giovedì 18 Settembre 2025
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Intesa San Paolo sta finanziando la devastazione dell’Artico russo

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La banca italiana Intesa Sanpaolo e l’istituto di credito statale CDP (Cassa Depositi e Prestiti) finanzieranno un maxi piano per l’estrazione e liquefazione di gas naturale che occuperà la penisola di Gydan, uno dei territori più delicati e a rischio dell’Artico russo e non è difficile immaginare il disastro ecologico che ne conseguirà, denunciato già da tempo da Greenpeace e ReCommon. Il piano, chiamato Arctic LNG 2, di cui titolare è la società russa Novatek, vede quindi l’Italia tra i suoi principali partner, dopo la conferma della copertura assicurativa per il finanziamento da parte dell’agenzia di credito all’esportazione italiana (SACE, sezione speciale per l’assicurazione del credito all’esportazione). La conferma della presenza italiana tanto a livello commerciale quanto a livello di credito e assicurazione avviene pochi giorni dopo la fine della COP26, rendendo ancora una volta la famosa “svolta green” ben poco credibile.

Un preoccupante caso di greewashing, come sentenzia ReCommon e una scelta che rende fittizio l’impegno dell’Italia per interrompere i sussidi pubblici diretti per progetti internazionali legati ai combustibili fossili entro il 2022. Come emerso da Reuters, sembrerebbe che proprio durante il summit in Scozia, mentre l’Italia prometteva di impegnarsi su tale fronte, arrivava la conferma della copertura assicurativa per Artic Lng 2, da SACE – che non è nuova in tali investimenti, anzi – direttamente a Giorgio Starace, ambasciatore italiano in Russia. Dal 2016 al 2020 sono ben 8,6 miliardi gli euro per supportare il comparto Oil&Gas investiti da SACE, ma anche Intesa San Paolo non si è mai tirata indietro per appoggiare piani simili. Basti pensare che sempre da ReCommon viene spiegata nel dettaglio “l’insostenibilità” della banca, la quale – nello stesso lasso di tempo degli 8,6 miliardi – ha posto 13,7 miliardi di dollari sull’industria fossile. A beneficiarne enormi e potenti multinazionali quali Eni, Exxon, Cheniere Energy, Equinor, Kinder Morgan, ma anche Novatek, ora in cima alla lista vista la stretta di mano per Artic LNG 2.

Intanto, la regione artica – già da tempo a rischio e che manda segnali di un imminente disastro ecologico di portata globale – subisce un nuovo, potente attacco. Da anni vanno avanti svariati progetti per lo sfruttamento delle fonti fossili nell’Artico, mentre sta prendendo vita, per aggiungersi alla combriccola, anche l’Arctic LNG 2. L’Artide non è solo vittima di chi si impone fisicamente, ma è continuamente sottoposta al cosiddetto grasshopper effect (distillazione globale o effetto cavalletta) dove alcune sostanze chimiche, in particolare gli inquinanti organici persistenti, per effetto dell’evaporazione si accumulano nell’atmosfera dopodiché avviene il processo di condensazione (viste le basse temperature) e ricadono sul suolo e in mare. Processo che, andando avanti a iosa, permette agli inquinanti di viaggiare per grandi distanze. Nell’oceano Artico esistono poi depositi di metano congelati, i cosiddetti “giganti dormienti del ciclo del carbonio” che hanno ormai iniziato a sprigionarsi, com’era stato preannunciato dagli studiosi. E, nonostante questo, progetti come Artic Lng 2 non sembrano fermarsi. Anzi, vengono finanziati e da istituti di credito italiani, la stessa Italia della transizione ecologica.

[di Francesca Naima]

Russia: incidente in una miniera di carbone in Siberia, 11 morti

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In Russia, 11 persone hanno perso la vita in seguito ad un incendio verificatosi in una miniera di carbone situata nella regione di Kemerovo. A riportarlo è l’agenzia di stampa Tass, la quale comunica che 35 persone si trovano ancora nella miniera e che altri 43 individui sono invece stati portati in ospedale e quattro di loro sono in gravi condizioni. L’incendio è scoppiato precisamente alle 09:08 (ora locale) ed è stato causato dal fatto che la polvere di carbone ha preso fuoco.

Una donna cieca è tornata a vedere forme semplici grazie a un impianto cerebrale

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Una donna completamente cieca è tornata a vedere forme semplici grazie all’inserimento di elettrodi nel cervello. L’intervento è stato condotto da un team di scienziati spagnoli, olandesi e americani che, dopo una fase di sperimentazione su un gruppo di volontari non vedenti in un laboratorio di Elche (Spagna), è riuscito a ricreare una forma semplice di “vista cerebrale”.

La paziente, un’ex insegnante di scienze di 58 anni, era completamente cieca da 16 anni. L’intervento ha visto un neurochirurgo impiantare un insieme di 100 microelettrodi (conduttori elettrici) nella corteccia cerebrale della donna – la quale indossava degli occhiali con una piccola videocamera – tramite l’UEA (Utah Elctrode Array), un piccolo dispositivo di 4mm per 4mm che ha stimolato i neuroni circostanti a produrre “fosfeni” – punti di luce bianca -, per creare un’immagine. Un software specializzato ha codificato i dati visivi registrati.

La donna, con l’aiuto dell’impianto, è stata in grado di identificare linee, semplici forme e lettere evocate da diversi schemi di stimolazione e, dopo l’intervento chirurgico, non ha avuto complicazioni. Gli esperti hanno affermato che il dispositivo impiantato non ha né compromesso la funzione dei neuroni in prossimità degli elettrodi né influenzato la funzione della corteccia sottostante. I risultati raggiunti, quindi, rappresentano un importantissimo salto in avanti nella scienza, tanto che il team di ricerca ha già il prossimo obiettivo in mente: riuscire a utilizzare un sistema di codifica di immagini più sofisticato, in grado di stimolare una quantità maggiore di elettrodi contemporaneamente, al fine di ottenere immagini visive più complesse.

[di Eugenia Greco]

Vaccini Covid: ok dell’Ema a Pfizer per fascia d’età 5-11 anni

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Il comitato per i medicinali ad uso umano dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha raccomandato di concedere un’estensione dell’indicazione per il vaccino anti Covid Pfizer-BioNTech includendo l’uso dello stesso nei bambini rientranti nella fascia d’età 5-11 anni. Anche ad essi il vaccino sarà somministrato tramite due iniezioni a distanza di tre settimane, tuttavia la dose sarà inferiore rispetto a quella utilizzata nelle persone di età pari o superiore a 12 anni (10 microgrammi anziché 30 microgrammi). Dallo studio alla base del via libera – ha inoltre fatto sapere l’Ema – è emerso che «il vaccino era efficace al 90,7% nel prevenire il Covid sintomatico (sebbene il tasso reale potesse essere compreso tra il 67,7% e il 98,3%)».

Il Governo italiano ha stanziato oltre 8 miliardi per acquistare nuove armi

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Un aumento del budget annuo di 1,35 miliardi per il 2022, la gran parte dei quali destinati allo Stato Maggiore per l’acquisto di nuovi armamenti. Mentre il Governo Draghi smonta pezzi di stato sociale per rispettare i limiti di spera, se c’è una voce che non subisce crisi è proprio quella dei fondi per il ministero della Difesa, che arrivano a toccare i 26,49 miliardi di euro complessivi, con un aumento del 20% in appena tre anni. 8,27 miliardi sono stanziati al fine esplicito di acquistare nuovi armamenti. È quanto rilevato da uno studio condotto da Mil€x, Osservatorio sulle Spese Militari Italiane.

Il Ministero della Difesa starebbe infatti sottoponendo al Parlamento numerosi nuovi programmi di riarmo, che verrebbero avviati a partire dal 2022. L’acquisto di nuove armi si costituisce quindi come la spesa sulla quale il Governo investirà di più. La previsione dell’investimento era stata definita dai piani pluriennali stilati nel 2019, quindi prima dell’inizio della pandemia da Covid-19: nel corso di questi due anni, segnati dalla grave crisi sanitaria, l’entità dei fondi destinati alle armi non è stata minimamente intaccata.

Il bilancio totale delle spese per l’anno 2022 ammonta a 25,8 miliardi di euro, con un aumento del 5,4% rispetto al 2021 (circa 1,35 miliardi di euro). L’aumento di fondi più sostanzioso, 1,2 miliardi di euro (il 17,65%), va allo Stato Maggiore e al Segretario Generale della Difesa, con il fine di stanziare nuovi sistemi di armamento. Un aumento di più di 200 milioni di euro (il 10,94%) va alla Marina Militare, mentre calano leggermente i fondi per l’Aeronautica Militare (del 2,90%) e quelli per l’Esercito rimangono sostanzialmente invariati.

Il totale Bilancio della Difesa deve sommare al proprio totale anche le spese effettuate presso altri Ministeri, come quelle per il fondo Missioni militari all’estero presso il Ministero dell’Economia o i fondi finalizzati all’acquisizione dello sviluppo di sistemi d’arma stanziati dal Ministero per lo Sviluppo Economico. La spesa militare complessiva costituisce quindi una somma di tutti questi elementi. Ulteriori spese indirette portano il bilancio totale a 26,49 miliardi di euro, ovvero un aumento di 849 milioni rispetto al 2021 e di quasi il 20% in più dal 2019. Tali aumenti, tuttavia, derivano da decisioni prese in passato nell’ambito di bilanci pluriennali stilati in periodo pre-pandemia: l’amministrazione vigente ha ritoccato la cifra di “soli” 31 milioni di euro.

Per quanto riguarda il solo Ministero della Difesa, quindi, l’investimento totale è di 5,39 miliardi di euro, con un aumento di 1,3 miliardi rispetto all’anno precedente, e di 2,89 miliardi al Ministero per lo Sviluppo Economico, in calo di 350 milioni. Tra questi ultimi rientrano “105 milioni per gli interessi sui mutui accesi dallo Stato per conferire in anticipo alle aziende le cifre stanziate per specifici progetti d’arma pluriennale”, come riportato dall’Osservatorio.

L’aumento più ingente è quindi destinato all’acquisto di nuove armi: 8,27 miliardi, un miliardo in più (+13,7%) rispetto alla cifra complessiva del 2021, la quale costituiva già un massimo storico, e 3,5 miliardi in più rispetto al 2019, ovvero un 73,6% in più.

[di Valeria Casolaro]

Mapuche, gli indigeni che lo Stato argentino non vuole fra i piedi

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Quale destino spetta al popolo Mapuche? Stando alle parole di Alberto Fernàndez, presidente dell’Argentina dal 10 dicembre 2019, «Nei due anni che restano darò tutto me stesso affinché a ogni persona sia garantito un modo degno di vivere». Frasi però pronunciate prima del disastroso risultato elettorale che ha visto Fernàndez subire una pesante sconfitta nelle elezioni politiche di medio termine. Questo significa che la coalizione del presidente (Frente de todos), dovrebbe passare al senato da 41 rappresentanti a 35 (su un totale di 72). Per il presidente lo scenario futuro non è dei migliori e gli ultimi due anni prima della scadenza definitiva del mandato potrebbero essere più complicati del previsto. E non comprendere la salvaguardia degli indigeni.

I mezzi per farlo ci sarebbero: esiste una legge, la 26.160, approvata per la prima volta nel 2006 durante la presidenza di Néstor Kirchner e già prorogata per tre volte, che proibisce lo sgombero forzato di una determinata comunità fin quando non sia dimostrato che quelle terre gli appartengano o meno di diritto. Impedire il rinnovo della normativa significherebbe semplificare le pratiche di “pulizia etnica”, in favore delle grandi multinazionali. Il potere, ora, è nelle mani della Camera dei deputati che entro il 23 novembre dovrebbe votarne il rinnovo, mentre il 28 ottobre il Senato ha già dato il suo assenso. Se così non fosse, i Mapuche avrebbero ancora meno garanzie e protezione, anche se, fino ad ora, di certo non è stata sufficiente una legge per fermare massacri ed espropriazioni. Nel 2019, ad esempio, “il rilevamento tecnico, giuridico e catastale delle loro terre era stato avviato solo per 745 delle circa 1.760 comunità originarie”.

In generale i Mapuche non hanno mai goduto del sostegno e dell’approvazione del governo e del resto della popolazione, diventando spesso il capro espiatorio di disastri ambientali e incidenti di diverso tipo. Di recente sono stati accusati di aver appiccato degli incendi nelle città di El Bolsón e Bariloche, nel Río Negro, con lo scopo di intaccare gli averi di un grosso magnate. La comunità si è però dichiarata estranea ai fatti e disposta a collaborare per fare chiarezza sull’accaduto. Sforzi vanificati dall’aggressiva campagna di comunicazione fatta dai media e dagli stessi esponenti politici, che, approfittando del contesto, hanno contribuito ad alimentare quello che viene definito “terrorismo mapuche”. Manna dal cielo per imprenditori e multinazionali, ringalluzziti dall’ordine emesso dalla governatrice del Río Negro Arabela Carreras: sgomberare con la forza, a partire dal 1 ottobre, la comunità mapuche Quequemtrew, “impegnata in un processo di recupero delle sue terre ancestrali nella zona di Cuesta del Ternero, e di tenerla isolata impedendo persino l’arrivo degli alimenti”.

Il nome Mapuche significa “gente della terra”, appellativo attribuitogli proprio per la lotta che questi gruppi portano avanti principalmente contro lo Stato cileno e quello argentino, in difesa delle terre rimastegli e quelle sottratte. Garantire loro sopravvivenza e protezione significa impedire agli interessi economici di penetrare in zone che l’uomo non ha ancora “macchiato”. Ma bisognerà aspettare il 23 novembre per capire fino a che punto possiamo arrivare.

[di Gloria Ferrari]

Svezia, prima premier donna dimessa dopo poche ore

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Magdalena Andersson, prima donna premier nella storia della Svezia, si è dimessa poche ore dopo essere stata insignita della carica. Il motivo sarebbe l’uscita del Partito dei Verdi dalla coalizione, dopo che il Parlamento ha respinto il disegno di legge di bilancio da loro presentato. La mossa getta la Svezia in una situazione di aggravata incertezza politica. La ex-premier avrebbe tuttavia dichiarato di desiderare di essere rieletta a capo di un governo a partito unico. La parola spetta ora al presidente del Parlamento, che potrebbe decidere nei prossimi giorni di formare un nuovo governo, anche se sembra molto più probabile che Andersson venga riproposta per il ruolo di Primo ministro.

In tutto il mondo crescono le proteste: la storia insegna che qualcosa succederà

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“Decadi di politiche neoliberali hanno generato grandi disuguaglianze ed eroso i redditi e il benessere delle classi medie e basse, alimentando sentimenti di ingiustizia, delusione per il cattivo funzionamento delle democrazie e frustrazione per i fallimenti dello sviluppo economico e sociale. E dal 2020, la pandemia di coronavirus ha accentuato i disordini sociali”. È quanto si legge nel corposo testo “World Protests”, uno studio sui movimenti di protesta tra il 2006 e il 2020 firmato da Isabel Ortiz, Sara Burke, Mohamed Berrda e Hernàn Saenz Cortés.

Nella storia ci sono stati periodi di grandi cambiamenti annunciati proprio dalla intensificazione delle proteste. È successo negli anni tra il 1830 e il 1848, nel 1917-1924, negli anni ’60, e sta succedendo di nuovo oggi.

Almeno 2809 manifestazioni

Dal 2010, il mondo è stato scosso dalle proteste”, scrivono gli autori del book. Si è manifestato per la giustizia economica e le riforme anti-austerità principalmente durante il periodo 2010-2014. Quando le rimostranze sono rimaste inascoltate, la frustrazione è cresciuta a causa della mancanza di posti di lavoro dignitosi e riduzione di protezione sociale, servizi pubblici, giustizia agraria e fiscale. Di conseguenza, le proteste sono diventate più politiche, scatenando una nuova ondata, a partire dal 2016, a favore di democrazie più reali, contro le élite e le oligarchie.

L’analisi è basata su 2809 proteste avvenute dal 2006 in 101 paesi che coprono il 93% della popolazione mondiale. Lo studio identifica anche 250 metodi di protesta.
La ricerca compila i dati di 15 anni di reportage disponibili online, principalmente in sei lingue (arabo, inglese, francese, tedesco, portoghese e spagnolo). Questi rapporti coprono una varietà di proteste, da dimostrazioni e scioperi, a campagne di movimenti sociali e politici, ad azioni di folla non organizzate come le rivolte.

La pandemia: acceleratore del conflitto

Nel 2020, scrivono gli autori, la pandemia di coronavirus ha accentuato i disordini sociali in tutte le regioni del mondo. Ma soprattutto lo studio evidenzia il fatto che la prevalenza di proteste è avvenuta nei paesi a medio reddito (1327 eventi) e nei paesi ad alto reddito (1122 proteste) rispetto ai paesi a basso reddito (121 eventi).

È la classe dei lavoratori (classe media nel linguaggio anglosassone) che protesta universalmente per la perdita di status e per l’impoverimento crescente che la attraversa: perdita di reddito e di lavoro, salari decrescenti, precarietà diffusa, ingiustizia, corruzione, problemi per la casa, le tasse, l’educazione dei figli e servizi pubblici inefficienti. “Il coinvolgimento di massa della classe media nelle proteste” – spiegano gli autori della ricerca – “indica una nuova dinamica: una preesistente solidarietà della classe media con le élite è stata sostituita in molti paesi da una mancanza di fiducia e dalla consapevolezza che il sistema economico prevalente non sta producendo risultati positivi.”

Si intensifica la repressione degli Stati

Le stime della folla suggeriscono che almeno 52 eventi hanno avuto un milione o più di manifestanti. Il periodo 2006-2020 ha sperimentato alcune delle più grandi proteste nella storia del mondo; in assoluto è stato lo sciopero del 2020 in India contro il piano del governo di liberalizzare l’agricoltura e il lavoro, che ha visto partecipare 250 milioni di persone. Una protesta, quella dei contadini indiani, che ha dimostrato come ancora le mobilitazioni possano cambiare le cose, visto che si è conclusa con la vittoria e la marcia indietro del governo sulla riforma contestata. Una grande crescita nel mondo è stata registrata nelle manifestazioni per i diritti di genere.

Di converso all’aumento delle proteste cresce anche il tentativo di repressione. Secondo i media, le proteste che hanno generato il maggior numero di arresti nel periodo 2006-2020 sono state a Hong Kong (Cina), Egitto, Francia, Iran, Regno Unito, Russia, Sudan, Cile, Malesia, Messico, Stati Uniti, Canada e Camerun. Le proteste che hanno provocato il maggior numero di feriti segnalati sono state nei territori occupati di Palestina, così come in Egitto, Cile, Thailandia, Ecuador, Libano, Algeria, Ungheria e Indonesia. In termini di morti, i paesi peggiori sono il Kirghizistan, l’Egitto, i territori palestinesi occupati, il Kenya, l’Iran, l’Etiopia e il Sudan.

Da Marx a Tocqueville molti hanno scritto sulle condizioni strutturali dell’ineguaglianza e dell’ingiustizia come fattori cruciali per le proteste e la ribellione. Ma oggi, secondo questo report “la disuguaglianza è sconcertante, stimata come la più alta della storia. Quattro decenni di politiche neoliberali hanno generato più disuguaglianza e hanno eroso i redditi e il benessere sia per le classi basse che per quelle medie”. Inoltre, a questo, si sommano gli effetti di disordine economico e sociale provocato della pandemia COVID-19.

[di Antonio Gesualdi]

L’Unione europea ha approvato la nuova Politica Agricola Comune

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Con un’ampia maggioranza, la riforma della Politica Agricola Comune (PAC) è stata approvata ieri dal Parlamento europeo. Entrerà in vigore il primo gennaio 2023 e avrà validità fino al 2027. 387 i miliardi stanziati per finanziare le politiche agricole, di cui 50 andranno all’Italia. Investimenti importanti che, come dichiarato, avranno diversi obiettivi: dallo stimolare la competitività al rivitalizzare le zone rurali, fino al contrasto dei cambiamenti climatici e la conservazione della biodiversità. Centrali appaiono quindi i temi ambientale e sociale: un quarto dei fondi europei, infatti, sarà destinato a pratiche eco-sostenibili. Previsto, inoltre, un meccanismo di condizionalità che escluderà chi sfrutta i braccianti agricoli. Tuttavia, le criticità non mancano, tant’è che la PAC si è aggiudicata l’appellativo di “questione tra le più spinose degli ultimi anni”. Secondo Legambiente, nulla è cambiato: “ancora oggi, dell’80% degli aiuti beneficiano il 20% degli agricoltori”. Verdi e partiti ecologisti lamentano invece un approccio non in linea con il Green Deal e che a guadagnarci siano perlopiù le grandi aziende.

I tre regolamenti che compongono la PAC sono stati approvati tutti a larga maggioranza e la struttura di base è stata mantenuta. Tra le principali novità rispetto alla Politica agricola precedente vi è però l’introduzione degli ‘eco-schemi’: in pratica, il 25% dei finanziamenti diretti di ogni Stato membro deve essere stanziato a favore di agricoltori che adottino pratiche con standard ecologici elevati. Tra le nuove indicazioni figura anche l’obbligo di erogare almeno il 10% dei finanziamenti diretti a piccole e medie aziende agricole e non meno del 3% di ogni budget nazionale totale agli agricoltori più giovani con meno di 40 anni. Inoltre, verrà istituito un fondo di crisi da 450 milioni di euro all’anno per aiutare gli agricoltori in caso di instabilità dei prezzi e un limite massimo di risorse cumulabili per singolo beneficiario. Altro elemento distintivo, il più marcato trasferimento di responsabilità agli Stati membri, i quali dovranno impegnarsi nella definizione dei Piani Strategici Nazionali (PSN) allo scopo di gestire l’intero blocco finanziario della PAC e non più, come è stato finora, la sola gestione dei fondi dei Piani di Sviluppo Rurale. In ultimo, ma non meno importante in termini ambientali, la richiesta agli agricoltori di dedicare almeno il 4% dei loro seminativi a scopi non produttivi ma utili a livello ecologico, come a siepi, filari alberati e fasce erbacee tampone.

Raccontata così la nuova PAC potrebbe sembrare impeccabile, tuttavia, come anticipavamo, le criticità non mancano. Stiamo infatti parlando di una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, dato che impegna circa il 39% dell’intero bilancio dell’Unione europea. Il suo peso, quindi, è tutt’altro che trascurabile. Tra le principali critiche, il non allineamento con gli obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dal Green Deal. «Oggi a Strasburgo abbiamo celebrato il funerale dell’agricoltura sostenibile», ha denunciato senza mezzi termini l’europarlamentare di Europa Verde Eleonora Evi, la quale si è detta delusa «dalla riduzione dei target ambientali originari: una decisione pesante, dato che il settore agricolo è responsabile di quasi il 15% delle emissioni di gas a effetto serra nell’Ue». Non a caso, a differenza dei colleghi italiani afferenti ad altri partiti, solo gli eurodeputati appartenenti al gruppo dei Verdi/Alleanza libera per l’Europa si sono opposti in ognuna delle tre votazioni ed hanno perfino manifestato la loro contrarietà fuori dalla Camera. Dello stesso parere Greenpeace che ha voluto sottolineare un rapporto della Corte dei conti europea secondo cui il contributo alle emissioni di gas serra da parte dell’agricoltura non è affatto calato nell’ambito della PAC in vigore dal 2014 al 2020, poi prorogata per un altro anno. Inoltre il fatto che, come detto, l’80% degli aiuti finisca al 20% degli agricoltori fotografa un’altra realtà: la PAC è strutturata a tutto vantaggio delle grandi aziende, mentre per le piccole realtà agricole – spesso quelle che portano avanti tra l’altro pratiche produttive più sostenibili – ci saranno le briciole.

[di Simone Valeri]

 

Maxi truffa certificati energetici, 22 arresti

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22 persone sono state arrestate per aver prodotto progetti per l’efficienza energetica falsi finalizzati ad ottenere certificati bianchi, ovvero titoli per certificare il risparmio nell’uso finale dell’energia attraverso interventi di incremento dell’efficienza energetica. I fatti si sarebbero svolti tra il 2016 e il 2020 e riguarderebbero un’associazione diffusa tra Puglia, Valle d’Aosta, Piemonte e Germania. I certificati, erogati dal Gestore dei servizi energetici, sarebbero stati convertiti in denaro poi riciclato in paradisi fiscali, criptovalute o immobili. La cifra totale ammonterebbe a circa 14 milioni di euro. Le aziende che distribuiscono gas ed elettricità con più di 50 mila clienti sono tenute a conseguire obiettivi di risparmio, ma possono esimersi da tali obiettivi con l’ottenimento dei certificati bianchi.