sabato 20 Settembre 2025
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Tornare alla canapa per un futuro più sostenibile non è fantascienza

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Siamo nell’antropocene. Ormai non vi è più ombra di dubbio. L’impronta ecologica umana si è fatta così invadente da definire una nuova era geologica. Detta così potrebbe sembrare una lode, ma in realtà abbiamo ben poco di cui vantarci. Crisi climatica e devastazione ambientale sono realtà sotto gli occhi di tutti. Ma se sfruttassimo quella lungimiranza che, se non altro, caratterizza la nostra specie, potremmo ancora cambiare le carte in tavola. Ad esempio, volendo riassumere l’impatto umano sul pianeta in tre macro problematiche – emissioni di carbonio, inquinamento e deforestazione – beh, la canapa avrebbe almeno una soluzione per ognuna di queste. Andiamo per ordine.

Emissioni di carbonio

Inutile ribadire quanto ogni attività umana – da quella industriale a quella più quotidiana – sia in qualche modo responsabile dell’emissione di gas serra. Le parti per milione di anidride carbonica in atmosfera ogni anno raggiungono un nuovo picco, portandosi dietro riscaldamento globale e relativa crisi climatica. Se però la canapa (Cannabis sativa) tornasse a dominare almeno qualche settore produttivo, le cose potrebbero già migliorare. Pensiamo alla produzione tessile che, allo stato attuale, genera ben 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Sebbene non siano la scelta più sostenibile, oggi, sono però il cotone e diverse fibre sintetiche ad avere l’egemonia sul comparto della moda. La produzione di una tonnellata di fibra di cotone emette 6 kg di anidride carbonica, ma se lo stesso quantitativo di fibra venisse dalla canapa, l’atmosfera riceverebbe il 33% in meno di CO2. Ma non solo. Si userebbe appena un quarto dell’acqua richiesta dal cotone per ottenere un prodotto finito più resistente e durevole, nonché meno energivoro: lavare dei capi in canapa richiede infatti lavaggi più brevi e a temperature più basse.
Passiamo al settore edile. Anche qui la canapa si è rivelata una buona alleata. Il settore delle costruzioni si stima che sia responsabile di circa il 38% delle emissioni globali di CO2 legate all’energia. Motivo per cui la cosiddetta bioedilizia sta tentando di diffondersi a macchia d’olio. In termini di efficienza energetica, se utilizzata come ‘rivestimento’ – scriveva l’Enea in relazione ad un loro progetto – «la canapa migliora l’isolamento termico, attenuando di circa il 30% il flusso termico, ossia la quantità di calore che passa attraverso un materiale in un dato momento, e diminuendo del 20% la trasmittanza termica, vale a dire la facilità con cui un materiale si lascia attraversare dal calore». Ma c’è di più. Rispetto ai materiali convenzionali, se miscelata con la calce per farne direttamente dei mattoni, mostra un ciclo di vita decisamente a minor impatto. Ciò è dovuto, principalmente, al sequestro attivo del carbonio da parte della pianta di canapa durante la sua fase di crescita. Considerando che, in Italia, i consumi energetici nelle abitazioni sono responsabili del 45% delle emissioni di carbonio, se si utilizzasse la canapa nel settore edile, avremmo case più sostenibili e, sotto diversi aspetti, anche più confortevoli.

La canapa contro l’inquinamento

Aria, acqua e suolo: non c’è comparto terrestre che non sia stato alterato dalle attività antropiche. L’inquinamento oramai ha così tante sfumature da perderne il conto. Anche qui, però, se si desse più spazio alla canapa le cose potrebbero migliorare sensibilmente. Tra gli inquinanti più temibili, ad esempio, si annoverano pesticidi e fertilizzanti ampiamente impiegati nell’agricoltura moderna La canapa, dal canto suo, richiede un quantitativo di nutrienti aggiuntivo irrisorio e nessun agrofarmaco. Se prendesse quindi il posto di molte colture, l’agricoltura contribuirebbe decisamente meno al cambiamento climatico. Dalla farina alla birra, passando per i sostituti della carne e le barrette energetiche: secondo una recente revisione della letteratura scientifica, la canapa potrebbe già espandersi di diritto nel settore alimentare globale. Inoltre coltivare canapa, non solo sarebbe utile a prevenire certe forme di inquinamento, potrebbe addirittura ‘curare’ il terreno. Secondo diversi studi, la cannabis sativa è infatti in grado di tollerare i metalli pesanti: attraverso varie strategie fisiologiche, la pianta è infatti capace di accumularne grandi quantità nei propri tessuti, rimuovendoli dal terreno. Il che la rende un candidato ideale per la fitodepurazione. Chiaro che in questo caso non si potrebbero utilizzare le stesse piante da destinare al consumo umano, ma i potenziali utilizzi in campo industriale sono enormi: dalla bonifica dei suoli alla depurazione delle acque reflue, fino all’abbattimento degli inquinanti nel percolato di discarica.

Ma arriviamo all’inquinamento per antonomasia, quello da plastica. L’impatto dei rifiuti plastici sull’ambiente è forse uno dei peggiori. E non solo perché è il più visibile. Anche qui, però, la canapa ha una soluzione. Un prodotto degradabile e sostenibile in termini produttivi: la bioplastica. Infatti, gli scarti della lavorazione delle fibre di canapa sono costituiti per quasi l’80% da cellulosa, materia prima necessaria alla produzione di plastica biologica. Tra le fibre naturali è poi quella in grado di garantire maggiore elasticità, e quindi resistenza, al prodotto finale. Dall’olio si possono ottenere resine acriliche simili al plexiglass, mentre dal fusto della pianta, il canapulo, attraverso un processo di fermentazione, si ottiene, con rese fino al 90%, l’acido lattico dal quale si produce il PLA, bioplastica molto usata nella stampa 3D.

La canapa contro la deforestazione

Oggi si disbosca per tanti motivi, troppi a dirla tutta. Coltivazione, allevamento, costruzione di edifici, sono solo alcune delle attività che si fanno spazio devastando le foreste del pianeta. Semplificando le ripercussioni ecologiche della deforestazione, oggi è possibile affermare che tanti meno alberi ci saranno, tanto minore sarà l’anidride carbonica assorbita dalla loro biomassa e quindi rimossa dall’atmosfera. La canapa, dal canto suo, cresce rapidamente, raggiungendo un’altezza di 4 metri in 100 giorni, è in grado di assorbire più anidride carbonica per ettaro rispetto a qualsiasi altra coltura commerciale e può essere coltivata su vasta scala anche su terreni impoveriti di nutrienti. C. sativa rappresenta quindi una delle soluzioni di conversione del carbonio più veloci e convenienti disponibili. Tuttavia, non sarebbe possibile – e tanto meno ecologico – rimboschire con sola canapa. Ma se questa venisse coltivata approfittando di ogni sua potenzialità è probabile che avremmo ecosistemi naturali meno frammentati. In questo senso, l’esempio forse più lampante è la possibilità di coltivarla su larga scala anche per ottenere mangime per animali da allevamento. Un’opportunità, da non molto presa in considerazione dall’Ue, che potrebbe fare la differenza. I semi di canapa, e altre parti della pianta, sono infatti materie prime altamente nutritive e facilmente utilizzabili in ambito zootecnico. D’altra parte, i mangimi attuali sono in larga parte ricavati oggi dalla soia, nientepopodimeno che la seconda causa globale di deforestazione.

Comunque, che la canapa potesse soddisfare le esigenze primarie e consumistiche della società senza gravare troppo sull’ambiente, lo si era intuito già da tempo. «Con la sua polpa si produrrà ogni qualità di carta e si è calcolato che diecimila acri (circa 4mila ettari) a canapa produrranno tanta carta quanto in media quarantamila acri (circa 16mila ettari) di foresta». È quanto si legge in un articolo della rivista Popular Mechanics datato 1938 e intitolato “Un nuovo raccolto da un miliardo di dollari”. Anche nel caso della produzione di carta, le conferme sulle potenzialità della canapa si sono infatti accumulate negli anni. Come quella di un recente studio pubblicato su Bioresources. Qui i ricercatori hanno messo a punto una tecnologia in grado di ottenere dalla canapa prodotti cartacei di uso quotidiano, altamente efficienti dal punto di vista energetico e per i quali non sono necessari processi chimici aggressivi.

Ciononostante, a colpi di proibizionismo, la canapa è stata troppo a lungo messa da parte. Ad oggi, seppur riconosciute le sue potenzialità, l’incertezza normativa non ne facilita una dovuta ripresa sul mercato. Qualcosa però si sta muovendo, e anche il pianeta Terra avrebbe molto da guadagnarci.

[di Simone Valeri]

Vaccini Covid: ok Fda a Pfizer per fascia d’età 5-11 anni

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La Food and Drug Administration (Fda), l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, ha autorizzato per l’uso di emergenza il vaccino anti Covid Pfizer-BioNTech nei confronti dei bambini dai 5 agli 11 anni. Il via libera ha ad oggetto una dose ridotta (10 microgrammi) rispetto a quella prevista per gli over 12 (30 microgrammi) e due iniezioni a distanza di tre settimane. I vaccini però non possono ancora essere somministrati: c’è infatti bisogno del semaforo verde dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), i cui consulenti si riuniranno martedì.

Per la prima volta un detenuto di Guantanamo racconta le torture della CIA

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Per la prima volta un detenuti di alto livello ha fornito un resoconto pubblico sulle sevizie subite dalla CIA durante gli anni della “guerra al terrorismo” statunitense. Majid Khan, prigioniero del centro di detenzione di Guantanamo Bay, ha reso un racconto dettagliato di quanto subito all’interno di una struttura clandestina della CIA all’interno di un tribunale statunitense. Le sevizie descritte riecheggiano in modo agghiacciante i racconti di altre vittime di tortura in tutto il mondo, rendendo sempre più evidente come il fenomeno sia complesso e difficile da circoscrivere, e quanto nemmeno i più democratici tra gli Stati Occidentali siano esenti da questi reati.

Khan è un detenuto di origini pakistane, recluso a Guantanamo perché affiliato di al-Quaeda, complice del bombardamento di un hotel a Giacarta e di altre attività terroristiche. Nel 2012 è stato accusato di cospirazione, omicidio e di aver fornito supporto materiale ai gruppi terroristici: la condanna iniziale, da 25 a 40 anni di reclusione, è stata notevolmente ridotta quando ha iniziato a collaborare fornendo importanti informazioni su al-Quaeda.

Khan racconta, tra le altre cose, di essere stati appeso nudo ad una trave per lunghi periodi, aver subito la tortura dell’annegamento ed essere spruzzato regolarmente con acqua gelata per essere tenuto sveglio per lunghi periodi. Per anni è stato selvaggiamente picchiato, stuprato e affamato. In una rapporto del 2014 della Commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti aveva accusato la CIA di essere andata ben oltre i propri limiti legali per ottenere informazioni durante gli interrogatori con i sospetti affiliati di al-Quaeda. Tuttavia mai prima d’ora era stato ascoltato pubblicamente un testimone di alto profilo come Khan. Le torture sono state perpetrate nonostante Khan abbia collaborato quasi da subito con i servizi segreti, fornendo dettagli di fondamentale importanza sulla rete terroristica di al-Quaeda.

Le torture descritte da Khan somigliano in maniera agghiacciante ai resoconti di altre decine di vittime in tutto il mondo. Nell’ottobre 2017 il Tribunale di Milano condanna Osman Matammud, aguzzino dei centri libici di Bani Walid e Sabrata, dopo aver ascoltato le testimonianze delle vittime che raccontano di aver subito pestaggi, stupri, di essere state “appesi a testa in giù con mani e piedi legati” e aver subito varie forme di torture con acqua ed elettricità. Solo pochi mesi prima, a luglio, l’Italia aveva approvato la sua prima legge contro la tortura. Ma non c’è bisogno di andare fino in Libia. I fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere vedevano la “tortura pluriaggravata” tra i reati contestati. E questo vale per quanto più volte riportato da Egitto, Cina, Corea del Nord e da moltissimi altri luoghi in tutto il mondo.

La retorica occidentale tende ad associare questi fatti agli stati autoritari, tendenzialmente associati con i Paesi del sud del mondo: probabilmente per questo la legislazione contro la tortura è arrivata molto tardi in molti Stati. Sempre più testimonianze raccontano con ferocia di un fenomeno globale, difficilmente arginabile entro confini di uno Stato o una certa forma politica. La Convenzione contro la tortura adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1984 (ratificata dall’Italia nel 1989) stabilisce come tratto caratterizzante l’intenzionalità nel creare danno. Eppure sempre più studi mostrano come non si conoscano appieno i meccanismi che portino i soggetti a diventare dei torturatori, e come l’attribuzione di “comandi venuti dall’alto” non sia esatta né sufficiente a spiegarne la natura. “Ancora non sappiamo come qualcuno diventi questo“, scrivono Austin e Bocco in uno studio titolato Becoming a torturer, ma “la globalità della tortura significa che il fatto di ‘diventare torturatori’ non possa essere spiegato nei soli termini della formazione, dell’indottrinamento o del fatto che la tortura sia stata ordinata da una catena di comando all’interno di un ‘cattivo’ regime politico“.

Si tratta di una figura, quella del torturatore, che la società e le scienze sociali non sono ancora state in grado di concettualizzare adeguatamente. Tuttavia gli stati Occidentali non possono considerarsi esenti da tali fenomeni, né trattarli come episodi isolati.

[di Valeria Casolaro]

Moldavia, Ucraina fornisce gas per evitare crisi energetica

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L’Ucraina ha fornito alla Moldavia 500mila m³ di gas, in seguito alla decisione del fornitore russo Gazprom di triplicare il prezzo delle forniture per Chișinău. Tale mossa aveva scatenato una grave crisi energetica in Moldavia, che aveva cercato in Europa nuovi partner energetici. Il governo moldavo teme l’insorgere di disordini durante l’inverno, a causa della carenza di gas e dell’impennata dei prezzi di riscaldamento ed energia. Secondo alcuni analisti, la Russia utilizza la crisi del gas per esercitare pressioni sul governo filo-occidentale moldavo, che starebbe tentando di uscire dall’orbita di Mosca, mentre l’UE ha condannato la strategia russa di usare il gas come “arma geopolitica”.

Quel che resta del tempo: una, cento, mille narrazioni

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“Ci sono giorni che somigliano al riprender fiato, al trattenere il respiro e lasciare il mondo in attesa. Ci sono estati che non vogliono morire. Lungo la strada si aprono fiori che, a toccarli, fanno cadere una pioggia di ruggine autunnale. Pare che su ogni sentiero sia passato un vecchio circo fatiscente, lasciandosi dietro una traccia di ferro antico a ogni giro di ruota. La ruggine era sparsa dappertutto… così i fiocchi caduti di fiori e i binari arrugginivano insieme sul confine dell’autunno”.

“Poi veniva la brutta stagione. Alla fine dell’autunno, in un sol giorno, cambiava il tempo. Di notte dovevamo chiudere le finestre perché non entrasse la pioggia, e il vento freddo strappava le foglie dagli alberi di Place de la Contrescarpe. Le foglie giacevano fradicie nella pioggia e il vento spingeva la pioggia contro il grosso autobus verde al capolinea e il Café des Amateurs era gremito e le vetrine appannate dal caldo e dal fumo dell’interno”.
Il tempo è categoria fondamentale, anche se nulla apparentemente collega l’inizio del romanzo di Bradbury, Addio all’estate con l’inizio del romanzo di Hemingway, Festa mobile, sopra citati, se non considerazioni sull’avvicendamento delle stagioni.

“Scrivere, dipingere, pescare: tre modi di rendere omaggio al tempo”, ha scritto Sylvain Tesson nel diario del suo esilio volontario in Siberia (Nelle foreste siberiane, Sellerio 2012, p. 215). E ancora: “L’uomo è un bambino capriccioso, convinto che la terra sia la sua stanza da giochi, gli animali i suoi balocchi e gli alberi i suoi sonagli” (p. 161), “Il tempo torna a essere la processione invisibile e leggera che si fa strada attraverso l’essere” (p.138). Sembra quasi una visione platonica, quella del tempo come danza delle stelle.

Il tempo è il principe della metafisica, consente considerazioni sugli accadimenti come manifestazioni transitorie che attendono spiegazioni che ci saranno chissà quando. Il vecchio principio dell’indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale l’osservatore modifica l’oggetto che sta osservando è sempre valido. Come la conseguenza, sempre di Heisenberg, per cui non possiamo conoscere il presente in tutti i suoi dettagli. Proprio perché il presente è mutamento: così pensavano gli antichi greci.

Come è il caso delle notizie, il far emergere dal flusso degli eventi quello che gli altri dovrebbero sapere. Dare notizie è sempre non dare notizie di qualcos’altro, dando magari la colpa al tempo che non lo consente. Dare notizie è attribuire il diritto di esistere soltanto a qualcosa e a qualcuno e non ad altro. Come notava Jünger, la fretta crescente è un sintomo della trasmutazione del mondo in cifre. Cronaca è davvero vittima di Chronos.

Quindi il tempo c’entra sempre, è lo strumento di misura mediante il quale compiamo delle scelte, sveliamo le intenzioni, critichiamo e accettiamo. Lo svolgersi del tempo ha una pregnanza simbolica, svolgersi era tipico dei testi antichi, arrotolati in pergamene. Lo svolgersi del tempo comporta quindi un saper leggere, una lotta contro l’analfabetismo dell’inevitabile, contro la apparente saggezza del lasciar correre. Dobbiamo invece diventare amici del tempo, convertirci saggiamente in persone che sanno anche scrivere, dipingere, pescare. Attività da tempo libero, è vero, nell’accezione comune, ma attività sottratte ai media, al condizionamento, al determinismo della fatalità.

“Sul molo c’era un uomo che era il migliore sull’isola a pescare dagli scogli, perché per ogni mestiere c’è sempre un uomo che è il migliore fra tutti, non fosse che a picchiar chiodi con un martello”: così racconta una fiaba irlandese che usa la pesca come metafora della vita, e della morte, per dire che “nessun uomo vive oltre il suo giorno”.

Il tempo come durata soffoca e insieme esalta. Considerazioni sviluppate in modo speciale in campo educativo, pedagogico. John Dewey, in Reconstruction in Philosophy (1920), tratta delle forme che l’uomo adotta per idealizzare l’esperienza e darle qualità che in effetti non possiede: “Noi tergiversiamo, schiviamo, sfuggiamo, dissimuliamo, nascondiamo, cerchiamo scuse e palliativi, tutto per rendere la scena mentale meno antipatica… Il tempo e la memoria sono dei veri artisti: essi rimodellano la realtà in modo da renderla più vicina i desideri del cuore” (ed. it. Il Sole 24 Ore, 2006, p. 320). E Jacques Maritain: “La questione è sapere quale sia l’esatto significato della tecnologia per l’uomo, la questione è non trasformare la tecnologia in suprema saggezza e regola di vita” (Le richieste del presente e dell’avvenire, 1943).

Nietzsche, nelle sue conferenze sulla scuola, 1872!, aveva delineato profeticamente il destino dello studente moderno alle prese col dissidio di ciò che studia rispetto al tempo in cui vive, e, possiamo dire, della contraddizione per cui esiste una cultura, una scuola alta che ha sempre tempo, che punta sulla immortalità dei classici e una cultura pratica, una scuola “per i bisogni della vita”, “servitrice e consigliera intellettuale del bisogno, del guadagno, della necessità”. Tutti i movimenti studenteschi, e tutte le riforme della scuola, hanno sbattuto il viso contro questa contraddizione: come si fa a creare una scuola per tutti che sia anche sottratta alle necessità del mercato, come si fa a premiare il merito senza punire chi deve fare più strada per ottenere un riconoscimento?

Sentiamo Nietzsche, che in qualche modo la vede in modo psicologico. Lo studente, per lui, “è rimasto l’unico uomo libero in una realtà di impiegati e servitori, sconta la grandiosa illusione della libertà con dubbi e tormenti sempre rinnovati… Ed è stanco, pigro, timoroso dinanzi al lavoro, si spaventa di tutto ciò che è grande e odia se stesso… Poi precipita… in un ironico scetticismo. Spoglia le sue battaglie della loro importanza e si sente pronto per ogni reale, seppur basso, lavoro utile. Cerca consolazione allora in un’attività frenetica e incessante per nascondersi, in essa, da se stesso. E così conduce la sua perplessità e la mancanza di una guida da una forma di esistenza all’altra” (Sull’avvenire delle nostre scuole, Newton 1998, p. 109).

La precarietà, però, non è la condizione della insicurezza ma la più autentica forma del tempo e dell’essere. Ricordate L’attimo fuggente e il suo nobile interprete? Aleida Assmann chiude la sua densa, impeccabile ricerca proprio con Nietzsche: “È un miracolo: l’istante, eccolo presente, eccolo già sparito… Continuamente un foglio si stacca dal rotolo del tempo, cade, vola via – e rivola improvvisamente all’indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice – mi ricordo – e invidia l’animale che subito dimentica” (Ricordare, ed. it. Il Mulino 2002, p. 451). Col tempo tutto diventa possibile.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

Blitz alla Cgil, Digos esegue altre 6 misure cautelari

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Gli agenti della Digos hanno eseguito ulteriori 6 misure cautelari in un’operazione coordinata dalla Procura di Roma. Si tratta di 3 arresti e 3 obblighi di dimora a carico di 6 tra militanti di Forza Nuova e No-Vax: i reati contestati sono devastazione e resistenza. Tre giorni fa il Tribunale del Riesame aveva confermato l’arresto di altre 5 persone coinvolte anch’esse nell’assalto alla sede romana della Cgil. Gli arresti arrivano a poche ore dalle manifestazioni previste per oggi pomeriggio a Roma, in occasione del G20: il sit-in di Rifondazione comunista contro il governo Draghi e il corteo che vedrà marciare Usb, sindacati di base e lavoratori Gkn e Ilva.

Francia e Gran Bretagna, tensione per licenze pesca

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Il primo ministro inglese Boris Johnson e il presidente francese Macron si incontreranno in questi giorni, a margine del G20, dopo che il sequestro di un peschereccio inglese da parte della Francia ha sollevato tensioni tra le due parti. Il peschereccio sarebbe stato trattenuto nella notte tra il 27 e il 28 ottobre perché in acque territoriali francesi. La GB ritiene la reazione francese “sproporzionata”, mentre Parigi lamenta di non aver ancora ricevuto le licenze per pescare in acque territoriali inglesi. La questione rientra in un più ampio contesto di tensioni sugli accordi commerciali tra UE e Gran Bretagna dopo la Brexit, che mette a rischio il commercio attraverso la Manica.

Onu, Guterres esorta i militari in Sudan ad essere moderati con i manifestanti

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Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha dichiarato: «Esorto i militari in Sudan a mostrare moderazione ed a non provocare altre vittime». Tali affermazioni arrivano in seguito al recente colpo di stato militare in Sudan, a causa del quale vi sono state proteste e scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti che hanno causato almeno 8 morti e 170 feriti. «Le persone devono poter manifestare pacificamente, questo è essenziale» ha precisato Guterres, ribadendo la «ferma condanna del colpo di stato e la necessità di ristabilire il sistema di transizione che era in atto».

Sicilia: i fiumi diventano neri a causa dello smaltimento illegale dei frantoi di olio

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In Sicilia, precisamente nei fiumi della provincia di Agrigento, sono state ultimamente sversate le cosiddette “acque di vegetazione”, che rappresentano l’ultimo scarto della molitura delle olive nei frantoi e che provocano l’inquinamento delle acque. È quanto si apprende dall’associazione ambientalista MareAmico, che ha denunciato tale pratica ponendo la lente d’ingrandimento soprattutto sulle pessime condizioni attuali del fiume Naro, corso d’acqua che sfocia nel Mar Mediterraneo. Un video pubblicato recentemente dall’associazione mostra infatti come il fiume in questione abbia un evidente colore nerastro, il che secondo gli ambientalisti sarebbe appunto dovuto allo sversamento delle acque di vegetazione.

A tal proposito il presidente dell’associazione Mareamico Agrigento, Claudio Lombardo, ha affermato: «Ancora una volta quest’anno, come negli scorsi anni, degli imprenditori irresponsabili hanno versato le loro acque di vegetazione nei fiumi e nei torrenti, nonostante l’intensa attività delle forze dell’ordine che hanno cercato di controllare tutti i frantoi. Per la presenza delle stesse il fiume Naro è diventato nero, così come tanti altri fiumi in provincia di Agrigento».

«Le acque di vegetazione – ha aggiunto Lombardo – sono 200 volte più inquinanti delle fognature perché sottraggono ossigeno all’acqua, portando alla morte di ogni forma di vita nei fiumi e nel mare prospiciente». In tal senso, bisogna ricordare che però esse se da un lato sono dannose per fiumi e mari, dall’altro rappresentano un ottimo concime per i terreni. Tale pratica dunque è anche sinonimo di spreco in quanto non solo distrugge la fauna dei corsi d’acqua, ma priva anche i terreni di risorse utili per la concimazione.

[di Raffaele De Luca]

Marche: terremoto di magnitudo 4.3 nel Pesarese

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Nelle Marche, questa mattina alle ore 12:53 si è verificata una scossa di terremoto di magnitudo 4.3, a 38 km di profondità. L’epicentro è stato registrato in provincia di Pesaro e Urbino, a 3 km a nord di Montefelcino, e la scossa è stata avvertita in tutto il Pesarese nonché in provincia di Ancona. Fortunatamente, però, attualmente non sembrano esservi danni o feriti.