfizer e la sua cultura per sempre». Lo stesso Bourla, guardando al futuro prossimo, ha dichiarato: «Ovunque nella compagnia vedo colleghi ispirati da ciò che abbiamo raggiunto e determinati a fare parte della prossima svolta che può cambiare il mondo per i pazienti in difficoltà. Siccome entriamo nel nuovo anno, non vedo l’ora di vedere tutto quello che realizzeremo insieme». Infine, Bourla ha recentemente asserito che non esclude la necessità di una quarta dose e l’ipotesi di richiami per diversi anni, in quanto «il virus non andrà via e presumiamo che resti per un decennio. […] Per questo si è fatta strada l’ipotesi di una quarta dose almeno prima di procedere con la regolare vaccinazione annuale».

Le case produttrici di farmaci sono, prima di ogni altra cosa, aziende che in quanto tali puntano a generare profitto. Non deve quindi sorprendere né scandalizzare che il documento Pfizer parli della pandemia come di un affare, né che speri nella quarta dose o nei richiami annuali. Quello che però colpisce, è l’assenza di reazioni pubbliche da parte degli enti europei e internazionali deputati alla salute pubblica (innanzitutto Ema e Oms) all’evidente timore rispetto a quanto si potrebbe scoprire nel prossimo futuro sulla qualità dei dati preclinici e clinici prodotti, sull’efficacia stessa del vaccino e sulle reazioni avverse. Siamo di fronte a una azienda che, in buona sostanza, palesa la possibilità che venga fuori che il farmaco da lei prodotto, e che già è stato somministrato a centinaia di milioni di persone, sia stato testato con procedure imperfette, sia meno efficacie di quanto comunicato e sia al tempo stesso più pericoloso. Non a caso poche settimane fa il British Medical Journal, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, ha evidenziato in un editoriale dai toni molto duri la necessità che i ricercatori abbiano immediatamente l’accesso ai dati grezzi raccolti nelle sperimentazioni dei vaccini anti-Covid. Per ora nessuno li ha ascoltati.

[di Giorgia Audiello]

Farnesina: italiani lascino l’Ucraina

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L’Unità di crisi della Farnesina ha emesso un comunicato nel quale invita tutti gli italiani che si trovano in Ucraina a lasciare il Paese. “In considerazione dell’attuale situazione, in via precauzionale, si invitano i connazionali a lasciare temporaneamente l’Ucraina con i mezzi commerciali disponibili” si legge nel comunicato, il quale sconsiglia di intraprendere “tutti i viaggi non essenziali verso l’Ucraina” e mantenersi aggiornati tramite il sito. Nella mattinata, comunicazioni simili sono state rilasciate da diversi Paesi europei come Spagna, Olanda e Germania.

Mediterraneo, un mare di sguardi

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Il Mediterraneo è l’orizzonte della nostra civiltà. Lo possiamo pensare in sé come estensione di acque, quasi come un continente liquido, la distesa, così cantava Omero, che “ebbe in sorte l’onore dei numi”, che ha visto nascere Venere, la quale “fea quell’isole feconde col suo primo sorriso” (Foscolo). Il Mediterraneo, mare per antonomasia nel mondo antico, il mare cosmogonico che nel mito accadico di Etana in volo con l’aquila (III millennio a.C.) venne visto in prospettiva come un cesto, il mare che Basilio di Cesarea (IV sec. d.C) indicava, alla creazione del mondo, come circoscritto entro precisi confini, il mare dei vari popoli, delle mille isole, delle tante lingue.

Molte parole sono nate dal mare, ‘arrivare’, ad esempio, cioè guadagnare la riva, ‘passaporto’, essere ammessi all’attracco in un porto, ‘abbordare’, affiancare, dare l’avvio, ‘equipaggio’ dal germanico skip ‘barca’, ‘fornire del necessario ad una imbarcazione’… 

L’andirivieni del mare, e dal mare, che ha raffigurato l’attesa, l’ansia, la lotta, la malinconia, gli scontri, le bufere, i naufragi, gli orizzonti. Il Mediterraneo come grande macchina poetica, narrativa, musicale: “Osservare tra frondi il palpitare/ lontano di scaglie di mare/ mentre si levano tremuli scricchi/ di cicale dai calvi picchi”, E. Montale, Ossi di seppia. “Il più bello dei mari/ è quello che non navigammo./ Il più bello dei nostri figli/ non è ancora  cresciuto. / I più belli dei nostri giorni / non li abbiamo ancora vissuti./ E quello/ che vorrei dirti di più bello/ non te l’ho ancora detto”, N. Hikmet, Turchia. “I pescherecci erano molto al largo. Erano usciti col buio al primo levarsi della brezza e il giovane e la ragazza si erano svegliati e li avevano sentiti e allora si erano rannicchiati insieme sotto il lenzuolo. Avevano fatto l’amore ancora mezzo addormentati… Dopo si erano sentiti così affamati da temere di non arrivare vivi a colazione e ora erano al caffè e mangiavano e guardavano il mare e le vele ed era un altro giorno”, E. Hemingway, The Garden of Eden. Golfo del Leone, Francia.

Il mare allora come caleidoscopica forma metaforica, il “gran mar de l’essere” di cui scrive Dante, a rappresentare la vita stessa e il suo divenire.

Il Mediterraneo, davvero un mare tra terre, percorso da mercanti e da eroi, attraversato da rotte mercantili, da Troia, al suo estremo oriente, a Cartagine, e poi approdo di carovane, confine mobile di domini politici e di influenze religiose, per cui già prima del Mille “la metà inferiore del Mediterraneo si trasformò in un lago soggetto all’islam, che offriva nuove, splendide opportunità commerciali” (D.Abulafia, Il grande mare, Mondadori 2010, p. 252). E prima ancora il mare dei mercanti di porpora, naviganti diretti in Etruria, in Sicilia, in Grecia, e poi nelle lontane Tiro e Sidone, in partenza da Cartagine (Qart Hadasht, la città nuova), i cui abitanti da allora vennero detti Fenici, dal nome greco dell’inchiostro ricavato da un mollusco. 

Come annota Abulafia nella sua splendida ricerca, di questi spostamenti di uomini e cose i greci serbavano memoria in un corpo di miti gravitanti intorno agli antenati: storie di intere comunità salite a bordo di navi e migrate a centinaia di miglia di distanza. E la civiltà mediterranea è costituita proprio da vari sconfinamenti, da invasioni e dai conseguenti inevitabili scontri, perché sul mare, in tempo di pace, si è tutti, o quasi, fratelli, ci si danno le mani per accostare le barche ma, una volta scesi a terra, è facile capire le intenzioni di chi approda. E allora inevitabilmente le torri di guardia, i castelli sul mare e i fari, questi ultimi sentinelle a salvaguardia della navigazione di tutti e di chiunque.

Genova, Pisa, Venezia, Amalfi sono state flotte oltre che repubbliche, il Medioevo è impensabile senza le orde barbariche e barbaresche, senza gli imperi la cui forza dipendeva anche dal controllo delle rotte, rotte che talora rappresentavano la prosecuzione dei percorsi carovanieri dai deserti africani.

L’intero corso storico del colonialismo è impensabile senza la navigazione oceanica ma anche senza gli orizzonti tumultuosi del nostro grande mare. Anche qui con andirivieni che la storia ricorda e non perdona. Ma che chiede continuamente soluzioni da reinventare. 

Il Mediterraneo ha finito così, conclude Abulafia, “per diventare forse il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sullo faccia del pianeta, giocando nella storia della civiltà umana un ruolo assai più significativo di qualsiasi altro speccho di mare” (p. 614).

Chi è curioso degli stati attuali delle cose faccia ricerche dunque sulle vaste aree di influenza degli imperi, all’albore dei tempi moderni quelli di Spagna e Portogallo, si chieda perché gli inglesi e il Regno Unito avevano o hanno ancora la loro presenza da Gibilterra a Cipro, perché la seconda guerra mondiale ha mostrato nel Mediterraneo, grazie alle flotte delle diverse potenze in gioco, una logica di scontri e un prevalere di forze per un certo tempo differente dal cuore terrestre dell’Europa. Il Mediterraneo ci ha dato la possibilità di pensare le guerre anche in un altro modo, come ha fatto vedere il film di Gabriele Salvatores: chi vuole davvero la guerra e a chi la fa combattere, e chi la deve soltanto subire. E la varietà delle etnie  che si mette in mostra negli equipaggi e nei popoli a terraferma che vengono a contatto.

Gli uomini del mare, tradizionalmente intesi, non sono soltanto pescatori e mercanti perché c’è chi lavora duramente in cantiere, per costruire navi da guerra e navi da crociera, per  innalzare armamenti o viceversa allestire a bordo piscine galattiche. Le donne del mare non sono soltanto in attesa, lavorano duramente nell’industria conserviera, vendono il pesce, inventano incantevoli ricette povere e ricche. Senza dimenticare che, sempre nella tradizione, le donne preparano le maglie per chi va in mare ma sono gli uomini, ancora adesso, a riparare le reti. Ora comunque che gli orizzonti si sono moltiplicati, questi archetipi si sono resi comuni, messi a disposizione di un modo perenne e nuovo di pensare al mare. 

Pescare, pescatore: la attività ma anche la metafora che ha i suoi risvolti sacri, religiosi, che illumina tutti i tempi di una umanità che cerca, che attende, che lotta, che ama scoprire ma anche tornare a casa con un piccolo bottino per continuare a vivere.

Se amate il mare, amerete anche l’Albeggiatore, un uomo che solo con la sua barchetta dotata di una vela fatta di stracci, salpava all’alba nel Mediterraneo di fine Ottocento, ad esempio dalle coste francesi della Provenza, armato delle sue lunghe fiocine, e viveva del pesce che riusciva a pescare.

Lo racconta un manuale tecnico del 1896 di P. Gourret che ho avuto la fortuna di trovare presso un brocante in Francia; il testo anticipa anche i problemi dell’inquinamento e dell’approvvigionamento ittico, dando prova di una profonda conoscenza e visione. Mediterraneo dunque da vedere, da mangiare, da scoprire, da pregare, come dice la canzone di Mango. Il grande libro di David Abulafia, sì, ma anche il vecchio pescatore possono darci una lezione di storia. Reale e immaginaria.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Caro bollette, Cgia: stangata da 13 miliardi per le imprese

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“Nel primo trimestre 2022 le aziende dovranno farsi carico di un extra costo pari a 13 miliardi”: è questa la stima elaborata dalla Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), la quale sottolinea che precisamente rispetto al 2019 “le imprese dovranno pagare 14,7 miliardi di euro in più di energia elettrica e gas” ma che a tale cifra vadano sottratti “1,7 miliardi relativi alle misure di mitigazione introdotte dal Governo nelle settimane scorse”. A tal proposito, la Cgia pone altresì la lente di ingrandimento sul prossimo intervento – che dovrebbe aggirarsi tra i 5 e i 7 miliardi di euro – annunciato dal Governo per calmierare i prezzi delle bollette per famiglie, imprese e Amministrazioni pubbliche. “In termini assoluti parliamo di una cifra elevatissima – sottolinea la Cgia – ma che sarebbe comunque del tutto insufficiente”.

Appena nata e già in vendita: si decide il futuro di ITA, l’ex Alitalia

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Ita Airways

”I provvedimenti presi in Consiglio dei ministri riguardano la riforma del Csm ma anche la procedura per la vendita di Ita”. Lo ha detto Mario Draghi nella conferenza stampa sulla riunione del Consiglio dei ministri di ieri. Nella seduta è stato illustrato il provvedimento che dispone la cessione di Ita Airways. Avverrà tramite vendita diretta o offerta pubblica. Il decreto (un Dpcm) avvierebbe la privatizzazione di Ita, la compagnia area che ha preso il posto di Alitalia, attualmente detenuta al 100% dal ministero del Tesoro, cioè dallo stato italiano. L’acquirente più accreditato è Msc, società a capitale completamente svizzero, a cui andrebbe la maggioranza, mentre il Tesoro conserverebbe una quota ancora per qualche tempo in vista probabilmente dell’uscita dall’azionariato.

Msc, leader nel settore cargo e crociere, sembra per ora riuscire a superare la concorrenza, date le offerte ancora in essere di Delta e Air France. Msc, con le sue 600 navi portacontainer e centinaia di hub portuali completerebbe così la sua strategia aziendale di vasta presenza nel campo della logistica, dichiarando di voler fare di Ita una punta d’eccellenza del suo business, in considerazione del fatto che il traffico aereo è destinato a sbloccarsi. Prospettive queste che hanno affascinato il governo. L’esecutivo guidato da Mario Draghi dovrà comunque fare un’analisi ponderata di un accordo che non è ancora concreto. Del piano però già si parla da un po’ ed è stato messo a punto dal Dicastero dell’economia su impulso del ministro Daniele Franco.

Lo schema verrà definito nei prossimi giorni e molto dipenderà anche da cosa farà Lufthansa. La compagnia tedesca aveva anch’essa avanzato un’offerta di acquisto il mese scorso. Msc fa sapere che nel caso vorrà guidare l’alleanza e avvalersi di chi ha già know-how nel settore dell’aviazione. Prevedibile che per concretizzare i passaggi il colosso con quartier generale a Ginevra si avvarrà delle sedi operative che possiede in Italia. Ci sarà poi, se tutto va secondo i piani, un Cda straordinario di Ita per definire il percorso.

Attualmente la nuova Ita, nata ad ottobre scorso, ha 2.235 dipendenti, 52 aerei. All’attivo fino ad adesso 1,2 milioni di passeggeri trasportati e un fatturato di 90 milioni. Con 400 milioni ancora in cassa. Recentemente è stato anche approvato il nuovo piano industriale quinquennale. Msc ne è al corrente ma punta al futuro e non si esclude la creazione di una nuova Newco Msc-Ita.

Se Ita non sarà più la compagnia di bandiera, potrebbe quindi addirittura essere una buona notizia, considerando l’affidabilità delle aziende papabili a subentrare. Eppure c’è sempre un po’ di amaro in bocca quando una realtà produttiva, caratterizzata da un passato  tortuoso e che ha dovuto incassare innumerevoli critiche, di fatto continua a fare tanta gola ai competitor stranieri. In questo modo forse si mantiene quello che resta sul versante occupazionale, dopo il sacrificio di migliaia di dipendenti e i miliardi spesi in aiuti durante questi anni, ma si perde un asset strategico nel mercato internazionale.

[di Giampiero Cinelli]

È nata la prima comunità energetica rinnovabile in Lombardia

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È nata la prima comunità energetica rinnovabile in Lombardia. A Turano Lodigiano, piccolo comune di poco più di 1500 abitanti, verranno installati due impianti fotovoltaici di 34 kW e 13 kW ciascuno, che permetteranno di produrre, scambiare e vendere energia verde al 100%. La comunità energetica si compone di 9 famiglie – a breve saliranno a 23 -, 1 parrocchia e 9 utenze comunali, riuniti nella libera associazione chiamata Solisca. Il tutto ha avuto inizio nel 2020 – poco dopo la firma del decreto che ha dato il via libera alla sperimentazione delle comunità energetiche rinnovabili (REC) -, per iniziativa dell’amministrazione comunale e la digital energy company Sorgenia, con l’idea di realizzare cinque impianti fotovoltaici dal valore di 70mila euro. Oltre ai due che effettivamente alimenteranno Solisca, altri 3 sarebbero stati installati nell’ufficio postale, nella sede della protezione civile e nella mensa del paese confinante Bertonico. Attualmente, però, sono previsti due impianti sulle aree coperte del campo sportivo e della palestra di Turano Lodigiano, dotati di una capacità energetica di circa 50mila kilowatt l’anno.

A gestire tutto il processo sarà una piattaforma digitale, che registrerà in tempo reale i dati – certificati da tecnologia blockchain – di produzione e consumo, i flussi di potenza, gli scambi di energia – prodotta, prelevata, condivisa – e il risparmio in bolletta. I componenti della comunità saranno dotati di un profilo energetico a cui potranno accedere tramite un’app, per ricevere consigli sull’utilizzo dell’energia prodotta e scambiata e ottenere risparmio ed efficienza ancora maggiori. Inoltre, la piattaforma digitale permetterà di avere sotto controllo alcuni indicatori di sostenibilità ambientale, come quelli relativi alle emissioni di anidride carbonica evitate e al numero di alberi equivalenti piantati. Infine, gli utenti saranno invitati ad adottare comportamenti di consumo più consapevoli e sostenibili, tramite iniziative di gamification.

Il modello adottato nel Comune lodigiano, non solo collega innovazione, sostenibilità e condivisione al servizio della transizione energetica, ma trasforma i consumatori di energia, da semplici pagatori di bollette a soggetti consapevoli e attivi. Per questo motivo, l’intenzione di Sorgenia è di replicarlo nel prossimo futuro, con la creazione di altre comunità energetiche rinnovabili per salvaguardare sempre di più l’ambiente e generare risparmi energetici.

[di Eugenia Greco]

Ucraina: oggi colloquio telefonico tra Biden e Putin

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Un colloquio telefonico tra il presidente russo Vladimir Putin e quello americano Joe Biden è in programma per la giornata di oggi: a riportarlo è l’agenzia di stampa Tass, secondo cui il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, avrebbe affermato che i due leader si parleranno questa sera. Un confronto che sarebbe stato chiesto dagli Stati Uniti, la cui richiesta sarebbe stata preceduta da una lettera inviata alla Russia.

La situazione in Siria torna ad accendersi

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La scorsa settimana, il governo siriano ha denunciato gli enormi danni arrecati da più di dieci anni di conflitto al settore petrolifero del Paese e, quindi, all’intero settore economico. Tra azioni dirette e indirette di formazioni paramilitari, gruppi terroristici e forze regolari di Paesi presenti illegalmente, i centri di estrazione e di raffinazione del greggio hanno subito ingenti danni e grandi quantità di petrolio sono state rubate con frequenza regolare. Il ministero del Petrolio e delle Risorse Minerarie ha rivelato che le perdite totali nel settore petrolifero ammontano, dal 2011, anno di inizio della guerra, a circa 100,5 miliardi di dollari. Dei quasi 86.000 barili al giorno che il governo siriano è riuscito ad estrarre, circa 16.000 hanno raggiunto le raffinerie mentre il resto è stato rubato dalle forze di occupazione statunitensi e da gruppi da esse sostenuti. Il governo siriano ha anche comunicato che, in questi anni di conflitto, sono deceduti 235 dipendenti del settore petrolifero, 64 sono rimasti feriti e 112 sono stati rapiti.

Alla metà di gennaio, più di cento veicoli statunitensi hanno trasportato petrolio e attrezzature militari dalla Siria, passando dal valico di frontiera illegale di Hasakah, nella parte nord-orientale, all’Iraq. Stessa cosa è avvenuta all’inizio di gennaio, e poi ripetuta all’inizio di questo mese, con un convoglio di circa 130 autocisterne che hanno contrabbandato greggio dalla Siria all’Iraq passando dal valico di al-Waleed. In queste occasioni, i militanti curdi delle Forze Democratiche Siriane (SDF) hanno scortato i mezzi statunitensi fino al confine con l’Iraq. Il Pentagono giustifica la propria presenza nel Paese per motivi di sicurezza rispetto alla presenza dell’ISIS e di gruppi terroristici affini che potrebbero entrare in possesso degli impianti di produzione e raffinazione del greggio.

La Siria, nel 2010, produceva 385.000 barili al giorno di greggio, rappresentando il 25% delle entrate totali del Paese mentre adesso, per sopperire alla domanda interna, deve importare fonti energetiche dall’alleato iraniano. Infatti, dallo scoppio del conflitto, la Siria è sotto sanzioni da parte dei Paesi occidentali e, di fatto, vive sotto embargo con gran parte del mondo. La Russia rappresenta per la Siria l’alleato di ferro: oltre ad aver aiutato il governo a respingere l’offensiva dello Stato Islamico e dei vari gruppi apparsi sul terreno di scontro, sta cercando di risollevare il settore più importante dell’economia siriana. Nel 2019, due società russe, Mercury LLC e Velada LLC, hanno firmato accordi con il governo siriano per l’esplorazione di quasi 10.000 chilometri quadrati in un’area della regione nord-orientale del Paese e in una a nord di Damasco dell’estensione di circa 2.000 chilometri quadrati.

La Siria vive dal 2011 un conflitto civile, divenuto poi guerra internazionale per procura, che si protrae ancora oggi. All’inizio di questo mese, l’opposizione siriana si è riunita a Doha per discutere sul presente e sul futuro del paese. I vari esponenti dell’insurrezione siriana sono accorsi in Qatar da vari Paesi del mondo per cercare di rinsaldare le forze. Riad Hijab ha espresso la volontà di effettuare una nuova offensiva nei confronti del Presidente siriano, Bashar al-Asad, dicendo di non dover più commettere gli errori commessi in passato, senza specificare quali essi siano stati. Salem al-Meslet ha invece affermato che è importante «inviare un messaggio a tutti i siriani, ascoltare i loro consigli e fare un nuovo piano».

Insomma, la partita siriana e la sofferenza del suo popolo non è ancora finita. Nel frattempo, le poche risorse a disposizione del Paese vengono sottratte da forze di occupazione straniera e gruppi terroristici da esse sostenuti.

E vista la situazione generale dei rapporti tra Stati Uniti – e tutta la NATO – e Russia, è comprensibile pensare che il fronte siriano torni ad essere molto caldo e che per gli Stati Uniti riacquisti importanza nell’ottica strategica dell’accerchiamento e del logoramento russo.

[di Michele Manfrin]

Afghanistan: i talebani arrestano nove occidentali

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In un tweet, di qualche ora fa, l’ex Vice Presidente dell’Afghanistan Amrullah Saleh ha riferito che 9 cittadini occidentali, tra cui l’ex giornalista della BBC Andrew North, sarebbero stati tratti in arresto da parte Talebani. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha confermato che due giornalisti che lavoravano per l’agenzia e sono ora detenuti a Kabul, senza rilasciarne i nomi.