venerdì 19 Settembre 2025
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Stati Uniti, Biden rilascia concessioni petrolifere su un’area più grande dell’Italia

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La Cop26 si è conclusa da nemmeno quattro giorni e l’ipocrisia dei partecipanti inizia già a fare capolino. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, nonostante gli impegni sottoscritti, è pronto a rilasciare concessioni petrolifere su oltre 320 mila chilometri quadrati di mare nel Golfo del Messico: un’area più grande dell’Italia. Nella giornata di oggi, infatti, saranno messi all’asta i diritti di trivellazione, con il risultato che la produzione petrolifera aumenterà fino a 1,12 miliardi di barili di petrolio e 4,4 trilioni di piedi cubi di gas disponibile per l’estrazione.

In merito alle concessioni, però, l’amministrazione Biden ritiene che non vi siano alternative: il presidente negli scorsi mesi aveva infatti interrotto temporaneamente l’emissione dei permessi di trivellazione di petrolio e gas nelle terre di proprietà pubblica e nel territorio oceanico americano. Tuttavia, alcuni stati americani produttori di petrolio hanno successivamente intentato e vinto una causa volta a ripristinare le vendite, in quanto il governo non aveva adottato le misure necessarie per sospendere i nuovi contratti di locazione. Proprio questa battuta d’arresto in tribunale, dunque, secondo l’amministrazione del presidente Usa avrebbe costretto quest’ultima a rilasciare tali concessioni.

Questa posizione però non è stata condivisa da alcuni gruppi ambientalisti, che a fine agosto hanno citato in giudizio l’amministrazione cercando di fermare il rilascio delle concessioni. All’intero di tale pendente causa, tra l’altro, si legge che le concessioni sono state approvate «facendo affidamento su analisi ambientali arbitrarie in violazione della legge nazionale sulla politica ambientale (NEPA) e della legge sulla procedura amministrativa (APA)».

Oltre a ciò, dopo che la notizia della imminente asta è in questi giorni rimbalzata sulle pagine dei giornali, 267 organizzazioni di vario tipo hanno scritto una lettera al presidente Biden chiedendo nuovamente di non rilasciare tali concessioni in quanto «la sua amministrazione ha l’autorità per farlo». Tuttavia, a quanto pare tali richieste non sono state prese in considerazione dall’amministrazione che, ricordano i firmatari della lettera, ha «in maniera oltraggiosa concluso che tutto ciò non contribuirà al cambiamento climatico» nonostante si tratti della «più grande vendita di leasing offshore nella storia degli Stati Uniti».

[di Raffaele De Luca]

Svizzera: dal primo luglio le coppie omosessuali potranno sposarsi

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In Svizzera, le coppie dello stesso sesso potranno sposarsi a partire dal prossimo primo luglio: lo ha annunciato nella giornata di oggi il governo del Paese. Ciò fa seguito ad un referendum, tenutosi nel mese di settembre, in cui i cittadini hanno votato a favore del matrimonio per le coppie omosessuali. Inoltre, a partire dal mese di gennaio saranno anche riconosciuti i matrimoni delle coppie del medesimo sesso che si sono sposate all’estero.

Il biscione non incanta più: chiudono Tg4 e Studio Aperto

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“Corri a casa in tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta”. Sono passati 40 anni più o meno esatti da quando Canale 5, nel settembre 1980, veniva letteralmente catapultato nelle case e nei salotti degli italiani. Il grande sbarco di Mediaset, lo sbarco di Anzio delle tv private all’arrembaggio del monopolio Rai, l’alba della geologica era del Cavaliere e, appunto, la fine del monarcato di Viale Mazzini sui televisori e sui palinsesti del Belpaese.

Quarant’anni dopo, un battito di ciglia nel macinare lento della cronaca che si fa storia, il Biscione è rimasto imprigionato negli infernali meccanismi delle aziende del terzo millennio: “razionalizzazione” e “riorganizzazione”, fa sapere l’Azienda, sono i motivi per cui Studio Aperto e Tg4, due portaerei dell’informazione berlusconiana da otto lustri, sono stati cancellati col classico tratto di penna. Confluiranno, dicono dai piani alti, nel TgCom, in una specie di riallineamento delle testate e dell’offerta giornalistica che ai più, per non dire a tutti, pare invece un poderoso ripiegamento. Una ritirata truccata e imbellettata da ripartenza, perché tutte le ripartenze di questo tipo, nell’editoria italiana, fanno sempre rima con tagli: 45 prepensionamenti volontari, fa più chic chiamarli “scivoli”, e 15 assunzioni di giovani giornalisti che proveranno sulla loro pelle l’ebbrezza dei contratti proposti ormai da diversi anni ai nuovi assunti in redazione: poco più che precariati legalizzati, se un tempo c’erano le vacche grasse, o forse proprio per quello, adesso certamente a scegliere di fare il giornalista si muore di fame.

Fa notizia, allora, la chiusura e il sipario sul Tg4 che fu, all’epoca di Emilio Fede, un tempio del berlusconismo in salsa giornalistica: una specie di chiesa laica dove il conduttore, in fuga dalla Rai come altri suoi colleghi illustri, quando i dollari del Cavaliere avevano già molto più fascino della ribalta di mamma Rai, celebrava tutti i giorni, più volte al giorno, il Verbo del Biscione. Col senno di poi, con l’agiografico modo di fare giornalismo televisivo al giorno d’oggi, ripiegati sui potenti e sulle veline del piano di sopra, fa quasi sorridere, il buon Emilio. Un antesignano, verrebbe da dire, dello tsunami che ha travolto e spazzato via la credibilità dei media italiani negli ultimi anni, partendo però appunto da lontano. Anche Studio Aperto, in questo, ha la sua epica da raccontare, nella quale però ci finirono anche cose di qualità, persino ben fatte, come per esempio la copertura per la Guerra del Golfo: la prima, l’originale, quella che non si scorda più.

Al di là delle versioni ufficiali di Mediaset, allora, due teste illustri che ruzzolano sul patibolo della progressiva e per nulla magnifica crisi della televisione: è notizia di pochi giorni fa il fatto che ormai un italiano su due non la guarda, non la accende più. Non ci crede più, insomma. Certamente Tg4 e Studio Aperto hanno fatto di tutto per aumentare questa consapevolezza degli italiani, alla fine la mucca offre il latte che ha e questo latte alla lunga ha intossicato i telespettatori. Perfino quelli che erano inossidabili innamorati del Cavaliere. La tv, soprattutto, ha perso la guerra col web: una guerra impari, a dirla tutta. Costi, tempi, diffusione: non poteva che finire così, per il televisore che assomiglia sempre di più ad una scatola vintage del secolo scorso, anche nelle versioni più recenti, future e tecnologicamente accattivanti.

C’è anche una specie di nemesi, in verità, in questo mesto ripiegamento di due pezzi da novanta di Mediaset. C’è, come un karma che non perdona e non dimentica, che proprio chi della reclame ha fatto una ragione di vita, e che sulla reclame ha costruito le proprie fortune, ha dovuto tirare giù la saracinesca per mancanza di reclame, diciamo. Anche perché, evidentemente, è rimasto stritolato nel meccanismo infernale di un’informazione che poteva esistere e produrre contenuti solo se si vendevano pannolini, gomme da masticare e automobili. I due tiggì Mediaset vittime della crisi del contenitore, la televisione, ma anche e soprattutto dei suoi contenuti. Perché il libero mercato dell’etere, come lo avevano raccontato a Mediaset, la possibilità di frantumare il monopolio informativo e di intrattenimento Rai, era certamente una bella idea e un orizzonte magnifico. Ma non è stato progressivo, purtroppo. I conti sono balzati in alto, certo, a cifre vertiginose. L’epopea berlusconiana è stata piastrellata di oro e argento, ma è peggiorata sempre di più, inesorabilmente, l’offerta dei contenuti. La libertà di dire e raccontare è durata ben poco, anche le migliori professionalità si sono accodate per prendere il gettone. Così l’informazione Mediaset  ha smesso mano a mano di attirare ascoltatori e il Biscione è finito, malinconicamente, dentro alla sua cesta dei ricordi. Un altro bel passo verso l’anno zero dei media italiani? Forse. Certamente un monito forte e chiaro verso i nuovi Biscioni, e verso gli attuali incantatori di folle, ossia il gentile pubblico pagante.

[di Salvatore Maria Righi]

Corruzione ai concorsi per polizia e forze armate, 14 arresti a Napoli

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La Polizia Penitenziaria ha dato esecuzione a 14 misure cautelari nei confronti di altrettanti individui accusati dalla Procura di Napoli di corruzione. Nello specifico si ritiene che, in cambio di somme di denaro, essi abbiano promesso e poi agevolato alcuni partecipanti ai concorsi per il reclutamento nei Corpi delle Forze Armate e nella Polizia Penitenziaria, aiutandoli nello specifico a superare le prove psico-attitudinali. Le indagini hanno portato alla luce una trama di episodi corruttivi che hanno visto protagonisti, tra la fine del 2020 e la prima metà del 2021, due agenti della Polizia penitenziaria.

L’Europa ha chiesto all’Italia di proteggere i dati dei massoni siciliani

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“La Commissione ha trasmesso alle autorità italiane una richiesta formale di chiarimenti al fine di valutare la compatibilità della Legge n.18 del 12 ottobre 2018 con il diritto dell’Ue, compresi i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali”: è questa la conclusione della Commissione per le petizioni dell’Unione Europea in merito alla richiesta di abrogazione della legge approvata dall’Assemblea Regionale Siciliana il 12 Ottobre 2018, che aveva istituito l’obbligo per i parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana (Ars) di dichiarare la loro eventuale affiliazione alle logge massoniche. L’intervento della Commissione era stato richiesto da un cittadino italiano (A.M.), assistito dall’avvocato del foro di Catania Salvatore Ragusa, sulla base dell’idea che “l’obbligo di presentare una dichiarazione sull’eventuale appartenenza ad associazioni massoniche sia in palese contrasto con la Costituzione italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, essendo state a suo parere infrante “varie disposizioni, in materia di dignità, rispetto della vita privata, libertà di pensiero, di coscienza, di espressione, di riunione e associazione e di non discriminazione”.

La Commissione ha dunque risposto presente e riconosciuto, in prima battuta, la legittimità dell’appello con un documento datato 22 luglio 2021. Di conseguenza, ha richiesto ufficialmente chiarimenti allo Stato italiano sul contenuto del provvedimento, evidenziando come la Legge debba essere “proporzionata alla finalità legittima perseguita” e i dati trattati debbano essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto a tali finalità”. Secondo la Commissione, infatti, “Il trattamento dei dati personali può essere lecito solo se rispetta i diritti e le libertà riconosciuti dalla Carta, compresa la non discriminazione, nonché la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e la libertà di riunione e di associazione”.

La legge era stata approvata tre anni fa dall’Assemblea regionale siciliana grazie ad un accordo tra la componente di centro-sinistra e il Movimento 5 Stelle. Il provvedimento aveva statuito che “Entro quarantacinque giorni dall’insediamento, i deputati dell’Ars, il Presidente della Regione ed i componenti della Giunta regionale sono tenuti a depositare, presso l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea regionale siciliana, una dichiarazione, anche negativa, sull’eventuale appartenenza a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari che creano vincoli gerarchici, solidaristici e di obbedienza, precisandone la denominazione, qualora tale condizione sussista”. Un emendamento presentato dal Movimento 5 Stelle e approvato dall’Assemblea aveva esteso tale obbligo anche ai consiglieri e alle giunte comunali.

Il nome del primo firmatario della legge è quello di Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia e figlio del giornalista Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984. Un provvedimento che ha un obiettivo chiaro: garantire la trasparenza della classe dirigente in Sicilia, terra che più di tutte ha subito gli effetti nefasti delle pericolose infiltrazioni della criminalità organizzata nell’ambiente delle logge, che per decenni ha costituito uno dei più significativi punti di contatto tra mafia, settori deviati delle istituzioni e organizzazioni eversive. “Nonostante le fortissime pressioni in senso contrario, abbiamo affermato un dovere di trasparenza e di responsabilità che adesso andrebbe esteso a tutte le cariche elettive in Italia”: così commentò il presidente della commissione Antimafia in seguito all’approvazione della norma.

A contestare vigorosamente la legge furono le forze di centro-destra: l’On. Catalfamo di Fratelli d’Italia protestò per la presunta incostituzionalità della norma, mentre l’On. Eleonora Lo Curto dell’Udc, allineandosi a tale giudizio, difese espressamente la dignità delle tradizioni massoniche: “Diciamo no ad una legge che attacca indiscriminatamente la massoneria, che ha una storia alle spalle anche positiva, stiamo legiferando sul nulla perché questa norma è incostituzionale, questa legge non doveva arrivare in aula, non c’è nulla nello statuto del Goi che vada contro la legge italiana e contro la costituzione. Sono cattolica, non sono lesbica, cosa aggiungo ai cittadini su di me se dico che sono o meno massone?”. E’ curioso constatare come il nominativo di Pasquale Surace, coniuge dell’Onorevole, fosse stato individuato come “maestro in sonno” appartenente alla loggia massonica “Abele Damiani” della città di Marsala: il suo nome era infatti presente nelle liste degli appartenenti alle logge massoniche trapanesi che la commissione nazionale antimafia si procurò nella cornice di un’inchiesta incentrata sui legami tra mafia, politica e massoneria.

In ogni caso, accompagnato dal prevedibile plauso della loggia massonica Grande Oriente d’Italia (il cui Presidente Stefano Bisi, nel 2018, definì la norma approvata dall’Ars “mostruosa sul piano giuridico e morale”), l’intervento europeo ha rimesso tutto in discussione.

[di Stefano Baudino]

Tunisia, non si fermano le proteste popolari contro il presidente Kais Saied

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Sono migliaia i tunisini che da giorni protestano contro il presidente Kais Saied e il suo modo di gestire il paese al grido di “Fermate Kais Saied, libertà!”. La loro marcia verso il Parlamento è stata bloccata da centinaia di poliziotti che hanno impedito l’accesso al palazzo del Bardo, nella capitale, e il cui operato ha generato tensioni e scontri. I manifestanti chiedono a gran voce un regime democratico e nuove elezioni, questa volta libere e volute.

“Non accetteremo un nuovo dittatore, non ci tireremo indietro”, ripetono i tunisini. “Siamo sotto il governo di un solo uomo dal 25 luglio. Rimarremo qui fino a quando non apriranno le strade e porranno fine all’assedio”, ha ribadito all’agenzia di stampa Reuters Jawher Ben Mbarek, uno dei leader delle proteste.

Saied ha preso definitivamente il potere con un colpo di stato, interrompendo quello che per la Tunisia sembrava essere un buon periodo per avviare un’efficace transizione democratica. Quello di Saied, un uomo estraneo all’ambito militare (al contrario di molti dittatori) e proveniente invece dall’universo scolastico (ex professore di diritto costituzionale), doveva essere un totale cambio di rotta politico. A suo dire, si sarebbe impegnato a combattere la corruzione. Tuttavia, a quattro mesi dal colpo di stato, non vi è ancora alcun piano alle porte che preveda, ad esempio, dialogo con i partiti e una strategia economica solida, in un paese ancora sommerso dai debiti. Anzi, al contrario, poco dopo la presa di potere alcuni politici e funzionari sono stati rinchiusi ai domiciliari o obbligati a rimanere nel paese. Misure ora in gran parte revocate, ma emblematiche di un clima di privazione e restrizioni. Destino subìto anche da due emittenti televisive vicine ai principali partiti: chiuse per esercizio senza licenza.

Per Saied si prospetta un periodo difficile, con un’opposizione che acquista forza giorno dopo giorno e un popolo, quello tunisino, non più disposto a rinunciare alla democrazia. La riconquista della libertà non sarà facile, soprattutto dopo le ultime manovre del presidente che, il 25 luglio scorso, ha assunto su di sè l’autorità esecutiva. Decisione a cui hanno fatto seguito una serie di “misure straordinarie” come la rimozione dal suo incarico del primo ministro di Hichem Mechichi e la sospensione dell’attività del Parlamento (prorogata ancora il 22 settembre). Azioni che Saied ha commentato come necessarie per salvare le istituzioni statali tunisine e i diritti del popolo stesso.

“Vogliono tornare al normale processo legislativo. Vogliono tornare alla Costituzione del 2014. Vogliono che Kais Saied si dimetta e che si tengano nuove elezioni”, ha detto ad Al Jazeera la giornalista Elizia Volkmann. Secondo gli economisti il debito del paese è pari a circa il 90 per cento del prodotto interno lordo e il valore della valuta locale (il dinaro) è diminuito. Come ha detto al Manifesto Ben M’barek, costituzionalista e docente, “Penso che Saied non abbia i mezzi per continuare e il suo colpo di Stato sia condannato. La situazione economica e finanziaria del Paese è catastrofica”.

[di Gloria Ferrari]

Migranti: 10 morti al largo della Libia

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Nella giornata di ieri 10 migranti hanno perso la vita al largo della Libia. In seguito ad una richiesta di soccorso effettuata da parte di Alarm Phone, infatti, la Ong Medici senza frontiere ha raggiunto – tramite la nave “Geo Barents” – un’imbarcazione di fortuna sovraffollata che si trovava precisamente a 30 miglia dalla costa libica. Tuttavia, come comunicato da Medici senza frontiere tramite un tweet, mentre 99 persone sono state salvate altre 10 sono appunto state trovate morte sul fondo dell’imbarcazione.

Migranti: Polonia costruirà muro al confine con Bielorussia

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Nel mese di dicembre la Polonia comincerà a costruire un muro al confine con la Bielorussia. A comunicarlo è stato il governo di Varsavia, nel pieno della crisi migranti con Minsk. Il ministro dell’Interno, Mariusz Kaminski, ha in tal senso spiegato che i lavori andranno avanti 24 ore al giorno su tre turni.

Il Parlamento discute l’estensione del Green Pass, ma in aula non c’è nessuno

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Nella giornata di ieri si è tenuta nell’Aula della Camera la discussione generale sulla conversione in legge del decreto-legge sull’estensione del Green Pass nei luoghi di lavoro, ma il numero di deputati presenti è stato davvero esiguo. Come si può facilmente verificare guardando la diretta della seduta, infatti, le sedie dell’Aula erano quasi tutte vuote ed a prendere la parola sono stati circa 10 deputati. A tal proposito, la scarsa partecipazione alla discussione è stata sottolineata anche da Nomfup – un blog il cui fondatore è il deputato del Partito Democratico Filippo Sensi (che ha preso parte alla discussione) – il quale ha commentato la situazione in diretta tramite un tweet in cui ha parlato di 6 deputati presenti.

Ad ogni modo, la scarsa attenzione dei deputati alla questione non sorprende, ed è probabilmente anche sintomo del fatto che il Parlamento è stato sostanzialmente esautorato per ciò che concerne la discussione riguardante il Green Pass. Basterà ricordare che negli scorsi giorni è stata posta su tale decreto-legge la questione di fiducia al Senato, che ha confermato la stessa, ed oggi – giorno successivo alla discussione sopracitata – è stata posta la fiducia nell’Aula della Camera. Ad annunciarlo all’Assemblea di Montecitorio, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Ansa, è stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà.

Tutto ciò però fa emergere non pochi dubbi sulla democraticità dei processi in corso, dato che l’aver posto la questione di fiducia sia al Senato che alla Camera è sinonimo del fatto che il decreto – che disciplina la normativa più restrittiva d’Europa in materia di Green Pass – sarà convertito in legge senza che alcun ramo del Parlamento abbia potuto dibatterne ed emendare i contenuti.

[di Raffaele De Luca]

Il Tamigi riprende vita: squali e foche tornano nelle acque del fiume

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Il Tamigi, tra i fiumi più famosi d’Europa e simbolo di Londra, una delle metropoli più grandi del mondo, era stato dichiarato “biologicamente morto” alla fine degli anni Cinquanta, a causa dei numerosi anni di inquinamento industriale e cittadino che avevano ucciso il suo ecosistema. Oggi, fortunatamente, è tornato a vivere, diventando la casa di numerose specie acquatiche. Il corso d’acqua, che scorre per 346 chilometri nell’Inghilterra meridionale, è diventato l’habitat ideale per 125 specie di pesci, tra cui il cavalluccio marino e l’anguilla, ma anche di foche e di 90 tipi di uccelli acquatici. Ma ciò che più sorprende, è che il Tamigi sia diventato dimora anche di alcune varietà di squali che si rifugiano nell’estuario per partorire. Nello specifico, attualmente, si trova lo squalo spinarolo, specie a rischio anche per via della pesca eccessiva; il palombo stellato e la canesca.

Se oggi il Tamigi è un luogo pullulante di biodiversità, lo si deve alla Zoological society of London, società impegnata da tempo nel ripristino del prezioso ambiente naturale. Questa, infatti, oltre a dedicarsi alla tutela degli animali – come la migrazione delle anguille e il monitoraggio dei pesci più giovani – si impegna a mantenere l’ambiente fluviale pulito. Attualmente, per esempio, sta cercando di fare vietare a Londra la vendita di acqua nelle bottigliette di plastica e si sta occupando del trattamento delle acque reflue. Grazie a tutte queste azioni, si legge nel rapporto, la qualità dell’acqua è migliorata, con concentrazioni di ossigeno disciolto che mostrano un aumento dal 2007 al 2020. Una situazione che si vuole preservare se non addirittura migliorare. Nel 2025, infatti, è prevista l’apertura di una rete fognaria sotterranea – chiamata Thames Tideway Tunnel-, che si estenderà per 25 chilometri e contribuirà, ripulendo il fiume da liquami grezzi e rifiuti, a salvaguardare la sua biodiversità.

[di Eugenia Greco]