mercoledì 19 Novembre 2025
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Afghanistan: i talebani attaccano ultima roccaforte dell’opposizione

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I combattenti talebani stanno conducendo un attacco penetrando in profondità nella Valle del Panshir, ultimo bastione della resistenza alla loro presa del potere. Secondo quanto riferito da media locali molti civili sarebbero in fuga verso il confine. I distretti della valle caduti nelle mani dei talebani sono almeno quattro. Preso anche il villaggio di Anabah, a 25 km dall’ingresso meridionale della valle del Panshir, dove ha sede un ospedale della organizzazione Emergency.

L’Unione Europea è messa alla prova dai profughi afghani

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Nel 2015 l’Unione Europea tremava all’idea che ondate di rifugiati siriani potessero abbattersi verso i confini dei Paesi Membri. Mentre i Governi discutevano sul da farsi, Angela Merkel, donna a capo di una delle nazioni più potenti dell’Unione, proferiva parole che sono entrate immediatamente nella storia: «wir schaffen das», un "ce la faremo" che ha lanciato un potente segnale di apertura nei confronti dei fuggiaschi siriani.
Da allora sono passati sei anni, i giorni di Cancelliera della Merkel sono ormai agli sgoccioli e sempre più leader europei sembrano direzionati a serrare le porte in ...

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Corte d’Appello: i presidi non possono sospendere i docenti privi di Green Pass

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Respingendo il ricorso presentato direttamente dal ministero dell’Istruzione (MIUR) la Corte d’Appello di Trieste ha stabilito che i dirigenti scolastici non hanno alcun potere per sospendere i docenti. Una decisione  gravida di conseguenze, visto che attualmente la sospensione è diretta conseguenza dell’assenza da lavoro per cinque giorni a causa dell’impossibilità di mostrare il Green Pass. Il parere della Corte è frutto dell’Ordinanza della Cassazione Civile Ord. Sez. 6 Num. 23524/ 2021, che ha respinto l’appello del MIUR e confermato la decisione di primo grado che aveva annullato, dichiarandola illegittima, la sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per tre giorni applicata ad un docente perché emessa da organo incompetente.

A poter comminare la sospensione, secondo quanto stabilito dalla Corte d’Appello, può essere solamente l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (organo amministrativo competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale) e non il dirigente scolastico. Si tratta di una ordinanza che potrebbe anche far saltare le sanzioni pecuniarie che lo stesso ministero aveva previsto per il personale scolastico presente a scuola privo di Green Pass. Secondo la circolare ministeriale, infatti, tali sanzioni dovevano essere erogate sempre dai dirigenti scolastici ma, come si chiede il portale di informazione scolastica Miur Istruzione, «Se i dirigenti scolastici non hanno il potere di sospendere, hanno il potere di comminare sanzioni pecuniarie?».

Questa la motivazione della sentenza emessa dai giudici: “In tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, al fine di stabilire la competenza dell’organo deputato a iniziare, svolgere e concludere il procedimento, occorre avere riguardo al massimo della sanzione disciplinare come stabilita in astratto, in relazione alla fattispecie legale, normativa o contrattuale che viene in rilievo, essendo necessario, in base ai principi di legalità e del giusto procedimento, che la competenza sia determinata in modo certo, anteriore al caso concreto ed oggettivo, prescindendo dal singolo procedimento disciplinare»; al principio esposto ed alle argomentazioni che lo sorreggono, condivise dal Collegio, occorre assicurare continuità in questa sede; diversamente opinando, l’individuazione dell’organo competente -da cui dipende anche la determinazione delle regole procedurali applicabili- avverrebbe sulla base di un dato meramente ipotetico, che potrebbe anche essere smentito all’esito del procedimento medesimo; il caso di specie riguarda il personale docente ed educativo della scuola; per tale categoria, a norma degli art. 492, comma 2, lett. b) e 494, comma 1, lett. a), b) e c), è prevista la fattispecie legale della sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio nella misura minima «fino a un mese»; pertanto, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 1, primo e secondo periodo, applicabile ratione temporis nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 75 del 2017, non trattandosi di «ìnfrazìonì di minore gravita», per le quali cioè è prevista «l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni», sussiste la competenza dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (U.P.D.) e non quella del dirigente scolastico”.

L’Italia è diventata un crocevia per il commercio di legname illegale

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L’Italia riveste ormai un ruolo chiave nel business delle importazioni in Europa di legname proveniente dalla Birmania: è quanto si apprende da un recente rapporto dell’Environmental Investigation Agency (Eia), una Ong che si occupa di indagare sui crimini contro la fauna selvatica e l’ambiente. Sono infatti 27 le aziende nostrane accusate di aver fatto affari con la Birmania, commerciando illegalmente il legno ed assicurando così all’Italia la parte di leader in tal senso all’interno dell’Unione europea. Nello specifico, le ditte hanno importato soprattutto prodotti in teak (tectona grandis), un tipo di legname che gode di un buon mercato essendo resistente all’acqua e facile da lavorare. Senza dubbio quindi un buon affare sul quale, stando al rapporto, le aziende italiane hanno puntato ampiamente: le importazioni dal Paese asiatico, infatti, negli ultimi anni sono state in continua crescita e «nel 2020 l’Italia ha importato prodotti in legno corrispondenti a quasi 24 milioni di euro (27,4 milioni di dollari), ossia quasi il 66% del totale delle importazioni di legname nell’UE, derivanti dal Paese asiatico, per quell’anno».

Ad ogni modo l’Italia domina tale commercio dal 2013, anche poiché sono contemporaneamente diminuite le importazione da parte di altri Stati membri dell’Ue con il fine di cercare di rispettare le leggi comunitarie sul legname. Dal medesimo anno, infatti, in Europa la materia è regolamentata dalla EU Timber Regulation, che agli importatori impone la cosiddetta “due diligence”, un controllo documentale sul materiale importato per verificarne la provenienza e la legalità. Vi sono alcuni Paesi europei che però, appunto, hanno stabilito che la due diligence nei confronti del legname birmano sia impossibile da rispettare in quanto non si può comprendere dai documenti se quest’ultimo sia illegale o meno, ragion per cui le importazioni sono calate. Tuttavia le aziende italiane non sembrano aver optato per tale opzione, ed a tal proposito va ricordato che multe per il mancato rispetto di quanto imposto sono generalmente non molto elevate, il che potrebbe rappresentare uno dei motivi alla base di ciò.

A tutto ciò si aggiunga che le ditte nostrane hanno continuato ad importare il legname anche nei mesi successivi al 1° febbraio di quest’anno, giorno in cui è stato attuato il golpe militare in Birmania. A marzo, aprile e maggio 2021, infatti, dal rapporto si evince che vi sono state importazioni di prodotti in legno pari ad una cifra tra 1,3 e 1,5 milioni di euro da parte di alcune delle ditte italiane. Il tutto nonostante le sanzioni internazionali imposte contro il regime: in Birmania infatti è in corso una violazione dei diritti umani e, come si legge nel rapporto, «continuando il commercio, queste aziende stanno effettivamente sostenendo la giunta militare e la sua repressione del popolo», il che si affianca alla «distruzione delle foreste del Paese», di cui le aziende italiane si stanno rendendo complici. Ad ogni modo, però, «nessuna società confermato che cesserà di importare il teak dopo il il colpo di stato in Birmania».

[di Raffaele De Luca]

Turchia: scontro tra treno e minibus, almeno 6 vittime

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In Turchia, in seguito ad uno scontro tra un treno merci ed un minibus, almeno sei persone hanno perso la vita ed altre sei sono rimaste ferite. A renderlo noto è stata l’agenzia di stampa turca Demironen, secondo cui la collisione si è verificata precisamente in un passaggio a livello a Ergene, nella provincia di Tekirdag, alle otto del mattino (ora locale). Le vittime, inoltre, si trovavano tutte a bordo del minibus.

L’era della benzina con il piombo è ufficialmente finita in tutto il mondo

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L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha annunciato che la benzina con piombo è ufficialmente fuori produzione. Con la cessazione, nel mese di luglio, delle vendite in Algeria – l’unico paese che ancora lo utilizzava – questo tipo carburante è fuori dai giochi, dopo cento anni di storia. Il suoi primi utilizzi sono infatti del 1922 ed in pochi decenni diventò a tutte le latitudini il carburante per eccellenza. Negli anni Settanta, quasi tutta la benzina prodotta nel mondo conteneva il piombo, poi il lento declino, che porta oggi il mondo a potersi dire libero da questo elemento estremamente inquinante e velenoso.

La benzina con piombo – o “benzina rossa” – è stata sviluppata nei primi anni Venti del Novecento in un laboratorio di ricerca della General Motors, negli Stati Uniti, con l’unione della benzina al piombo tetraetile, un mix che riduceva il rischio di denotazioni non previste all’interno dei motori, ma estremamente tossico. Questo, infatti, nel corso del tempo ha contaminato aria, suolo, acqua, colture alimentari, causando malattie cardiache, ictus e tumori. Fattore che, tuttavia, non ha arrestato la sua promozione nell’industria automobilistica e la sua diffusione a livello mondiale. Il punto di svolta si ebbe nel 1979, quando una ricerca americana evidenziò un’insolita concentrazione di piombo nei denti dei bambini in età scolare i quali, al tempo stesso, mostrarono di avere una riduzione del quoziente intellettivo e problemi comportamentali e di apprendimento. Tale studio portò, negli anni a venire, alla revisione delle normative per l’uso della “benzina rossa”, specialmente in Europa, dove vennero stabiliti limiti sempre più bassi per la concentrazione del piombo al suo interno. Molti produttori automobilistici, a metà degli anni Novanta, iniziarono a produrre veicoli che funzionassero solo con benzina senza piombo, la cosiddetta “benzina verde”, dando il via alla fine dell’utilizzo del piombo nel carburante. In Europa, questo avvenne definitivamente nel 2002.

La benzina rossa, però, continuava ad essere ampiamente distribuita nei paesi più poveri e in via di sviluppo, dove le automobili erano datate ed era complicato attuare una conversione ai carburanti privi di piombo. Per questo motivo entrò in scena l’Onu che, con la Collaborazione per veicoli e carburanti puliti che coinvolse aziende petrolifere e organizzazioni ambientaliste, fissò l’obiettivo di mettere fine all’utilizzo della benzina rossa che, all’epoca, era ancora utilizzata in 120 paesi del mondo. Gli sforzi si concentrarono soprattutto in Africa, dove si attuarono campagne informative sulla pericolosità del piombo tetraetile con studi dimostranti elevati livelli dell’elemento chimico nel sangue die bambini, e si lavorò sodo per sfatare luoghi comuni sulla scarsa efficacia della benzina senza l’elemento chimico. Col passare del tempo, l’Algeria rimase l’unico paese dove fosse ancora possibile acquistare “benzina rossa”, fino a luglio, quando il governo ha confermato di avere interrotto la sua vendita. 

Purtroppo, questo traguardo  non è sinonimo di un miglioramento globale repentino. Si stima, infatti, che gli effetti dureranno ancora per decenni. Come confermato da una ricerca dell’Imperial College di Londra – effettuata sulla qualità dell’aria londinese – i carburanti al piombo, messi al bando nel Regno Unito nel 1999, stanno ancora incidendo sull’ambiente e sulle persone. Gli esperti hanno analizzato dei campioni di polvere stradale e suolo urbano, giungendo alla conclusione che il principale responsabile della presenza del piombo nell’aria sarebbe il risollevamento della polvere contaminata. Una volta che il piombo si è depositato al suolo, viene costantemente risollevato dal passaggio dei veicoli, fenomeno ancora attivo dopo ben venti anni dal bando della cosiddetta “benzina rossa”.

Comunque, nonostante sia necessario molto tempo per il completo smaltimento del piombo in circolazione, diversi studi stanno già dimostrando i benefici sulla salute umana della sua messa al bando. Inoltre, questo renderà possibile un sempre più ampio utilizzo delle marmitte catalitiche, le quali consentono di abbattere le emissioni di gas di scarico dei motori. Tuttavia, la strada è ancora lunga. In molti paesi in via di sviluppo, privi di risorse economiche sufficienti e infrastrutture per l’utilizzo dei veicoli elettrici, è ancora diffusa la produzione del motore a scoppio. Inoltre, anche se i governi dei paesi più ricchi si stanno impegnando nel graduale passaggio ai motori elettrici, c’è il rischio che questi vendano i “vecchi” veicoli ai paesi più poveri, rallentando l’ascesa di forme di mobilità più green.

[di Eugenia Greco]

Covid: Gb, comitato medico-scientifico dice no a vaccinazione per 12-15enni

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Gli esperti del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI), il comitato medico-scientifico britannico indipendente che assiste il governo di Boris Johnson sulla campagna vaccinale anti Covid, si sono espressi in maniera negativa nei confronti della somministrazione dei sieri ai giovani fra i 12 ed i 15 anni. Secondo gli esperti, infatti, «il margine di beneficio è ritenuto troppo esiguo per sostenere la vaccinazione di massa per i 12-15enni sani in questo momento».

Australia, la polizia potrà prendere il controllo degli account social dei cittadini

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Di colpo, tutele e diritti di chi naviga online in Australia sono stati annichiliti, almeno per quanto concerne coloro che sono indagati dalla polizia. Il 25 agosto è infatti passata anche al parlamento federale la riforma Surveillance Legislation Amendment, nota anche come “identificare e distruggere”.

Un soprannome che è certamente pittoresco, ma tutt’altro che distante dalla realtà. Nell’estremo tentativo di combattere i crimini digitali e di affrontare le insidie del dark web, le autorità del luogo si sono ritagliate diritti di controllo e manipolazione assolutamente degni di nota. Nello specifico, i poteri delle forze dell’ordine sono stati estesi attraverso tre nuove tipologie di mandato, i quali concedono rispettivamente di modificare/cancellare i dati digitali dei sospetti, di infiltrarsi nei network adoperati dai presunti criminali e, dulcis in fundo, di prendere il controllo degli account online di coloro che sono sotto indagine.

Le novità andranno ad agevolare il lavoro della Australian Federal Police (AFP) e della Australian Criminal Intelligence Commissioner (ACIC), con la Ministra degli Affari Interni Karen Andrews che non manca di sottolineare come questa evoluzione giuridica sia un grande passo avanti nel contrastare il mercato della droga e quello della pedopornografia. Innegabile che un simile potere possa aiutare, ma a quale costo?

Diverse organizzazioni per i diritti fanno notare che il Governo di Canberra non abbia debitamente tenuto conto delle raccomandazioni fornite dalla Parliamentary Joint Committee on Intelligence and Security (PJCIS), ovvero che si sia ritagliata significative possibilità di manovra senza assicurarsi di tutelare la privacy dei cittadini. A ben vedere, infatti, questa soluzione non permette solamente di infiltrarsi nelle vite digitali di persone che non sono ancora state giudicate colpevoli di alcun crimine, ma va anche a intaccare quella di tutti coloro che quelle persone le incrociano sulla Rete. Una situazione preoccupante a cui si aggiunge il fatto che chi si rifiuterà di cedere il controllo dei propri account alla polizia rischierà fino a dieci anni di carcere.

Ci sono preoccupazioni anche sull’eventuale gestione delle intercettazioni a giornalisti e informatori, elementi umani che dovrebbero essere in qualche modo tutelati dagli effetti della nuova legge, ma il cui effettivo destino è adombrato da una serie di ambigui cavilli. Prima di diventare effettivo, l’emendamento deve ora ricevere l’assenso reale, quindi entrerà in azione per cinque anni, ovvero il lasso di tempo che il Governo australiano si ritaglia per giudicare le qualità e i difetti di simili modifiche di legge.

[di Walter Ferri]

Italia: la polizia indaga i gruppi “No Green Pass” su Telegram per terrorismo

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Sono finite sotto la lente d’ingrandimento della Polizia Postale alcune chat Telegram  generalmente ritenute (erroneamente) dai media mainstream come la base operativa della totalità delle persone che nutrono dubbi sui vaccini anti Covid o semplicemente sono contrarie al Green Pass. Lo si apprende dalle parole recentemente rilasciate dalla direttrice della Polizia Postale, Nunzia Ciardi, la quale ha dichiarato che sono in corso i lavori volti ad «identificare, attraverso le indagini sui canali Telegram, i responsabili da deferire all’autorità giudiziaria per vari reati». Tra questi, c’è anche quello di «istigazione a delinquere, con l’aggravante dell’utilizzo di mezzi informatici, con finalità terroristiche». «La stessa Procura di Torino – ha aggiunto la direttrice –  ha incardinato un fascicolo dove si ipotizza questo reato».

L’obiettivo del monitoraggio, dunque, è non solo quello di individuare i responsabili di minacce o episodi simili, ma anche quello di contrastare la diffusione illegale di contatti privati di soggetti (generalmente giornalisti e virologi televisivi) finiti nel mirino di alcuni gruppi. In tal senso, anche il Garante della Privacy ha recentemente pubblicato un comunicato in cui ha sottolineato come «diffondere senza consenso dati personali, oltre a costituire una violazione della vita privata degli individui, con rischi anche per la loro incolumità, si configura, ai sensi della normativa sulla privacy, come un atto illecito che può determinare anche l’applicazione di pesanti sanzioni».

Detto questo, va ricordato come tale attività della Polizia Postale costituisca solo l’ultima azione in ordine di tempo volta al contrasto dei “No Green Pass”. Negli ultimi giorni, infatti, vi è stato un progressivo innalzamento della tensione verso le persone contrarie a tale strumento: basterà ricordare la stretta che recentemente è stata annunciata da parte del Viminale, con il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che ha sottolineato come l’obiettivo sia «quello di individuare specifiche misure finalizzate a rafforzare la tutela dagli attacchi mossi sulla rete non solo nei confronti dei giornalisti ma di tutte le categorie più esposte a episodi di odio in questa delicata fase storica caratterizzata dalla pandemia».

La repressione nei confronti dei gruppi “No Green Pass” che ultimamente si sta attuando è stata giustificata, inoltre, anche tramite i singoli episodi di violenza verificatisi in alcune delle tante manifestazioni svoltesi nel weekend, in tutta Italia, contro il lasciapassare sanitario. A tal proposito va sottolineato come, seppur ovviamente la violenza vada condannata e contrastata, a pagarne le conseguenze dovrebbero essere unicamente gli individui colpevoli, e non un intero movimento. Tuttavia, a causa anche del modo in cui i media mainstream stanno trattando la questione dei “No Green Pass”, è ormai diffusa l’opinione secondo cui chiunque sia contrario al lasciapassare condivida le idee di alcuni dei membri presenti nelle chat telegram e, di conseguenza, sia un soggetto pericoloso per l’ordine pubblico.

[di Raffaele De Luca]

Vaccini, i sindacati a Draghi: sì a obbligo per tutti

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«Confermiamo il nostro impegno affinché attraverso lo strumento della vaccinazione e la piena applicazione dei protocolli sulla sicurezza, il nostro Paese possa uscire definitivamente dalla crisi pandemica che stiamo vivendo». È quanto si legge all’intero di una lettera che i segretari generali dei sindacati Cgil, Cisl e Uil (Maurizio Landini, Luigi Sbarra e PierPaolo Bombardieri) hanno recentemente inviato al premier Mario Draghi. «In particolare le ribadiamo il nostro assenso ad un provvedimento che, in applicazione della nostra Carta, il Governo decida di assumere finalizzato a rendere la vaccinazione obbligatoria quale trattamento sanitario per tutti i cittadini del nostro Paese», concludono i segretari.