giovedì 27 Novembre 2025
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Yemen: la messa al bando degli Houthi decisa da Trump può portare a una catastrofe umanitaria

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L’amministrazione Trump ha deciso di inserire i ribelli Houthi dello Yemen nella lista dei gruppi terroristici. Lo ha reso noto il segretario di Stato Mike Pompeo, sostenendo che la decisione sia «un deterrente contro l’attività maligna del regime iraniano» (che supporta i ribelli). Ma la decisione di designare come terrorista il movimento Ansar Allah, riferimento politico e militare dei ribelli Houthi, rischia di avere gravi ripercussioni umanitarie. Le organizzazioni umanitarie definiscono il provvedimento di Trump «un atto di vandalismo diplomatico», in quanto rischia di bloccare il lavoro dell’ONU e delle Ong operative nel Paese e comprometterebbe il negoziato di pace in corso in Yemen.

Secondo l’ONU, quella in Yemen è la più grave crisi umanitaria in atto. Circa 24 milioni di yemeniti, l’80% della popolazione, si appoggiano agli aiuti umanitari per sopravvivere. Il sistema sanitario yemenita è fortemente provato a causa della pandemia e dei tagli degli aiuti umanitari. A causa della decisione di Trump, sarà difficile fornire cibo e medicinali: attualmente, gli aiuti che riescono ad arrivare in Yemen dopo aver superato il blocco aereo e navale saudita vengono distribuiti sul territorio proprio coordinandosi con gli Houthi. Secondo gli esperti, designare gli Houthi come terroristi porterà il movimento a rafforzare la capacita di presa sulla popolazione civile e comprometterà il processo di pace mediato dall’ONU, oltre a rendere più difficile per l’amministrazione Biden ricucire i rapporti con l’Iran.

Rapporto WWF: in 13 anni abbiamo perduto 43 milioni di ettari di foreste

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In poco più di un decennio, un’area di 43 milioni di ettari è andata perduta a causa della deforestazione. Secondo il nuovo rapporto del Wwf, il 10% della deforestazione globale è dovuta dalla domanda dei paesi dell’Unione Europea di prodotti come carne bovina, soia, cacao, gomma e olio di palma. Ad oggi, sono 9 le località in cui la deforestazione procede a ritmi più elevati: due sono geolocalizzate nella foresta amazzonica – tra Paraguay e Brasile, in seguito vi è il Cerrado – savana tropicale del Brasile che ospita il 5% della biodiversità mondiale – e poi ancora Argentina, Madagascar, Indonesia e Malesia.

L’Europa è il secondo mercato per la soia brasiliana: tra il 2004 e il 2017 la savana ha perso il 32,8% della sua area forestale perché la gran parte delle importazioni di soia provengono dal Cerrado. Il Wwf sta sollecitando Bruxelles affinché entri in vigore una nuova legge europea per impedire che i prodotti legati alla deforestazione e alla distruzione della natura entrino nei mercati della Ue. “L’Ue può e deve smettere di essere parte del problema – ha detto Anke Schulmeister-Oldenhove, membro dell’ufficio politico europeo del Wwf. In questo momento la Commissione europea sta elaborando una proposta di legge sulla deforestazione. Saremo presenti ad ogni passo per assicurare che tale legge sia forte, ambiziosa e garantisca che l’Ue faccia la sua parte nella protezione delle foreste, delle praterie e delle zone umide del mondo”.

 

 

Estonia, crisi di governo per le dimissioni del primo ministro

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Il primo ministro dell’Estonia, Juri Ratas, ha annunciato le dimissioni dopo che è stata avviata un’inchiesta per corruzione contro il suo partito, il Partito di Centro. L’accusa è di avere impiegato 39 milioni di euro di denaro pubblico destinato alle imprese colpite dalla pandemia per un progetto immobiliare a Tallinn, la capitale del Paese. Il presidente dell’Estonia, Kersti Kaljulaid, ha 14 giorni per nominare un nuovo primo ministro, che dovrà essere approvato dal parlamento. Se nessun candidato otterrà la maggioranza tra i parlamentari, ci saranno le elezioni.

Etiopia, oltre 100 morti in attacchi etnici

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Nella regione occidentale di Benishangul-Gumuz in Etiopia più di 100 persone sono state uccise in nuovi attacchi etnici. Lo riporta Esat Tv, canale satellitare dell’opposizione citato dalla Bbc. Gli attacchi sono avvenuti nelle giornate di lunedì e martedì. Secondo il rapporto, sono stati uccisi 130 civili da parte di uomini armati Gumuz in vari distretti nella zona di Metekel. Anche il mese scorso erano avvenute uccisioni per motivi etnici, proprio dopo la visita del primo ministro Abiy Ahmed per valutare la situazione della sicurezza.

Italia, i ristoratori dichiarano guerra alle multinazionali delle consegne a domicilio

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Durante la pandemia, i ristoranti hanno puntato praticamente tutto sul servizio d’asporto, affidandosi spesso a terzi (Glovo, Deliveroo e Uber). Enzo Ferrieri presidente di Ubri, l’unione dei brand della Ristorazione Italiana, lancia una dura accusa proprio nei confronti di queste aziende e dei loro eccessivi costi. Il modello che oggi il delivery propone non sarebbe più sostenibile. Perché? Prima della pandemia, l’asporto costituiva circa il 20% dei ricavi di un’azienda. Con il lockdown, invece, la percentuale è schizzata in alto, fino a rappresentare il 100% del fatturato di un ristorante, ad esempio. Ma i costi, anziché diminuire, sono aumentati. Ferrieri sostiene che in piena pandemia il peso delle commissioni versate a Deliveroo&Co è arrivato al 50% del fatturato complessivo: sommando il costo del lavoro, le materie prime e gli ammortamenti, la marginalità per gli imprenditori è stata di fatto quasi praticamente nulla. Si tratta delle stesse società multinazionali che non pagano le tasse in Italia e che applicano contratti a cottimo, contestati da dipendenti e sindacati fin dalla loro nascita. Contratti che invece i ristoratori non sono soliti fare ai propri collaboratori.

Grossi brand, tra cui anche i 50 associati di Ubri, ora rischiano di rimanere schiacciati dalla crisi. Secondo quanto riportato da Businessinsider, si tratta di aziende che fatturano oltre 200 milioni di euro l’anno in 400 locali con 3.300 dipendenti. La situazione è quindi peggiore per aziende più piccole.

India, dopo mesi di enormi proteste la Corte suprema blocca la nuova legge agricola

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La Corte suprema dell’India il 12 gennaio, ha interrotto l’implementazione delle tre leggi sull’agricoltura, approvate già dallo scorso 27 settembre dal governo. Da ormai lo scorso novembre, gli agricoltori di Nuova Delhi e non solo hanno scatenato intense proteste contro le cosiddette “leggi nere”: si sono accampati e stanno manifestando fuori da Nuova Delhi, bloccandone le vie d’accesso.

Il presidente della Corte Suprema dell’India, Sharad Arvind Bobde ha messo in discussione la validità costituzionale di queste leggi. Verrà istituito un comitato apposito per analizzare le ragioni per le quali gli agricoltori ne stanno chiedendo la revoca e per esaminare i contenuti dei testi di legge. Bobde ha aggiunto: “Proteggeremo gli agricoltori”. Il governo ha tentato varie volte di avere un confronto con i manifestanti: sono stati otto i round di negoziati organizzati tra l’esecutivo e i rappresentanti degli agricoltori per cercare una soluzione. Tuttavia, non si è giunti ad un compromesso perché entrambe le parti fermamente arroccate sulle rispettive posizioni. In base alle tre leggi di liberalizzazione, gli agricoltori potranno vendere i propri prodotti ovunque e a chiunque, non limitandone gli affari ai soli ingrossi regolati dal governo. Secondo i manifestanti, il governo smetterà di comprare prodotti agricoli a prezzi minimi garantiti e consentirà il loro sfruttamento da parte di grandi aziende private che potranno così comprare i loro raccolti a prezzi bassi.

Siria, raid aerei israeliani uccidono più di 23 persone

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Nella zona ad est della Siria almeno 23 persone sono rimaste uccise la scorsa notte in raid aerei israeliani contro posizioni e depositi di armi e munizioni, secondo quanto denuncia stamani l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Le fonti locali parlano di almeno 10 raid che hanno colpito tre diverse aree dove sono concentrate forze iraniane e filo-iraniane al confine siriano con l’Iraq.

Usa, giustiziata la prima donna dopo 70 anni

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Lisa Montgomery è stata giustiziata, è la prima esecuzione di una detenuta negli Usa in quasi 70 anni. La sua esecuzione era stata sospesa ieri per consentire una perizia psichiatrica, circostanza che aveva fatto sperare in uno stop della pena capitale. La donna è stata uccisa con una iniezione letale nel carcere federale di Terre Haute, nell’Indiana. Era stata condannata per l’omicidio di Bobbie Jo Stinnett nel 2004, aveva usato una corda per strangolarla per poi asportarle la bambina che portava in grembo. Per i legali aveva “mostrato in modo chiaro la sua incapacità mentale”

Perù, 300mila donne sterilizzate forzatamente: a processo l’ex presidente Fujimori

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Alberto Fujimori, ex presidente del Perù dal 1990 al 2000, è stato citato in giudizio da un tribunale locale con l’accusa di sterilizzazione forzata. Lo stesso tribunale si è riunito oggi per permettere alla Procura peruviana di formalizzare i capi d’accusa nei suoi confronti. Fujimori portò avanti tra il 1990 e il 1999 una campagna di sterilizzazioni forzate che coinvolse oltre 300.000 donne, per lo più indigene, madri di più figli. Secondo quanto riferito da radio RPP di Lima, attraverso un’udienza virtuale il giudice Rafael Martín Martínez ascolterà la relazione del pm Pablo Espinoza. Lui stesso formulerà le accuse contro Fujimori ed altre importanti personalità. Tutte coinvolte nella realizzazione del piano governativo che risale a più di 22 anni fa.

L’intento della Procura è quello di sostenere la tesi secondo cui le sterilizzazioni realizzate senza il consenso delle donne coinvolte rappresentano crimini contro l’umanità che dovranno essere puniti severamente. Attualmente Fujimori, 81 anni, è in carcere per scontare una pena di 13 anni per crimini contro l’umanità e corruzione. Su questa vicenda, l’ex presidente ha sempre dichiarato che le procedure sono state eseguite con il consenso dei pazienti e mirate ad affrontare la povertà riducendo i tassi di natalità. Invece, secondo quanto riportato da Reuters, molte donne hanno dichiarato di essere state sterilizzate senza il loro consenso, a volte minacciate o imbrogliate da medici corrotti o spinti da incentivi statali.

Germania, per la prima volta l’energia da fonti rinnovabili ha superato quella fossile

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In Germania, nel 2020, l’energia da fonti rinnovabili ha superato quella derivante da fonti fossili. Lo hanno evidenziato i dati preliminari dell’Agenzia di rete federale (BNetzA) e del gruppo di esperti di Agora Energiewende. Il nucleare e le fossili lignite, carbone, gas e petrolio, avrebbero prodotto 230 terawattora (TWh) contro i 255 delle rinnovabili. Leggermente diverso il parere dell’Istituto Fraunhofer ISE. Secondo il più grande centro europeo di ricerca sul solare, le fossili e il nucleare avrebbero generato 241 TWh contro i 247 delle fonti rinnovabili. Il 2020, inoltre, è stato l’anno in cui l’energia solare ha superato quella prodotta da tutte le centrali a carbone del paese. Gli esperti raccomandano però cautela. A causa della pandemia, l’anno appena trascorso, infatti, è stato tutt’altro che ordinario. Un calo record della produzione industriale e del consumo energetico, un inverno piuttosto mite e un rapido calo del carbone, sono solo alcuni dei fattori che potrebbero aver contribuito.

Il primo gennaio 2021, in Germania, è entrata in vigore la nuova legge per lo sviluppo delle rinnovabili. La riforma concretizza per la prima volta l’obiettivo della neutralità climatica fissato dal Green Deal europeo: zero emissioni nette entro il 2050. Invece, per raggiungere il 65% di rinnovabili entro il 2030 – ha spiegato il ministro dell’Economia Peter Altmaier – la legge prevede che il fotovoltaico raggiunga in dieci anni i 100 GW, l’eolico a terra arrivi a 71 GW, l’eolico offshore i 20 GW e la biomassa gli 8,4 GW.