venerdì 18 Luglio 2025
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I talebani istituiscono il ministero per la “prevenzione del vizio” al posto di quello delle donne

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A Kabul è stato chiuso il ministero per gli affari femminili. Al suo posto è sorto il ministero “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”. Nonostante avessero a più riprese cercato di promuovere un’immagine politica più attenta in fatto di parità di genere, i talebani alla prova dei fatti stanno dimostrando di essere gli stessi di prima, quantomeno in tema di diritti delle donne.

Istituito nel 2001, il ministero per gli affari femminili (MOWA) promuoveva i diritti delle donne in Afghanistan, con una crescente capacità di influenzare la politica. Disponeva corsi di formazione, stabiliva partnership, facilitava il raccoglimento e l’analisi di dati di genere, pilotava e sviluppava progetti per facilitare l’integrazione economica e sociale delle ragazze, promuoveva le ONG femminili e per i diritti umani e monitorava l’azione del governo, preparando rapporti periodici sull’attuazione di politiche in favore della parità di genere.

In risposta alla chiusura del ministero e al conseguente licenziamento di tutte le dipendenti, poco più di una decina di donne si sono riunite davanti alla sede per protestare, in nome dei propri diritti e di quelli delle proprie figlie. Dopo una discussione con un uomo, se ne sono andate. I talebani non hanno commentato ufficialmente.

Il dicastero che è andato a sostituire il MOWA, con il suo inquietante nome di “ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”, esisteva già negli anni ’90, anni in cui i diritti delle donne e delle ragazze afghane sono stati regolarmente negati. Il ministero era una sorta di polizia morale, che applicava molto duramente la legge islamista, imponendo severe punizioni alle donne che non la rispettassero – punizioni che ora si teme possano tornare.

Nel frattempo, i talebani hanno anche annunciato la riapertura delle scuole secondarie, ma solo per i maschi. Una grande disfatta per la parità di genere in un paese in cui, dal 2000 al 2020, l’accesso delle ragazze all’educazione aveva visto una crescita esponenziale. E come se non bastasse, il nuovo sindaco della capitale ha chiesto alle impiegate pubbliche (che costituiscono un terzo di tutta la categoria, a Kabul) di rimanere a casa e di smettere di lavorare per un po’.

Continua insomma a crescere la preoccupazione per le sorti delle donne afghane. E le donne afghane si sentono abbandonate, non solo dal loro paese ma anche dal resto del mondo, che guarda impotente, riservando loro niente di più che un po’ di compassione. Come ha dichiarato la fondatrice dell’Afghan Women’s Network Mahbooba Seraj al quotidiano NPR, «Il mondo ci ha lasciate come fossimo una patata bollente. Ci hanno lasciate qui, e noi ci troviamo dove ci troviamo. Quindi dovremo veramente combattere per ciò in cui crediamo. Dobbiamo darci da fare.»

[di Anita Ishaq]

Attentato in Russia, aggiornamento: i morti sono sei, 24 i feriti

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Secondo quanto riportato dalle agenzie russe sono sei (non otto come inizialmente riportato) le vittime dell’attentato all’Università di Perm’, nella Russia orientale. I feriti sarebbero 24, ma su questo dato i numeri sono ancora contrastanti. Alcuni sarebbero in gravi condizioni. Inoltre l’attentatore – un diciottenne studente della facoltà – non sarebbe stato ucciso dalla polizia. I media russi hanno infatti comunicato che si trova piantonato all’ospedale locale, dove è stato ricoverato in gravi condizioni in seguito al conflitto a fuoco con le forze di sicurezza.

Dal Governo altri 20 milioni a radio e tv locali per “informare” sul Covid-19

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Il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha firmato il decreto che destina altri 20 milioni di euro in favore delle emittenti radiotelevisive locali che si impegnano a «trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale, con l’obiettivo di informare i cittadini e le imprese sulle misure introdotte per fronteggiare l’emergenza Covid e rilanciare l’economia del Paese», a comunicarlo lo stesso sito ufficiale del Mise. Si tratta di 20 milioni che vanno a sommarsi ai 50 già elargiti allo stesso fine nel 2020.

Il decreto specifica che i fondi saranno così ripartiti: 17 milioni alle emittenti televisive locali, 3 alle emittenti radiofoniche locali. Della somma che andrà alle televisioni il 95% è riservato a quelle commerciali e il 5% alle comunitarie (no profit). Dei 3 milioni che andranno alle radio locali, 2.25 milioni finiranno a quelle commerciali e gli ultimi 750 mila euro alle comunitarie. Dal decreto si apprende inoltre che «il contributo è erogato secondo i criteri previsti con decreti del ministro dello Sviluppo Economico». Questi criteri non sono ancora stati pubblicati.

Quello che si sa è che «Le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie si impegnano a trasmettere all’interno dei propri spazi informativi i messaggi di comunicazione istituzionale relativi alle misure adottate dalle autorità pubbliche per fronteggiare l’emergenza di sanità pubblica e per superare la crisi economica causata dalla pandemia COVID-19 che saranno resi disponibili dal Ministero dello sviluppo economico» (punto 3 art. 1 del decreto).

In pratica gli spot, prodotti dal governo stesso tramite il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) dovranno essere trasmessi all’interno degli spazi informativi delle emittenti, ovvero nel corso dei telegiornali e dei giornali radio. Chiaro che le possibilità che gli spot governativi vengano scambiati da molti spettatori con contenuti giornalistici non è da sottovalutare. Rispetto ai fondi elargiti nel 2020 non è pubblico il dato che permetta di sapere quali emittenti abbiano fatto richiesta dei fondi, ma è fin troppo semplice pensare che – in tempi di crisi del mercato pubblicitario – questi fondi siano un toccasana per i bilanci di molte emittenti.

Revoca dei licenziamenti della Gkn: accolto il ricorso Fiom

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La Fiom si era inizialmente rivolta al giudice del lavoro lo scorso 30 luglio, con un ricorso per comportamento antisindacale ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Oggi, il Tribunale di Firenze ha espresso il suo giudizio su tale ricorso, presentato contro la discussa scelta della Gkn Driveline Firenze di Campi Bisenzio: presentare una lettera per aprire la procedura di licenziamento collettivo. La Gkn Driveline Firenze è ora tenuta a revocare la lettera di apertura della procedura ex L. 223/91.

Per proteggere l’ambiente è ora di ripensare il commercio marittimo

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Il commercio via mare non è stato abbastanza presente nell’importante dibattito sulla riduzione delle emissioni globali, motivo che ha portato molte comunità nel mondo a muoversi purché venga riconsiderato il pesante impatto ambientale da esso causato. Sorge quindi la necessità di un drastico cambiamento di rotta, fino a ridurre a zero le emissioni di gas serra causate dal trasporto marittimo internazionale entro e non oltre il 2050; questa è l’ultima richiesta avanzata da alcuni stati delle Isole del Pacifico (la Repubblica delle Isole Marshall, Kiribati e le Isole Salomone) i quali, la scorsa settimana, si sono rivolti all’International Maritime Organization (Imo, ovvero l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di regolare il trasporto navale).

L’80 per cento, circa, del commercio globale avviene grazie alle navi da carico alimentate da combustibili fossili, responsabili dell’emissione di quasi 940 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (circa il 2,5 per cento delle emissioni di gas serra nel mondo): un dato allarmante che, invece di diminuire, sembra stia pericolosamente aumentando. Infatti, senza una drastica azione da parte di tutti – mettono in guardia i ricercatori – entro il 2050 il trasporto via mare potrebbe arrivare a generare ben il 10 per cento di tutte le emissioni globali. Secondo un recente rapporto dell’IPCC, l’obiettivo stabilito durante gli Accordi di Parigi – ovvero limitare il riscaldamento a circa 1,5 gradi centigradi – è ancora possibile ma solo se verranno messi in atto dei cambiamenti molto significativi, da parte di tutti. A breve avrà anche luogo la ventiseiesima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima (Cop 26, prevista per novembre a Glasgow) e sarà decisivo trattare – anche – di un’attività tanto inquinante come quella del trasporto marittimo, troppo trascurata fino ad oggi. Seguendo le novità emerse dell’ultimo rapporto dell’IPCC, il mancato raggiungimento dell’obiettivo stabilito nel 2015 a Parigi porterà all’innalzamento del livello del mare, che causerà la perdita di interi paesi, in particolare nella regione del Pacifico.

Nonostante ciò, per il momento l’Imo prevede soltanto di dimezzare le emissioni dei trasporti marittimi entro la metà del secolo, ed ecco perché gli stati insulari del Pacifico hanno chiesto di riconsiderare tale piano, per allineare al meglio anche il settore marittimo, cosicché si possa realmente raggiungere quanto deciso durante gli Accordi di Parigi. Anche a marzo di quest’anno, le Isole Marshall e le Isole Salomone, avevano avanzato la proposta di introdurre una tassa sul carbonio, che avrebbe incentivato il passaggio dai combustibili fossili a nuovi combustibili a zero emissioni di carbonio. I portavoce fanno sapere che la proposta per una tassa sul carbonio sarà discussa all’Imo a ottobre, e poi alla 77esima riunione del comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’Imo a novembre, momento in cui si dibatterà anche sulla proposta appena presentata relativa al commercio navale a emissioni zero.

[di Francesca Naima]

La NATO si sfalda nell’Indo-Pacifico: una vicenda interessante

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Non è raro che le scelte di approvvigionamento di un Governo sollevino una qualche forma di risonanza, tuttavia le conseguenze di simili scelte si limitano abitualmente a qualche bisticcio tra establishment e imprenditori. Non è il caso delle ultimissime manovre dell’Australia, le quali stanno scatenando un putiferio che ha assunto dimensioni di scala internazionale.

Canberra ha infatti deciso di alterare repentinamente il programma di aggiornamento bellico della Royal Australian Navy così da includere nella propria flotta una serie di sottomarini nucleari. In senso più superficiale e immediato, questa rivoluzione ha mandato su tutte le furie la Francia, Paese che ospita il gruppo industriale che avrebbe dovuto rifornire originalmente le basi navali australiane, il Naval Group. La ditta contraente, specializzata in sottomarini diesel, si è vista sfilare da sotto i piedi un contratto da 90 miliardi di dollari australiani (circa 56 miliardi di euro), con il risultato che i Ministri francesi degli Esteri e della Difesa hanno cofirmato immediatamente una dichiarazione piccata e velatamente rancorosa che andasse a riportare ufficialmente la delusione dell’intera nazione, dichiarazione che è poi stata seguita dal ritiro degli ambasciatori francesi dalle sedi di Stati Uniti e Australia.

La frustrazione di Parigi è tuttavia poca cosa, se si considera il disegno nel suo complesso. Il nuovo piano dell’Australia non si limita infatti alla sola sfera commerciale, piuttosto sfocia in una vera e propria alleanza tripartita al fianco di Stati Uniti e Regno Unito, alleanza nota come AUKUS. Il fatto che Canberra finisca con l’appoggiarsi agli USA e all’Inghilterra per costruire i suoi nuovi sottomarini non fa altro che suggellare degli accordi che sono decisamente più profondi e capillari, con le tre parti che si sono impegnate a condividere tra loro ogni avanzamento tecnico che abbia a che vedere con i sistemi subacquei, quelli ipersonici, la tecnologia quantica e le intelligenze artificiali.

I tre Governi, già parte dell’alleanza di sorveglianza Five Eyes, stanno quindi cementando i reciproci legami in vista del rapidissimo deterioramento della stabilità politica dell’area indo-pacifica, ovvero dal crescente numero di sfide legate agli attriti sviluppati con l’Amministrazione Xi Jinping. Il giornale controllato dal Partito Comunista, il Global Time, non ha mancato di denunciare il cambio di rotta australiano, accusando apertamente la Casa Bianca di star armando i “poteri mediani” in modo che questi possano portare avanti battaglie che altrimenti cadrebbero in seno agli Stati Uniti.

Nelle comunicazioni congiunte dell’AUKUS non si fa ovviamente menzione di un’aperta ostilità nei confronti della Cina, tuttavia è lecito credere che i timori sollevati dal gigante d’Oriente siano basati su fondamenta più che solide: i sottomarini nucleari sono particolarmente utili quando adoperati lontani dalle coste, dettaglio che da a intendere che l’Australia si stia preparando a intervenire nelle aree marittime la cui sovranità è rivendicata da Beijing

Il nuovo patto va peraltro ad agitare le già non quiete acque NATO, suggerendo nei fatti che la Casa Bianca si stiano formando un personale network di Governi fedelissimi alla causa statunitense capace di muoversi parallelamente alle alleanze già consolidate. Non per nulla, Jean-Yves Le Drian, Ministro degli Esteri francese, ha già promesso che porterà questa «grave crisi» all’attenzione dell’organizzazione internazionale in occasione del vertice di Madrid del 2022.

Tenendo conto che l’UE si è già rassegnata al non poter più fare affidamento certo sul supporto armato degli Stati Uniti, è facile che la Francia troverà terreno fertile nel promuovere una coesione interna tra i Paesi Membri a discapito della potenza d’oltreoceano. In tutto questo, però, almeno il Regno Unito sembra esserne uscito diplomaticamente incolume, visto che Parigi la considera come una «terza ruota» con poca o nessuna voce in capitolo.

«Abbiamo richiamato i nostri ambasciatori [di Canberra e Washington] per rivalutare la situazione. Non c’è bisogno di farlo con la Gran Bretagna. Siamo ben consci del loro costante opportunismo, quindi non c’è bisogno che il nostro ambasciatore rientri per fornire ulteriori dettagli», ha ruggito Le Drian.

[di Walter Ferri]

 

 

Russia: sparatoria all’università di Perm’, 8 morti e 6 feriti

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Questa mattina ha avuto luogo una sparatoria nell’università di Perm’, città della Russia orientale. Il Comitato Investigativo della Federazione Russa ha riferito alla TASS (principale agenzia di stampa russa) che il bilancio della strage è, per il momento, di otto morti e sei feriti. Ad aprire il fuoco sarebbe stato uno studente dell’ateneo di diciotto anni, armato di una pistola e poi freddato dalla polizia. Per fuggire dall’ira incontrollata dell’aggressore, decine di studenti sono saltati fuori dalle finestre delle aule universitarie e altri (tra studenti e insegnanti) si sono invece rifugiati nell’auditorium dell’università.

Elezioni in Russia: il partito di Putin è in vantaggio

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Elezioni parlamentari in Russia, i dati della Commissione elettorale centrale (CEC): secondo quanto pervenuto finora con l’elaborazione dell’80,1 per cento dei risultati, il partito Russia Unita (dell’attuale presidente Vladimir Putin) è in vantaggio con il 49,42 per cento dei consensi (più del 55 per cento de voti). Nel frattempo, l’opposizione sottolinea l’esistenza di frodi elettorali, con circa 750 denunce mosse per presunti brogli elettorali e svariate segnalazioni di irregolarità nelle votazioni da parte dell’ONG Golos (Movimento per la difesa dei diritti degli elettori).
Subito dopo il partito Russia Unita si trova per ora – con il 19,28 per cento dei consensi – il Partito Comunista.

Tribunale Milano: i datori di lavoro non possono sospendere gli OSS non vaccinati

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I datori di lavoro non possono sospendere dal servizio e dalla retribuzione gli OSS che rifiutano di farsi somministrare il vaccino anti Covid: è quanto stabilisce una sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, con la quale è stata giudicata illegittima la decisione di una cooperativa privata di congelare il rapporto di lavoro di un’operatrice sanitaria sua dipendente non sottopostasi al vaccino. All’interno della sentenza, pubblicata in esclusiva dal sito Database Italia, si legge che la ricorrente si era rifatta al Tribunale dopo «aver ricevuto notifica, il 9/2/2021, di un provvedimento di messa in aspettativa da tale data al 30/4/2021». La sospensione, tuttavia, era stata successivamente prolungata sino al 31/12/2021, termine previsto dal decreto-legge 44/2021 entrato in vigore nel mese di aprile ed avente ad oggetto l’obbligo vaccinale per i sanitari.

La misura datoriale, però, era stata appunto presa prima dell’introduzione dell’obbligo, ed era stata basata sull’articolo 2087 del Codice civile, che impone all’imprenditore l’adozione, nell’esercizio dell’impresa, delle misure che «sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». In tal senso, la Cooperativa aveva sostenuto che vi fosse una «violazione della migliore tutela dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti» determinata dalla omessa inoculazione del vaccino. Ma tali motivazioni non sono bastate ad evitare la sconfitta giudiziaria.

Ciò innanzitutto poiché, secondo il giudice, «la sospensione del lavoratore senza retribuzione rappresenta l’extrema ratio»: il datore ha infatti l’onere (il cosiddetto obbligo di “repêchage”) di «verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non comportanti il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Tale onere probatorio, però, nel caso di specie non era stato assolto dalla Cooperativa.

Inoltre, dato che al momento del provvedimento non vi era l’obbligo vaccinale, per il giudice «non può addursi la determinazione della cooperativa di richiedere la vaccinazione a tutto il personale». E anche se tale obbligo è stato successivamente introdotto con il decreto legge sopracitato (convertito con modificazioni in legge tramite la legge n.76 del 28 maggio 2021), i «profili di illegittimità non risultano in alcun modo elisi». In pratica nonostante l’entrata in vigore di tale legge, che appunto prevede la possibilità di sospendere i soggetti non vaccinati che sono obbligati ad esserlo, la messa in aspettativa da parte del datore di lavoro non è stata comunque ritenuta legittima.

La legge infatti prevede che prima di arrivare alla eventuale sospensione vi debba essere un lungo procedimento, al termine del quale l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute) dovrà adottare l’atto di accertamento sulla non sottoposizione al vaccino da parte dell’individuo obbligato. Tale adozione determina la sospensione da mansioni o prestazioni che comportano il rischio di diffusione del contagio, tuttavia la legge impone al datore di lavoro, così come già stabilito anche dal sopracitato obbligo di “repêchage”, di adibire il lavoratore a mansioni che non implicano tale rischio, e solo se ciò non è possibile non sarà dovuta la retribuzione né altro compenso.

Questa procedura però non è stata rispettata dalla cooperativa non solo poiché, come detto, il datore di lavoro non ha cercato di conferire un impiego alternativo alla lavoratrice, ma anche perché, tra le altre cose, non risulta esservi «l’atto di accertamento che determina la sospensione». Ciò significa che il datore di lavoro privato, al contrario di quanto previsto dalla legge, ha sospeso in prima persona la dipendente non vaccinata ed anche per questo, quindi, il giudice ha dichiarato illegittimo il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita ed ha condannato la Cooperativa «al pagamento, in favore della ricorrente, delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo».

Detto questo, ciò che conferisce alla sentenza una notevole importanza è il fatto che con essa sia stato ribaltato l’andamento giurisprudenziale finora affermatosi: nei mesi scorsi infatti i giudici di alcuni Tribunali italiani, come quello di Modena, si erano schierati a favore delle sospensioni dal servizio e dallo stipendio attuate dai datori di lavoro e basate, tra l’altro, sull’articolo 2087 del Codice civile. Lo stesso articolo che, ora, è stato giudicato non idoneo a giustificare l’interruzione del rapporto lavorativo.

[di Raffaele De Luca]

Internet è un luogo sempre meno sicuro per gli attivisti? Il caso ProtonMail

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Lunedì 6 settembre 2021, un giovane francese, attivista per il clima presso il gruppo Youth for Climate, è stato arrestato. Il servizio di posta elettronica che utilizzava, il super-criptato ProtonMail, ha consegnato il suo indirizzo IP alle autorità francesi. Queste ultime stavano conducendo un'indagine su alcuni militanti che avevano occupato degli immobili a Parigi. Un atto che, dal punto di vista degli attivisti, era una protesta contro la gentrificazione del quartiere e il conseguente aumento degli affitti. L'evento ha fatto molto scalpore, soprattutto tra i molti attivisti che usano Prot...

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