Un’esplosione in una moschea di Kunduz, nel nord dell’Afghanistan, ha provocato la morte di almeno 50 persone, mentre almeno 140 individui sono rimasti feriti. È questo il bilancio attuale, e provvisorio, riportato dall’agenzia di stampa Ansa, che in tal senso cita fonti ospedaliere. L’esplosione è avvenuta durante le preghiere del venerdì, e secondo quanto riferito dai Talebani a provocarla sarebbe stato un attentatore suicida. Inoltre, essa è stata confermata anche dal portavoce del ministero dell’Interno, Qari Sayed Khosti, il quale però non ha dato ulteriori dettagli.
Referendum eutanasia: depositate in Cassazione più di 1 milione e 200mila firme
Più di 1 milione e 200mila firme per chiedere il referendum sull’eutanasia legale sono state depositate questa mattina in Cassazione da parte di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, e dai coordinatori del comitato. Prima di entrare in Cassazione, però, i vertici dell’Associazione hanno tenuto una manifestazione in piazza Cavour, a cui hanno partecipato tra gli altri Filomena Gallo, segretario nazionale, ed i co-presidenti Marco Gentili e Mina Welby. Proprio quest’ultima ha dichiarato: «Nessuno dei cittadini vuole morire, anche chi è in gravi condizioni. Credo, però, che quando la sofferenza è talmente grande e terribile ognuno abbia il diritto di dire basta».
Caporalato, commissariato il colosso Spreafico
Un’inchiesta della Procura di Milano e della Guardia di Finanza di Lecco per caporalato sui lavoratori ha portato al commissariamento del colosso dell’ortofrutta Spreafico spa, secondo quanto riportato dall’Ansa. La disposizione di amministrazione giudiziaria per un anno è stata emessa dal Tribunale di Milano, insieme al sequestro di sei milioni di euro. L’azienda ha un fatturato di oltre 350 milioni di euro all’anno.
Pandora Papers, Vialli e Mancini tra gli italiani con capitali off shore
Il settimanale L’Espresso rivela il coinvolgimento di Mancini e Vialli nell’inchiesta della ICIJ. Il ct della Nazionale sarebbe infatti azionista di Bastian Asset Holdings, società proprietaria di un aereo, mentre Vialli sarebbe proprietario della Crewborn Holdings. Entrambe le società hanno sede nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. Nel 2009 Mancini avrebbe segnalato a una fiduciaria italiana di voler chiedere lo scudo fiscale per regolarizzare la propria posizione col Fisco. Vialli, cittadino inglese da anni, si sarebbe servito dello schermo offshore per finanziare attività italiane.
Nobel per la letteratura a Abdulrazak Gurnah
É lo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah il vincitore del Nobel per la letteratura. Nato a Zanzibar ma costretto ad emigrare a causa delle persecuzioni contro i cittadini di origine araba, Gurnah si rifugia in Inghilterra e l’inglese diventa la lingua delle sue opere, centrate soprattutto sull’esperienza dei rifugiati. Il suo stile originale, scrive l’Accademia svedese, “rompe consapevolmente con la convenzione capovolgendo la prospettiva coloniale a favore di quella indigena”. Gurnah è oggi professore di letteratura postcoloniale e inglese a Kent.
L’incredibile pasticcio della Regione Sicilia con i fondi del PNNR
Negli ultimi giorni l’amministrazione siciliana è sotto accusa per aver commesso una serie di errori costati molto cari (letteralmente) alla Regione. In che senso? L’assessorato regionale dell’Agricoltura della Sicilia aveva presentato al ministero 61 progetti, per un totale di 422 milioni di euro, nell’ambito degli “Investimenti nella resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche”, previsti dai fondi del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Ma nessuno di questi è stato approvato perché non in linea con i criteri necessari richiesti.
Citando testualmente, nessuno dei progetti risulta fra quelli «esecutivi ammissibili al finanziamento». Del miliardo e 620 milioni stanziati per il 149 progetti provenienti da un po’ tutte le regioni, nemmeno un euro finirà fra le mani delle amministrazioni siciliane.
Dei 61 totali presentati, già 29 non erano stati presi in considerazione fin da subito, mentre gli altri 32 sono stati bocciati successivamente per non aver rispettato i criteri indicati dal bando. La decisione del ministero, resa pubblica in un decreto del 30 settembre, esclude la Sicilia da un’ingente quantità di finanziamenti che avrebbero di certo risollevato le sorti di piccoli e medi imprenditori; soprattutto dopo la stagione estiva appena trascorsa, durante la quale i problemi di irrigazione per il settore dell’agricoltura siciliana hanno gravato molto sulla lavorazione dei terreni. Uno dei progetti, ad esempio, riservato alla zona di Trapani, avrebbe permesso la manutenzione del letto del fiume Delia, al costo di 8,2 milioni di euro.
Nessun dietro front possibile, nemmeno in futuro. Infatti nemmeno un progetto siciliano è stato inserito nella “lista d’attesa” ideata dal ministero, quella in cui giacciono momentaneamente le proposte ammesse ma non immediatamente finanziabili per esaurimento delle risorse, e a cui tocca aspettare l’arrivo di nuovi fondi.
Anche se, probabilmente, uno degli aspetti più difficili da digerire è la palese inefficienza che in questo caso l’amministrazione regionale siciliana ha dimostrato. Quest’ultima, lungi dall’ammettere mancanze e disattenzioni, ha aperto una polemica abbastanza accesa nei confronti del ministero, tacciato di favoritismi nei confronti delle Regioni del nord.
Più nel dettaglio, Antonino Scilla, assessore siciliano dell’Agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea ha apertamente accusato il governo centrale di ostilità nei confronti della Regione: «Apprendiamo dal Mipaaf che i progetti presentati dalla Sicilia non sono stati presi in considerazione. Questo la dice lunga sulla recidiva ostilità di Roma nei confronti dell’agricoltura siciliana. Con quale criterio si è proceduto alla selezione? È chiaro che qualcosa non quadra. Il ministro Patuanelli scade in valutazioni sommarie a tutto svantaggio della Sicilia, e non è la prima volta che lo fa». Anche il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha detto la sua: «È una vergogna continuare a guardare ai progetti del centro nord e non a quelli della Sicilia».
Ci sono basi solide per poterlo sostenere?
Mentre la giunta regionale siciliana ribadisce con convinzione che i criteri adottati per la selezione dei progetti da finanziare penalizzerebbero la Sicilia a priori (perché, per esempio, molti progetti hanno a che fare con zone colpite dalla siccità, mentre la Sicilia soffre di aridità, permanente, e avrebbe bisogno di soluzioni diverse), dall’altra il ministero è sicuro del fatto che la Regione abbia commesso una serie di gravi errori. Nei mesi precedenti l’amministrazione siciliana era già stata messa in guardia a proposito di probabili scorrettezze nella formulazione dei progetti, ricevendo dieci giorni di tempo aggiuntivo per provare a rimediare.
Dove erano gli intoppi? Secondo il governo, alcuni tecnici intervenuti a vigilare sulla qualità dei progetti non avevano i requisiti per poterlo fare, acquisiti poi solo successivamente, a conti già fatti. E ancora. Alcuni progetti, previsti per aree diverse della Sicilia, erano stati validati lo stesso giorno dal medesimo perito. A queste negligenze spesso, poi, ha fatto seguito la mancanza, in allegato, della documentazione necessaria all’invio del progetto. Secondo il regolamento, infatti, per essere ammessi i progetti dovevano soddisfare tutti i 23 criteri previsti.
Non tutti, però, rinnegano le proprie responsabilità. Come Francesco Nicodemo, esponente del Consorzio bonifica Sicilia Orientale, che ha aggiunto: «Sapevamo che 29 tra [i progetti] inviati avevano una progettazione non adeguata. Li abbiamo inviati perché in questi casi un tentativo si fa ma eravamo consapevoli che potessero essere messi da parte».
[di Gloria Ferrari]
Il Parlamento Europeo si muove contro la sorveglianza biometrica
Riconoscimento facciale e sorveglianza di massa sono temi alquanto controversi, soprattutto perché nei fatti si sono dimostrati imperfetti e propensi al difetto. Fino a oggi l’Unione Europea aveva cercato di evitare una presa di posizione netta sulla questione, tuttavia mercoledì 6 ottobre il Parlamento Europeo ha compiuto un poderoso scatto in avanti, con i Ministri che hanno chiesto formalmente di proibire ogni forma di archivio biometrico, cosa che di fatto renderebbe inattuabili molte delle applicazioni poliziesche del facial recognition.
La risoluzione firmata, va detto, non è attualmente vincolante, tuttavia la direzione maggioritaria del Parlamento non potrà che incidere sulle negoziazioni prossime venture del cosiddetto AI Act, le quali dovrebbero infiammare la prima metà del 2022. La proposta in questione mira infatti a porre dei rigidi binari che vadano a limitare l’uso dell’identificazione biometrica in remoto – ovvero via telecamera di sorveglianza – negli spazi pubblici, consentendone l’applicazione solamente nei casi estremi quali gli attentati terroristici.
È immediatamente intuibile che la proposta della Commissione UE abbia intenzione di concedere ai Governi dei Paesi Membri degli spazi di manovra per svicolarsi da alcune costrizioni, tuttavia le recenti esternazioni dei legislatori europei danno a intendere che ci sia il desiderio di bloccare tutte le derive più tossiche e inquietanti: il business della sorveglianza, il credito sociale e la polizia predittiva.
Mentre l’Europa discute sul da farsi, infatti, controverse aziende quali ClearView AI hanno già colto l’occasione per entrare in contatto con le autorità comunitarie nella speranza di sedurle con i loro sistemi di sorveglianza di ultima generazione. Sistemi di sorveglianza che negli Stati Uniti si sono dimostrati incredibilmente propensi all’errore e che violano le leggi del GDPR, ma le cui possibilità hanno fatto gola alle Forze dell’Ordine, pronte in un battibaleno a collaudare gli strumenti in questione. La lista delle realtà pubbliche che hanno ceduto al “frutto proibito” sono molte e comprendono la Polizia di Stato italiana, almeno stando ai dati diffusi da un’inchiesta di BuzzFeed.
Difficile credere che le moratorie ventilate dai Parlamentari possano essere in grado di placare ogni forma di abuso nella gestione della sorveglianza biometrica – dopotutto subiamo ancora oggi gli abusi delle tecnologie tradizionali -, tuttavia il fatto che l’UE si dimostri coesa nel contrastare le derive peggiori del settore non può che regalare una boccata d’aria, soprattutto considerando l’atteggiamento autoritarista che alcune Amministrazioni stanno progressivamente adottando.
[di Walter Ferri]
Migliaia di lavoratori non possono ottenere il green pass anche se vaccinati
Migliaia di lavoratori non possono ottenere il Green Pass tramite la vaccinazione nonostante siano completamente vaccinati: sono quelli che, spesso perché residenti o domiciliati per lavoro in Russia, Asia, Africa o Sudamerica si sono sottoposti ad uno dei vaccini non approvati in Europa, principalmente al russo Sputnik V o al cinese Sinovac. Cittadini italiani che non potranno prendere parte alla vita sociale e lavorativa in Italia a meno di effettuare tamponi ripetuti da pagare 15 euro ogni volta. O, allo stesso modo, cittadini stranieri che lavorano buona parte dell’anno nel nostro Paese, principalmente in qualità di colf, badanti, lavoratori dei campi e del turismo.
Il governo italiano ha affrontato la questione dei vaccinati all’estero, ma il problema è stato al momento risolto solo per alcuni di essi. In tal senso, una recente circolare del ministero della Salute ha riconosciuto alcuni vaccini «somministrati dalle autorità sanitarie nazionali estere» come «equivalenti a quelli effettuati nell’ambito del Piano strategico nazionale sui vaccini anti Covid» e dunque validi ai fini dell’emissione della certificazione verde. Tuttavia, tra i vaccini indicati appunto non compaiono il Sinovac e lo Sputnik V, motivo per cui la circolare ha determinato il perdurare del problema per i tanti lavoratori vaccinati con gli stessi.
Per questo, delle critiche al governo sono state mosse da parte della FNP, il sindacato dei pensionati e degli anziani della Cisl (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori), il quale tramite un comunicato ha affermato: «Come faranno a continuare a lavorare le badanti e le colf provenienti dai Paesi europei dell’Est, che sono state vaccinate con lo Sputnik, il quale non è valido per ottenere il Green Pass in Italia?». «Queste persone – prosegue il sindacato – saranno costrette a fare il tampone rapido ogni due giorni a spese loro, a fronte di stipendi per niente importanti».
Detto ciò, il problema non riguarda di certo solo colf e badanti ma anche lavoratori del settore agricolo o dell’edilizia, oltre che alcune centinaia di studenti. A tal proposito, secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica «gli esperti, anche al ministero, stimano che si tratti almeno di 100 o 150mila persone».
La questione dei vaccinati con vaccini come Sputnik o Sinovac ha dunque una notevole importanza, ed in Italia attualmente si sta valutando di risolvere la situazione con la vaccinazione eterologa. Una pratica già imposta ai cittadini di San Marino, pur in assenza di studi solidi sulla sicurezza della procedura. Il direttore generale della Prevenzione presso il ministero della Salute, Giovanni Rezza, ha ammesso: «Il Consiglio superiore di sanità aveva detto di considerare l’opportunità di una dose aggiuntiva eterologa a chi fosse stato vaccinato con vaccini come Sinovac o Sputnik, ma c’è bisogno del pronunciamento di una agenzia regolatoria. E la situazione è diversa per il Sinovac rispetto allo Sputnik, perché il primo è stato riconosciuto dall’Oms, mentre il secondo non ancora. Dunque ci sono dei problemi da risolvere anche di tipo regolatorio».
Insomma, al momento nessuna soluzione pare vicina. Intanto il 15 ottobre – giorno dell’introduzione del green pass sui luoghi di lavoro – si avvicina, e la possibilità che queste persone non possano ottenere il passaporto sanitario nonostante siano vaccinate si fa sempre più concreta.
[di Raffaele De Luca]