venerdì 19 Settembre 2025
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Le porte girevoli che collegano politica e industria fossile

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Essere dipendenti di una industria e poi passare a un incarico politico nazionale o europeo, oppure viceversa; sovente in ruoli che rendono la persona in merito responsabile di sorvegliare la condotta della medesima azienda della quale era dipendente. Sono settantuno gli episodi di revolving door tra industria e posizioni di governo registrati in Europa nel periodo che va dal 2015 al 2021. Tra questi, come vedremo, molti i casi che riguardano l’Italia, con passaggi spericolati tra incarichi politici e la multinazionale dell’energia Eni. A rivelarlo il Corporate Europe Observatory, gruppo di ricerca che si occupa di indagare l’influenza di cui godono le aziende e le lobby all’interno delle istituzioni politiche europee.

Negli anni presi in considerazione, svariate figure influenti nella politica europea (come funzionari ed eurodeputati) sono poi entrate a fare parte di una qualche lobby, oppure è accaduto il contrario. Ne consegue l’innegabile esistenza di un conflitto di interesse strisciante. Nel database RevolvingDoorWatch si trovano gli attori dello scambio descritto, casi testimoni di quanto le istituzioni europee non abbiano ancora agito per trovare un modo reale ed efficace di scongiurare un fenomeno evidentemente rischioso, vista l’interferenza che poi nasce nei processi decisionali democratici e di interesse pubblico. Il trasferimento di funzionari pubblici dal governo ad aziende all’interno dell’industria dei combustibili fossili o il contrario, è uno degli esempi più schiaccianti e preoccupanti di revolving door.

Viene da sé quanto le decisioni per combattere contro il cambiamento climatico siano ben poco conciliabili con interessi e volontà delle Big Oil, ecco perché i fin troppi casi di revolving door in Eni, per esempio, sono allarmanti. Nel 2011 Pasquale Salzano è diventato responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali della multinazionale negli Stati Uniti, ma prima si trovava nel ministero degli Affari esteri. Dal 2014 al 2017 Pasquale Salzano ha ricoperto ruoli molto importanti all’interno di Eni, per poi ritornare agli incarichi pubblici come ambasciatore italiano in Qatar (2019). L’ambasciatore presso il comitato politico e di sicurezza dell’Ue a Bruxelles e Teheran, Luca Giansanti, ricopre oggi un ruolo di spicco in Eni, così come un altro politico italiano, mentre Lapo Pistelli, è stato viceministro agli Affari esteri e poi è stato nominato director public affairs per Eni. Tanti altri personaggi sono entrati e usciti più volte dalle istituzioni europee e sono ora all’interno dell’azienda multinazionale, come Alfredo Tombolini, Matilde Mattei e Nathalie Tocci, entrata a far parte del consiglio di amministrazione Eni nello stesso momento in cui è stata nominata come Consigliera speciale dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea. Un caso denunciato da Common e Ceo e Friends of the Earth Europe, ma senza risultati.

Ad oggi, all’interno dell’Ue non esiste un regolamento volto a controllare e evitare i casi di porte girevoli e i conflitti di interesse. Motivo per cui Fossil Free Politics (coalizione che ha commissionato la ricerca) ha proposto l’approvazione di una norma che preveda almeno cinque anni di stacco tra le mansioni politiche e aziendali per lo staff comune e di dieci anni per chi invece ricopre cariche di alto livello. Se ciò non avverrà, continueranno a esistere e saltare da un ruolo all’altro persone come Amber Rudd, Segretaria di Stato per l’energia e i cambiamenti climatici nel governo britannico dal 2015-2016, alla guida della delegazione britannica durante la Cop21 di Parigi. Amber Rudd fa parte dal 2020 della Equinor, compagnia energetica controllata dal governo norvegese, carica affidatole quando ancora faceva parte del parlamento britannico. La Rudd è stata una delle promotrici della tecnologia di cattura e stoccaggio (Ccs) della CO2 prima della Brexit e oggi Equinor sta progettando un impianto di idrogeno fossile nel Regno Unito, proprio con l’utilizzo della Ccs. Con il fine di raggiungere emissioni di CO2 pari a zero entro il 2050 diverse tecnologie vengono testate anche se ancora in fase di sperimentazione, approvate senza contrasti significativi all’interno della politica europea, vista la presenza di lobbisti. Fondi comuni dell’Unione europea e dei governi usati per testare costose tecnologie con la speranza (ma non la certezza) di limitare le emissioni, mentre però si continuano a bruciare i combustibili fossili.

[di Francesca Naima]

Ex presidente Camera Pivetti indagata per riciclaggio e frode fiscale

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L’ex presidente della Camera Irene Pivetti risulta indagata per frode e riciclaggio, insieme ad un consulente e al pilota Leonardo Isolani e la moglie e la figlia di quest’ultimo. Al momento la Guardia di Finanza di Milano sta eseguendo un sequestro preventivo di 4 milioni di euro a carico di Pivetti. L’accusa è di aver messo in atto una serie di operazioni commerciali, tra le quali l’acquisto di una Ferrari Gran Turismo, per camuffare i soldi provenienti da un’evasione fiscale. Sarebbe coinvolto anche il gruppo Only Italia, del quale Pivetti è presidente, come intermediario in operazioni della società del pilota Isolani al fine di evadere il fisco. I fatti sarebbero risalenti al 2016.

Inchiesta sui dati: quanto ha speso realmente l’Europa per i vaccini

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Quanto ha speso, finora, l’Unione Europea per acquistare i vaccini contro il Covid-19? Non lo sappiamo. Non disponiamo di dati certi e univoci e, soprattutto, non è così facile capirlo. Neppure se ci limitiamo esclusivamente all’acquisto di vaccini e non anche di tutti gli altri accessori e dispositivi necessari per vaccinare (siringhe, cotone, cerotti ecc.). Lontanissimi dal minimo di trasparenza in un sistema democratico avanzato come dovrebbe essere l’Unione Europea. Per provare a capirlo abbiamo messo insieme comunicazioni parcellizzate e lacunose, suddivise per i diversi ordini e le diver...

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Ecuador, Corte Costituzionale si reca in territori indigeni: prima volta nella storia

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Per la prima volta nella storia la Corte Costituzionale dell’Ecuador si è recata in territori indigeni per tenere un’udienza. Secondo la Costituzione ecuadoriana, infatti, prima di poter procedere con attività estrattive o di costruzione nelle terre indigene o nei loro pressi è necessario ottenere il consenso previo, libero e informato dei gruppi indigeni locali. Tuttavia normalmente per questi gruppi è molto difficile raggiungere le città, e a recarsi a tali udienze sono di norma pochi rappresentanti della comunità. L’iniziativa della Corte ha reso possibile all’intera comunità di indigeni Cofan, nell’Amazzonia settentrionale, di partecipare alla discussione sulle loro terre, rendendo il sistema giudiziario più accessibile.

La Cina ha acquistato un’azienda italiana di droni militari all’insaputa del Governo

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Due aziende cinesi, di proprietà dello Stato, hanno acquistato nel 2018 un’azienda italiana, la Alpi Aviation Srl, specializzata in produzione di droni militari, tramite una società offshore con sede a Hong kong, la Mars (HK) Information Technology. Il tutto è avvenuto all’insaputa delle autorità italiane ed europee, secondo quanto ha riportato il Wall Street Journal.

Gli esperti dicono che si tratterebbe di un classico schema adottato dalla Cina per aggirare la burocrazia europea e approfittare di alcuni “buchi neri” che le normative vigenti possono celare. Capita spesso che aziende statali cinesi utilizzino società apparentemente private come copertura, con il fine di appropriarsi di imprese che poi trasferiscono in nuove strutture in Cina.

Mars, la società “ponte” in questione, aveva acquistato nel luglio 2018 una quota pari al 75% della Alpi Aviation per 4 milioni di euro: cifra a cui si sommano altri 1,5 milioni di euro investiti nella stessa società. Un pagamento eccessivamente alto, secondo la polizia italiana, i cui sospetti sono stati confermati dal fatto che la società Mars fosse stata registrata a Hong Kong solo due mesi prima dell’accordo con Alpi. Elementi che, se collegati, portano a pensare che Mars sia a tutti gli effetti un marchio fittizio creato appositamente per impossessarsi di Alpi.

“È un caso da manuale. Questa è la strategia dello stato cinese, spinta dal governo cinese”, ha affermato Jaap van Etten, amministratore delegato di una società di intelligence economica olandese al WSJ.

I droni prodotti dalla Alpi sono gli stessi utilizzati dalle forze italiane in Afghanistan: pesano circa 10 chilogrammi, hanno un’apertura alare di 3 metri e possono trasmettere video e immagini a infrarossi in tempo reale. Bastano 8 minuti per metterli in funzione, e il paracadute di cui sono dotati gli permette di essere lanciati anche molto in alto.

Alpi avrebbe dovuto notificare la vendita alle autorità italiane? Ha avviato una sua produzione di droni in Cina? Si sta indagando proprio su questo. In materia esistono comunque delle leggi, secondo le quali le società europee sono solitamente tenute a segnalare le acquisizioni estere in determinati settori strategici come la difesa e la comunicazione. Nello specifico, il governo italiano ha il diritto e il potere di porre il veto laddove non ritenesse le acquisizioni da parte di acquirenti UE sicure.

Alpi, invece, il cui cambio di proprietà è avvenuto nel 2018, ha comunicato la vendita solo due anni dopo, quando alcuni funzionari del Ministero della Difesa hanno cominciato ad indagare sulla faccenda. La società ha negato di aver agito con poca trasparenza.

Finora l’Italia ha imposto il suo veto per 4 volte per bloccare compra-vendite di questo tipo. La maggior parte di questi riguardavano accordi con società cinesi. Di recente Draghi ha impedito la vendita di un produttore di semi da ortaggi al gruppo di proprietà cinese Syngenta. Ad aprile scorso ha impedito alla società cinese Shenzhen Invenland Holdings Co. Ltd. di acquistare un’importante quota di in un’azienda che produce apparecchiature per semiconduttori.

“Dobbiamo assicurarci che non finiscano nelle mani di coloro che cercano di minare l’ordine internazionale o i valori democratici occidentali’, ha affermato Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione europea al WSJ.

[di Gloria Ferrari]

Dl Proroghe, Senato dà via libera definitivo

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Il Senato ha dato il via libera definitivo, con 210 voti a favore, al cosiddetto dl Proroghe, sul quale il Governo aveva posto la questione della fiducia. Il provvedimento dispone misure urgenti in materia di giustizia e difesa e proroghe per quanto riguarda i termini di presentazione delle firme sul referendum per la cannabis, quelli per ricevere l’assegno temporaneo per i figli minori e del versamento dell’Irap. Non vi sono stati astenuti, ma FdI ha espresso voto contrario, anche a causa del continuo ricorrere del Governo allo strumento della fiducia per l’approvazione dei provvedimenti.

La Groenlandia ha messo al bando l’estrazione di uranio e terre rare

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La Groenlandia ha approvato una legge che vieterà l’estrazione di uranio e porrà fine al progetto Kvanefjeld Rare Earth – Uranium Project riguardante la miniera di Kuannersuit, uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo. Kuannersuit, di proprietà della società mineraria australiana Greenland Minerals, si trova vicino alla città meridionale di Narsaq e contiene non solo uranio radioattivo, ma anche un grande deposito di terre rare commercialmente importanti – praseodimio, neodimio, terbio –  importante sia per la produzione elettronica di consumo, che per quella di armi. Il paese artico, appartenente alla Danimarca, basa la sua economia sulla pesca e sui sussidi del governo danese. Tuttavia, con lo scioglimento dei ghiacci, ha visto sempre più minatori interessarsi ai minerali – rame, titanio, platino e terre rare -, necessari per i motori dei veicoli elettrici. Prima delle elezioni di aprile, l’isola aveva rilasciato diverse licenze di esplorazione ed estrazione mineraria nel tentativo di diversificare la sua economia e realizzare il suo più grande obiettivo: diventare indipendente dalla Danimarca.

Più di 100 milioni di dollari, infatti, erano stati investiti nel progetto Kvanefjeld, il quale aveva già ottenuto l’approvazione preliminare nel 2020 e aspettava soltanto la conformità finale. Questo era stato organizzato per contenere anche un concentratore e una raffineria. La decisione di vietare la ricerca e l’estrazione dell’uranio è una conseguenza della promessa elettorale del partito Inuit Ataqatigiit – salito al governo lo scorso aprile con il 37% dei voti – dopo aver dichiarato pubblicamente la chiara intenzione di bloccare il progetto, per via della significativa presenza del metallo radioattivo. La nuova legge, infatti, proibisce l’esplorazione di giacimenti con una concentrazione di uranio superiore a 100 ppm (parti per milione, unità di misura che indica un rapporto tra quantità misurate omogenee di un milione a uno), e include il divieto di ricerca di altri minerali radioattivi.

La Groenlandia non è novellina in provvedimenti del genere. Di recente, infatti, sempre per volere del partito Inuit Ataqatigiit, ha proibito la ricerca di petrolio. La decisione era stata presa, nonostante non ci fosse ancora stata nessuna scoperta significativa di oro nero sul territorio. Tuttavia, la US Geological Survey – agenzia scientifica del governo americano – aveva stimato la possibile presenza di un giacimento con una quantità pari a più di 31 milioni di barili. Un vero e proprio tesoro che, per molti, appariva come la soluzione per l’ottenimento dell’indipendenza dal Regno di Danimarca.

[di Eugenia Greco]

Sorvegliare il lavoro da remoto: un software controlla il livello di attenzione

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Il lavoro da remoto non è certamente una novità portata dalla situazione pandemica. In principio fu il telelavoro, nato negli anni Ottanta del secolo scorso, pensato per far lavorare comodamente le persone da casa. Il sogno di molte persone era poter lavorare da casa, senza bisogno di spostarsi per lunghi tragitti, evitare persone sgradite, poter lavorare vestiti in maniera comoda (magari in pigiama o in mutande) e senza la pressione e le ire del capo ufficio: tutto il lavoro al sicuro e comodo nella propria abitazione. Poi, col tempo, le tecnologie si sono sviluppate e, secondo la narrazione dominante, il lavoro può essere potenzialmente svolto ovunque tramite uno dei tantissimi dispositivi portatili. Per questo il termine è mutato da telelavoro a lavoro in remoto. Ma anche altri avevano un sogno, ed era inconfessato: riduzione dei costi, disgregazione della forza lavoro e della sua capacità di organizzazione e azione in forma aggregata, pervasivo controllo di spazio, tempo e comportamenti dei lavoratori.

In tal merito, l’inquietante fatto giunge dagli Stati Uniti e coinvolge gli “avvocati a contratto” che lavorano a tempo e da remoto per gli studi legali che li assumono di volta in volta per specifiche cause. Questi professionisti del settore legale vengono assunti per setacciare migliaia di documenti, oscurando informazioni sensibili ed evidenziando dettagli rilevanti di cui gli avvocati potrebbero aver bisogno mentre discutono un caso; gli studi legali li assumono in base alle necessità e li abbandonano appena non servono più. Questi “sottoavvocati” lavorano da remoto e un software gestisce il loro accesso e controlla i loro comportamenti.

Ogni mattina, gli avvocati scansionano il loro volto in modo che la loro identità possa essere verificata minuto per minuto. Il software utilizza la webcam usata dal lavoratore per registrare i movimenti del viso e l’ambiente circostante, inviando un avviso se l’avvocato scatta foto di documenti riservati, se persone non autorizzate entrano nella visuale oppure se smette di prestare attenzione allo schermo: se l’avviso inviato dal software non viene ascoltato, il lavoratore viene estromesso. Gli avvocati hanno affermato di essere stati esclusi dal lavoro se solo si spostavano sulla sedia, se distoglievano lo sguardo per un momento, se aggiustavano gli occhiali o i capelli, oppure per cose innocue – che il software non reputava tali – come tenere in mano una tazza di caffè (scambiata per una telecamera non autorizzata), un parente che parla in sottofondo, cani e gatti che entrano nell’inquadratura della webcam e che vengono scambiati per soggetti non autorizzati.

Inoltre, il software sembra avere problemi se la qualità della webcam del lavoratore non è buona, se la quantità e qualità di luce dell’ambiente non è adeguata ma anche problemi di tipo razziale. Loetitia McMillion, avvocatessa nera a contratto che vive a Brooklyn, ha detto: «Si blocca continuamente e dice che non mi riconosce; in realtà, no, è la stessa faccia nera che ho da qualche decennio ormai». Secondo le statistiche dell’American Bar Association e della National Association, le persone di colore costituiscono circa il 15% di tutti gli avvocati negli Stati Uniti ma, al contempo, sono il 25% degli avvocati a contratto. Molti hanno affermato di temere che le loro valutazioni delle prestazioni e la potenziale futura occupabilità potrebbero risentire esclusivamente di questi “difetti di progettazione”. E certamente non è il primo caso di software di riconoscimento facciale con problemi di tipo razziale.

Ma gli avvocati a contratto non sono certamente l’unica categoria di lavoratori che subisce un monitoraggio continuo e costante: addetti alle consegne, centralinisti dei call center, autisti etc, sono sempre più spesso valutati da software di analisi facciale e/o vocale, che secondo i loro datori di lavoro possono aiutare le aziende a verificare l’identità, le prestazioni o la produttività dei lavoratori. Adesso, anche le università hanno iniziato ad adottare sistemi simili di controllo per monitorare gli studenti durante gli esami: Verificient Technologies offre questi servizi agli istituti universitari e Rahul Siddharth, cofondatore e capo delle operazioni di Verificient, ha affermato che la società ha assistito a una rapida crescita durante la pandemia.

[di Michele Manfrin]

Covid: l’Irlanda torna alla restrizioni nonostante il 92% degli adulti sia vaccinato

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L’Irlanda torna alle restrizioni contro il Covid. L’annuncio è stato dato ieri sera in un discorso alla nazione da parte del capo del governo Micheál Martin: già da oggi chiunque sia stato in contatto con un positivo dovrà rimanere per cinque giorni in quarantena, anche se vaccinato. Da domani, 18 novembre, torneranno in vigore gli orari di chiusura anticipati per pub, ristoranti e locali; mentre i lavoratori dovranno ricominciare a operare in remoto. Le norme arrivano a seguito di un nuovo picco di contagi, ottenuto nonostante il 92% della popolazione vaccinabile abbia già ricevuto entrambe le dosi (il 77% della popolazione totale).

Secondo quanto specificato, da domani i locali pubblici dovranno abbassare le saracinesche entro le ore 24. Per accedere a pub, ristoranti, discoteche e locali sarà necessario mostrare la prova dell’avvenuta vaccinazione o della guarigione dal Covid-19, così come per accedere a cinema e teatri. I locali avranno l’obbligo di vietare l’ingresso a chi non sia in regola con la documentazione e dovranno anche verificare i documenti d’identità degli avventori, in caso contrario potranno subire multe e chiusure. Introdotte anche nuove misure, ad occhio e croce difficili da controllare, sugli incontri familiari: le famiglie non completamente vaccinate potranno ospitare in casa solo altre famiglie non vaccinate, mentre “se sei completamente vaccinato puoi incontrare al chiuso persone di una famiglia non vaccinata se non sono a rischio di malattie gravi e non ci sono più di 3 famiglie in tutto”.

A fronte di un tasso di vaccinazioni che lo pone al quinto posto in Europa l’Irlanda ha raggiunto il picco di 4.200 persone attualmente positive, il più alto dal gennaio scorso. Attualmente sono 634 i ricoverati, 114 dei quali in terapia intensiva. Numeri, questi ultimi, ancora lontani dai picchi più alti. Tuttavia una proiezione effettuata dal Comitato Covid del governo (equivalente del CTS italiano) ha stimato che, secondo le peggiori proiezioni, nonostante i vaccini presto fino a 500 persone potrebbero avere bisogno del ricovero in terapia intensiva. Le proiezioni migliori ne stimano invece la metà.

Di fronte a questi dati il ministro della Salute irlandese, Stephen Donnelly, ha affermato che «nessuno può affermare che presto non si tornerà ad un blocco totale» come durante la prima e la seconda ondata: la medesima situazione di quando non c’erano i vaccini insomma. Ma sulla campagna vaccinale nessuna riflessione, anzi: il premier Micheál Martin ha annunciato che «i programmi di vaccinazione e di richiamo rimangono al centro della risposta del Governo al Covid-19» e che verrà accelerata «la distribuzione di dosi booster a tutti coloro che hanno fragilità o un’età superiore a 50 anni».

 

L’Europa riapre il dibattito sul nucleare: sempre meno gli Stati contrari

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Ai vertici dell’Unione europea, il dibattitto sul nucleare si è ufficialmente riaperto. Il tema è tornato alla ribalta poiché alcuni Stati membri hanno esplicitato una richiesta: includere l’energia atomica tra le fonti energetiche pulite. A chiederlo – oltre alla Francia, da sempre in prima linea sulla questione – Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Polonia. Cui poi, ad ottobre, si sono aggiunti Bulgaria, Croazia, Finlandia, Romania, Slovacchia e Paesi Bassi. Tuttavia, mentre l’Italia tace in una sorta di silenzio assenso, almeno per ora, l’energia nucleare non verrà inclusa nella cosiddetta tassonomia verde, ossia tra le energie ecologiche da finanziare. A bloccare l’iniziativa del fronte pro-atomo una dichiarazione congiunta di Germania, Austria, Danimarca, Lussemburgo, Portogallo e Spagna. «L’energia nucleare – hanno dichiaratoè incompatibile con il principio ‘non causare danni significativi’ presente nel regolamento sulla tassonomia dell’Ue». Questi, pur riconoscendo il diritto sovrano degli Stati membri di decidere liberamente per i propri sistemi energetici, temono che la presenza del nucleare nella finanza sostenibile non farebbe altro che minarne la credibilità di fronte agli investitori.

Un’Europa quindi letteralmente divisa in due, sebbene, non proprio a metà, dato che gli Stati favorevoli al nucleare sono sempre di più. Il blocco della richiesta di questi ultimi, intanto, è stata però un sollievo per gli ambientalisti. E non solo per la loro ben nota contrarietà al nucleare. Secondo Euroactiv – che ha visualizzato in anteprima un documento non ufficiale circolato a Bruxelles – l’intento era infatti duplice: oltreché all’atomo, aprire le porte della tassonomia verde anche al gas naturale, a condizione che le centrali non emettano più di 100 grammi di CO2 per kilowattora. Una «vergogna scientifica» – come l’ha definito Henry Eviston del WWF – fortunatamente stroncata sul nascere. Ma, ad ogni modo, verde o no, che l’Europa abbia riaperto al nucleare è un dato di fatto. «Nell’Ue servono più rinnovabili e accanto a queste abbiamo bisogno di una fonte stabile», così si è ad esempio espressa il mese scorso la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Posizione condivisa dal responsabile per il Green Deal Frans Timmermans che, in particolare, ritiene gli investimenti nella quarta generazione una scelta intelligente.

Dentro i nostri confini, c’è il Ministro Cingolani già da tempo espressamente dichiaratosi favorevole ad un ritorno al nucleare. «Che si sia deciso di non utilizzare le centrali di prima e seconda generazione con i vecchi referendum ha un suo senso – ha commentatoma pensare che dietro l’aggettivo nucleare si celino solo ed esclusivamente tecnologie pericolose, poco efficaci e costose è sbagliato». C’è da dire che la quarta generazione, oltre ad una maggiore efficienza, effettivamente ridurrebbe ancor di più eventuali rischi, sebbene – come ha precisato al Corriere della sera il fisico premio Nobel Giorgio Parisial momento esistano solo dei prototipi che devono dimostrare la loro qualità e «che in ogni caso sono sempre da escludere dove vive la gente». Se parliamo poi di emissioni, chiaro è che il nucleare sia fonte energetica del tutto pulita, ma i fattori in ballo sono tanti, non ultimo l’annoso tema dello smaltimento delle scorie. La decisione europea su quanto il gioco valga la candela è attesa per dicembre.

[di Simone Valeri]