venerdì 21 Novembre 2025
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Come il mercato delle droghe si è adattato alla pandemia

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L’impatto economico e sociale del Covid-19 è stato devastante per l’intero pianeta ma contrariamente a come sarebbe logico pensare, la pandemia non ha fermato il narcotraffico e il consumo di stupefacenti in Europa. Il mercato della droga si è rapidamente adattato alla nuova situazione facendo un minor ricorso ai corrieri umani, cambiando circuiti e metodi delle consegne sia al dettaglio che all’ingrosso, intensificando l’uso di container intermodali, servendosi delle più innovative e protette tecnologie digitali all’interno del Dark Web e utilizzando sempre più spesso le criptovalute per gli scambi di denaro. Si è fatto uso di servizi di messaggistica criptati, applicazioni social, siti online, servizi di posta e consegna a domicilio. Tutto ciò ha aumentato di molto i profitti ma anche la varietà dei prodotti e il consumo soprattutto tra i più giovani. Per i trafficanti quello della pandemia è stato sicuramente un banco di prova che potrebbe, se non arginato, portare un ulteriore incremento della digitalizzazione dei mercati della droga favorendo un nuovo sviluppo e aumentando al contempo la diffusione e la possibilità di eludere più facilmente i controlli.

A lanciare l’allarme è la relazione sulla droga 2021 dell’Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA). che sottolinea tra l’altro: «I dati dei sondaggi online delle persone che auto-dichiarano il consumo di droghe suggeriscono anche un maggiore consumo di alcol, una maggiore sperimentazione di sostanze psichedeliche, come l’LSD e la 2C-B (4-bromo-2,5- dimetossi-feniletilamina) e di droghe dissociative come la ketamina. Questo dato coinciderebbe con una crescita della domanda di sostanze potenzialmente ritenute più adatte al consumo domestico. I dati dei sondaggi suggeriscono anche che probabilmente chi faceva uso saltuario di droghe prima della COVID-19 abbia ridotto o addirittura cessato il consumo durante la pandemia, mentre i consumatori più regolari l’abbiano aumentato».

Nell’Unione europea, secondo la relazione, nel 2020 la coltivazione di cannabis e la produzione di droghe sintetiche sono proseguite ai livelli pre-pandemici. Si è rafforzata la tendenza alla coltivazione di cannabis anche a livello domestico, in parte per le misure di confinamento. È stato rilevato anche, e con preoccupazione crescente, un abuso di benzodiazepine destinate a usi diversi da quello terapeutico. L’aumento del consumo di tali sostanze che compaiono sul mercato delle droghe illecite, è stato osservato tra i tossicodipendenti ad alto rischio, i detenuti e alcuni gruppi di consumatori di droga per scopi ricreativi, il che può essere motivato dal basso costo o da problemi di salute mentale che possono manifestarsi in soggetti particolarmente insofferenti all’isolamento legato alla pandemia. Nei primi periodi di lockdown si è invece determinato un minor consumo delle cosiddette droghe ricreative come l’MDMA, in quanto luoghi di ritrovo e discoteche erano rimasti chiusi.

Tuttavia, analisi eseguite sulle acque reflue di alcune città europee indicano che i consumi della maggior parte degli stupefacenti sono ritornati ai valori usuali a cominciare dalla cocaina di cui si sono registrati sequestri record. Nel 2019, ad esempio, ne sono state sequestrate 213 tonnellate in aumento rispetto alle 117 tonnellate del 2018 e alcuni dati preliminari riguardanti il 2020, indicano che la disponibilità non è diminuita nonostante il perdurare delle restrizioni.

[di Federico Mels Colloredo]

Francia: multa da 1 mln di euro a Ikea per spionaggio dipendenti

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La filiale francese del colosso dell’arredamento per la casa, Ikea, ed uno dei suoi ex presidenti, nella giornata di oggi sono stati condannati dal tribunale di Versailles ad un milione di euro di multa ed a pene detentive con la condizionale per aver fatto spiare diverse centinaia di dipendenti tra il 2009 e il 2012. Il tribunale, infatti, li ha ritenuti colpevoli di «ricettazione di dati personali in modo fraudolento». Tuttavia, le pene a cui sono stati condannati sono meno pesanti di quelle richieste dall’accusa, essendo stata esclusa l’imputazione più grave, ossia la «sorveglianza di massa».

Somalia: attentato suicida contro militari, almeno 15 vittime

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Un attentato suicida effettuato nei confronti di un centro di addestramento dell’esercito situato a Mogadiscio, la capitale della Somalia, ha provocato la morte di almeno 15 persone. Lo ha riferito all’agenzia di stampa Afp un ufficiale dell’esercito lì presente, secondo cui l’attentatore si è fatto esplodere vicino a reclute che «erano in fila davanti al campo militare del generale Dhegobadan, ad est della città».

Covid, ricerca italiana conferma: con le cure domiciliari diminuiscono i ricoveri

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Le cure domiciliari possono prevenire i ricoveri in ospedale causati dal Covid-19: è quanto si apprende da uno studio effettuato dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e condotto in collaborazione con un gruppo di medici di base di Varese e di Teramo, i cui risultati erano già in pre-print e che adesso è stato pubblicato su EClinicalMedicine, magazine che fa capo alla rivista scientifica The Lancet. La ricerca ha avuto ad oggetto 90 pazienti con Covid-19 lieve, che sono stati curati a casa dai loro medici di famiglia sulla base dell’algoritmo proposto per il trattamento domiciliare. Si è avuta una diminuzione da 13 a 2 di quelli con esigenza di ospedalizzazione ed una riduzione di oltre il 90% del numero totale dei giorni di ricovero e dei conseguenti costi di trattamento, rispetto ad un gruppo di pazienti aventi le medesime caratteristiche, ma che erano stati trattati basandosi su regimi terapeutici differenti. I risultati della ricerca rivelano inoltre che i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) sono probabilmente quelli più indicati nelle prime fasi della malattia.

Gli ideatori dello studio, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istututo Mario Negri e Fredy Suter, primario emerito dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, hanno spiegato che nei primi 2-3 giorni il virus è in fase di incubazione e la persona non presenta sintomi. Solo nei 4-7 giorni successivi, si verificano i primi sintomi in quanto la carica virale aumenta. Per questo, intervenire in maniera tempestiva iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid-19 come qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l’esito del tampone, può rivelarsi utile.

Detto ciò, seppur tale ricerca resti comunque imperfetta in quanto retrospettiva, i suoi risultati sono stati confermati anche da un altro studio di alcuni ricercatori inglesi ed australiani pubblicato su The Lancet. Quest’ultimo, infatti, ha avuto ad oggetto la somministrazione precoce di budesonide per via inalatoria (un preparato anti-asma che contiene una piccola quantità di cortisone), il quale «ha ridotto la probabilità di aver bisogno di cure mediche urgenti e ha ridotto i tempi di recupero dopo l’inizio del Covid-19».

Si tratta dunque di un’ulteriore prova dell’importanza delle cure domiciliari, già dimostrata da alcune ricerche scientifiche nonché dall’esperienza di altri paesi, che grazie ad esse hanno ottenuto ottimi risultati per ciò che concerne la gestione della pandemia.

[di Raffaele De Luca]

Marò: l’India chiude il caso dopo 9 anni

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La Corte suprema indiana ha chiuso tutti i procedimenti contro Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò italiani accusati di aver ucciso nel mese di febbraio 2012, al largo delle coste del Kerala, due pescatori imbarcati su un peschereccio indiano. Lo hanno reso noto i media di Nuova Delhi, secondo cui la Corte suprema ha considerato adeguato il risarcimento da 100 milioni di rupie (circa 1,1 milioni di euro), di cui 80 milioni andranno ai parenti delle vittime e 20 milioni al proprietario dell’imbarcazione. Già la settimana scorsa, aggiungono i media, dopo il deposito di tale risarcimento la Corte aveva deciso di chiudere tutti i procedimenti.

Roger Waters rifiuta i soldi di Zuckerberg: “Sei uno degli idioti più potenti del mondo”

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L’ex bassista e autore dei Pink Floyd, Roger Waters, ha rivelato di aver ricevuto offerte da Facebook: la multinazionale di Mark Zuckerberg intendeva utilizzare una delle sue canzoni in cambio di una «enorme quantità di denaro». Waters, ha ripetuto la risposta data di fronte alla platea: «Fottiti! Assolutamente no».

L’ex Pink Floyd stava partecipando a un incontro di raccolta fondi per la difesa di Julian Assange. Raccontando l’aneddoto ai presenti ha poi definito Zuckerberg «uno degli idioti più potenti del mondo», e si è chiesto: «Come ha fatto questo coglione, che ha iniziato dicendo: È carina, le diamo un 4 su 5, È brutta, le diamo 1. Come ha ottenuto tanto potere?». Riferendosi agli inizi di Facebook, nata come piattaforma per rimorchiare all’interno dei campus americani.

Secondo Waters l’obiettivo di Zuckerberg è «rendere Facebook e Instagram sempre più grandi e potenti per poter continuare a censurare tutti ed impedire che la storia di Julian Assange raggiunga il grande pubblico».

Roger Waters, 77 anni, non è nuovo ad assumere posizioni politiche coraggiose ed in aperto contrasto con il governo inglese e con l’Occidente più in generale. Dichiarato militante pacifista e socialista, ha più volte espresso la propria solidarietà al popolo palestinese e mostrato sostegno ai governi socialisti sudamericani boicottati dagli Usa, come Cuba e il Venezuela.

Il cibo d’asporto è la causa primaria d’inquinamento marino da plastica

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Gli imballaggi dei cibi e delle bevande d’asporto sono la principale causa d’inquinamento marino a livello globale. È quanto è emerso da un nuovo studio dell’Università di Cádiz. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno analizzato 12 milioni di frammenti di rifiuti più grandi di 3 cm, trovati nei fiumi, negli oceani, lungo le coste e nei fondali marini. Otto campioni su dieci – è emerso – erano in plastica, e il 44% di questi riguardava cibo e bevande d’asporto. In particolare, sacchetti monouso, bottiglie, contenitori e involucri per alimenti sono le quattro tipologie di rifiuti plastici che più inquinano mari ed oceani.

A causa del loro uso diffuso – e spesso sconsiderato – e della degradazione estremamente lenta, ad oggi, questi rifiuti dominano negli oceani del Pianeta. La plastica poi, il cui ciclo di vita è risultato insostenibile in ogni sua tappa, è uno dei materiali di uso comune dal più elevato impatto ambientale. Specie se ci riferiamo, per l’appunto, a quella monouso, che rappresenta ancora almeno un terzo della produzione globale. Nel 2019, infatti, sono state 130 milioni le tonnellate di plastica usa e getta prodotte. Di cui, ogni anno, solo una minima parte, variabile tra il 10 e il 15%, viene effettivamente riciclata. Buona parte, invece, viene bruciata, finisce in discarica o contribuisce ad inquinare mari ed oceani. Oltre ad una sempre maggiore consapevolezza individuale, non resta quindi che confidare, intanto, in una piena e rigorosa applicazione del divieto di utilizzo di plastica monouso previsto per il 3 luglio in tutta l’Ue.

[di Simone Valeri]

Via della Seta, Uiguri e Covid: dal G7 emergono le direttrici per contrastare la Cina

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Era ormai già chiaro ma ora diviene praticamente ufficiale: è iniziata la Guerra Fredda contro la Cina. Il G7 che si è tenuto in Cornovaglia, in Gran Bretagna, ha avuto la Cina come oggetto principale di discussione dichiarandola incompatibile con il modo di vivere e i valori delle grandi potenze: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Giappone. Sebbene ci si affretti a dire, come Macron, che «il G7 non è un club anti-cinese», il documento finale cita la Cina come pericolo per la sicurezza mondiale. Al vertice sono state denunciate le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang come ad Hong Kong, oltre al riferimento alla necessità di «stabilità nello stretto di Taiwan». Inoltre è stata annunciata la creazione di un programma parallelo alla Belt and Road Initiative cinese e l’intenzione di procedere con una nuova inchiesta in Cina circa l’origine del virus Sars-Cov2.

Queste sono le direttrici su cui si muoveranno le potenze mondiali per affrontare la Cina. Ciò risulta essere il totale all’allineamento al volere statunitense. Vi avevamo infatti già parlato di come gli USA avessero programmato la strategia di contenimento e offensiva anti-cinese, rivelata con il documento Strategic Competition Act. Il documento delinea la Cina come competitor globale principale ed espone la strategia da adottare per contrastare la prepotente ascesa del gigante asiatico, annotando i pericoli che la Cina e il suo modello economico-politico rappresenterebbero per gli USA e alleati, tanto nella sfera geopolitica e geostrategica quanto nella sfera economica e finanziaria, oltre che nel campo tecnologico, digitale e dell’informazione. La Belt and Road Initiative è vista come lo strumento maggiore che la Cina sta adoperando per implementare la sua influenza mondiale.

In merito a quest’ultimo punto, il G7 ha deciso di avviare un programma alternativo alla Via della Seta, la Western Belt and Road, così da sottrarre dall’influenza cinese i paesi che ne sono interessati. I leader hanno convenuto di aiutare i paesi più poveri con un mix di politiche economico-finanziarie e infrastrutture strategiche che però, al netto della propaganda mediatico-politica, sarà di maggior interesse per le potenze del G7 anziché di quei paesi che adesso si troveranno nel fuoco incrociato delle mire cinesi e occidentali. Gli USA a guida Biden, stanno cercando di proporre all’Europa una strategia credibile con cui sfidare il modello capitalista di Stato cinese con un piano di rimodulazione delle catene di approvvigionamento che crei svantaggio alla Cina e che rimetta in moto l’economia capitalista occidentale (già esposto nello Strategic Competition Act).

La situazione di Hong Kong e la violazione dei diritti umani sul popolo Uiguri, come anche la politica cinese su Taiwan, saranno al centro di pressioni diplomatiche internazionali alimentate e spinte dalla propaganda mediatica. Su Taiwan si giocherà anche con l’esposizione della forza militare nel quadro della questione dell’influenza cinese sui mari, in particolar modo il Mar Cinese Meridionale, e su tutta la regione dell’Indo-Pacifico.

La Cina ha ufficialmente denunciato la posizione assunta dai leader del G7, tramite il proprio ambasciatore nel Regno Unito, affermando che: «Il G7 sfrutta le questioni relative allo Xinjiang per dedicarsi alla manipolazione politica ed interferire negli affari interni della Cina, ci opponiamo fermamente a questo».

Anche la nuova posizione assunta dalla narrazione dominante sulle origini del Sars-Cov2 lascia presagire azioni diplomatiche nei riguardi della Cina che, adesso, sembra essere il capro espiatorio perfetto a cui addossare le colpe inerenti la pandemia globale. In merito a questo la Cina aveva già ammonito gli USA dicendo di guardare ai propri laboratori, come quello di Fort Detrick – chiuso nell’agosto del 2019 ed in cui, nel corso degli anni, si sono già verificati incidenti – paragonando la campagna accusatoria in merito al Covid-19 alle bugie statunitensi sull’Iraq e le armi di distruzione di massa.

Nel frattempo, quest’oggi, si è aperto il summit NATO. «La Nato è importantissima e se non ci fosse la si dovrebbe inventare», ha detto il Presidente Usa nel suo incontro con il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg. Biden ha poi elogiato ed enfatizzato l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza (che impegna gli aderenti a difendere chi è attaccato, in un sistema di mutua difesa), definito «sacro obbligo», spiegando come lo si dovrebbe applicare anche per la questione inerente i cyberattacchi. Per la NATO, oltre allo storico rivale, la Russia, si aggiunge ufficialmente anche la Cina – e la sua potenza militare – come «sfida sistemica alla sicurezza atlantica».

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente assunto la testa della battaglia contro la Cina compattando gli alleati sottoposti dopo che la politica trumpiana aveva assunto caratteri ostili nei confronti dell’Europa. Secondo Biden, dunque, occorre un fronte occidentale unito per poter fermare l’ascesa cinese e sconfiggere il gigante asiatico.

[di Michele Manfrin]

Putin definisce «ridicole» le accuse USA su cyberattacchi

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Vladimir Putin ha definito «ridicole» la accuse americane alla Russia riguardo i recenti cyberattacchi subiti dagli Stati Uniti. A due giorni dal tanto atteso faccia a faccia di Ginevra tra Biden e Putin, durante un intervista a Nbc, il Presidente russo ha detto: « Dalle interferenze sulle elezioni ai cyberattacchi non è mai è stata prodotta una prova che lo dimostrasse. Si tratta di accuse infondate».

Minnesota: la polizia intimidisce i dissidenti con i soldi delle corporation

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Proteste Line 3

Non è insolito per le compagnie petrolifere americane il decidere di rimodernare le proprie infrastrutture gettando oleodotti che tagliano parchi naturali e riserve indiane. È capitato molteplici volte. La canadese Enbridge, in accordo con il Governo USA, si è mossa proprio in questa direzione quando ha riprogettato la sua vetusta “Line 3”, con il risultato che attivisti, popolo e tribù locali si sono opposti in massa.

Fin qui tutto “normale”, tuttavia ultimamente sta facendo discutere come lo Stato del Minnesota stia gestendo le contestazioni – tutte pacifiche – approfittando di subdole tecniche intimidatorie e di strategie di spionaggio che solitamente vengono riservate ai casi di terrorismo.

Lo Stato, d’altro canto, è in una situazione politicamente complessa: tutti gli altri Paesi coinvolti nel progetto hanno ormai completato la loro parte e la tratta di sua competenza sta tenendo in scacco l’intero rimodernamento della Line 3. In ballo, inutile dirlo, ci sono molti soldi e una manciata di posti di lavoro. Che ci fosse da aspettarsi una certa reticenza da parte degli abitanti era tuttavia abbastanza ovvio, visto che prima di firmare il contratto il Minnesota aveva indetto un referendum in cui il 94% dei cittadini si era detto contrario al piano industriale.

Ora l’Amministrazione locale si sta impegnando a risolvere la questione, tuttavia è lecito mettere in dubbio che possa avere a cuore i migliori interessi dei locali. In altre parole, la Line 3 si deve fare e si farà a ogni costo. Lo vuole il Minnesota, lo vogliono gli Stati Uniti e lo vuole la Enbridge. La cosa inquietante è che questi interessi condivisi si sono manifestati trasparentemente nel momento in cui l’Ufficio delle Sceriffo si è di fatto semi-privatizzato facendo pagare all’azienda petrolifera canadese il servizio delle “pattuglie di sicurezza” dispiegate attorno ai cantieri.

Che ci sia magro spazio di dialogo lo hanno dimostrato i fatti di settimana scorsa: più di 500 hanno occupato la stazione di pompaggio a nord di Park Rapids per bloccare l’entrata al cantiere del Line 3, le autorità hanno reagito planando su di loro con un elicottero, sollevando un turbine di polvere e ciottoli che ha inghiottito gli oppositori.

Secondo le autorità, il pericoloso avvicinamento sarebbe stato necessario per far udire ai manifestanti la voce degli agenti, i quali avrebbero chiesto loro di sgomberare l’area. Tra panico e rumore delle eliche, nessuno ha veramente notato questo loro desiderio comunicativo. Nessun problema, la polizia aveva un piano B: utilizzare un Long Range Acoustic Device (LRAD), di fatto un potentissimo megafono che chiunque, esclusa polizia e azienda produttrice, considerano come un’arma sonica pensata per colpire le folle in maniera non letale.

C’è da chiedersi se l’attitudine dell’Ufficio dello Sceriffo a cercare un confronto dialettico tanto “goffo” e violento sia in qualche modo legato al fatto che Enbridge, tra le altre, abbia versato contributi per permettergli di acquistare “equipaggiamenti da usare durante gli eventi di disobbedienza civile”.

Gli abusi delle forze dell’ordine sono stati opportunamente documentati e trasmessi sui social network, tuttavia anche questo è andato a demerito dei manifestanti: al posto di aprire un’indagine sulle manovre spericolate dell’elicotterista, le autorità del Minnesota hanno preferito passare una settimana su Facebook e Twitter per identificare i leader del movimento.

Spulciando i dati condivisi sulla Rete, la polizia ha arrestato circa 200 persone con accuse assolutamente minuscole che, tuttavia, si possono tradurre in detenzioni o in multe che per molti sono tragicamente proibitive. In pratica, lo Stato pone i manifestanti di fronte a un bivio: silenziare le proprie lamentele o finire in prigione. In questo schema oppressivo, i social diventano un campo minato che può essere usato per danneggiare coloro che hanno più bisogno di far sentire la propria voce, cosa che a sua volta crea un modello che potrebbe essere adottato anche in altre parti degli Stati Uniti e, perché no, in molti di quei Paesi occidentali che vogliono dominare il discorso pubblico senza sporcarsi troppo le mani.

[di Walter Ferri]