mercoledì 19 Novembre 2025
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Venezia, un nuovo studio rimette in dubbio l’utilità del Mose

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Il Mose, ossia l’enorme sistema di dighe mobili a scomparsa ideato per difendere la città di Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta, potrebbe in futuro non essere in grado di svolgere efficacemente tale compito: è quanto si evince da uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista Natural Hazards and Earth System Sciences, e condotto da un gruppo di lavoro coordinato da ricercatori dell’Università del Salento, dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Esso nello specifico ha ad oggetto una serie di proiezioni sull’innalzamento del livello del mare a Venezia, che sono state sviluppate nel tentativo di comprendere cosa accadrà nella Laguna entro il 2100. In tal senso, dallo studio si apprende che entro la fine del secolo la città potrebbe dover fronteggiare un innalzamento del livello del mare tra i 17 cm e i 120 cm in uno scenario realistico. Mentre, in uno scenario più pessimistico, i centimetri potrebbero divenire 180. Ciò in pratica, secondo gli scienziati, comporterebbe il fatto che nemmeno mantenendo il Mose costantemente attivo si potrebbe porre un argine realmente efficace atto a scongiurare catastrofiche alluvioni a Venezia.

Ad ogni modo però, dallo studio si apprende che l’ultimo scenario citato sia «improbabile», anche se comunque «plausibile con il forte scioglimento della Groenlandia e dell’Antartide». Ed tal proposito va ricordato quanto sottolineato da Davide Zanchettin, docente dell’Università Ca’ Foscari che ha partecipato allo studio, il quale ha precisato come a farla da padrone sia l’incertezza, poiché manca la comprensione di cosa accadrà con alcuni processi fondamentali.

Detto ciò, tralasciando la sua possibile inefficacia in futuro, va ricordato anche come il Mose sia da tempo al centro di polemiche. In tal senso, dopo decenni di progetti e lavori che hanno richiesto oltre 6 miliardi di soldi pubblici, l’opera non è ancora pronta, nonostante la data di consegna fosse stata fissata per il 2016. Da ricordare anche che ad occuparsi della costruzione del Mose è il Consorzio Venezia Nuova, unione di imprese e cooperative locali e nazionali che nel 2014 fu commissariato dallo Stato a causa di uno scandalo avente ad oggetto fondi illeciti e corruzione. Le indagini generarono l’arresto di diverse persone, tra cui l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture, Altero Matteoli.

Ciò ha ovviamente prodotto un ulteriore ritardo nell’ultimazione dell’opera, che adesso con ogni probabilità sarà conclusa e diverrà realmente operativa solo nel 2023. Lo si può facilmente dedurre dalle parole pronunciate dalla commissaria straordinaria per il completamento della stessa, Elisabetta Spitz, nel corso del convegno “Acque alte a Venezia: la soluzione MoSE” svoltosi nel 2020. «Sarà pronto il 31 dicembre del 2021, ma poi servirà un anno di avviamento». A tutto questo si aggiunga anche la attuale grave situazione debitoria del Consorzio, con la cassa integrazione dietro l’angolo e gli stipendi non pagati, il che ovviamente genera agitazione nei dipendenti delle imprese consorziate e di quelle esterne.

[di Raffaele De Luca]

Roma: la Asl annuncia rilevamento temperature via drone, poi annulla per “maltempo”

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Nelle giornate del 4 e 5 settembre un drone della Asl Roma 3 avrebbe dovuto sorvolare il litorale di Ostia per misurare in maniera automatizzata la temperatura corporea dei bagnanti e identificare eventuali sospetti casi di Covid. Una misura annunciata dalla stessa azienda sanitaria romana sui canali social e subito presa d’assalto dai cittadini tra proteste, richieste sui costi dell’operazione e inviti a riprendere gli screening territoriali per i tumori piuttosto che ideare “trovate di marketing”.

Poi la sorpresa, dopo qualche ora il post scompare. E una dichiarazione della Asl a Repubblica Roma svela l’arcano: operazione annullata a data da destinarsi causa allarme maltempo. Sarà, ma i principali portali di previsioni del tempo segnano sereno o poco nuvoloso negli orari in cui la rilevazione avrebbe dovuto svolgersi (dalle 11 alla 16).

Prima dell’annullamento dall’Asl avevano anche spiegato come avrebbe funzionato l’operazione. «Il controllo delle temperature avverrà in modo automatico da parte del dispositivo sulla spiaggia», si leggeva nel comunicato dove si specificava che il drone avrebbe viaggiato a un’altezza non inferiore a 25 metri dal livello dell’acqua e a una distanza non inferiore a 30 metri dalle persone. Ma come avrebbe dovuto funzionare il telecontrollo via drone delle temperature? A spiegarlo la stessa azienda sanitaria, sempre a Repubblica Roma: «Quando il drone rileva una persona con la febbre, la identifica e viene allertato il servizio medico di sorveglianza, a quel punto i medici si recano sul posto per fare accertamenti, che possono portare a un tampone». Assicurando che chi non mostra alterazioni della temperatura «non sarà identificato».

Non si tratta in ogni caso di una prima volta. I droni per rilevare la temperatura e individuare sospetti casi Covid avevano già sorvolato Bergamo nel periodo più caldo della prima ondata, nel quale la bergamasca era l’epicentro. Anche in quel caso molti articoli e scarsi sorvoli effettivi, nonché dati sull’efficacia degli stessi mai diffusi.

Usa: sale a 46 il bilancio dei morti per l’uragano Ida

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Sono attualmente 46 le persone che hanno perso la vita a causa delle piogge torrenziali e delle devastazioni, verificatesi nella costa orientale degli Stati Uniti, e dovute alla “coda” dell’uragano Ida. Come riportato dalla Cnn, la nota emittente televisiva statunitense, nel solo New Jersey vi sono stati almeno 23 decessi. In tal senso, il governatore Phil Murphy ha spiegato che in gran parte si tratta di persone che sono state sorprese dalle inondazioni mentre si trovavano all’interno delle proprie autovetture. Per quanto riguarda le restanti morti, invece, esse si sono verificate in Connecticut, Maryland, New York, Pennsylvania e Virginia.

Il Texas ha reso di fatto impossibile l’aborto, anche nei casi di stupro

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Un passo indietro nei diritti delle donne è stato appena compiuto negli Stati Uniti, con l’entrata in vigore in Texas di Senate Bill 8, la legge più restrittiva in suolo americano. Questa prevede il divieto dell’interruzione di gravidanza non appena possibile rilevare il battito del cuore del feto. Una decisione estrema, considerando che l’attività cardiaca può essere percepita già alla sesta settimana di gestazione, quando ancora è probabile non sapere di essere incinta. Inoltre, la legge consente ai privati di intraprendere un’azione civile contro chiunque assista o aiuti una donna ad abortire, con la possibilità di richiedere sino a 10mila dollari di danni. Questo vuol dire che si potrà intentare una causa contro medici, infermieri, operatori sanitari, persino contro i genitori che pagano per l’aborto della figlia o, per assurdo, contro il tassista che li accompagna. In tutto ciò, non è prevista l’esclusione dal divieto, dei casi di incesto e violenza sessuale.

Senate Bill 8 – non sospesa dalla Corte Suprema – ha causato non poco malcontento, tanto che è stata presentata una petizione d’emergenza da strutture sanitarie e sostenitori dei diritti dell’aborto, con l’esplicita richiesta di bloccarla. La legge è stata definita incostituzionale, poiché viola la Roe contro Wade, sentenza della Corte Suprema risalente al 1973, che stabilì l’interruzione di gravidanza fino alla 22esima-24esima settimana di gestazione. Anche Joe Biden ha espresso con fermezza la sua contrarietà, promettendo che farà di tutto per proteggere uno dei diritti femminili più importanti che, se ostacolato, compromette significativamente l’accesso all’assistenza sanitaria, in modo particolare alle donne delle classi sociali a basso reddito.

La legge, conosciuta anche come Heartbeat Act, è stata firmata lo scorso maggio dal governatore repubblicano Greg Abbott e contribuirà a diminuire ulteriormente e drasticamente le cliniche dove è possibile abortire. Alcune di queste, hanno raccontato di essersi viste costrette a cancellare molti appuntamenti di pazienti che avevano richiesto l’interruzione di gravidanza prima dell’entrata in vigore della legge, e che contavano sul blocco – non avvenuto – da parte della Corte Suprema; altre hanno invece affermato di aver avuto più richieste del solito nei giorni precedenti alla sentenza. Persino alcuni medici hanno preso la decisione di non praticare più l’interruzione di gravidanza, al fine di salvaguardarsi da denunce e cause legali lunghe e costose.

[di Eugenia Greco]

Draghi: “Si a obbligo vaccinale e terza dose”

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Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affrontato il tema dell’obbligo vaccinale e della terza dose rispondendo alle domande dei giornalisti in conferenza stampa. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Ansa, al premier è stato chiesto: «Si arriverà all’obbligo vaccinale, in caso di approvazione definitiva dei vaccini, e alla terza dose?». Questioni alle quali Draghi ha risposto senza esitazioni: «Si a entrambe le domande».

Presentate in Parlamento 27.000 firme contro il Green Pass in scuole e università

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Una petizione, sottoscritta da 27mila italiani, è stata depositata ieri in Senato e alla Camera da parte dell’avvocato e docente dell’Università “Carlo Bo” di Urbino, Daniele Granara: all’interno del testo si legge che gli esponenti «fanno parte del personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario, nonché del corpo studentesco universitario» ed «espongono la comune necessità di non sottoporsi al Green Pass per accedere ai locali degli istituti scolastici ed universitari in cui svolgono la funzione di docente o prestano servizio e, quindi, all’istruzione dell’infanzia, primaria, secondaria e universitaria garantita dagli artt. 33 e 34 della Costituzione». Per questo motivo, dunque, tramite la petizione ci si oppone alla conversione in legge del Decreto Legge n.111 del 6 agosto 2021 – ossia quello con cui l’obbligo di possedere il lasciapassare sanitario è stato esteso anche agli studenti universitari ed al personale scolastico ed universitario – e si chiede alle Camere di denegare tale conversione.

La petizione è stata presentata ai sensi dell’articolo 50 della Costituzione, secondo il quale «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità». È stata però anche inviata, per conoscenza e per quanto di rispettiva competenza, al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e, tra gli altri, al presidente del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Per quanto riguarda la raccolta delle firme, inoltre, il professor Granara ha specificato che esse sono state raccolte dal 10 al 30 Agosto. «Non avevamo tanto tempo – ha dichiarato – perché il Decreto Legge ha una durata di vigenza di 60 giorni, dopodiché se non viene convertito in legge decade, quindi dovevamo fare presto. Se avessimo avuto più tempo a disposizione credo che avremmo potuto fare numeri ancora maggiori». Tuttavia, ha aggiunto l’avvocato, «siamo contenti, in quanto tale numero di firme, raccolto in solo 20 giorni ad Agosto, rappresenta un risultato straordinario». Si tratta, secondo Granara, di una «manifestazione da parte della società civile, che rivendica libertà e rispetto del principio di autodeterminazione, delle proprie scelte e del buon vivere».

[di Raffaele De Luca]

Yemen: 65 morti in combattimenti nelle ultime 48 ore

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Sono almeno 65 gli individui, tra ribelli Houthi e forze filogovernative, che nelle ultime 48 ore hanno perso la vita nello Yemen durante i combattimenti per il controllo della città strategica di Marib, situata a circa 170 chilometri a Est della capitale del Paese, San’a. Lo ha annunciato un ufficiale militare, il quale nello specifico ha affermato che «22 forze filogovernative sono state uccise ed altre 50 sono rimaste ferite, mentre 43 ribelli Houthi sono stati uccisi».

La rivolta dei piccoli agricoltori contro Onu e World Economic Forum

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In risposta al Food Systems Summit (UNFSS) delle Nazioni Unite, il cui pre-vertice si è tenuto a Roma a fine luglio 2021 e il cui vertice vero e proprio si svolgerà a New York il mese prossimo, si è creato una massiccia contro-mobilitazione.
A lanciare l’iniziativa è stato il Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni (CSM). Questa organizzazione, che comprende attori provenienti dal mondo agricolo ma anche indigeni, donne, consumatori e cittadini, ha criticato molto decisamente l’iniziativa. Secondo le loro analisi, il summit non avrebbe alcuna legittimità, a causa della piega neol...

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Dalla derisione alla criminalizzazione: come i media distorcono il movimento No Green Pass

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Dalla derisione all’oscuramento, e poi dall’oscuramento alla criminalizzazione. Questa la parabola dei media mainstream nei confronti delle proteste contro il green pass in Italia. Negli ultimi giorni, infatti, dopo mesi di totale black out informativo su ogni iniziativa di protesta, anche se molto partecipata, i palinsesti tv e le pagine di punta dei quotidiani sono tornati a popolarsi di resoconti sulle mosse dei “no green pass”. L’occasione era d’altra parte molto ghiotta. Il movimento pareva ingrossarsi nei numeri e un paio di fatti di cronaca, come l’aggressione a un inviato del quotidiano La Repubblica, fornivano il pretesto perfetto per un narrazione delegittimante.  I titoli ad effetto si sono sprecati, arrivando a parlare di “squadristi digitali“. Una tattica messa in campo ponendo la lente d’ingrandimento esclusivamente su sparuti casi di violenza, e non prestando alcuna attenzione alle decine di migliaia di persone che pacificamente hanno espresso il loro dissenso. I mezzi d’informazione hanno finito per utilizzare tali episodi come un pretesto volto a screditare l’intero movimento. Tattica collaudatissima e vecchia come il mondo, che viene usata contro ogni movimento di protesta sgradito e giudicato evidentemente pericoloso.

Un tattica affiancata da quella della derisione, tratteggiando i profili che popolano le manifestazioni come quelli di minus habens. In pratica, nella narrazione dominante, gli individui che partecipano alle proteste sono divisibili in due categorie: alcuni criminali e il resto della massa composto da mezzi scemi. In questo articolo di MilanoToday, ad esempio, i “No Green Pass” vengono fatti passare come sfegatati complottisti pronti a propagare ogni teoria alternativa su qualsiasi cosa, senza eccezione alcuna. Stesso modo di operare anche da parte di Repubblica, che in questo più recente articolo afferma che «il fiume carsico del complottismo italiano è tornato con prepotenza a galla: la battaglia contro il Green pass è il nuovo punto d’approdo». L’Adnkronos, invece, nel testo pubblicato martedì utilizza la tecnica a cui per mesi tutti i media mainstream si sono rifatti: accostare la parola Green Pass alle organizzazioni politiche di estrema destra, facendo intendere al lettore che le piazze contro il green pass siano in mano a nostalgici fascisti.

Ad ogni modo, dopo gli episodi verificatisi lo scorso fine settimana, il registro è cambiato, e si è scelto di utilizzare questi ultimi come pretesto atto a criminalizzare tutti i “No Green Pass”, ora trattati praticamente al pari di pericolosi terroristi. E ciò lo si sta facendo non solo a livello mediatico ma anche politico, con la stretta annunciata del Viminale. «Individuare specifiche misure finalizzate a rafforzare la tutela dei giornalisti e di tutte le categorie più esposte a episodi di odio dopo l’intensificarsi degli attacchi sulla rete e i gravi atti di violenza che hanno riguardato alcuni cronisti nel corso di manifestazioni di protesta contro i provvedimenti del Governo per contenere la diffusione del Covid 19», è secondo quanto riportato in una nota del ministero dell’Interno, quanto stabilito dalla ministra, Luciana Lamorgese.

Nel frattempo la criminalizzazione mediatica continua e ora i giornalisti mainstream pare abbiano pure imparato ad iscriversi ai canali su Telegram. Da giorni infatti usano come fonte uno dei canali dove si diffondono notizie e si organizzano mobilitazioni. Nonostante di chat analoghe ne esistano decine, tutti i media hanno scelto di erigerne una specifica a fonte per i loro servizi: quella che meglio si presta a trasmettere la narrazione desiderata grazie alle soluzioni estreme proposte da parte dei suoi membri. Si tratta del canale “Basta Dittatura”(oltre 40.000 iscritti), dove gli indomiti cronisti sono andati a pescare le frasi più sconnesse e abbaiate all’evidente scopo di far passere l’intera area dei “no green pass” come una masnada di fulminati. L’Huffington Post, ad esempio, parlando di questo gruppo fa passare il messaggio che quanto viene scritto al suo interno costituisca la norma nelle «chat telegram dei no Green Pass». Come se chiunque sia contrario a tale strumento debba per forza far parte di questa o altre chat simili, nonché avere idee e modi di esprimersi uguali a quelli degli altri senza alcuna capacità di discernimento.

[di Raffaele De Luca]

Siria: petrolio fuoriesce da raffineria e si diffonde nel Mediterraneo

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Una grande quantità di petrolio, fuoriuscito da una raffineria della città costiera di Baniyas, in Siria, si sta diffondendo nel Mar Mediterraneo, e secondo quanto affermato dalle autorità cipriote potrebbe a breve raggiungere l’isola di Cipro. Il tutto dopo che la scorsa settimana i funzionari siriani avevano affermato di essere stati in grado di tenere la fuoriuscita in questione, cominciata il 23 agosto, sotto controllo. Tuttavia dall’analisi delle immagini satellitari a disposizione, adesso è chiaro che lo sversamento fosse più grande di quanto originariamente ipotizzato: ha infatti coperto una superficie di 800 chilometri quadrati.