mercoledì 17 Settembre 2025
Home Blog Pagina 1369

Abdel è morto ventiseienne a Roma, legato a un letto d’ospedale

0

Wissem Ben Abdel Latif aveva appena 26 anni al momento della morte, avvenuta nell’ospedale San Camillo di Roma il 28 novembre. Dalle prime ricostruzioni sembra che si trovasse legato ad un lettino di contenimento da tre giorni e che a causare la morte sia stato un arresto circolatorio, ma le cartelle sanitarie risultano incomplete. Secondo l’associazione LasciateCIEntrare, la vicenda è da inserire nel più ampio contesto delle morti in seguito a detenzione nei CPR.

Abdel Latif si trovava nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma: vi era stato trasferito dal CPR (Centro di Permanenza e Rimpatrio) di Ponte Galeria, dove era detenuto per trovarsi sul suolo italiano senza documenti. La sequenza temporale dei fatti non è ancora del tutto chiara, ma sembra che Abdel si trovasse legato ad un lettino contenitivo da tre giorni, quando è stato trovato morto. La cartella sanitaria non lo specifica. Alessandro Capriccioli, consigliere regionale a Roma, ha comunicato che dalla documentazione riguardante Abdel Latif si evince che fosse soggetto a “problemi psichiatrici” e per tale motivo sottoposto a “contenzione” quotidianamente, fino al sopraggiungere del decesso per “arresto circolatorio”. La pratica della contenzione non è stata monitorata, come dovrebbe essere norma.

Il tunisino era stato trasferito nel reparto psichiatrico dopo una segnalazione del CPR, che ne ha denunciato possibili disturbi psichiatrici. I CPR sono centri di detenzione a tutti gli effetti. I reati per i quali i soggetti vi sono rinchiusi, tuttavia, sono di mera natura amministrativa: vi si viene rinchiusi per il semplice motivo di trovarsi sul territorio italiano senza documenti. Fondamentalmente, un contesto di privazione della libertà personale che avviene in assenza di reato. Le strutture sono delle vere e proprie gabbie, con sbarre di ferro che impediscono l’uscita dei soggetti. Diverse associazioni e ONG hanno denunciato, negli anni, la natura degradante di questi centri, nei quali i diritti umani delle persone vengono calpestati e nemmeno l’assistenza medica è garantita. Solo poche settimane fa a Torino il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha imposto la chiusura del settore Ospedaletto del CPR di Torino, in quanto “l’alloggiamento configuri un trattamento inumano e degradante e che tale valutazione possa essere condivisa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu), qualora adita, esponendo così il Paese alle relative conseguenze”.

Proprio in questa sezione si è tolto la vita Moussa Balde, nella primavera di quest’anno. Moussa era un migrante guineano di appena 23 anni che il 9 maggio era stato selvaggiamente picchiato da tre italiani mentre si trovava di fronte a un supermercato di Ventimiglia a chiedere l’elemosina.

Dopo l’aggressione, appurato che si trattava di un migrante senza documenti, era stato rinchiuso nel CPR di Torino, dove poche settimane dopo è stato trovato impiccato all’interno della sua cella. Il suo avvocato, Gianluca Vitale, ha affermato che Moussa soffriva di gravi disturbi psichici come conseguenza dell’aggressione.

Soffermarsi a una lettura medicalizzata della disperazione autorizza l’archiviazione di gravi fatti di cronaca in quanto “disgrazie”. Questi fatti urlano invece a gran voce l’inefficienza, se non la pericolosità, di un sistema fondamentalmente fallace. Come scrive l’associazione Melting Pot, questi fatti impongono “il dovere di interrogarci su quante violenze una persona può subire nel ventunesimo secolo, a partire dal totale abbandono da parte delle istituzioni italiane“. Per Vitale quanto accaduto a Moussa è “responsabilità dello Stato italiano“.

Come fa notare Maurizio Veglio, avvocato specializzato nel campo dei diritti dell’immigrazione, a vent’anni dall’istituzione di questi centri non se ne conoscono i costi o l’efficacia. L’unico dato a disposizione è che, ad oggi, il 50% dei rimpatri non avviene. Le persone si trovano quindi imprigionate in un limbo dal quale non possono uscire, separate dal mondo esterno senza aver nemmeno commesso un reato.

A Torino, dal suicidio di Balde, sono 57 i tentativi registrati di togliersi la vita da parte dei migranti. Tuttavia ancora nessun cambiamento è avvenuto a livello amministrativo e molti di questi episodi sono superficialmente rubricati come “simulazioni”. La Procura di Torino ha recentemente inserito nel registro degli indagati per la vicenda Balde cinque poliziotti della questura, cui è contestato il reato di concorso. Forse suggerendo che le istituzioni avrebbero potuto aiutare ad evitare la tragedia.

[di Valeria Casolaro]

Olimpiadi Pechino 2022: Usa annunciano boicottaggio diplomatico

0

Nessun rappresentante dell’amministrazione Usa sarà presente ai Giochi Invernali di Pechino 2022: un vero e proprio boicottaggio diplomatico, annunciato dalla Casa Bianca. Lo scopo è quello di mandare alla Cina un chiaro messaggio in merito alla difesa dei diritti umani nel Tibet, ad Hong Kong e nello Xinjiang: l’accusa nei confronti di Pechino è infatti quella di soffocare la voce degli oppositori e di violare le libertà delle minoranze religiose. Tale decisione però ha scatenato la reazione della Cina, con il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian che ha definito il boicottaggio diplomatico «pregiudizio ideologico» ed ha minacciato l’adozione di «contromisure risolutive».

Moby Prince: 30 anni dopo emergono nuovi elementi su una storia ancora oscura

0

Hanno provato perfino a dare la colpa ad una partita di pallone, quella semifinale Juve-Barcellona di coppa Uefa che, la sera del 10 aprile 1991, avrebbe distratto i marinai dal loro lavoro. Che avrebbe tappato loro occhi e orecchie e impedito di evitare quella terribile strage, la più grande nella storia della marineria italiana dal Dopoguerra. Invece, il disastro del Moby Prince, una specie di Ustica del mare, come qualcuno l’ha già efficacemente ribattezzato, ha tutte le stimmate di un cupo mistero italiano. Proprio come la tragedia del DC9, due destini paralleli e fatali di viaggi finiti n...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Patrik Zaki verrà liberato

0

Patrik Zaki verrà scarcerato, anche se non è ancora stato assolto dalle accuse a suo carico. La decisione è giunta dopo l’udienza tenutasi oggi, sospesa dopo appena 4 minuti perchè il suo avvocato Hoda Nasrallah aveva chiesto l’acquisizione di altri atti per dimostrare l’illegalità dell’arresto. Tra questi, le videoregistrazioni dell’aeroporto del Cairo, diversi verbali e la convocazione di un testimone. Zaki, che si trova in carcere dal 7 febbraio 2020, rischia ancora fino a 5 anni di carcere per l’accusa di diffusione di false informazioni.

A Torino la questura usa le telecamere per stroncare il movimento No Green Pass

2

A Torino sabato scorso è andato in scena il ventiquattresimo sabato consecutivo di proteste contro il green pass. I cittadini contrari al passaporto sanitario si sono trovati in piazza Castello per manifestare il proprio dissenso. Anche sabato erano presenti migliaia di persone, un movimento che per ora non accenna a scemare. Ma nelle strategie di contrasto da parte del potere pubblico c’è una novità: l’utilizzo delle multe a tappeto verso i manifestanti. Una strategia resa possibile dall’ordinanza con la quale, dal 2 dicembre, il sindaco ha reintrodotto l’obbligo di mascherine all’aperto nelle zone del centro. La questura ha infatti comunicato che sta visionando le immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti in strada per identificare tutti i manifestanti che non hanno rispettato l’ordinanza e spedirgli una sanzione di entità compresa tra 400 e 1.000 euro.

Interessante notare come, almeno stando a quanto riferito dalla questura, non vi sia in atto alcuna misura analoga nei confronti dei cittadini che erano privi di mascherina ma non partecipavano alla manifestazione. Le immagini verranno utilizzate solo per multare quei cittadini che hanno violato l’ordinanza partecipando alla manifestazione.

Allargano il discorso, non è la prima volta che la questura del capoluogo piemontese mostra una certa inclinazione all’utilizzo delle norme anti-pandemiche in chiave di contrasto dei movimenti. È già capitato con il movimento No Tav. Nell’agosto scorso, centinaia di attivisti che si oppongono alla costruzione della linea ad alta velocità in Val di Susa, vennero infatti raggiunti da multe di 400 euro cadauno per aver violato le normative anti-covid durante una manifestazione. Nello stesso periodo nessuna multa venne però comminata ai cittadini che riempirono le piazze per festeggiare la vittoria della nazionale di calcio ai campionati europei. Differenze che rendono plastica l’evidenza di un utilizzo politico delle leggi d’emergenza approvate ufficialmente con il solo fine di contenere la pandemia.

Nas oscurano oltre 30 siti che vendevano farmaci contro il Covid

0

I Carabinieri del Nas hanno oscurato una trentina di siti che vendevano medicinali per le cure fai da te per il Covid, portando così a quota 313 i provvedimenti messi in atto solamente nel 2021. I siti bloccati vendevano medicinali soggetti a restrizioni d’uso o vendibili solo in farmacia, o ancora legati all’impiego clinico o sperimentale. Alcuni contenevano il principio attivo dell’ivermectina, il quale l’EMA aveva già consigliato di non utilizzare per il trattamento del Covid al di fuori degli studi clinici. Vi erano poi medicinali impiegati per la cura di malattie articolari degenerative, gotta, ulcera gastrica o reflusso.

La vera forza di Amazon si sta palesando via mare

2

Che Amazon sia un gigante capace di alterare l’intero settore del commercio è evidente. La sua portata va a influenzare, lecitamente e non, i costumi d’acquisto di moltissimi clienti nonché le dinamiche di vendita degli esercenti, tuttavia in queste settimane la Big Tech ha messo in mostra una forza disarmante anche in un contesto che è tradizionalmente lontano dall’occhio pubblico, quello della distribuzione navale di merci: non solo la sua logistica è estesa su scala globale, ma è anche particolarmente agile nel circumnavigare gli ostacoli.

Non tutti sanno che Amazon ha iniziato nel 2018 a commissionare container brandizzati, che poi sono stati adoperati da un network sempre più esteso di navi cargo ricavate da mezzi che non erano inizialmente pensati per il trasporto merci. In breve tempo, il gigante dell’e-commerce è riuscito a crearsi una rete tanto affidabile da essere quasi del tutto indipendente dagli spedizionieri esterni: si autogestisce il 72% dei trasporti e sta ormai facendo concorrenza anche a FedEx, almeno negli Stati Uniti. Non solo, la Big Tech ha iniziato progressivamente a mettere a disposizione navi e aerei alle aziende appartenenti al portale di vendita, ovviamente previa la sottoscrizione di un contratto di servizio.

Un’immensa influenza che nell’ultimo week-end ha rivelato inediti risvolti. Gli analisti della CNBC hanno infatti evidenziato che le forze di Amazon non siano solamente vaste, ma anche particolarmente efficienti. Mentre la distribuzione globale è costretta a rallentamenti, i bastimenti dell’e-commerce sembrano graziati dalle criticità della filiera e si dimostrano resistenti alle situazioni avverse. Mentre i normali vascelli sono costretti ad aspettare fino a 45 giorni per entrare in un porto, la flotta di Amazon si trova nelle condizioni di cambiare agilmente rotta così da potersi incanalare verso gli attracchi meno trafficati, con il risultato che i tempi di attesa si contraggono in appena un paio di giorni. Una volta scaricate le merci sulle banchine di questi porti fuori mano, l’azienda si premura di caricarle su camion e di proseguire il trasporto direttamente su gomma.

Imbastire un simile sistema non è stato semplice né tanto meno economico – tra il 2019 e il 2020, Amazon ha investito in questa strategia circa 99 miliardi di dollari -, tuttavia i sacrifici sono fioriti in una struttura capace di essere altamente competitiva e quasi autonoma. Alla concorrenza e ai Governi non resta che guardare dal basso all’esempio della Big Tech, consapevoli che le possibilità di emulare le dinamiche di un simile approccio sono magrissime, se non altro perché i costi dell’acquisto e del noleggio dei container ha subito un’impennata in periodo pandemico.

La creatura fondata da Jeff Bezos si è dunque accattivata un vantaggio significativo, un vantaggio che non può che concedere all’azienda una maggiore incisività finanziaria e politica che la rete di distribuzione tradizionale dovrà presto imparare a emulare o contrastare, pena il rischio che il mondo del commercio smetta di guardare ai Governi per ottenere le risposte ai propri problemi, preferendo interfacciarsi direttamente con Amazon.

[di Walter Ferri]

CGIL e UIL, “legge di bilancio insoddisfacente”: sciopero il 16 dicembre

0

I sindacati CGIL e UIL hanno indetto uno sciopero di 8 ore per giovedì 16 dicembre per protestare contro la legge di bilancio 2022 elaborata dal governo Draghi, definita “insoddisfacente in particolare sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza”. La manifestazione principale si svolgerà a Roma, con iniziative parallele in altre città. Contraria alla decisione la CISL, che si oppone allo sciopero e a “radicalizzare il conflitto in un momento tanto delicato per il Paese”.

New York: Bill de Blasio annuncia obbligo vaccinale per lavoratori privati

0

A New York, a partire dal 27 dicembre, il vaccino contro il coronavirus sarà obbligatorio per tutti i lavoratori del settore privato. La decisione è stata annunciata nella giornata di oggi dal sindaco uscente Bill de Blasio nel corso di una intervista rilasciata al canale televisivo statunitense Msnbc ed è la prima nel suo genere negli Stati Uniti.

Leonardo: cassa integrazione per 3400 lavoratori, ma l’azienda è in crescita

0

Oggi in sciopero i 3.400 dipendenti degli stabilimenti di Pomigliano, Nola, Grottaglie e Foggia della Leonardo Spa, azienda a maggioranza statale (partecipata al 30% dal ministero del Tesoro) operante nel settore dell’aerospaziale, della difesa e della sicurezza. Per questi lavoratori il gruppo ha annunciato, il 3 dicembre, la cassa integrazione ordinaria. Il provvedimento scatterà dal 3 gennaio per una durata di 13 settimane e sarà a zero ore. Leonardo ha fatto sapere che un restringimento delle ore lavorative potrebbe essere esteso a tutto il 2022. I conti dell’azienda sono floridi, anzi in crescita, tuttavia lo Stato italiano dovrà versare lo stipendio ai dipendenti.

Le cause

La mossa repentina, è stata motivata dalla crisi della divisone aerostrutture (inerente agli stabilimenti coinvolti), vista la fase di stallo in cui versa il settore dell’aviazione durante il periodo pandemico. Ma Leonardo, che è fornitore anche dell’esercito italiano e ha relazioni commerciali a livello internazionale, si trova in una buona salute dal punto di vista economico, come si apprende dagli ultimi dati della relazione finanziaria aggiornati al 30 settembre 2021, con ricavi a 9,6 miliardi di euro e utili per 229 milioni. In crescita rispetto al 2020. Una situazione anche migliore rispetto all’anno dell’esplosione del Covid-19, che non rende preoccupante l’indebitamento netto in lieve crescita di 4.690 miliardi (erano 3.318 nel 2020) ma anzi fa prevedere, per la chiusura dell’anno 2021, dei ricavi complessivi tra i 13,8 e i 14,3 miliardi.

Quella della Cassa Integrazione ordinaria non sarebbe quindi richiesta dettata da una crisi generale dell’azienda, ma di un solo comparto, le cui perdite potrebbero a logica essere ripianate dagli altri comparti in crescita di bilancio. La scelta appare quindi non motivata, se non dal vizio ormai endemico del capitalismo italiano, desideroso di privatizzare ogni utile e socializzare ogni perdita. Un quadro che nel caso di Leonardo è aggravato dal fatto che l’azienda è appunto compartecipata dallo Stato stesso. L’esborso della Cig sarebbe quindi tutto a danno del socio di maggioranza relativa (lo Stato tramite il Ministero delle Finanze) e a vantaggio degli altri soci di minoranza privata. Il tutto mentre lo stesso amministratore delegato Alessandro Profumo ha annunciato che grazie al Recovery Fund l’azienda riceverà 360 milioni euro per sviluppare progetti, e posti di lavoro, nel Mezzogiorno d’Italia.

I piani per il futuro

In queste ore, vista la doccia fredda per così tante famiglie, era inevitabile che si evidenziassero le critiche alla gestione attuale da parte dei dirigenti e si spera che l’obiettivo finale non sia un sempre maggiore snellimento dei costi o un cambio a livello di strategie d’investimento che comunque deve tenere conto della salvaguardia occupazionale. Sul tavolo c’è infatti la cessione dell’ex Oto Melara-Wass, l’area che si occupa di sistemi di Difesa navali, aerei, terrestri e subacquei, su cui c’è un interessamento di Fincantieri, ma su cui grava l’offerta anche di società tedesche e francesi. In merito il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, ha evidenziato: «L’immobilismo che dura da anni in una Divisione, quella di Aerostrutture, fondamentale per il futuro del nostro Paese e per la stessa Leonardo, al quale si aggiunge la mancanza di una visione da parte di un gruppo, che per fare cassa prima ha venduto Breda e Srs ai giapponesi di Hitachi, oltre ad Ansaldo Energia, mentre ora ha messo sul mercato asset importanti come Oto Melara, Wass e la parte dell’Automazione». L’Ad Profumo su questo ha detto che le cose saranno fatte bene e che l’eventuale perdita di italianità della struttura non deve allarmare, né è una priorità. Intanto i 3.400 lavoratori degli stabilimenti aspettano un confronto diretto, dopo la comunicazione unilaterale ricevuta.

[di Giampiero Cinelli]