sabato 20 Settembre 2025
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Giappone: elezioni parlamentari, coalizione di governo mantiene maggioranza

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In Giappone, nelle elezioni parlamentari tenutesi nella giornata di ieri la coalizione di governo ha mantenuto la maggioranza conquistando 261 seggi e superando i 233 necessari. La sua sfera di influenza però risulta ridotta, avendo ottenuto meno seggi rispetto alle ultime elezioni. Il premier giapponese, Fumio Kishida, ha infatti annunciato oggi la vittoria sottolineando che si è trattato di «uno scrutinio molto difficile» ma che ad ogni modo gli elettori hanno dimostrato di desiderare un «governo stabile» della maggioranza uscente per plasmare il futuro del Paese.

G20 di Roma: ancora una volta nessun impegno reale per l’ambiente

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Il summit del G20 tenutosi a Roma nelle giornate del 30 e 31 ottobre si è concluso, ma sulla crisi climatica si delinea ancora una volta la scarsa capacità di prendere impegni concreti. Mentre è confermato l’impegno di evitare un surriscaldamento globale superiore a 1.5°C rispetto ai livelli pre-industriali (già stabilito con gli Accordi di Parigi nel 2015), i grandi del mondo, giunti con mega impattanti aerei privati e scortati da decine di auto (solo Joe Biden ne aveva al seguito 38) non sono riusciti ad andare oltre un generico obiettivo di raggiungere il traguardo delle emissioni zero “all’incirca per la metà del secolo”. Le incomprensioni tra i diversi Stati e un supposto atteggiamento vessatorio da parte dei G7 narrano poi di un mancato dialogo tra le parti.

Gli impegni presi sono molto simili a quelli siglati a Parigi nel 2015, quando si era stabilito che fosse determinante “limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1.5°C”. Tale risultato, secondo gli esperti, può essere raggiunto solamente dimezzando le emissioni entro il 2030 e portandole a zero entro il 2050, obiettivo che Stati come la Cina (il maggiore produttore di gas serra a livello mondiale) e l’Arabia Saudita non sono disposte a raggiungere prima del 2060.

Il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato la necessità di tenere in considerazione le differenze geopolitiche tra gli Stati occidentali e i Paesi in via di sviluppo, che non possono farsi carico delle medesime responsabilità. A tal proposito, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha affermato che i Paesi più ricchi del G7 hanno esercitato molte pressioni sugli altri Stati affinché accettassero la scadenza decisa. La prima bozza sarebbe stata discussa prima dal G7 e poi fatta circolare: «ecco com’è che la dichiarazione originale conteneva il 2050 come data» ha affermato Lavrov. Si delinea quindi un mancato dialogo paritario tra Paesi più ricchi e più poveri, che dovrebbe essere alla base del raggiungimento di obiettivi congiunti ai quali cooperare.

In merito all’utilizzo del carbone gli impegni presi seguono la medesima linea: sono stabiliti piani per porre fine agli investimenti oltreoceano e azioni non specifiche per ridurne l’uso domestico, con un vago accenno a sostenere i Paesi che si impegnino in tal senso. Per volere della Turchia una prima bozza che faceva riferimento all’importanza della riduzione drastica dell’uso del carbone è stata sostituita con l’affermazione che la riduzione dell’uso dei combustibili fossili è “uno dei modi più fattibili, efficienti e veloci per limitare il cambiamento climatico”.

Il premier Draghi ha definito il G20 «un successo» e di essere «orgoglioso dei risultati raggiunti», i quali costituiscono «basi piuttosto solide» per il conseguimento degli obiettivi sul cambiamento climatico, e molti dei leader dei paesi più ricchi hanno fatto eco a tali elogi. Alcuni dei diplomatici presenti hanno tuttavia affermato che il modo in cui il team italiano ha gestito il vertice ha suscitato non poche tensioni e risentimento con Paesi quali la Cina e la Russia, oltre ad una vera e propria malagestione che ha rischiato di ostacolare i negoziati. Lo sforzo per mantenere unito il G20 ed evitare una debacle avrebbe avuto quindi la meglio sul mantenimento degli impegni originariamente prefissati.

“I Paesi del G20 sono responsabili di oltre l’80% delle emissioni mondiali” sottolineano in un comunicato gli attivisti di Friday for future, che hanno sfilato in protesta per le vie di Roma durante il summit. “Nessun accordo sul clima è neanche lontanamente possibile senza un accordo tra questi paesi”. Insieme agli attivisti di Friday for future, Cobas, lavoratori della Gkn, dell’Ilva e di Alitalia hanno marciato e organizzato sit-in per la capitale. Una cinquantina di attivisti della piattaforma Climate Camp hanno protestato nei pressi del Ministero della Transizione Ecologica. Dopo essersi seduti in terra per bloccare l’accesso al Centro congressi dove si teneva il G20, protestando pacificamente, sono stati trascinati via dalla polizia.

Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace, definisce il summit un “fiasco” e ripone le speranze nella Cop26 di Glasgow, “dove c’è ancora la possibilità di cogliere un’opportunità storica“. “Alla Cop26 non molleremo e continueremo a spingere per una maggiore ambizione climatica, così come per le regole e le azioni per sostenerla. Dobbiamo fermare immediatamente tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili”.

[di Valeria Casolaro]

 

 

Erdogan non prenderà parte alla Cop26

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Il presidente turco Erdogan non presenzierà alla Cop26, dove avrebbe dovuto spiegare come la Turchia intenderà ridurre le emissioni nel rispetto degli Accordi di Parigi. Non sono state fornite spiegazioni ufficiali. La presenza del ministro turco per l’ambiente Murat Kurum dovrebbe essere confermata. La Turchia è l’ultimo Paese del G20 ad aver ratificato per intero gli Accordi di Parigi, il mese scorso. Questo perché Erdogan ritiene di non rientrare tra i Paesi “sviluppati” e non potere perciò rispettare gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015: per tale motivo il mese scorso Banca Mondiale, Francia e Germania hanno stanziato 3,2 miliardi di dollari, soprattutto in prestiti, per finanziare il raggiungimento degli obiettivi sul clima da parte dello Stato turco.

Berlusconi e Renzi in Sicilia lanciano “Forza Italia Viva”: il padrino è Dell’Utri

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Il progetto “Forza Italia Viva” è ufficialmente diventato realtà, almeno in Sicilia. Solo qualche giorno fa, il leader di Italia Viva Matteo Renzi e Gianfranco Miccichè, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana e dirigente di Forza Italia, si incontravano a cena a Firenze. Poi, il 26 ottobre, con una conferenza stampa a Palazzo dei Normanni, alla presenza dei capigruppo di Forza Italia e Italia Viva Tommaso Calderone e Nicola D’Agostino, è stata annunciata da Micciché la formazione di un intergruppo tra le due forze politiche, che a livello regionale contano complessivamente 16 consiglieri. L’obiettivo? Quello di correre insieme alle elezioni comunali di Palermo e alle Regionali del 2022.

L’accordo sarebbe stato siglato grazie alla fondamentale intermediazione di Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi, che ha scontato 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, e prevederebbe il coinvolgimento di Totò Cuffaro (che ha riesumato il simbolo della DC alle ultime comunali, alleandosi con Forza Italia), il quale ne ha scontati altrettanti per favoreggiamento alla mafia. Non proprio dettagli.

Il laboratorio politico in costruzione si propone di guardare oltre i confini siciliani, puntando direttamente a esercitare un’influenza su Roma rispetto alle mire di occupazione di quel “grande centro” che, come ciclicamente è accaduto negli ultimi decenni di storia repubblicana, fa gola a molti. Complici lo slittamento a destra di Fratelli d’Italia e della fazione meno governista della Lega e la pianificazione di una coalizione di stampo progressista che raggruppi il Pd e il “nuovo” Movimento 5 Stelle targato Giuseppe Conte, il momento sembra propizio.

D’altronde, la liaison tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi è nata in tempi non sospetti: nel lontano 2010, l’allora sindaco di Firenze già incontrava in segreto ad Arcore il Cavaliere; quattro anni dopo, quando Renzi ricopriva la carica di segretario del PD, i due siglarono il famoso “patto del Nazareno”, inerente il progetto di modifica del sistema elettorale con l’Italicum (poi bocciato dalla Corte Costituzionale) e una maxi-riforma della Costituzione che, effettivamente, dopo la rottura dell’accordo da parte del Cavaliere, venne realizzata ma fu fragorosamente respinta dal popolo italiano in occasione del referendum del 2016; negli ultimi anni, Renzi ha più volte difeso Berlusconi nel suo ruolo di imputato, sia in merito all’inchiesta fiorentina sui mandati esterni delle stragi di mafia del 1993 (“vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito, significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le istituzioni italiane”) sia sulla recente richiesta del tribunale di Milano di una perizia medica nei confronti di Berlusconi nell’ambito del processo Ruby-ter (“chiedere una perizia del genere assume i contorni di una inutile, sguaiata provocazione, non si fa altro che confermare che in questi anni c’è stata una persecuzione”).

Ed effettivamente, analizzando le questioni di merito, il pensiero e l’azione politica dei due leader risultano caratterizzati da una lunga serie di similitudini: “garantismo” sfrenato e critica continuativa alla cosiddetta “giustizia ad orologeria” di una presunta magistratura politicizzata, narrazione europeista e antitetica alla retorica sovranista, attacco agli “inesperti” della politica, appoggio al piano delle grandi opere (con il Ponte sullo stretto di Messina come sogno comune), assalto allo Statuto dei Lavoratori (concretizzato da Renzi con l’abolizione dell’Articolo 18 nel 2015), innalzamento del tetto del contante, proposta di leggi “antimafia” criticate a più riprese dagli stessi magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, sostegno ai referendum sulla giustizia promossi negli ultimi mesi dai radicali e dalla Lega. E si potrebbe continuare.

Intanto, si lavora sottobanco alle alleanze per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. I partiti di centro-destra hanno già espresso il nome del loro candidato: Silvio Berlusconi, il quale, se davvero dovesse essere eletto, sarebbe il primo pregiudicato a sedere sullo scranno più alto della Repubblica italiana. La nuova immagine di anziano e moderato europeista, nonché di strenuo difensore delle politiche draghiane anti-Covid, ha progressivamente reso le varie forze politiche centriste e riformiste più propense a valutare l’ipotesi.

Se Draghi verrà “conservato” come garante della maxi-alleanza a supporto dell’attuale esecutivo, i partiti avrebbero forse la possibilità di tirare a campare fino alla fine della legislatura. Se, invece, sarà uno tra Silvio Berlusconi e l’attuale primo ministro a salire al Colle, la già traballante unità del governo sarebbe compromessa e il momento delle elezioni potrebbe avvicinarsi a grandi passi. Allora, i contenuti degli accordi stretti nella penombra di questi mesi di transizione usciranno allo scoperto.

[di Stefano Baudino]

Yemen, missili houthi contro scuola e moschea: almeno 10 morti

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Almeno 10 civili sono rimasti uccisi e altri 29 feriti in seguito a un attacco houthi con missili balistici, che hanno colpito una moschea e una scuola religiosa nella provincia yemenita di Marib. Molte delle vittime sono donne e bambini. I combattimenti tra houthi e forze governative si stanno intensificando negli ultimi mesi, causando a settembre 10mila sfollati a Marib, ultima fortezza del governo riconosciuto a livello internazionale. L’offensiva degli Houthi, che sostengono di star combattendo un sistema corrotto e l’aggressione straniera, complica sempre più la possibilità di raggiungere accordi di pace internazionali. L’ONU ha definito la guerra in Yemen come la peggiore crisi umanitaria del mondo, con oltre 16 milioni di persone che soffrono la fame.

Ancora un fine settimana di cortei contro il green pass in tutta Italia: le immagini

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Anche nell’ultimo fine settimana decine di migliaia di persone hanno manifestato contro il certificato verde in tutta Italia. Da nord a sud moltissime città italiane sono state attraversate da proteste, spesso molto partecipate, che come spesso accade non hanno goduto di alcuna copertura mediatica, eccezion fatta per qualche giornale locale. Eppure, la piccola e non esaustiva raccolta di video indipendenti da noi effettuata, dimostra che l’entità delle proteste non si stia affievolendo, nonostante in certe piazze si sia arrivati al quindicesimo sabato consecutivo di proteste. Di seguito i video raccolti da alcune delle proteste italiane.

A Genova si è tenuto il quindicesimo sabato di protesta consecutivo. Il corteo guidato dai portuali è partito da piazza Matteotti sfilando per via San Lorenzo. Presente anche una delegazione di portuali triestini.

Non si placano le manifestazioni di protesta a Trieste. Mercoledì sono tornati in piazza i portuali, mentre Giovedì 28 ottobre si è tenuto un corteo, molto partecipato, lungo le vie della città.

Anche a Udine la manifestazione di questo fine settimana ha avuto dimensioni notevoli, cinquemila partecipanti secondo gli organizzatori, che hanno scandito cori non solo contro il passaporto sanitario, ma contro le politiche del governo Draghi.

A Milano migliaia di persone di sono ritrovate in piazza Duomo, e poi una buona parte di queste si è spostata sotto la sede della Rai per chiedere una informazione migliore sul tema della gestione pandemica.

Iniziative in molte città della Toscana. Da Pisa, a Livorno, a Siena si è protestato contro l’obbligo di green pass. Naturalmente è scesa nuovamente in strada anche Firenze, dove un corteo molto nutrito ha attraversato le vie del centro.

Da nord a sud, le proteste hanno interessato tutta la penisola. Centinaia di persone si sono ritrovate anche a Foggia, sabato sera, in un corteo pacifico partito da piazza Cavour ed diretto in piazza Cesare Battisti.

[la redazione]

Australia e Thailandia riaprono i confini dopo 18 mesi

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Per la prima volta da marzo 2020 Australia e Thailandia hanno allentato le restrizioni alle frontiere internazionali. In Thailandia è permesso accedere senza obbligo di quarantena a turisti vaccinati di più di 60 Paesi, dopo che il blocco è costato al settore 3 milioni di posti di lavoro e all’incirca 50 miliardi di dollari l’anno. In Australia alcuni Stati hanno riaperto le loro frontiere senza l’obbligo di quarantena o di permesso speciale ed è previsto un piano per riaprire lentamente a turisti e lavoratori internazionali. Le due nazioni avevano adottato alcune delle restrizioni più severe per contrastare la diffusione del Covid.

Polonia: ok del Parlamento a muro anti-migranti al confine bielorusso

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La costruzione di un muro al confine con la Bielorussia volto ad arginare l’arrivo dei migranti ha ricevuto il via libera da parte del Parlamento della Polonia. Esso si estenderà per oltre 100 chilometri lungo la frontiera orientale dell’Unione europea e costerà circa 353 milioni di euro. Per iniziare la sua costruzione c’è tuttavia bisogno dell’ok del presidente polacco Andrzej Duda, il quale però aveva già annunciato che avrebbe firmato la legge non appena fosse stata approvata dal Parlamento.

Cime Bianche, l’ultimo paradiso incontaminato delle Alpi è sotto assedio

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Un progetto avente ad oggetto la realizzazione di un nuovo collegamento funiviario potrebbe mettere in pericolo il Vallone delle Cime Bianche, che si estende per una lunghezza di circa 10 chilometri nel Comune di Ayas (Valle d’Aosta) e rappresenta «l’ultimo esteso spazio integro del versante Sud del massiccio del Monte Rosa». A denunciarlo sono diverse associazioni ambientaliste – tra cui il Comitato Ripartire dalle Cime Bianche, il Wwf e Mountain Wilderness – che in una missiva inviata recentemente al Ministero della Transizione Ecologica hanno chiesto a quest’ultimo di «attivarsi a difesa del patrimonio naturale nazionale ed europeo» nonché di «evitare un ulteriore colpevole dispendio di fondi pubblici». In tal senso, ricordano le associazioni, sono in corso «attività propedeutiche per costruire un collegamento funiviario tra i comprensori sciistici del Monterosa Ski e di Cervinia-Zermat», i quali confinano con il Vallone.

Tutto ciò «nonostante il riconosciuto e inestimabile valore del Vallone»: buona parte dello stesso infatti è «ricompresa nell’area Natura 2000 ZPS/ZSC». In pratica, il Vallone è «sottoposto al regime normativo previsto per le Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e per le Zone di protezione speciale (ZPS), che prevedono un sistema di massima tutela naturalistica da parte delle norme europee ed italiane». Tale tutela viene riservata proprio poiché esso «presenta nel suo insieme una straordinaria varietà e stratificazione di ricchezze naturalistiche, paesaggistiche, storico-culturali e archeologiche, che lo rendono unico nel suo genere».

Ad ogni modo non si tratta della prima volta che le associazioni ambientaliste di schierano contro tale progetto, difatti la lettera fa seguito alla diffida inoltrata il 5 dicembre 2020 dalle stesse, a cui tuttavia né la Regione Autonoma Valle d’Aosta né la società Monterosa SpA (che ha proposto il progetto) hanno ritenuto di dare riscontro. Tramite la diffida infatti era stato chiesto motivatamente di «non dare corso a qualsiasi attività di progettazione che riguardasse la realizzazione di impianti di risalita e piste da sci in area Natura 2000», ma la Monterosa SpA, in accordo con la Regione, nel mese di maggio 2021 ha comunque «affidato un incarico per l’effettuazione di studi preliminari di fattibilità degli impianti». Tale incarico però secondo le associazioni sarebbe appunto illegittimo avendo ad oggetto un «collegamento impiantistico in un’area facente parte della rete europea Natura 2000», il che è «espressamente vietato dalla legge».

A tutto ciò si aggiunga che, secondo quanto affermato dal coordinatore del Comitato ripartire dalle Cime Bianche Marcello Dondeynaz, «le località di Cervnia-Zerman e del Monte Rosa sono sufficientemente grandi e attrezzate e la creazione del collegamento servirebbe solo per motivi di marketing, per poter dire di aver creato uno dei comprensori più grandi al mondo». In tal senso, ha aggiunto Dondeynaz, «se l’impianto funzionerà solo da collegamento non porterà ricchezza alla Val d’Ayas, che rischia di diventare unicamente una via di transito per i turisti diretti a Cervinia».

[di Raffaele De Luca]

G20: partito il corteo di protesta a Roma

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Migliaia di persone sono scese in piazza a Roma per protestare contro il G20. I manifestanti sono partiti in corteo da piazzale Ostiense ed arriveranno fino a Bocca della Verità. Tra loro vi sono molti giovani, nonché rappresentanti dei sindacati di base ed attivisti dei movimenti sociali e dei comitati. «Voi la malattia, noi la cura», «Voi il G20, noi il futuro», «Stop ai brevetti, vaccino diritto globale»: sono questi alcuni degli striscioni esposti al corteo, il quale è sorvegliato dalle forze dell’ordine che stanno presidiando l’area con blindati e camionette.