giovedì 13 Novembre 2025
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Ogni mese la mafia si impossessa di almeno un Comune italiano

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“La mafia è stata sconfitta”, abbiamo sentito dire innumerevoli volte da esponenti politici di grande peso e da insigni opinionisti negli ultimi vent’anni. L’argomentazione più utilizzata per supportare tale tesi è che “la mafia non colpisce più le istituzioni”, dimostrandosi dunque molto meno pericolosa rispetto all’era delle stragi e degli omicidi eccellenti: un giudizio non soltanto parziale e superficiale, ma addirittura fuorviante.
Come la storia ha ampiamente dimostrato, infatti, le mafie attaccano frontalmente lo Stato solo in condizioni estreme, specie nel momento in cui, la loro stabi...

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Australia, schianto aereo: 4 morti, di cui 2 bambini

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Questa mattina, un piccolo aereo è precipitato al largo della costa del Queensland, in Australia. Quattro persone hanno perso la vita nell’incidente: due uomini e due bambini.

Sono iniziate le indagini per capire il motivo dello schianto del velivolo a quattro posti, avvenuto poco dopo il decollo dall’aeroporto di Redcliffe. I corpi sono stati recuperati dai sommozzatori, ma i passeggeri non sono ancora stati identificati.

Indonesia, una sentenza segna la vittoria degli indigeni contro l’olio di palma

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In Indonesia, nella provincia di Papua, una causa intentata da due compagnie di olio di palma, per ribaltare la decisione di un governo distrettuale, è stata respinta. Il tentativo delle aziende era quello di veder ripristinati alcuni loro permessi, tempo prima revocati dalle autorità locali per una serie di violazioni. Per le popolazioni indigene, il cui territorio rientrava nelle concessioni delle compagnie, la sentenza offre una rara possibilità di veder finalmente riconosciuti ufficialmente i loro diritti alla terra.

Il 27 aprile scorso, il governo locale di Sorong ha annullato i permessi di tre compagnie afferenti all’industria dell’olio di palma. La decisione è stata presa dopo anni di lotta delle comunità indigene della regione, le quali non hanno mai smesso di pretendere il loro diritto alla terra, nonché che i loro territori venissero difesi dagli interessi delle multinazionali. Il governo, in quella che si è da subito figurata come una posizione storica, ha dichiarato che le compagnie non hanno adempiuto ai loro obblighi come stabilito nei permessi originari. Ad esempio, non hanno riferito gli avanzamenti delle loro operazioni e nemmeno aggiornato i cambiamenti delle loro partecipazioni azionarie. Due delle tre aziende penalizzate hanno cercato di opporsi alla revoca ma il tribunale di Jayapura, almeno per ora, ha messo una pietra sulla questione. Le aziende, note con gli acronimi di PLA e SAS, potranno tuttavia ancora ricorrere in appello. Ma a sperare che la decisione venga definitivamente confermata, sono in tanti. I timori maggiori – espressi anche da Piter Ell, avvocato del governo del distretto di Sorong – sono infatti legati anche alla deforestazione. “Ci sono indicazioni – ha dichiarato a Mongabay – che molte aziende che richiedono licenze per la palma da olio lo fanno esclusivamente per abbattere gli alberi che rientrano nelle concessioni. Venderne il legno, difatti, rappresenta un guadagno veloce. Questo potrebbe spingere i giudici a verificare se nelle concessioni revocate c’è qualche attività di disboscamento in corso”.

Le tre compagnie, nel complesso, disponevano di concessioni che coprivano oltre 90 mila ettari di terra. Terra a lungo rivendicata, almeno in parte, dalle popolazioni indigene. Battaglie simili sono aperte un po’ ovunque nel mondo, perché un po’ ovunque si fa fatica a conciliare l’espansione neoliberista con i diritti ancestrali di persone culturalmente tanto discostate dal modello capitalista. I soprusi a discapito di queste ultime sono all’ordine del giorno ma, ogni tanto, come in questo caso, le cose vanno nella direzione opposta.

[di Simone Valeri]

 

Londra, sindaco dichiara stato di emergenza per impennata contagi

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Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha dichiarato lo stato di “major accident”, lo stato di emergenza, a causa della rapida diffusione della variante Omicron. Il sindaco spera in questo modo di aiutare gli ospedali a far fronte alla recente impennata di contagi, la più alta mai registrata con più di 65 mila casi solo nell’ultima settimana. Si stima che l’80% di questi sia attribuibile alla variante Omicron. Lo stato di emergenza permetterà un maggior coordinamento tra i servizi pubblici atti alla gestione dell’emergenza sanitaria. Khan aveva già dichiarato lo stato di emergenza a gennaio, per motivazioni analoghe.

No, l’Unione Europea non ha vietato i tatuaggi a colori

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Da ieri è circolata la notizia, ripresa da più media, di una prossima “fine” dei tatuaggi a colori. Si parlava dell’indignazione dei tattoo artist per la nuova scelta dell’Unione Europea, reputata assai restrittiva e ingiusta. Ciò che è inizialmente emerso, facendo il giro del web e dei quotidiani, è stato il completo addio al colore utilizzato per i tatuaggi, ufficialmente in vigore dal 4 gennaio 2022. Solo il bianco e il nero si sarebbero salvati, vista l’assenza in essi dell’isopropanolo, citavano quotidiani anche molto seguiti quali il Corriere, seguito da Fanpage ma anche dal sito di Sky Tg24. Si citava addirittura il punto 75, allegato 12, del regolamento ufficiale dell’Unione Europea che si occupa di proteggere e migliorare la salute (il cosiddetto REACH). Nemmeno ventiquattrore dopo, anche le testate che in primis hanno informato in maniera erronea i lettori, si sono affrettate per correggere i contenuti dei propri articoli, coscienti di avere dato una notizia errata e piena di fraintendimenti. Nessuna delle testate sopraelencate ha però provvisto a pubblicare una rettifica, come previsto dalla deontologia.

Cosa cambia, allora, dal 4 gennaio 2022? Ci saranno limitazioni nell’uso di oltre 4 000 sostanze chimiche pericolose negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente. Verranno dunque introdotti dei “Limiti massimi di concentrazione per singole sostanze o gruppi di sostanze chimiche” quali “Particolari sostanze coloranti azoiche, ammine aromatiche cancerogene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli e metanolo”. Se le nuove norme stabilite dalla Commissione europea e dagli Stati membri dell’UE entreranno in vigore nei paesi UE/SEE dalla data sopracitata, per il caso particolare dei Pigment Blue 15:3 e Pigment Green 7, è previsto un periodo di transizione di 24 mesi, a partire dal 4 gennaio 2023.

Questo è quel che emerge andando direttamente a verificare sul sito ufficiale dell’ECHA (European Chemical Agency) sotto la voce “Inchiostri per tatuaggi e trucchi permanenti“. Nella sezione “Cosa ha fatto l’UE per proteggere i propri cittadini?” viene specificato come le suddette nuove norme non prevedano alcun divieto nell’uso degli inchiostri colorati per i tatuaggi, ma stabiliscano l’entrata in vigore di regole e restrizioni nate dagli ultimi studi e verifiche. Ciò che viene dichiarato è che, vista e considerata la miscela di varie sostanze chimiche contenuta negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente, è necessario porre una maggiore attenzione. Tali sostanze infatti non si “fermano” alla cute ma possono entrare nell’organismo; se dunque sono presenti sostanze chimiche nocive, sia con il tatuaggio che con la rimozione dello stesso, esse possono diffondersi nell’organismo, causando potenziali danni alla salute, tanto nell’immediato quanto a lungo termine.

Ecco allora come dal 2015 abbiano preso il via indagini e ulteriori esami per delle sostanze chimiche potenzialmente pericolose ma utilizzate negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente. Uno studio approfondito specialmente per le “Sostanze chimiche cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (CMR); sensibilizzanti, irritanti e corrosive per la pelle; corrosive per gli occhi o che provocano lesioni oculari; metalli e altre sostanze incluse nella risoluzione del Consiglio d’Europa sui requisiti e criteri per la sicurezza dei tatuaggi e del trucco permanente”. Nel 2017 è stata mossa la proposta di restrizione, poi sottoposta alla valutazione del comitato per la valutazione dei rischi (RAC) e del comitato per l’analisi socioeconomica (SEAC). Nel 2019, si è arrivati a un parere consolidato del SEAC, poi trasmesso alla Commissione europea. Il risultato degli svariati esami e delle consultazioni è che non possono esserci alternative più sicure e tecnicamente adeguate per due soli coloranti: il Pigment Blue 15:3 e il Pigment Green 7. Ecco spiegato il suggerimento del periodo di transizione di 12 mesi, cosicché possa esserci il tempo necessario per adeguarli.

Il processo burocratico di sostegno delle nuove restrizioni ha preso il via ufficiale nel 2020, quando queste hanno ottenuto il sostegno degli Stati membri dell’UE e sono poi state adottate dalla Commissione europea. Quella che entrerà ufficialmente in vigore dall’anno prossimo, è la prima vera legislazione specifica a livello europeo di questo tipo, nonostante ci fossero legislazioni similari negli Stati membri. L’obiettivo è quello di ridurre sensibilmente “Reazioni allergiche croniche e altre reazioni cutanee di tipo infiammatorio dovute a inchiostri per tatuaggi e trucco permanente”. Si prevede anche la diminuzione di conseguenze ben più gravi, “Tumori o danni al DNA o al sistema riproduttivo potenzialmente causati dalle sostanze chimiche usate negli inchiostri”.

[di Francesca Naima].

Etiopia, ONU istituirà commissione per indagare su atrocità Tigray

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Il Consiglio Onu dei diritti ha approvato, nel corso di una sessione speciale, una risoluzione per istituire una commissione indipendente che indaghi sulle atrocità commesse nel contesto del conflitto del Tigray, tutt’ora in corso. Si stima che 9 persone su 10 nella regione abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 400 mila circa stiano vivendo la carestia, in un contesto dove l’escalation di violenze non si arresta. La commissione sarà incaricata di indagare le violazioni dei diritti umani e raccogliere le prove per individuare i responsabili. Il conflitto, scoppiato il 3 novembre 2020 e nel quale è comprovato l’uso sistematico di violenze come lo stupro di guerra, ha causato decine di migliaia di morti e sfollati tra la popolazione civile del Tigray.

Asl Roma: il giudice reintegra l’infermiera non vaccinata con tanto di arretrati

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La Asl Roma 6 deve reintegrare un’infermiera precedentemente sospesa dal lavoro non essendosi sottoposta al vaccino anti Covid: è quanto stabilito da una recente sentenza del giudice del Lavoro del tribunale di Velletri, Giulio Cruciani. Essa nello specifico stabilisce che la dipendente debba riprendere a lavorare tramite modalità che le evitino di avere contatti con il pubblico, come ad esempio lo smart working, e prevede inoltre che quest’ultima debba percepire anche gli arretrati.

Come sottolineato dal quotidiano la Repubblica, che ha riportato il contenuto della sentenza, l’unica clausola imposta dal magistrato è infatti quella di garantire che vi siano «adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura». Si tratta di un’esigenza derivante dal bisogno di «tutelare la salute pubblica» che però in tal caso a quanto pare può essere soddisfatta, avendo a che fare con «una grande azienda che sicuramente avrà mediamente scoperture di organico e, comunque, assenze per malattia, aspettativa o ferie». Inoltre il giudice aggiunge che, ad esempio, un compito amministrativo da svolgere in smart working sarebbe il miglior modo «per assicurare il fine voluto dal legislatore», ossia quello di ridurre il rischio di contagiarsi.

Si tratta di un modus operandi che il legislatore ha già reso possibile per chi non può vaccinarsi, motivo per cui potrebbe palesarsi una discriminazione tra chi non vuole sottoporsi alla vaccinazione e chi è impossibilitato a farlo. «Questa discriminazione è costituzionalmente facilmente superabile dall’interpretazione perché l’interesse che è costituzionalmente prevalente è quello della salute pubblica, la quale è messa a rischio ugualmente dal soggetto non vaccinato a prescindere dal fatto che non si sia voluto vaccinare o non si sia potuto vaccinare». Tutto ciò significa, dunque, che tutti gli operatori sanitari non vaccinati possono prestare la propria opera nel caso in cui possa essere evitato il rischio per la salute pubblica e possano essere garantite adeguate condizioni di sicurezza.

Un’altra discriminazione, secondo il giudice, vi potrebbe poi essere tra gli operatori di interesse sanitario e quelli di altri settori. Essa infatti si paleserebbe nel momento in cui le prestazioni di questi ultimi espongano in sostanza loro stessi o gli altri al «medesimo rischio per la salute». A tal proposito il giudice chiama in causa l’articolo 3 della Costituzione, secondo il quale «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Insomma, si tratta senza dubbio di una sentenza rilevante e destinata a far discutere, in quanto sostanzialmente reinterpreta le norme che impongono l’obbligo vaccinale per i sanitari. La sua eventuale importanza, tra l’altro, era già stata confermata dal fatto che la vicenda era ampiamente circolata sui media quando a fine novembre il giudice aveva disposto la momentanea riammissione al lavoro dell’infermiera con un decreto cautelare, nel quale si ordinava alla Asl «l’immediata ricollocazione della ricorrente e l’erogazione dello stipendio» in virtù della rilevanza costituzionale dei diritti compromessi. Una decisione dunque confermata adesso tramite tale sentenza, che potrebbe suscitare nuovi interventi normativi.

Ad ogni modo, però, bisogna ricordare che il caso non può dirsi chiuso definitivamente: la Asl Roma 6 ha reso noto che farà ricorso contro la sentenza, chiedendo la sospensione all’Ordine professionale degli infermieri. L’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, ha infatti affermato che «l’Asl ha applicato la legge e peraltro nel frattempo le misure sono state estese, non solo al personale sanitario, ma anche a quello amministrativo del servizio sanitario».

[di Raffaele De Luca]

Schedare, cioè spegnere il tempo

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Mai come oggi abbiamo sentito il bisogno di trasformare la realtà in racconto, di dare uno spessore al presente. Sentire il tempo, come hanno suggerito in varie epoche Marco Aurelio, Schopenhauer, Max Planck, Bergson. 

Non si può ipotecare il presente. Il presente è il tempo in cui cogliamo il significato, anche se non ancora il senso; il divenire, anche se non ancora la trasformazione. Immaginiamo di guardare un film: è vero che attendiamo come andrà a finire la storia ma questo ci può anche interessare poco per il momento. Intanto osserviamo le tecniche in opera, le voci, gli sguardi, le azioni, l’immaginario che prende forma, l’emozione che cerca una sua veste, la cronaca di una vita, di più vite che si progettano, intrecciano e scorrono. 

Aveva ragione il fisico Planck, noi facciamo parte dell’enigma che stiamo cercando di risolvere, noi senza accorgercene siamo dentro quel film che ci appare lontano da noi, dalla nostra esperienza. Ma il presente dilatato di quella storia che stiamo seguendo ci attrae e ci sottrae a ciò che davvero accade. Marco Aurelio, ricordava Borges, “afferma che qualunque lasso di tempo – un secolo, un anno, una sola notte, forse l’inafferrabile presente – contiene integralmente la storia… Chi ha visto il presente ha visto tutte le cose: quelle che avvennero nell’insondabile passato, quelle che accadranno nel futuro.” (Storia dell’eternità, Adelphi 1997, pp. 85-6).

Parlava così il perspicace Ulisse ai Feaci: “C’è l’ora dei lunghi racconti, e c’è l’ora del sonno:/ ma se ancora, Alcinoo potente, ti piace ascoltare, io non posso/ negarti questo; dirò altre pene più tristi,/ lo strazio dei miei compagni, che più tardi perirono…” (Odissea, XI, 379-81). E poi, finalmente giunto ad Itaca, grazie appunto ai Feaci, “navigatori gloriosi”, Ulisse viene riconosciuto dal figlio Telemaco che, “stretto al suo nobile padre, singhiozzava piangendo. A entrambi nacque dentro bisogno di pianto:/ piangevano forte, più fitto che uccelli, più che aquile/ marine o unghiuti avvoltoi, quando i piccoli/ ruban loro i villani…” (Odissea, XVI, 215-20). Anche un intero poema, come la vita di una persona, come il destino di un popolo o di un mondo, ha il suo palesarsi, il suo riconoscimento, la sua rivelazione: tappa determinante nella tragedia greca, ma indispensabile anche nelle vicende personali e in quelle storiche.

Il presente, dunque, tempo della gioia e delle lacrime, tempo sottratto al flusso puramente cronologico, è quella circostanza in cui non ci può essere che verità, constatazione, ma anche senso della relazione con qualcos’altro già accaduto. “Il futuro delle immagini, cioè degli oggetti che mi circondano– annotava Bergson in Materia e memoria – dovrà essere contenuto nel loro presente, e non aggiungervi niente di nuovo”. Ma è anche vero che la “percezione presente va sempre a cercare, in fondo alla memoria, il ricordo della percezione anteriore che le assomiglia: il sentimento del già visto…”. Quindi il presente è destinato a scorrere, a moltiplicarsi in presenti successivi, a creare somiglianze e differenze, a far immaginare un divenire.

Nel tempo attuale si moltiplica il senso di ansia. Esso, a mio parere, non deriva però dall’incertezza del futuro, dalla proiezione che i meno giovani di noi fanno sul destino dei più giovani, temendo che sia oscuro, negativo. 

Il vero furto non riguarda il futuro, non riguarda la speranza. Il vero furto che si sta minacciando è appunto la perdita del presente, è la sottrazione di un qualunque divenire, cioè di un qualunque, o di un determinato, possibile.  E come avviene tale frustrazione? Attraverso il controllo, attraverso il timore indotto che qualsiasi decisione si prenda, qualsiasi movimento si compia, essi verranno schedati, bloccati in una dimensione atemporale, come sentenze definitive che ci riguardano inesorabilmente. Le schedature non permettono gradi successivi di giudizio: le schedature, in sé, sono risolutive, incontrovertibili. Inoltre, la volontà del controllo rivela tristemente la scarsa o nulla fiducia negli altri e nei tempi a venire.

“La nostra organizzazione sta da molti anni preparando il più grande centro di documentazione che sia mai stato progettato, uno schedario che raccolga e ordini tutto quello che si sa d’ogni persona ed animale e cosa, in vista di un inventario generale…”. Con il pretesto della probabile fine del mondo, o di questo nostro mondo terrestre, nel ‘nobile’ sforzo di lasciare una memoria globale si procede a “un processo di riduzione all’essenziale, condensazione, miniaturizzazione, che non sappiamo ancora a che punto s’arresterà”. Ma in questo materiale che viene consegnato al nuovo Direttore, grazie a una ‘lieve’ manipolazione, “vi sono disseminati giudizi, reticenze, anche menzogne… Mi ascolti: la menzogna è la vera informazione che noi abbiamo da trasmettere”. Così scriveva profeticamente Italo Calvino, nella “cosmicomica” intitolata La memoria del mondo, 1968.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Filippine: almeno 23 vittime a causa del tifone Rai

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Sono almeno 23 le persone che hanno perso la vita a causa del tifone Rai, che negli scorsi giorni ha colpito le Filippine. Il bilancio attuale è stato reso noto oggi dalle autorità, che parlano di distruzioni «allarmanti» sulle isole maggiormente colpite. Il tifone Rai, infatti, ha devastato intere aree nelle regioni meridionali e centrali del Paese ed inoltre più di 300mila persone sono dovute fuggire dalle loro case e dai resort sulla spiaggia.

Global Gateway: cos’è il piano europeo da 300 mld per la “connettività globale”

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Ecco che l’Europa presenta il suo piano per un futuro mondiale migliore: il Global Gateway. Il progetto, finanziato con 300 miliardi di euro e presentato con le solite parole ad effetto per la mediatizzazione pubblica, dovrebbe essere la risposta europea alle strategie globali cinesi, secondo alcuni analisti, mentre secondo altri sarebbe il piano di integrazione globale con la Via della Seta cinese presentata nel 2013. A distanza di sette anni dall’avvio del progetto della Belt and Road Initiative (BRI), e dopo che gli USA hanno presentato il loro Build Back Better World (B3W) e la Gran Bretagna il Clean Green Inititive (CGI), la Commissione europea da il via al programma che vorrebbe portare l’Europa non solo fuori dalla crisi economica, ma rifondarne l’industria sulla base delle nuove tecnologie e le infrastrutture necessarie per la Quarta rivoluzione industriale. La “Porta Globale” dell’Europa col mondo è ovviamente arredata nella retorica dai principi dei diritti umani, della democrazia e dell’uguaglianza che dovranno essere la guida delle relazioni economico-politiche internazionali.

La strategia europea mira a creare una connettività mondiale in ambito digitale, infrastrutturale, energetico, sanitario ed educativo. Dal 2021 al 2027 circa 300 miliardi di euro di denaro pubblico verranno investiti nei settori ritenuti fondamentali e strategici, nella speranza che questo attiri capitali privati per poter creare partnership pubblico-privato. «Il Global Gateway è sinonimo di connessioni sostenibili e affidabili che funzionano per le persone e il pianeta. Contribuirà ad affrontare le sfide globali più urgenti, dalla lotta ai cambiamenti climatici, al miglioramento dei sistemi sanitari e all’aumento della competitività e della sicurezza delle catene di approvvigionamento globali», si legge sul sito della Commissione europea.

«La pandemia di COVID-19 ha dimostrato quanto sia interconnesso il mondo in cui viviamo. Nel contesto della nostra ripresa globale vogliamo ridefinire il nostro modello di connessione mondiale, per poter plasmare più efficacemente il futuro. Il modello europeo prevede di investire sia nelle infrastrutture materiali che in quelle immateriali, di favorire investimenti sostenibili nei settori digitale, climatico ed energetico, nei trasporti, nella sanità, nell’istruzione e nella ricerca nonché in un quadro favorevole che garantisca condizioni di parità. Sosterremo investimenti intelligenti in infrastrutture di qualità, rispettando le più rigorose norme sociali e ambientali, in linea con i valori democratici dell’UE e con le norme e gli standard internazionali. La strategia “Gateway globale” fungerà per l’Europa da fonte d’ispirazione nella costruzione di connessioni più resilienti con il mondo», ha detto Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea.

«Le connessioni tra settori chiave contribuiscono a fare sorgere comunità di interesse condivise e a rendere più resilienti le nostre catene di approvvigionamento. Un’Europa più forte nel mondo comporta un fermo impegno con i nostri partner, impegno saldamente ancorato ai nostri principi fondamentali. Con la strategia “Gateway globale” riaffermiamo la nostra visione che prevede la promozione di una rete di connessioni, che deve essere fondata su standard, norme e regolamenti accettati a livello internazionale al fine di garantire condizioni di parità», sono state le parole di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Potenziando strumenti economici-finanziari già esistenti, l’Europa punta fermamente su Africa, Sud America e anche Asia, specificando che ogni progetto che costituirà la rete globale degli investimenti europei dovrà essere in linea con i principi ecologici e gli standard ambientali del Vecchio continente, oltre che essere condizionati dal rispetto dei diritti umani e dei principi democratici dei paesi con cui verranno perfezionati accordi. Difficile capire come ciò possa essere concluso con moltissimi paesi dei continenti citati, senza contare che spesso sono proprio i paesi europei a non rispettare tali principi, anche a casa propria.

Per il “nuovo” modello di sviluppo europeo e occidentale, la “crisi pandemica” è stata un acceleratore di movimenti già in atto; in altre parole, il Sars-Cov2 è stato un detonatore di cambiamenti economici, sociali e politici già in divenire da tempo. È la burrasca di Schumpeter, lo schöpferische Zerstörung, la distruzione creativa che Draghi ha apertamente previsto per l’Europa e per l’Italia nel dicembre dello scorso anno quando, l’ex banchiere centrale dell’Unione, parlava in qualità di membro senior del Gruppo dei 30, un circolo elitario globalista formato da economisti e intellettuali, che pubblicava in quel periodo il rapporto dal titolo Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid: Designing Public Policy Interventions.

[di Michele Manfrin]