venerdì 21 Novembre 2025
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Afghanistan: missili contro l’aeroporto di Kandahar

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I talebani hanno lanciato almeno 3 missili contro l’aeroporto di Kandahar durante la notte. Nel frattempo, le forze filogovernative hanno inviato rinforzi. L’attacco è stato reso noto dai stessi talebani che lo hanno giustificato come atto di difesa dato dal fatto che l’aeroporto viene usato per condurre attacchi contro i talebani stessi da parte dell’esercito governativo. Da settimane, Kandahar, seconda città più importante del Paese, è al centro di scontri tra talebani e forze ufficiali.

La corsa al turismo spaziale dei miliardari è devastante per l’ambiente

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«Voglio ringraziare ogni impiegato di Amazon e ogni cliente di Amazon perché, ragazzi, siete voi che avete pagato per tutto questo». Questa è la frase paradossale pronunciata dal miliardario fondatore di Amazon Jeff Bezos al termine del suo viaggio a bordo di New Shepard, il sistema di volo spaziale suborbitale completamente controllato da un computer di bordo, progettato da Blue Origin, la società di proprietà dello stesso imprenditore americano. Azienda aerospaziale finanziata dalla vendita delle azioni di Amazon, dalla NASA e dall’esercito americano. Quando il capitale privato, le agenzie indipendenti del governo federale e le forze armate vanno a braccetto. I ringraziamenti di circostanza ai dipendenti sono stati liquidati molto severamente dalla democratica Ocasio-Cortez: «sì, i lavoratori di Amazon hanno pagato con salari più bassi, il blocco dei sindacati, un posto di lavoro disumano. E i clienti hanno pagato perché Amazon danneggia le piccole imprese abusando del suo potere di mercato».

Ma, come è noto, per accaparrarsi il monopolio del turismo spaziale c’è una vera e propria gara. Il principale competitor di Bezos, oltre ad Elon Musk, è Sir Richard Branson, miliardario fondatore del gruppo Virgin, anche lui sparato nello spazio ben 9 giorni prima del presidente di Amazon. Ma qual è la vera posta in palio? L’obiettivo dei lanci a favore di camera è veramente il progresso tecnologico a fini umanitari e universalistici così come dichiara questo manipolo di CEO? Pare di no. Musk e Bezos competono per arraffare contratti da istituzioni pubbliche come la Nasa e il Dipartimento della Difesa in modo da avere più satelliti e maggiori vantaggi aziendali derivati dal dominio della corsa allo spazio. Al netto della retorica, l’espansione a dismisura nel settore aerospaziale è il reale obiettivo. Per fare questo i miliardari espansionisti fanno leva sull’antica volontà di supremazia del governo statunitense, che adesso deve dimostrare di saper resistere al sorpasso tecnologico della Cina. E questi lanci dimostrativi e scenografici sono esercizi di pubbliche relazioni con cui guadagnare credibilità per la propria azienda.

Le critiche piombate su queste passeggiate suborbitali degli uomini più ricchi del pianeta hanno riguardato per lo più aspetti legati all’etica e al senso della misura. A tutti, tranne che ad una ristretta minoranza ultra-privilegiata, sembra immorale investire miliardi per portare 3 civili fuori dall’atmosfera quando catastrofi sanitarie, economiche e ambientali flagellano il pianeta, a spese soprattutto della parte più povera della popolazione mondiale. Ma ci sono anche ragioni scientificamente testabili per cui la corsa al turismo spaziale è stata condannata. Infatti, nonostante Jeff Bezos abbia dichiarato che l’esperienza del viaggio suborbitale ha rinforzato in lui l’impegno a risolvere il cambiamento climatico, è stato notato che i razzi sono estremamente inquinanti. Essi emettono una quantità di anidride carbonica per passeggero cento volte superiore a quella dei voli di linea. Propellenti ibridi composti da idrogeno e ossigeno liquido, cherosene liquido, combustibili solidi a base di carbonio, polibutadiene con terminazione idrossile (HTPB), ossidanti liquidi e protossido di azoto (gas esilarante). Quasi tutti rilasciati nell’atmosfera. Durante il lancio, un razzo può emettere una quantità di ossido d’azoto (responsabile dell’inquinamento dell’aria più vicina al suolo) tra le 4 e le 10 volte superiore a quelle della più grande centrale termica del Regno Unito. Nella stratosfera, gli ossidi di azoto e le sostanze chimiche formate dalla scomposizione del vapore acqueo convertono l’ozono in ossigeno, impoverendo lo strato di ozono che protegge la Terra dai raggi UV.

[di Jacopo Pallagrosi]

Bergamo: protesta familiari vittime Covid contro Commissione d’inchiesta

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A Bergamo, questa mattina una sessantina di familiari delle vittime del Covid hanno manifestato contro il nuovo ruolo assegnato alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia, che si dovrà occupare solo di quanto avvenuto prima del 30 gennaio 2020, giorno precedente alla dichiarazione di emergenza nazionale. I familiari si sono ritrovati davanti a Palazzo Frizzoni, sede del municipio della città, ed hanno esposto striscioni con la scritta “#sereni” in segno di protesta. Inoltre, molti di loro hanno mostrato la foto dei loro cari deceduti a causa del Covid.

Daniel Hale ha rivelato gli orrori dei droni USA, ora è agli arresti

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La narrazione occidentale suggerisce spesso che la violenza sociale non sia la risposta, che i problemi interni al sistema debbano essere affrontati attraverso i canali amministrativi e che ogni cittadino possa in qualsiasi momento evidenziare le corruzioni e le deviazioni del mondo che lo circonda. Poi arrivano gli USA, i quali sembrano volersi impegnare attivamente nell’annichilire alla radice questa retorica.

Martedì 27 luglio, la Corte della Virginia ha infatti condannato Daniel Hale, trentatreenne con un passato da analista dell’Air Force, a 45 mesi di prigione per essersi dato allo spionaggio. O, per meglio dire, per aver fatto trapelare ai giornalisti alcune informazioni che offrono uno spaccato sul come gli Stati Uniti impieghino orribilmente i propri droni sui campi di battaglia.

I documenti fatti venire a galla avevano rivelato al pubblico che nei corridoi militari tutti fossero ben consapevoli delle misere performance dei droni bombardieri, con un report che ammetteva come nove uccisioni su dieci non abbiano nulla a che vedere con i bersagli designati. L’apoteosi della filosofia “shoot now e think later” che sboccia in un massacro di normali civili.

Nel 2014, dopo essersi rassegnato al fatto che il suo lavoro contribuisse attivamente alla morte di moltissimi innocenti, Hale aveva iniziato a raccogliere dozzine di file militari compromettenti per poi girarli alla redazione del The Intercept. Un’azione criminale, secondo il giudice Liam O’Grady, il quale ha dichiarato che, in queste situazioni, ci si dovrebbe limitare a denunciare gli orrori a voce. Senza rubare documenti, senza fornire prove.

Sin dai tempi della presidenza Obama, gli USA si sono dimostrati particolarmente energici nel perseguire tutti coloro che fanno emergere gli abusi e le ipocrisie del Pentagono (si pensi a Edward Snowden, Chelsea Manning, Reality Winner o Terry Albury), tuttavia l’Amministrazione Biden sembra aver trovato un nuovo paradigma con cui giustificare il proprio operato: dimostrarsi clemente con le testate che pubblicano gli articoli, ma perseguitare ossessivamente tutti gli quegli informatori che rendono possibili gli articoli in questione.

Hale ha sintetizzato la sua posizione durante l’udienza, gli è bastata un’unica frase: «Il vero motivo per cui sono qui è per aver aver rubato qualcosa che non spettava a me prendere: la preziosa vita umana».

[di Walter Ferri]

Le luci e il metrò, lo spirito e le macchine

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La terra ci fornisce, sul nostro conto, più insegnamenti di tutti i libri… Ho sempre davanti agli occhi l’immagine della mia prima notte di volo in Argentina, una notte scura in cui brillavano, come stelle, solo i radi lumi sparsi per la pianura. Ciascuno era come il segnale, in quell’oceano di tenebre, del miracolo di una coscienza”. Così comincia Terre des hommes di A. de Saint-Exupéry (1939). L’autore sta effettuando uno dei suoi voli postali notturni, il più noto è quello sulla rotta Tolosa-Malaga-Casablanca-Dakar; e poi la traversata atlantica Fernando de Noronha, Brasile sino a Montevideo e a Buenos Aires. Un poeta aviatore è il migliore protagonista di una iniziazione, poiché resta tra l’intelligibile e il corporeo, e la sua macchina, l’aereo, si trasforma in apparato cinematografico. Qui la complessità espressiva mescola i ruoli tanto che possiamo ritenere non soltanto che egli scriva mentre sta pilotando ma che noi insieme a lui stiamo osservando la scena su uno schermo: “nel tale focolare qualcuno leggeva, pensava, scambiava confidenze. Nel tal altro, forse, qualcuno cercava di sondare lo spazio, si logorava in calcoli sulla nebulosa di Andromeda. Là si amava… bisogna pur tentare di riunirsi…, di comunicare con qualcuna di queste luci”.

Ma questa non è semplicemente poesia, è capacità di vedere, di concepire il mondo come una iconosfera caleidoscopica, densa e rarefatta, molteplice e spettacolare, immaginifica e concreta.

Prendo un altro esempio da Denis de Rougemont, storico delle idee, oltre che politico e primo presidente del Consiglio d’Europa. Insieme alla moglie, passa nel 1933 un esilio volontario nella piccola Ile de Ré, vivendo mesi di grande semplicità e nel suo Diario di un intellettuale disoccupato (1937), così sintetizza il rapporto tra macchina e spirito in una mirabile rappresentazione del metrò, che in quei momenti doveva apparirgli davvero remoto: “Il metrò … è l’espressione architettonica e meccanica di uno stato febbrile. È una fantasticheria sotterranea di bagliori e volti sovrapposti nei vetri sfuggenti, è un ritmico fracasso che raggiunge talvolta l’asintoto di un silenzio morto – l’assenza di musica che si ha quando il silenzio è stato ucciso, assenza che si confonde con la presenza di un rumore universale… Immagino un metrò silenzioso, più rapido, che proceda a repentini scatti da una zona luminosa all’altra, oscuro al suo interno, affollato e volgare, con automi di lusso e musiche melense e raffinate, dei lampi su scene criminali, abissi verdastri… Un metrò che sarebbe semplicemente l’inconscio dei cittadini”.

Così si fa strada quell’idea, espressa tanto lucidamente vent’anni dopo da Edgar Morin, nel suo capolavoro, Le star: “E’ la vita squallida e anonima, fatta di miserie e di necessità, che vorrebbe uscire dalle sue ristrettezze e assumere le dimensioni di quella cinematografica. La vita immaginaria dello schermo è il prodotto di questo bisogno reale”, in quanto il cinema, osserva ancora Morin “rimette in movimento i vecchi processi immaginari di identificazione e di proiezione dai quali nascono gli dèi”.

Oramai non gli uomini ma le macchine trattano le cose umane e fanno le opere della vita, e verranno un giorno a comprendere anche le opere spirituali”. Chi scrive questo è un poeta, Giacomo Leopardi, intorno al 1820, che immagina presto si realizzerà “l’uomo artificiale a vapore, atto e ordinato, indirizzato, come un automato, agli esercizi delle virtù”. E che si produrranno macchine che proteggono l’umanità dai sentimenti malvagi, come i parafumini che riparano nelle intemperie. Ma non c’è da stupirsi, sono gli anni di Frankenstein, il “mostro” di Mary Shelley, gli anni delle macchine a vapore nelle filature, ispiratrici degli scritti di Karl Marx. Dove è dunque il vapore, qualcosa che ricorda paradossalmente lo spirito, a rappresentare l’energia e il lavoro, lo sfruttamento e la fatica.

L’uomo mentre immagina e sogna, subisce e soffre, gli succede come all’ Elettra di Sofocle che, mentre travestita da serva, medita la vendetta, afferma: “Se voglio continuare a vivere libera, devo ubbidire ai potenti”. Come noi, prima di tutti, al Dio-padrone Economia. Per il momento…

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Afghanistan: attacco contro uffici Onu, 1 morto e diversi feriti

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In Afghanistan, precisamente a Herat, è stato condotto un attacco con dei lanciarazzi contro gli uffici dell’Onu. A renderlo noto è stata l’Unama (la missione Onu in Afghanistan) la quale ha comunicato che l’attentato ha provocato la morte di un agente afghano che era di guardia all’edificio. Inoltre altri ufficiali, il cui numero non è stato precisato, sono rimasti feriti. Nessun ferito, invece, tra gli impiegati dell’Onu. Infine, precisa l’Unama, «questo attacco è stato compiuto da elementi anti-governativi».

Caso De Donno: la Procura apre un’inchiesta per istigazione al suicidio

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La procura di Mantova ha aperto formalmente un’inchiesta sulla morte di Giuseppe De Donno, l’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma che per primo aveva iniziato a sperimentare la cura contro il Covid tramite la terapia basata sulla trasfusione di plasma iperimmune. Il corpo del medico 54enne, che si sarebbe suicidato impiccandosi, è stato trovato martedì pomeriggio dai familiari nella sua casa di Eremo di Curtatone, in provincia di Mantova. Tuttavia, al momento non si hanno certezze sulle motivazioni alla base del tragico gesto di De Donno, che non avrebbe lasciato alcun messaggio. Perciò, i giudici hanno intenzione di capire se dietro l’estrema decisione possano esserci responsabilità da parte di terzi: nello specifico, gli inquirenti vogliono fare luce sull’eventuale reato di istigazione al suicidio e comprendere se qualcuno possa aver indotto l’ex primario a togliersi la vita. Nel frattempo, martedì sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie ed i due figli, mentre i cellulari ed il computer di De Donno sono stati messi sotto sequestro.

L’ex primario, a detta di alcune persone a lui vicine, stava attraversando un periodo difficile, ma dopo essersi dimesso dall’ospedale ed aver iniziato, il 5 luglio scorso, la nuova attività di medico di base, sembrava essersi risollevato. In tal senso, il direttore generale di Asst Mantova Raffaele Stradoni ha affermato: «Con il suo nuovo incarico aveva detto di stare meglio. Ora la notizia della sua morte ha sconvolto anche noi colleghi dell’ospedale». Ha inoltre aggiunto che De Donno «stava combattendo con una sua grave situazione di difficoltà personale» che, a detta del direttore, «nulla c’entrava con il suo lavoro da medico e con il suo studio e sperimentazione sul plasma iperimmune come cura contro il Covid».

Alcuni colleghi infatti sostengono che De Donno sia stato profondamente segnato dalla scarsa attenzione data alle sue ricerche sulla terapia a base di plasma, la quale inizialmente sembrava potesse salvare i pazienti Covid gravi prelevando il sangue dai contagiati guariti ed infondendolo nei malati. A tal proposito, De Donno credeva che la sua cura fosse molto efficace e in una intervista rilasciata a maggio affermava che fosse riuscito ad azzerare i decessi tra i suoi pazienti («48 malati guariti da una cura che non costa nulla. Eppure mi ritrovo i Nas in corsia», aveva dichiarato). Questi ultimi, stando alle sue parole erano arrivati in ospedale per un motivo a lui ignoto. Tuttavia, il dottore era alquanto insospettito, ed aveva affermato: «Le cose non avvengono a caso. Se qualcuno crede di scoraggiarmi, non ci riuscirà. La comunità scientifica dovrà rispondere ai cittadini di questo».

Giusto sottolineare il fatto che le ricerche scientifiche fino ad ora svolte, anche all’estero, sull’efficacia del plasma iperimmune contro il Covid-19 non hanno portato a risultati particolarmente brillanti, meno convincenti di altre terapie come quelle basate sugli anticorpi monoclonali che l’Unione Europea si appresta ad approvare. Negli Usa, ad esempio, dove la terapia sul plasma iperimmune venne autorizzata dall’FDA, portando al trattamento di 105.000 pazienti affetti da Covid19, venne riscontrato che l’11% dei pazienti non intubati che avevano ricevuto il plasma morirono entro 7 giorni dalla trasfusione, rispetto al 14% di quelli che avevano ricevuto il plasma con basse cariche anticorpali: un miglioramento non particolarmente significativo, che aveva comunque portato all’autorizzazione d’emergenza della terapia in quanto priva di pericoli per la salute. Risultati analoghi anche quelli raccolti in Italia dall’Aifa, che nell’aprile scorso aveva affermato che non era «stata osservata una differenza statisticamente significativa» tra i pazienti curati rispetto agli altri. Lo stesso Donald Trump, che aveva incentivato la ricerca sul plasma iperimmune quando era presidente Usa, preferì tuttavia sottoporsi alle cure con anticorpi monoclonali quando contrasse il virus. Risultati che però non avevano affatto convinto De Donno, il quale continuava a ritenere che gli studi non fossero stati effettuati in modo corretto.

Tornando alle ipotetiche ragioni del suicidio, lo stesso medico aveva denunciato di aver «ricevuto tantissime critiche e tantissimi attacchi», fenomeno a suo parere inevitabile nel momento in cui «ci si espone mediaticamente». Tuttavia, De Donno si diceva pronto a tutto per raggiungere il suo fine, ossia quello di «cercare di salvare più vite possibile». Poi qualche cosa deve essere successo, forse – è quanto evidentemente ipotizzano i magistrati che hanno aperto l’inchiesta – a causa di possibili pressioni esterne.

[di Raffaele De Luca]

Val di Susa: lo Stato schiera altri 10.000 agenti contro i No Tav

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Ancora una volta il governo italiano sceglie la strada della militarizzazione del territorio per far fronte alle proteste dei cittadini della Val di Susa che si oppongono alla costruzione della linea Tav Torino-Lione. In occasione del question time alla Camera dei Deputati – interpellata su quali misure fossero state prese per garantire la tranquillità dei lavori contro le proteste No Tav – la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha annunciato che nei prossimi giorni aumenteranno il numero di forze dell’ordine a difesa del cantiere con lo schieramento di 10.000 unità supplementari. Una forza militare degna di una guerra, dove solo “come rinforzo” verranno schierate due volte e mezzo le 4.000 unità complessive che l’intera Nato impiega in Iraq. Il tutto per proteggere la costruzione di una linea ferroviaria per le merci che la popolazione locale osteggia giudicandola superflua e dannosa per il territorio.

Il dispositivo messo in piedi dal ministero dell’interno prevede attualmente 180 unità tra poliziotti e soldati in permanenza a presidiare il cantiere di Chiomonte e 170 sul fronte San Didero, presenze fisse che aumenteranno appunto fino a 10.000 agenti in occasione di “specifiche iniziative di protesta”. La misura è stata così commentata dal movimento No Tav attraverso le pagine social: «Mentre i giornali si riempivano di lacrime di coccodrillo per l’anniversario del G8 di Genova non si può fare altro che prendere atto che la strategia dello Stato per gestire il dissenso è sempre la stessa. Le questioni sociali sono trattate come materia di ordine pubblico e l’esercito viene regolarmente schierato contro la popolazione civile. Dovremo aspettare altri 20 anni per intendere qualche vagito dai sinceri democratici a scoppio ritardato? Perché qui in Val di Susa il silenzio è assordante».

La misura si inserisce in un contesto di progressiva e crescente attività da parte dello stato per imporre l’avanzamento dei lavori. Una tattica che si basa tanto sulla repressione delle proteste (in modi anche brutali come testimonia il grave ferimento di una attivista colpita da un lacrimogeno lanciato ad altezza d’uomo lo scorso aprile), quanto sulla attività di propaganda, promossa sia attraverso fondi pubblici utilizzati dall’azienda costruttrice dell’opera (la Telt, posseduta al 50% dalle Ferrovie dello Stato) per attività di marketing, sia attraverso una capillare campagna di informazione a senso unico, spesso accompagnata da vere e proprie fake news, portata avanti dai media mainstream.

 

Ottomila ettari di foreste italiane sono diventate patrimonio dell’umanità

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Quando si parla di patrimonio forestale, si pensa subito a territori esotici, dall’altra parte del mondo. Eppure anche il nostro paese detiene migliaia di ettari di verde importantissimi per la diversità ecosistemica che, infatti, per la loro unicità e l’efficacia delle azioni di conservazione, sono stati proclamati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. È stata la 44° sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale a riconoscere i caratteri ecologici peculiari delle faggete vetuste mediterranee italiane. Si parla di ben 8mila ettari, vale a dire uno dei più grandi e articolati siti forestali a livello continentale. Inoltre, l’Italia risulta essere uno dei pochi paesi ad avere ottenuto un giudizio pienamente favorevole su tutte le iniziative, senza particolari raccomandazioni per quanto concerne la gestione e la relativa conservazione.

L’importantissimo riconoscimento rende effettiva l’iniziativa seguita dal Mite (Ministero della Transizione Ecologica) con il coordinamento del Parco Nazionale del Lazio, Abruzzo e Molise e la cooperazione di altri paesi europei (Bosnia-Erzegovina, Francia, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Repubblica ceca, Serbia, Slovacchia, Svizzera), di estendere il sito transnazionale naturale delle Antiche faggete dei Carpazi e di altre regioni d’Europa all’area del Pollinello, estensione di quella di Cozzo Ferriero (Parco Nazionale del Pollino) già facente parte del sito; alla foresta “Valle Infernale” nel Parco nazionale dell’Aspromonte; e all’area Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra (Parco Nazionale del Gargano).

Sono dunque 13 le faggete italiane riconosciute dall’UNESCO: Valle Cervara, Selva Moricento, Coppo del Morto, Coppo del Principe e Val Fondillo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; Cozzo Ferriero e Pollinello nel Parco Nazionale del Pollino; Falascone e Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra, nel Parco Nazionale del Gargano; Monte Cimino (Viterbo); Monte Raschio (Oriolo Romano, Viterbo) e Sasso Fratino, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi; Valle Infernale nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Questa peculiare vegetazione, grazie alle azioni di tutela attuate dalle riserve integrali dei parchi nazionali e dai Carabinieri forestali, conserva inalterati i cicli naturali della vita degli alberi, rendendo le foreste più forti e resistenti ai cambiamenti climatici. Nonostante il predominio di una singola specie arborea, la faggeta – specialmente se con un’elevata quantità di alberi vetusti – essendo un ambiente ombroso e riparato anche nelle stagioni più calde, è l’habitat preferito di moltissime specie di flora, fauna e funghi.

[di Eugenia Greco]

Hong Kong: 9 anni di carcere al primo condannato per legge sicurezza

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È stato condannato a 9 anni di carcere Tong Ying-kit, l’attivista pro democrazia di Hong Kong. Si tratta della prima volta in cui viene applicata la nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino: il ragazzo 24enne ha ricevuto la condanna per incitamento alla secessione ed al terrorismo in quanto il primo luglio del 2020, poche ore dopo l’entrata in vigore della legge, aveva sventolato una bandiera con uno slogan popolare durante una manifestazione anti-governativa ed aveva travolto alcuni poliziotti con la propria moto.