mercoledì 5 Novembre 2025
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Ucraina: attacco informatico contro siti governativi

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Diversi siti web istituzionali ucraini, secondo quanto riportato dalla Bbc, sarebbero stati colpiti da un massiccio attacco informatico. Tra i portali colpiti vi sarebbero quelli del Parlamento, del Ministero degli Esteri e dei servizi di sicurezza, che al momento risulterebbero infatti irraggiungibili.

Il Parlamento italiano fa un altro regalo alle multinazionali del tabacco

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Il cosiddetto decreto legge Milleproroghe, dopo la fiducia accordata dalla Camera il 21 febbraio ed il voto finale del giorno seguente, dovrà ora essere approvato definitivamente dal Senato: al testo, però, sono state apportate alcune modifiche passate in sordina ma estremamente rilevanti, in quanto costituirebbero un vero e proprio regalo per le multinazionali del tabacco. Al suo interno, infatti, è stato inserito l’articolo 3-novies, che prevede il congelamento del previsto aumento del 5% delle accise sulle sigarette elettroniche nonché l’arrivo sul mercato di un nuovo prodotto: le “nicotine pouches”, ovvero bustine di nicotina da inserire tra il labbro superiore e la gengiva che permettono di assorbire la sostanza senza alcuna combustione. Non si tratta comunque della prima volta che in Italia ci si muove a favore delle aziende del tabacco: basterà ricordare l’emendamento alla finanziaria, presentato nel dicembre scorso da quattro parlamentari leghisti, atto ad eliminare l’incremento progressivo dell’incidenza fiscale per il 2022 e il 2023 applicata al tabacco riscaldato, un settore nel quale la Philip Morris International (PMI) gioca il ruolo di leader mondiale.

Per quanto riguarda il congelamento dell’aumento delle accise, nello specifico, quella per i prodotti succedanei dei prodotti da fumo viene prorogata “al 20 e al 15 per cento dal 1° gennaio 2022 al 31 marzo 2022”, mentre poi viene abbassata “al 15 e al 10 per cento dal 1°aprile 2022 fino al 31 dicembre 2022”. Tutto ciò si tradurrebbe dunque in introiti aggiuntivi per 7 milioni e 200 mila euro per le multinazionali del tabacco, essendo questa la cifra che viene indicata come “oneri derivanti dal comma 1”, ossia quello che ha introdotto le disposizioni sulle accise appena citate. Un importo a cui lo Stato italiano farà fronte tramite risorse che arrivano da fondi Mef (Ministero dell’economia e delle finanze) e, per circa 1 milione, dalle nuove imposte: le “nicotine pouches”, infatti, saranno soggette ad “imposta di consumo pari a 22 euro per chilogrammo”.

Di conseguenza, probabilmente con la motivazione di coprire le spese, è stato dato il via libera a questo nuovo prodotto, che però non solo a sua volta beneficerà delle accise più basse, ma sembrerebbe fare felici i colossi del tabacco. In particolare, potrebbe ritenersi soddisfatta la British American Tobacco (BAT), ovverosia la seconda più grande azienda mondiale produttrice di sigarette. Quest’ultima, infatti, starebbe pensando di avviare la produzione delle nicotine pouches nello stabilimento che aprirà a Trieste, per il quale saranno investiti fino a 500 milioni di euro nell’arco di 5 anni.

Detto ciò, merita menzione anche il modo in cui si è arrivati ad introdurre nel testo quanto detto finora. La modifica, infatti, è stata approvata a larga maggioranza: ad opporsi sono stati in pochissimi, tra cui il deputato di Alternativa ed ex membro del Movimento 5 Stelle Raffaele Trano che, tramite delle dichiarazioni rilasciate al giornale Tag43, ha denunciato non solo il fatto che «queste norme-riforma entrino con emendamenti notturni» ma altresì che siano appunto supportate da «partiti come il Movimento 5 stelle, che un tempo le denunciava mentre oggi nemmeno si astiene». Anche Forza Italia però ha votato contro, con il vicecapogruppo a Montecitorio Raffaele Nevi che ha affermato: «È impensabile inviare un emendamento così complesso, che regolamenta di fatto un intero settore, poco prima di metterlo in votazione e senza discuterne in maggioranza».

[di Raffaele De Luca]

Camorra: in Campania sequestrati beni per 30 milioni di euro

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Nella giornata di oggi, con un’operazione congiunta della Dia (Direzione investigativa antimafia), della Polizia di Stato di Caserta e del Comando provinciale della Guardia di Finanza della città partenopea è stata data esecuzione ad un decreto di sequestro beni per un valore di 30 milioni di euro nonché di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende di due imprenditori ritenuti vicini al clan camorristico Belforte. Questi ultimi, operanti nei settori del cemento e della ristorazione del casertano, attraverso le loro aziende si sarebbero infatti occupati di raccogliere soldi da versare a titolo di estorsione al clan, ed avrebbero altresì organizzato incontri tra gli imprenditori estorti e gli appartenenti alla cosca.

Messico, gli indigeni sconfiggono una compagnia mineraria

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Ufficialmente cessate le licenze minerarie concesse all’azienda canadese Almaden Minerals Ltd nello Stato di Puebla, in Messico: è la decisione della SCJN (Suprema Corte de Justicia de la Nación), i cui ministri hanno votato all’unanimità appoggiando per la prima volta una comunità di nativi, nello specifico gli indigeni Nahua dei Tecoltemi ejido, nel comune di Ixtacamaxtitlán de Puebla. Questi avevano presentato per la prima volta ricorso nel 2015, dopo che sia nel 2003 che nel 2009 la Minera Gorrión, capitanata appunto da Almaden Minerals Ltd, aveva ottenuto le dovute licenze per le attività di esplorazioni su più di 14.000 ettari di territorio a Ixtacamaxtitlán. Grazie anche all’intervento dell’organizzazione Fundar e del Consejo Tiyat Tlali, gli autoctoni in Messico sono stati per la prima volta nel Paese, ascoltati. La Corte Suprema ha infatti riconosciuto la violazione del diritto al consenso da parte della comunità indigena, regolato dall’articolo 2 della Costituzione e dalla Convenzione 169 sui Popoli Indigeni e Tribali dell’International Labour Organization (ILO).

Da parte dei ministri della Primera Sala della SCNJ è partita la “condanna” nei confronti dello Stato messicano, il quale non ha rispettato l’obbligo di consultazione e non ha quindi ottenuto il consenso da parte delle popolazioni che vivono nel territorio. Con il riconoscimento della mancata consultazione preventiva i ministri hanno ordinato l’annullamento delle concessioni, anche se è stata da loro respinta un’altra importante richiesta dei ricorrenti: dichiarare incostituzionali alcuni articoli della legge mineraria. Nonostante la vittoria ottenuta, le organizzazioni che rappresentano le comunità interessate hanno fatto sapere che tale sentenza è solo un primo step verso una società più giusta per tutti e che non smetteranno di combattere.

Infatti, sebbene il risultato sia estremamente importante, solo uno dei cinque ministri della Primera Sala ha riconosciuto quanto alcuni articoli costituzionali (nello specifico 6, 15 e 19 sezioni IV, V, VI E XII) violino già a priori il diritto alla terra e al territorio delle popolazioni indigene. In parole povere, i Ministros hanno dato ragione ai ricorrenti per quanto riguarda le concessioni avvenute senza consultazione, ma continuano a sostenere che la legge mineraria abbia il solo obiettivo principale di regolamentare l’attività in sé e non altri aspetti della vita sociale ed economica. Motivo per cui, dalla SCNJ giustificano la loro scelta precisando come la legge in questione non sia direttamente correlata agli interessi e ai diritti dei nativi. Viene da sé quanto strida tale giustificazione, visto che è riconosciuto e provato quanto qualsiasi attività mineraria o titolo di concessione abbia ovvie conseguenze, dirette e immediate, sulle popolazioni del territorio interessato.

[di Francesca Naima]

L’Europa all’attacco dell’Italia sul MES: “Dovete ratificarlo”

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Sul finire del 2020, il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità (MES) infiammò le istituzioni nazionali ed europee, arrivando a una riforma sottoscritta il 30 novembre dai rappresentanti degli Stati membri. Ad oggi le modifiche sono state ratificate da tutti i Paesi dell’Eurogruppo, fatta eccezione per l’Italia e la Germania, con motivazioni assai diverse. Se a Berlino, infatti, si attende il pronunciamento da parte della Corte costituzionale su un ricorso presentato da alcuni parlamentari, in Italia l’iter è bloccato da una spaccatura, l’ennesima, all’interno della maggioranza. Non trattandosi, dunque, di uno stallo procedurale Bruxelles ha iniziato a mostrare i primi segni di irritazione, inviando diversi messaggi diretti a Roma: “Ci aspettiamo che l’Italia proceda con la ratifica del Mes il prima possibile“.

Venerdì 25 febbraio il Ministro dell’economia, Daniele Franco, si recherà all’Eurogruppo di Parigi, con l’obiettivo di spiegare la situazione italiana e rassicurare Bruxelles. Nel frattempo in Italia il dibattito va avanti, con partiti schierati a favore della riforma, come il Pd e Forza Italia, e altri orientati verso il suo rigetto. Storicamente, questo ruolo è stato ricoperto sin dalle prime discussioni dalla Lega e dal M5S che registrarono una prima vittoria nell’estate del 2020 quando, per contrastare la crisi economica dovuta alla pandemia, al MES fu preferito il Recovery Fund e all’Italia vennero destinati più di 200 miliardi di euro, fra sussidi e prestiti. Proprio la sconfitta registrata dallo strumento entrato in vigore nel 2012, in seguito a delle modifiche apportate al Trattato di Lisbona, ha fatto correre ai ripari i suoi sostenitori all’interno dell’Eurogruppo, arrivando alla sua riforma nel novembre del 2020. L’obiettivo era rendere meno stringenti le condizioni che metterebbero a rischio la sovranità monetaria e finanziaria degli Stati in difficoltà nel rientro dei prestiti erogati dal fondo, costringendoli a riforme di austerity per far quadrare i conti. Il funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità si basa infatti su un rapporto fatto sì di concessioni ma anche di obblighi: il fondo, finanziato dai singoli Stati membri in proporzione alla loro forza economica, emette ai Paesi in difficoltà economica dei prestiti a fronte di un programma di riforme concordato, puntando alla loro ripresa in ambito finanziario e sacrificando, se necessario, lo stato sociale.

Infatti, nonostante le modifiche apportate, i Paesi che ricorreranno al MES dovranno comunque fornire delle garanzie vincolanti su riforme e tagli per ripagare il fondo nel caso in cui si trovassero in una situazione di non rispetto dell’accordo. Fra i nuovi punti presenti nella riforma va segnalata invece l’introduzione del cosiddetto backstop, ovvero la possibilità che una quota del MES faccia da “paracadute” nell’eventualità in cui il Fondo di risoluzione unico per il salvataggio delle banche, costituito dalle risorse degli stessi istituti bancari, non sia sufficiente. In poche parole, se una banca rischia il fallimento e le risorse private del settore non riescono a eliminare il rischio, interverrà il backstop del fondo per frenare sul nascere le conseguenze economiche.

[Salvatore Toscano]

Argentina: gli incendi continuano a devastare il Paese

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Da settimane gli incendi nel nord dell’Argentina si stanno diffondendo nella provincia di Corrientes, dove i funzionari locali hanno affermato che il 9% del territorio è ormai completamente bruciato. Secondo gli ultimi rapporti ufficiali, le fiamme stanno consumando circa 30.000 ettari al giorno, distruggendo finora quasi 800.000 ettari di territorio. La provincia, normalmente caratterizzata da abbondanti piogge, è colpita dallo scorso gennaio da forti venti, bassa umidità e siccità, tutti fattori che aiutano gli incendi a diffondersi. Artisti e personaggi pubblici stanno conducendo una campagna per raccogliere fondi per le vittime, mentre le donazioni di beni di prima necessità stanno arrivando nelle zone più colpite della provincia.

Botta e risposta tra Stati Uniti e El Salvador sul Bitcoin di Stato

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Il “dittatore più cool del mondo”, o “CEO di El Salvador”, come si è autodefinito Nayib Bukele, Presidente della Repubblica di El Salvador, ha detto chiaramente agli Stati Uniti che non devono immischiarsi nelle vicende interne del suo Paese. La forte presa di posizione è arrivata dopo che Fondo Monetario Internazionale (FMI) e Stati Uniti hanno messo in guardia il paese centroamericano dal continuare ad utilizzare Bitcoin come moneta a corso legale: El Salvador, dal giugno 2021, è il primo paese al mondo ad utilizzare la criptovaluta come valuta ufficiale. Le monete a corso legale nel Paese sono quindi due: il dollaro statunitense e il Bitcoin.

Mercoledì scorso, Bukele ha scritto su Twitter : «Non siamo la vostra colonia o il vostro cortile». Il “dittatore cool” ha poi aggiunto: «State fuori dai nostri affari interni. Non provate a controllare qualcosa che non potete controllare». Le forti parole pubblicate dal Presidente di El Salvador, sono arrivate in seguito all’azione di tre senatori statunitensi – due repubblicani e uno democratico – i quali hanno proposto di creare l’Accountability for Cryptocurrency in El Salvador Act (ACES), chiedendo che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti produca un rapporto e un piano per affrontare la questione.

L’adozione di Bitcoin da parte di El Salvador «ha il potenziale per indebolire la politica delle sanzioni statunitensi, dando potere ad attori maligni come la Cina e le organizzazioni criminali organizzate», ha sostenuto il senatore Jim Risch. Il repubblicano Bill Cassidy, ha invece affermato: «Se gli Stati Uniti vogliono combattere il riciclaggio di denaro e preservare il ruolo del dollaro come valuta di riserva del mondo, dobbiamo affrontare questo problema a testa alta»; Cassidy ha poi aggiunto che questa situazione «apre la porta ai cartelli di riciclaggio di denaro e mina gli interessi degli Stati Uniti».

Già a gennaio il FMI aveva ammonito El Salvador dal proseguire l’avventura con Bitcoin, sostenendo che avrebbe causato instabilità del mercato e problemi finanziari per il Paese. In quell’occasione Bukele aveva pubblicato un post di scherno, indirizzato all’organizzazione internazionale (controllata dagli USA): «Ti vedo, FMI. È molto bello»; riprendendo la celebre serie animata dei Simpsons.

L’eccentrico Presidente salvadoregno, salito al potere nel 2019, ha fatto certamente storcere il naso a molti, su al Nord, quando ha deciso di adottare Bitcoin nel giugno scorso: El Salvador, infatti, dal 2001 aveva rinunciato alla propria moneta decidendo di adottare il dollaro statunitense. Dunque, se quella delle criptovalute è una partita importante per il futuro, il fatto che il Paese centroamericano abbia messo in disparte il dollaro diviene per gli Stati Uniti una questione geopolitica di rilievo, più per la portata simbolica della scelta che per il Paese che ha deciso di compierla. Il rischio è di corrodere ancora di più l’immagine della valuta statunitense, che rischia di perdere il suo carattere “universale”.

Nell’ottobre dello scorso anno, Bukele aveva annunciato l’estrazione dei suoi primi Bitcoin ad energia geotermica prodotta dal vulcano Conchagua. Secondo i piani, è qui che dovrebbe sorgere Bitcoin City ed è proprio grazie al vulcano che verrà alimentata. Il Presidente salvadoregno prevede di lanciare a marzo un ingente quantità di obbligazioni in Bitcoin, con cui poter finanziare la costruzione della città e accumulare criptovalute.

Resta da scoprire se il “CEO di El Salvador” riuscirà a reggere la pressione degli USA oltre a quella dell’opposizione interna, spaventata dal fare affidamento ad una valuta tecnologica e il suo valore oscillante. Bukele avrà però il sostegno di chi pensa che il Paese potrà beneficiarne sul fronte delle rimesse dall’estero: ovvero abbattendo il costo della transizione dei soldi che i cittadini salvadoregni rimandano a casa dall’estero.

Nel frattempo, Guatemala e Honduras aspettano alla finestra quale piega prenderà l’esperimento di El Salvador. Anch’essi Paesi infatti, hanno un introito elevato dalle rimesse dall’estero. Al resto del mondo non resta che aspettare per capire cosa produrrà la scelta di Bukele alla fine di questo braccio di ferro tra la superpotenza statunitense e il Paese centroamericano.

[di Michele Manfrin]

Questione di fiducia: Alternativa occupa i banchi del Governo

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È in corso un’occupazione dei banchi del Governo nell’Aula della Camera da parte dei deputati di Alternativa, che hanno deciso di protestare contro «l’abuso del ricorso alla questione di fiducia da parte dell’esecutivo». «Vogliamo discutere in aula, con i tempi previsti dalla democrazia questo decreto che riguarda il prolungamento dello stato d’emergenza e l’obbligo di vaccinazione per gli over 50», riferendosi alla conversione in legge che dovrà avvenire entro l’8 marzo e su cui il Governo ha preannunciato durante la riunione della conferenza dei capigruppo di Montecitorio l’apposizione della fiducia.

“Inutile tirannia”: il più antico settimanale inglese parla del green pass italiano

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Il settimanale più antico al mondo non ha di certo usato eufemismi per parlare della rigidità delle restrizioni italiane legate alla pandemia, definite come “le più dure, nonostante i dati mostrino la loro inutilità”. The Spectator, rivista di stampo conservatore fondata nel Regno Unito nel 1828, ha pubblicato domenica 20 febbraio un articolo pungente e diretto nei confronti dell’Italia, descritta come il paese con “il passaporto vaccinale più draconiano d’Europa, dove indovini e guaritori rappresentano un’industria multi-miliardaria. Lì la psicosi di massa acceca i suoi politici e la sua gente dalla verità”.

Dunque dal Regno Unito, precisamente da uno dei suoi giornali storici, sembrerebbe arrivare una risposta all’attacco più o meno celato mosso dalle istituzioni italiane nei confronti della strategia britannica relativa alla pandemia, dipinta come “irresponsabile”. Nei mesi scorsi più volte sono state bollate come affrettate le riaperture proposte da Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito e direttore per diversi anni del The Spectator, il quale ha deciso di continuare sulla propria strada fatta di rallentamenti delle restrizioni, che dal prossimo 24 febbraio verranno ritirate in via definitiva nel Paese. Si tratta di una strada particolarmente condivisa in Europa, dalla Danimarca alla Finlandia, passando per Austria e Irlanda, ma ancora lontana da quella immaginata dal Governo italiano e dal Ministro della salute Roberto Speranza, che di recente ha affermato: «Il green pass è stato ed è un pezzo fondamentale della nostra strategia. Le mascherine al chiuso sono ancora importanti: non riesco a vedere un momento X in cui il virus non esiste più e cancelliamo insieme tutti gli strumenti».

Proprio il green pass, meglio conosciuto oltremanica come passaporto vaccinale, rappresenta il cuore dell’attacco della rivista inglese, che a riguardo ha scritto: “I non vaccinati sono stati presto banditi da quasi tutti gli spazi e trasporti pubblici, e persino dal lavoro, con possibilità di accedervi avendo contratto il virus entro sei mesi o pagando un test da 15 euro una volta ogni 48 ore”. Così il green pass viene visto nel Regno Unito come un “esercizio di inutile tirannia“, affiancato dalla sua variante rafforzata che “da dicembre scorso ha reso la vaccinazione ormai obbligatoria per tutti coloro che usufruiscono dei mezzi pubblici o intendono accedere a ristoranti, bar (anche all’esterno), parrucchieri e stadi sportivi, a meno che non abbiano avuto il Covid negli ultimi sei mesi. Il diritto dei non vaccinati di sostenere il test di 15 euro ogni 48 ore per accedere alla maggior parte dei luoghi pubblici è stato così annullato”.

L’attacco continua poi verso l’esecutivo e i suoi sostenitori, popolo compreso. Secondo Nicholas Farrell, autore dell’articolo, nessuno ammetterà mai che il green pass sia stato un fallimento, poiché “hanno tutti troppa faccia da perdere ora“, e aggiunge: “che la loro convinzione ossessiva sulle meraviglie del green pass sia una completa assurdità è chiaro da un confronto dei dati fra Italia e Regno Unito, che in realtà non ha avuto alcuna forma di passaporto vaccinale”, o almeno non stringente come nel nostro Paese. Le popolazioni dei due Stati sono simili: 59 milioni di abitanti per l’Italia e 69 milioni per il Regno Unito. Nel primo l’88,92% degli over 12 è completamente vaccinato, rispetto all’84,9% del secondo. “La lezione è chiara: la stragrande maggioranza delle persone ha scelto di essere vaccinata di propria spontanea volontà e non ha bisogno di essere costretta a farlo dallo Stato“. Inoltre, “se le misure restrittive avessero lavorato bene, i tassi di infezione dell’Italia sarebbero stati di gran lunga inferiori a quelli del Regno Unito. Eppure, dalla comparsa della variante Omicron i due Paesi hanno avuto un numero di casi abbastanza simile”.

Insomma, a distanza di mesi dalla sua adozione, la certificazione verde lascia ancora ampia discussione fra due parti discordanti: da un lato chi si avvia, non avendola mai adottata o dopo averlo fatto, verso la sua abolizione; dall’altro chi si ostina a farne un punto centrale della propria strategia di contrasto alla pandemia, nonostante la crescita costante delle perplessità. Entrambe le parti condividono lo stesso punto di partenza: la convinzione che il virus non scomparirà, almeno non nell’immediato. Sul finale, però, scelgono due strade differenti: la maggior parte dei Paesi europei accetterà la convivenza, tornando alla normalità. L’Italia, invece, si limita a parlare di ritiro graduale e indefinito delle restrizioni, scommettendo dunque a oltranza sulla propria convinzione.

[Di Salvatore Toscano]

Hong Kong e Covid: da marzo test a tappeto sulla popolazione

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Hong Kong ha annunciato l’intenzione di implementare i test Covid-19 obbligatori dal prossimo mese, costringendo i 7,4 milioni di residenti a sottoporsi a tre cicli di test a partire dalla metà di marzo. La decisione è stata confermata da Carrie Lam, capo esecutivo dell’ex colonia britannica, che al termine di una riunione ha dichiarato la volontà di continuare sulla linea delle restrizioni, con l’obiettivo di fermare l’ondata record di casi dovuta alla variante Omicron. Le misure rientrano nella strategia “zero Covid”, applicata in maniera ferrea in Cina, più volte ringraziata da Carrie Lam per il «suo sostegno» mostrato negli ultimi mesi di pandemia.