venerdì 18 Luglio 2025
Home Blog Pagina 1370

Internet è un luogo sempre meno sicuro per gli attivisti? Il caso ProtonMail

2

Lunedì 6 settembre 2021, un giovane francese, attivista per il clima presso il gruppo Youth for Climate, è stato arrestato. Il servizio di posta elettronica che utilizzava, il super-criptato ProtonMail, ha consegnato il suo indirizzo IP alle autorità francesi. Queste ultime stavano conducendo un'indagine su alcuni militanti che avevano occupato degli immobili a Parigi. Un atto che, dal punto di vista degli attivisti, era una protesta contro la gentrificazione del quartiere e il conseguente aumento degli affitti. L'evento ha fatto molto scalpore, soprattutto tra i molti attivisti che usano Prot...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Allerta in USA per il raduno di destra a Capitol Hill

0

Capitol Hill: alle 18:00 (ora italiana) è previsto l’inizio della manifestazione pro-Trump davanti al Campidoglio. Sono stati schierati centinaia poliziotti, con i rinforzi della Guardia Nazionale -la quale ha mandato uomini non armati – per il raduno del movimento “Giustizia per J6” a supporto di chi, il 6 gennaio 2021, fece irruzione nel Campidoglio a seguito delle elezioni in cui l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, fu sconfitto da Joe Biden. Nonostante sia stata assicurata, da parte degli organizzatori, la realizzazione di una manifestazione pacifica, J. Thomas Manger – il capo della polizia del Campidoglio degli Stati Uniti – teme scontri e violenze, visti alcuni indizi sospetti.

Il costo della transizione ecologica è finito in bolletta?

2

Qualche giorno fa il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha annunciato un rincaro del 40% nei costi della bolletta elettrica. Una notizia che ha letteralmente freddato gli italiani, soprattutto dopo i sacrifici economici legati all’emergenza pandemica. Un vero e proprio allarmismo quello fatto dalle istituzioni, per giunta, in assenza di spiegazioni dettagliate e senza delle necessarie ammissioni di colpa. Ciononostante, per il prossimo trimestre sarebbe quindi previsto questo aumento tutt’altro che trascurabile. Riguardo le motivazioni che lo hanno scaturito, però, si è generata molta confusione. Cerchiamo di fare chiarezza. Lo stesso ministro, seppur superficialmente, quando ha annunciato la novità ha dichiarato che questo «succede perché il prezzo del gas a livello internazionale aumenta e perché aumenta anche il prezzo della CO2 prodotta».

In sostanza, Cingolani ha imputato il rincaro a due fattori: all’incremento nel costo delle materie prime da cui dipendiamo e alla ‘transizione ecologica’. Nel primo caso, le cause, a loro volta, dipendono da più fattori. Da un lato, l’aumento dei costi del gas metano, da cui dipende la maggior parte dell’energia elettrica italiana, è stato dovuto ad un inverno europeo particolarmente lungo, il quale ha impedito un rifornimento adeguato per tale fonte energetica. Inoltre, manutenzioni, incidenti, nonché le stesse crisi politiche in Ucraina e Bielorussia potrebbero aver giocato un ruolo chiave. C’è poi da dire che il rincaro delle materie prime è dipeso sicuramente anche dall’aumento della domanda determinato dalla ripresa economica post-pandemia.

Per quanto riguarda invece il fattore ‘transizione ecologica’ le cose appaiono forse ancor più complesse. «In questo contesto – spiega QualEnergia – un ruolo lo ha avuto indubbiamente il rincaro dei certificati Ets di scambio della CO2». In altre parole, infatti – ora più che mai – tanto più un’azienda continua ad emettere gas serra, tanto più questi avranno dei costi via via maggiori, così come stabilito dal cosiddetto ‘mercato del carbonio’. Tuttavia, il peso di questi aumenti, analizzando meglio la questione, sembrerebbe più che marginale. Innanzitutto, a livello europeo, solo un quinto dell’attuale aumento dei prezzi dell’energia può essere effettivamente attribuito alla crescita del prezzo della CO2. E in Italia, in particolare, questo fattore inciderebbe non più del 20% nei rincari della bolletta. Da questo emerge quindi un’importante verità: dipendiamo ancora troppo dal gas naturale mentre la transizione energetica è in ritardo. Questo è il problema.

L’approvvigionamento di energia italiano, infatti, è ancora fortemente vincolato al gas. In particolare, per più del 39% del mix energetico. Una fonte fossile da molti considerata come un ‘ponte’ verso la transizione ecologica che tuttavia impedisce la spinta e la conversione alle rinnovabili di cui si avrebbe bisogno. Al riguardo Cingolani avrebbe giustificato questa persistenza centrale del gas affermando che è necessaria per evitare le fluttuazioni delle fonti pulite. È sì vero che le rinnovabili sono caratterizzate da una certa intermittenza (fornitura di energia non continua), ma questo si risolverebbe investendo molto di più in capacità di accumulo. Ad ogni modo, nel complesso, per i ritardi nella conversione energetica vera e propria il ministro non ha ancora trovato delle scuse adeguate. Perché è chiaro che, al di la di ogni possibile causa, se ci fossero più rinnovabili, gli aumenti dei prezzi del gas e del carbonio graverebbero molto meno sulle bollette degli italiani. Questo, non a caso, è stato ribadito su più fronti. A rincarare la dose, ad esempio, un comunicato congiunto delle principali associazioni ambientaliste. Queste, per l’appunto, sottolineano quanto la maggiorazione della bolletta sia frutto della dipendenza dal gas e chiedono a gran voce che si acceleri sulla transizione ecologica.

In ultimo, ma non meno importante, qualunque sia la motivazione alla base del fenomeno, non è accettabile che a pagare siano i cittadini. Fortunatamente, però, sembra che l’ondata di critiche scaturita dalla notizia abbia smosso le acque. «Bisogna ragionare su come viene costruita la bolletta e qui va un po’ riscritto il metodo di calcolo. Lo stiamo facendo in queste ore, ci stiamo lavorando», ha dichiarato ieri il ministro Cingolani. Oltre poi a fornire le dovute spiegazioni, sembra quindi che sia in atto un tentativo finalizzato ad evitare, o per lo meno a mitigare, tale allarmante rincaro.

[di Simone Valeri]

Afghanistan: attentati a Jalalabad, 2 morti e 19 feriti

0

Sono stati registrati diversi attentati a Jalalabad, in Afghanistan, come hanno fatto sapere i media locali. Dopo gli svariati attentati, sono esplose delle bombe e si contano, per il momento, due morti e ben diciannove persone ferite. Almeno due delle bombe esplose miravano a distruggere i veicoli delle forze di sicurezza talebane. Gli attentati registrati oggi sono i primi che avvengono dopo il 7 settembre ( data di inizio del Governo ad interim dei talebani).

Referendum per abrogare il Green Pass: da oggi la raccolta firme

16

Parte oggi la raccolta firme per il “Referendum No Green Pass”, il cui intento è quello di abrogare le disposizioni legislative relative al lasciapassare sanitario. L’iniziativa di promozione referendaria, infatti, consente agli italiani di esprimere la propria contrarietà al certificato verde rispondendo nello specifico a quattro quesiti riguardanti l’abrogazione dei diversi provvedimenti su tale strumento che si sono succeduti nel tempo. A tal proposito, l’apposito sito offre la possibilità di firmare in forma telematica ma non solo: la raccolta delle firme potrà infatti avvenire anche mediante le tipiche modalità referendarie.

Dietro tale referendum vi sono cittadini comuni e studenti universitari, che lo hanno «ideato, organizzato e promosso». Tuttavia, «l’impegno dei promotori è supportato da un Comitato organizzativo e da un Comitato di Garanti», all’interno dei quali vi sono avvocati e cattedratici italiani tra cui il docente di diritto internazionale presso l’università “La Sapienza” di Roma, Luca Marini, il docente di diritto civile presso l’Università di Torino, Ugo Mattei, il presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione, Paolo Sceusa e, ultimo ma non meno importante, Carlo Freccero, accademico, giornalista e già consigliere di amministrazione della Rai.

Detto ciò, per quanto concerne le ragioni del “No”, sul sito si legge che il Green Pass «esclude dalla vita economica e sociale della nazione quei cittadini che sostengono convinzioni ed evidenze diverse da quelle imposte dal Governo» e che esso «costituisce un palese strumento di discriminazione che collide con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico». In tal senso, viene citato l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Inoltre, viene anche menzionato l’articolo 32: secondo i promotori infatti il divieto da esso sancito, ossia quello per cui «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» sarebbe aggirato dal lasciapassare sanitario, che «spinge surrettiziamente i cittadini alla vaccinazione».

Infine, coloro che promuovono l’iniziativa sostengono che il Green Pass generi problemi anche sul piano internazionale, ed a tal proposito si rifanno, tra l’altro, ad alcuni «accordi internazionali giuridicamente vincolanti di cui l’Italia è parte contraente», tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950. Quest’ultima sancisce diritti quali il diritto alla vita e libertà quali, ad esempio, quella di riunione e di associazione. Tuttavia, al suo interno si legge che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti «deve essere assicurato senza nessuna discriminazione».

Dunque si ha a che fare, concludono i promotori, con tutta una serie di «violazioni gravi ed evidenti dello stato di diritto», motivo per cui il popolo deve ora «farsi garante della Costituzione e rendersi parte attiva per ripristinare i principi di uguaglianza e di parità tra cittadini su cui si fonda la nostra civiltà giuridica».

[di Raffaele De Luca]

Referendum cannabis: raggiunte le 500mila firme

0

La raccolta firme per il referendum sulla cannabis legale – promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e dai partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani – ha raggiunto e superato quota 500mila, cifra limite che consentirà al quesito di andare al voto nella primavera del 2022. Il tutto ad una settimana dal lancio della piattaforma: si tratta infatti della prima raccolta firme italiana per un referendum avvenuta interamente online sul sito referendumcannabis.it. Gli organizzatori, però, invitano ad andare avanti ed a raccogliere almeno un altro 15% di firme in più per sicurezza.

Musiche di strada, al tempo del distanziamento

0

Ci sono parole, suoni che superano i muri, reali e virtuali, senza fare troppo rumore. Ogni viaggio lascia mille punteggiature: orizzonti improvvisi, strascichi di venti e profumi, scorci come flash, lampi di sguardi.

Di un mese in Germania, ora che sono tornato, trattengo anche le soste dai musicisti di strada: i tre bielorussi con balalaika che ci omaggiano con arie napoletane, il maestro ucraino di fisarmonica che alterna Vivaldi e Bach con coloriture dodecafoniche, l’andino con la sua noiosissima arpa che a tratti sa di rivoluzione, i due slovacchi, improbabili saints marching in, glabri e insieme paonazzi alle trombe, il vecchietto sul ponte che soffia sotto tono nel suo strumento, la giovane violinista fresca di studi.

I gruppi degli ascoltatori itineranti allestiscono scenografie improvvisate, dicono che la strada è luogo creativo, come nelle commedie di Goldoni o nelle passeggiate romantiche, come nelle vicende narrate da Kerouac o nei film del nostro neorealismo.

Incontri di un mondo capovolto, nelle vie e nelle piazze, che va su e giù e che mangia sempre di più all’aperto, anche se piove, perché evidentemente non ha gli adeguati titoli sanitari per entrare nei locali.

Street food e musica: è vero, si tengono le distanze ma tutti, se siamo qui, è perché amiamo gli orizzonti marini, i panini di pesce, la vita all’aperto, le voci alte e chiassose. Che superano appunto i muri, gli artifici di un periodo storico che ci obbligherebbe a sentirci tutti estranei se non nemici.

Compagni invece di due minuti di festa sonora, l’inno variegato di una umanità che ha bisogno di fantasie ma che non vuole rinunciare ad ascoltare e a capire.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Usa: esperti Fda dicono no a terza dose Pfizer sotto i 65 anni

0

Il panel di esperti indipendenti della Fda (Food and Drug Administration), l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, ha respinto la proposta di offrire una terza dose del vaccino anti Covid Pfizer a tutti i cittadini di età superiore ai 16 anni. Via libera, invece, al richiamo per le persone dai 65 anni in su e per i più vulnerabili, a partire dal sesto mese dopo la seconda dose. Adesso dunque la decisione finale, la prossima settimana, dovrà prenderla la Fda, che generalmente però segue le raccomandazioni dei propri esperti indipendenti.

Italia: 3,4 milioni di over 50 non si sono ancora vaccinati

0

Sono 3,4 milioni (3.424.070) gli over 50 italiani che non si sono sottoposti alla vaccinazione anti Covid (nemmeno alla prima dose). Lo si apprende dal rapporto settimanale della struttura del commissario Francesco Figliuolo. Tale numero corrisponde al 12,3% della popolazione over 50. Più della metà dei non vaccinati, inoltre, rientra nella fascia di età tra i 50 ed i 59 anni, con 1,7 milioni di persone che non si sono sottoposte ad alcuna somministrazione: si tratta del 17% di tale fascia.

Il Parlamento europeo ha votato per i diritti dei riders

1

I deputati del Parlamento europeo nella giornata di ieri hanno approvato, con 524 voti a favore, 39 contrari e 124 astensioni, una risoluzione avente ad oggetto i diritti dei «lavoratori delle piattaforme digitali», riferendosi con tale espressione soprattutto ai riders e agli autisti. La richiesta degli eurodeputati è la seguente: essi devono «avere la stessa protezione e remunerazione dei dipendenti tradizionali», dato che «sono spesso erroneamente classificati come lavoratori autonomi, il che non garantisce loro diversi diritti dei lavoratori, tra cui la protezione sociale». Con essa, i membri del Parlamento fanno riferimento precisamente ai «contributi di sicurezza sociale, alla responsabilità per la salute e la sicurezza e al diritto alla contrattazione collettiva».

Per affrontare tali problemi, però, il Parlamento propone alcune soluzioni: in primis si dovrebbe attuare un’inversione dell’onere della prova, con i datori di lavoro che dovrebbero essere tenuti a dimostrare che effettivamente non ci sia un rapporto di lavoro, e non viceversa. Questo infatti permetterebbe di fornire maggior certezza giuridica a queste figure professionali. Ad ogni modo, però, ciò non significa che i deputati siano a favore di una classificazione automatica di tutti i lavoratori delle piattaforme, anzi, secondo questi ultimi «coloro che sono veramente lavoratori autonomi dovrebbero essere autorizzati a rimanere in tale posizione».

Oltre a ciò, poi, per quanto concerne la salute e la sicurezza, i deputati sottolineano che, siccome i lavoratori delle piattaforme sono spesso soggetti a maggiori rischi in tal senso, dovrebbero «essere dotati di adeguati dispositivi di protezione personale, e quelli attivi nei servizi di trasporto e consegna dovrebbero avere un’assicurazione contro gli infortuni garantita».

Infine, ad essere menzionati sono anche gli algoritmi dai quali dipendono, tra l’altro, l’assegnazione dei compiti, le valutazioni e i prezzi. Ebbene, la richiesta dei deputati è che essi siano «trasparenti, non discriminatori ed etici». Nello specifico, inoltre, i lavoratori dovrebbero «avere la possibilità di contestare le decisioni prese dagli algoritmi e dovrebbe sempre esserci una supervisione umana del processo».

Detto ciò, la risoluzione può essere definita come una sollecitazione nei confronti Commissione, alla quale, in maniera neanche troppo indiretta, si chiede di affrontare adeguatamente tale tema. Quanto votato dagli europarlamentari va infatti contestualizzato: come si legge nel comunicato stampa del Parlamento, «l’attuale quadro legislativo europeo non copre le nuove realtà di questo tipo di lavoro, rendendo necessario un aggiornamento delle regole. Nel suo Piano d’azione sul Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione europea ha annunciato che entro la fine di quest’anno presenterà un’iniziativa legislativa per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme. Questa risoluzione rappresenta dunque il contributo del Parlamento a tale proposta».

Contributo che, stando ai fatti, era d’obbligo. Una regolamentazione di questo settore infatti sembra essere davvero necessaria dato che, oltre a quanto sopracitato, bisogna anche tenere conto del fatto che, secondo le stime della Commissione europea, l’economia delle piattaforme digitali è quasi quintuplicata negli ultimi anni all’interno dell’Unione, passando da un valore di «circa 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi di euro nel 2020».

[di Raffaele De Luca]