giovedì 18 Settembre 2025
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Per il black friday regalati un’informazione senza padroni

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Per il Black Friday non diventare vittima del consumismo: regala o regalati un’informazione senza padroni. Ebbene si, anche L’Indipendente partecipa al carrozzone del consumismo occidentale, provando a fare breccia con un’idea diversa. Perché se è vero, come dice il vecchio saggio, che se non compri niente risparmi il 100% su ogni prodotto, è altrettanto vero che molti aspettano questa data per fare acquisti e magari anticipare i regali di Natale.

E allora, visto che ci siamo, proviamo a far sì che a qualcuno possa venire il dubbio di regalarsi o regalare un po’ di informazione libera anziché l’ennesimo aggeggio tecnologico di ultima generazione, che tra l’altro costa anche di più. Quindi, ecco la nostra proposta nel weekend dell’americanata del risparmio:

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La procura di Bolzano indaga le scuole parentali (ma sono garantite dalla costituzione)

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La Procura di Bolzano ha aperto un fascicolo per indagare le scuole parentali sul territorio e verificare eventuali casi di “lesione del diritto allo studio” dei minori. La decisione giunge in seguito al vero e proprio boom di questi modelli educativi alternativi, oggi frequentati da 629 alunni contro gli appena 30 del periodo pre-pandemico. La mossa della Procura è stata accolta con favore dall’amministrazione altoatesina che, dopo aver introdotto nuove restrizioni per far fronte ai contagi, appare in cerca di ulteriori strumenti per “ricondurre all’ordine” le famiglie non vaccinate. Secondo le istituzioni il fenomeno è infatti alimentato da famiglie denominate “no vax” e “no mask” che cercano in questo modo di aggirare le restrizioni. Tuttavia le forme di scuola alternativa sono ammesse dalla Costituzione e normate da leggi della Repubblica, quindi non è chiaro di cosa possano essere accusate le famiglie che hanno scelto questa forma di istruzione.

Le forme di scolarizzazione alternativa sono in crescita in tutta Italia, ma in Alto Adige si tratta di una vera e propria impennata, specie tra i bambini madrelingua tedeschi. Casolari abbandonati, case private, cortili, spazi all’aperto sono stati così convertiti in aule: dieci scuole sono state individuate nei boschi della Valle Aurina, Alta Val Venosta e Passiria. In tutto sono 629 gli alunni usciti dalle strutture scolastiche, contro i 30 del periodo pre-pandemico: 40 nella scuola italiana, 20 in quella ladina, 569 nell’istituto tedesco.

Per la procura dei minori di Bolzano si tratta di un fenomeno allarmante che starebbe causando un calo dell’istruzione e avrebbe un’influenza negativa sulla sfera sociale ed emotiva dei giovani. Per queste motivazioni, è stato aperto un fascicolo sull’esplosione dell’istruzione parentale e la procura ha chiesto di segnalare i casi esposti al rischio di “lesione allo studio”. Una richiesta immediatamente ascoltata dalla sovrintendente della scuola di lingua tedesca, Sigrun Falkensteiner, la quale ha avviato delle ispezioni nei confronti delle famiglie che hanno ritirato i figli da scuola. Formalmente, però, spesso si tratta di proprietà private e i controlli non possono essere svolti. Per provare quindi ad arginare il fenomeno, il Consiglio provinciale ha varato un emendamento sull’istruzione parentale che prevede regole precise, più controlli e un esame di fine anno nella scuola di appartenenza e non altrove: in futuro si dovrà fare domanda e dopodiché, seguirà un colloquio di consulenza al fine di verificare l’idoneità di chi si farà carico dell’insegnamento parentale; durante l’anno saranno possibili delle visite, anche se per l’ingresso nei locali privati servirà il consenso dei genitori. Infine, come richiesto dalla Garante dei Minori, andrà verificato il benessere emotivo dei giovani.

Le mosse istituzionali potrebbero far credere che l’homeschooling e la scuola parentale siano una novità che segue lo scoppio della pandemia, e che ciò che preoccupa di più, sia la modalità formativa piuttosto che il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Eppure, i genitori che hanno deciso di ritirare i figli da scuola, possono appellarsi a una legge specifica. L’homeschooling – o istruzione domiciliare – e la scuola parentale sono modalità scolastiche costituzionalmente riconosciute e regolamentate dal decreto 76 del 2005, il quale specifica che il bambino/ragazzo può essere istruito al di fuori delle strutture scolastiche pubbliche e private, nella piena responsabilità dei genitori (Art. 30 della Costituzione Art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e Principio settimo dei Diritti del Fanciullo).

La Costituzione prevede la libertà della famiglia nel decidere di assumere un ruolo centrale nella formazione dei propri figli. Sia l’homeschooling che la scuola parentale rientrano in quella che, in ambito giuridico, viene definita educazione parentale. Difatti, al di là dei provvedimenti presi in Alto Adige, la regolamentazione italiana prevede già che entrambe rispettino indicazioni ben precise: i genitori o tutori che per i figli scelgono l’istruzione al di fuori delle tradizionali strutture scolastiche, devono plasmare il percorso formativo seguendo meticolosamente le indicazioni dal Ministero dell’Istruzione. Non è chiaro, quindi, di cosa siano formalmente accusabili le famiglie che hanno scelto – a prescindere dalla motivazione – questa forma di istruzione per i figli. Piuttosto evidenti appaiono invece i fini politici.

[di Eugenia Greco]

Le navi cinesi si “nascondono” da settimane

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Un marinaio sta controllando sui monitor il traffico navale quando, improvvisamente, dal nulla, compare un nuovo segnale: una nave si genera senza preavviso nel bel mezzo dell’oceano, pronta a scaricare in porto le sue preziose merci. Quello che sembrerebbe l’incipit di un racconto spettrale è invece uno spaccato sulla quotidianità della vita dei portuali che vigilano sulle acque ai confini dell’area d’influenza cinese. Da tre settimane a questa parte sono infatti scomparsi i dati di circa il 90% delle navi mercantili operanti in prossimità della Cina, un evento bizzarro che potrebbe complicare non poco la gestione delle merci su scala internazionale.

Beijing ha di fatto smesso di trasmettere a livello internazionale buona parte delle informazioni raccolte attraverso il sistema di identificazione automatica (AIS), ovvero le informazioni ottenute via frequenze radio dalle basi costiere. Stiamo parlando di dettagli quali velocità di crociera, rotta e posizione delle navi cargo, elementi che possono perdere di precisione qualora siano evinti attraverso la sola rete satellitare.

Il Ministero degli Affari Esteri cinese ha confermato che le stazioni AIS stiano operando regolarmente, tuttavia lo State Council Information Office (SCIO) non ha rivelato il perché tali dati siano trattenuti od omessi. A fornirci qualche indizio sul cosa stia giustificando una situazione simile è la China Central Television (CCTV), emittente governativa che ha recentemente dedicato parte del suo palinsesto per discutere dei pericoli rappresentati delle fughe di informazioni marittime, a prescindere che queste siano commerciali o militari.

In pratica, la condivisione dei dati AIS sarebbe interpretata come una minaccia per la «sicurezza nazionale», soprattutto in vista del deterioramento dei rapporti con le nazioni occidentali e, soprattutto, dei crescenti attriti registrati con l’Australia. Secondo questa lettura, la Cina si starebbe isolando, certa che i suoi avversari siano pronti a sfruttare ogni sua apertura per fortificare le proprie Intelligence. Esiste altresì un’interpretazione meno cupa: il primo novembre la Cina ha introdotto la Personal Information Protection Law (PIPL), una portentosa legge di data protection che potrebbe per vie traverse aver inciso anche sulla gestione del traffico marittimo.

Il PIPL non menziona esplicitamente l’argomento nautico, tuttavia tra i vari argomenti che va a normare compare anche quello dei trasferimenti internazionali di dati, dettaglio che potrebbe tranquillamente accorpare anche gli AIS. Nei fatti, qualsiasi entità cinese che voglia divulgare informazioni sensibili all’estero deve prima dotarsi di una certificazione di sicurezza emessa dal Cyberspace Administration of China, un procedimento burocratico che è potenzialmente molto lungo e che non necessariamente verrà superato da tutte le basi radio. Per evitare di incappare nell’illegalità, i centri di identificazione automatica avrebbero quindi preferito rivedere la portata dei propri servizi, nell’attesa che la nuova legge abbia il tempo di consolidare degli iter chiari e definiti a cui fare riferimento.

Il vuoto creatosi non rappresenta un grosso pericolo per la navigazione effettiva – difficilmente vedremo navi speronarsi vicendevolmente -, tuttavia il disservizio minaccia di avere ripercussioni sul Mercato delle merci. Potendo fare riferimento a un bacino di dettagli molto contenuto, le capitanerie di porto rischiano di dover gestire incognite che porteranno a congestioni e rallentamenti, quindi a un aumento dei costi. In un periodo in cui la filiera di rifornimenti è già provata e molte nazioni sono afflitte da inflazione, le conseguenze potrebbero essere palpabili.

[di Walter Ferri]

Il Burkina Faso non vuole più i francesi: convogli militari bloccati dalle proteste

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In Burkina Faso la popolazione si sta ribellando al passaggio di un convoglio militare francese composto da quasi un centinaio di veicoli partiti lo scorso 14 novembre da Abidjan, in Costa d’Avorio con destinazione Niamey, capitale nigeriana. Da lì, poi, il convoglio dovrebbe dirigersi verso Gao, in Mali, per rifornire le forze francesi dell’operazione Barkhane.

Il convoglio è stato bloccato più volte e in più zone per mano della popolazione, in particolare durante l’attraversamento, appunto, del Burkina Faso. Di fatto i veicoli non sono ancora giunti a destinazione.

A Kaya, nell’area centrosettentrionale del paese, la situazione è talmente tesa che almeno 4 manifestanti sono rimasti feriti durante l’insurrezione. Secondo le testimonianze, mentre alcune persone provavano a forzare le recinzioni, i soldati francesi hanno sparato per aria alcuni colpi di “avvertimento”. In quelle ore un bambino di 13 anni è stato celebrato come un eroe e soprannominato “il cecchino n. 1 del Burkina Faso” per aver abbattuto con una fionda un mini drone francese che da almeno 24h gironzolava sulla testa della gente per monitorarne i movimenti.

Il convoglio non ha avuto vita facile fin dalla partenza. Già nei giorni precedenti la sua avanzata era stata ostacolata dai manifestanti a Bobo Dioulasso (ovest) e poi nella capitale, Ouagadougou, dove le forze di sicurezza burkinabé hanno usato gas lacrimogeni per allontanare i manifestanti. “Abbiamo deciso di bloccarlo, perché nonostante gli accordi firmati con la Francia, continuiamo a registrare morti e i nostri Paesi restano sotto armati”, ha detto all‘Afp Roland Bayala, per la Coalizione dei Patrioti Africani del Burkina Faso (COPA-BF).

Secondo Le Monde il convoglio al momento risulta bloccato nella località di Loango, situata a una trentina di chilometri a sud della capitale, dove le autorità burkinabé si sono mobilitate per mettere in sicurezza l’area bloccando l’accesso ai manifestanti. Ma le popolazioni hanno cominciato ad organizzarsi per intervenire nel caso in cui il percorso dei veicoli continui per le loro strade.

La Francia è complice dei terroristi. Non possiamo accettare che i suoi soldati attraversino il nostro territorio con armamenti che potrebbero essere consegnati ai nostri nemici“, ribadisce Roland Bayala, anche perché i militari continuano a “non fare nulla per fermare gli attacchi”. E anzi, portano avanti battaglie “non richieste” dal momento che l’operazione antiterrorismo “Barkhane” in Burkina Faso era stata rifiutata proprio dal governo.

Una situazione prevedibile e che riflette la rabbia e l’insoddisfazione di un popolo che non vede mutare la propria condizione ma che, al contrario, seppellisce sempre più morti a causa del terrorismo. L’ultimo attacco jihadista ha causato 53 vittime e risale al 14 novembre. Né il presidente Roch Marc Kaboré né gli aiuti francesi si sono rivelati adeguati a fronteggiare l’avanzata estremista. Buona parte della popolazione pensa anzi che la Francia stessa si sia resa complice, in molti casi, dei terroristi. Infatti nel paese è in corso una vera e propria campagna di disinformazione contro la Francia, volta a minare l’operato fallimentare dell’esercito: si dice che i francesi procurino armi di nascosto ai jihadisti per prolungare la guerra e rimanere nel paese più a lungo possibile.

Va anche detto che la Francia non gode di una buona reputazione agli occhi di queste popolazioni ormai da molti anni. Per il suo passato da ex potenza coloniale, prima di tutto, e per l’assassinio dell’amato presidente Thomas Sankara, su cui non sono state ancora ben chiarite le implicazioni della Francia. A questa complessità non può essere fornita unicamente una risposta militare. Lo scorso giugno Macron aveva confermato l’intenzione di procedere con una “profonda trasformazione” dell’operazione militare Barkhane, attiva dal 2014: la sensazione è che la Francia si disinteresserà via via del paese, come ha già fatto con il Mali, lasciandolo peggiore di come l’ha trovato.

[di Gloria Ferrari]

 

Glifosato, la “sicurezza” dell’erbicida è stata valutata ignorando il 90% degli studi

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Il rapporto di valutazione sulla sicurezza del glifosato, redatto dal Glyphosate Assessment Panel, è stato condotto ignorando oltre il 90% degli studi scientifici disponibili sul tema. Delle 7.188 ricerche pubblicate e revisionate negli ultimi dieci anni – ha rivelato un’indagine della Ong Générations Futures – 6.644 sono state respinte poiché “irrilevanti” e, delle restanti, solo 211 sono state considerate “utili allo scopo”. Eppure, il documento firmato dai quattro Stati membri del Panel – Francia, Paesi Bassi, Ungheria e Svezia – ha di fatto gettato le basi per l’assoluzione del dibattuto erbicida. Lo scorso giugno, il gruppo di valutazione aveva infatti concluso che il glifosato “soddisfa i criteri di approvazione” europei aprendo così le porte ad una nuova autorizzazione prevista per la fine del 2022. «Si tratta però di una conclusione – come ha precisato Générations Futures – viziata dal fatto che non ha tenuto conto della maggior parte degli studi pubblicati».

Secondo l’organizzazione, gli studi scartati sono stati esclusi solo sulla base dei loro titoli o dei loro abstracts e la valutazione della loro attendibilità sarebbe stata effettuata «in maniera del tutto non trasparente e iniqua tra gli studi universitari e quelli dell’industria». Solo 30 ricerche – lo 0,4% del totale preso in considerazione dai revisori europei – provengono infatti dal mondo accademico, l’unico in grado di garantire una solida imparzialità. Probabilmente, l’intenzione del gruppo di valutazione era quella di fornire “evidenze” a sostegno della presunta sicurezza del glifosato e non di tutelare la salute pubblica. Numerose prove scientifiche indipendenti hanno infatti associato l’esposizione all’erbicida più utilizzato al mondo, e ai prodotti a base di esso, con alcuni tipi di cancro negli esseri umani, effetti negativi sullo sviluppo della prima infanzia e alterazioni ormonali. È quanto ha sottolineato anche Genon K. Jensen, direttore esecutivo della Health and Environment Alliance che, insieme ad altre 40 associazioni, ha sollecitato la Commissione europea a porre fine al ricorso a studi industriali inaffidabili per garantire che i pesticidi dannosi per la salute umana o l’ambiente siano rimossi dal mercato Ue.

Il glifosato, brevettato nel 2001 dall’allora Monsanto, è ora prodotto da numerose multinazionali del settore agrofarmaceutico. Molte delle quali, in difesa del “miracoloso” prodotto, si sono dedicate alla produzione di studi sulla genotossicità, il meccanismo alla base della formazione delle prime cellule tumorali. Tuttavia – come ha evidenziato una recente analisi indipendente – sono tanti i dubbi sulla credibilità delle ricerche non accademiche già considerate durante il precedente processo europeo di autorizzazione del glifosato. Dei 53 studi di genotossicità esaminati, firmati dall’una o l’altra industria, 34 sono stati identificati come “non affidabili” e 17 come “parzialmente affidabili”. Mentre, sempre da un punto di vista metodologico, solo 2 sono stati considerati “affidabili”. Ad ogni modo, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito il glifosato nella categoria dei “probabili cancerogeni”, ma se il suo utilizzo verrà prorogato dipenderà dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare e dall’Agenzia europea delle sostanze chimiche. Al riguardo, il parere di entrambe è atteso rispettivamente per maggio e giugno 2022. Recentemente si è scoperto che anche i fiumi della Lombardia ne sono pieni, ospitando al loro interno concentrazioni di glifosato fino a otto volte superiori ai limiti di legge.

[di Simone Valeri]

Russia, avvistate impronte tigre siberiana per la prima volta in 50 anni

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Impronte appartenenti ad una tigre siberiana sono state rilevate per la prima volta in 50 anni in Jacuzia, nella Siberia orientale. A riportarlo è l’agenzia di stampa russa TASS. La tigre siberiana, o tigre dell’Amur, è un predatore protetto a rischio estinzione da diversi anni, dopo la caccia incontrollata portata avanti a metà del Novecento. Si stima ne esistano all’incirca 600 esemplari al momento. Imbattersi in uno di questi animali o in loro tracce è estremamente difficile: secondo i ricercatori, le impronte rilevate sarebbero il segno di un ripopolamento della zona. Nel 2013, su iniziativa del Presidente russo Putin, è stato istituito il Centro per la Tigre dell’Amur, dedicato alla protezione e all’espansione dell’habitat della tigre siberiana.

Macron a Roma per siglare il Trattato del Quirinale

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Il presidente francese Macron si trova a Roma per siglare, insieme al Primo ministro Draghi, il Trattato del Quirinale. Si tratta di un patto bilaterale volto a stringere ulteriormente la collaborazione tra i due Paesi in materia di politica estera, europea, di sicurezza e migratoria, cultura, istruzione, cooperazione transfrontaliera e pubblica amministrazione. È inoltre previsto il mantenimento di posizioni comuni tanto all’interno dell’Unione Europea quanto nelle istituzioni internazionali, come ONU e Banca Mondiale. Il contenuto del patto sarà illustrato per intero nella giornata di domani. Dopo la firma il Parlamento ne dovrà autorizzare la convalida che porterà la firma del Presidente della Repubblica Mattarella.

Riforma processo civile: via libera definitivo della Camera

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Nella giornata di oggi è arrivato il via libera definitivo dell’Aula della Camera alla riforma del processo civile. Il testo, già approvato dal Senato, ha ricevuto 364 voti a favore e 32 contrari, mentre 7 deputati si sono astenuti. Tra i punti principali della riforma vi è la semplificazione dei procedimenti e l’istituzione di un Tribunale per la famiglia e i minori.

Johnson & Johnson ha inscenato un fallimento per non risarcire i tumori provocati dal Talco

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La società farmaceutica Johnson & Johnson ha inscenato un fallimento così da non dover fare direttamente i conti con decine di migliaia di azioni legali che si basano sulla tesi secondo cui il suo talco nonché altri prodotti contenenti lo stesso avrebbero fatto ammalare di cancro i consumatori. Il colosso statunitense, infatti, ha scaricato le relative responsabilità in una consociata separata da essa creata, la LTL Management LLC. Quest’ultima però, come si legge all’interno di un comunicato della Johnson & Johnson – ha presentato istanza di protezione fallimentare, cosa che tuttavia non riguarda la società farmaceutica né le sue affiliate che «continueranno a svolgere le loro attività come di consueto».

Johnson & Johnson si è rifatta ad una strategia utilizzata spesso dalle società che affrontano contenziosi sull’amianto, ossia la sostanza collegata allo sviluppo di tumori che secondo i querelanti sarebbe appunto presente nei prodotti in questione. La società farmaceutica però ha sempre negato tutto ciò ed infatti il suo consigliere generale, Michael Ullmann, ha affermato che il colosso statunitense sostiene «con fermezza la sicurezza dei nostri prodotti cosmetici a base di talco». Tuttavia, l’intento è quello di  «risolvere tale questione nel modo più rapido ed efficiente possibile» essendo ciò di interesse «dell’azienda e di tutte le parti interessate». Proprio per questo Johnson & Johnson ha accettato di fornire alla nuova società 2 miliardi di dollari ed ha affermato che finanzierà le spese legali che LTL dovrà sostenere per i casi legati al talco.

A tal proposito bisogna ricordare che l’istanza di fallimento era stata inizialmente presentata da LTL presso un tribunale federale di Charlotte (in Carolina del Nord), ma recentemente Craig Whitley, un giudice fallimentare statunitense, ha ordinato di trasferire il contenzioso presso una corte federale nel New Jersey avendo Johnson & Johnson lì la sua sede legale. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, questa decisione potrebbe costituire una potenziale battuta d’arresto per la società in quanto l’intento del colosso statunitense era quello di far risolvere il contenzioso presso il tribunale situato nella Carolina del Nord a causa di precedenti legali favorevoli.

Ad ogni modo, però, il Committee of Talc Claimants – un gruppo che rappresenta le persone sostenitrici della tesi secondo cui i prodotti a base di talco della Johnson & Johnson causino il cancro – la scorsa settimana ha depositato una dichiarazione presso il tribunale fallimentare del New Jersey in cui tra l’altro ha accusato la società farmaceutica di aver utilizzato il processo di fallimento per ottenere un vantaggio nel contenzioso, sottolineando che «non c’è niente di più brutto di questo».

[di Raffaele De Luca]

Intesa San Paolo sta finanziando la devastazione dell’Artico russo

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La banca italiana Intesa Sanpaolo e l’istituto di credito statale CDP (Cassa Depositi e Prestiti) finanzieranno un maxi piano per l’estrazione e liquefazione di gas naturale che occuperà la penisola di Gydan, uno dei territori più delicati e a rischio dell’Artico russo e non è difficile immaginare il disastro ecologico che ne conseguirà, denunciato già da tempo da Greenpeace e ReCommon. Il piano, chiamato Arctic LNG 2, di cui titolare è la società russa Novatek, vede quindi l’Italia tra i suoi principali partner, dopo la conferma della copertura assicurativa per il finanziamento da parte dell’agenzia di credito all’esportazione italiana (SACE, sezione speciale per l’assicurazione del credito all’esportazione). La conferma della presenza italiana tanto a livello commerciale quanto a livello di credito e assicurazione avviene pochi giorni dopo la fine della COP26, rendendo ancora una volta la famosa “svolta green” ben poco credibile.

Un preoccupante caso di greewashing, come sentenzia ReCommon e una scelta che rende fittizio l’impegno dell’Italia per interrompere i sussidi pubblici diretti per progetti internazionali legati ai combustibili fossili entro il 2022. Come emerso da Reuters, sembrerebbe che proprio durante il summit in Scozia, mentre l’Italia prometteva di impegnarsi su tale fronte, arrivava la conferma della copertura assicurativa per Artic Lng 2, da SACE – che non è nuova in tali investimenti, anzi – direttamente a Giorgio Starace, ambasciatore italiano in Russia. Dal 2016 al 2020 sono ben 8,6 miliardi gli euro per supportare il comparto Oil&Gas investiti da SACE, ma anche Intesa San Paolo non si è mai tirata indietro per appoggiare piani simili. Basti pensare che sempre da ReCommon viene spiegata nel dettaglio “l’insostenibilità” della banca, la quale – nello stesso lasso di tempo degli 8,6 miliardi – ha posto 13,7 miliardi di dollari sull’industria fossile. A beneficiarne enormi e potenti multinazionali quali Eni, Exxon, Cheniere Energy, Equinor, Kinder Morgan, ma anche Novatek, ora in cima alla lista vista la stretta di mano per Artic LNG 2.

Intanto, la regione artica – già da tempo a rischio e che manda segnali di un imminente disastro ecologico di portata globale – subisce un nuovo, potente attacco. Da anni vanno avanti svariati progetti per lo sfruttamento delle fonti fossili nell’Artico, mentre sta prendendo vita, per aggiungersi alla combriccola, anche l’Arctic LNG 2. L’Artide non è solo vittima di chi si impone fisicamente, ma è continuamente sottoposta al cosiddetto grasshopper effect (distillazione globale o effetto cavalletta) dove alcune sostanze chimiche, in particolare gli inquinanti organici persistenti, per effetto dell’evaporazione si accumulano nell’atmosfera dopodiché avviene il processo di condensazione (viste le basse temperature) e ricadono sul suolo e in mare. Processo che, andando avanti a iosa, permette agli inquinanti di viaggiare per grandi distanze. Nell’oceano Artico esistono poi depositi di metano congelati, i cosiddetti “giganti dormienti del ciclo del carbonio” che hanno ormai iniziato a sprigionarsi, com’era stato preannunciato dagli studiosi. E, nonostante questo, progetti come Artic Lng 2 non sembrano fermarsi. Anzi, vengono finanziati e da istituti di credito italiani, la stessa Italia della transizione ecologica.

[di Francesca Naima]