lunedì 10 Novembre 2025
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Usa, le big pharma risarciranno i nativi per averli “distrutti” con gli oppioidi

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Negli Stati Uniti una sentenza storica della corte dell’Ohio ha stabilito che il Governo dovrà risarcire le tribù indigene locali per averle “distrutte” con la vendita di oppioidi. In particolare la casa farmaceutica Johnson & Johnson (la stessa del vaccino contro il Coronavirus) e i tre maggiori distributori di oppioidi da prescrizione degli Stati uniti (McKesson, AmerisourceBergen e Cardinal Health), dovranno pagare ai nativi d’America e dell’Alaska (cioè 6,8 milioni di persone) circa 590 milioni di dollari.

Era già accaduto che durante lo scorso settembre le stesse aziende avevano dovuto versare 75 milioni di dollari per placare l’accusa di aver dato vita ad una vera e propria epidemia di oppioidi per quasi 400.000 abitanti, residenti tra i Cherokee dell’Oklahoma.
Quella della dipendenza da sostanze oppiacee è una grossa piaga per l’America. I Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie sostengono che dal 1999 al 2019 gli oppioidi abbiano causato nello Stato almeno mezzo milione di morti per overdose. Più vittime di quelle causate dall’eroina.

Nello specifico, a pagarne maggiormente le conseguenze sono stati proprio i nativi. Secondo ricerche e studi portati avanti dalle tribù e presi in considerazione durante i processi, i nativi d’America e dell’Alaska hanno “subito alcune delle conseguenze peggiori rispetto a qualsiasi altra popolazione degli Stati uniti”. Le vittime non sono stati solo gli adulti.

W. Ron Allen, presidente della Jamestown S’Klallam e rappresentante tribale in diversi dipartimenti del governo Usa, insieme all’avvocato Geoffrey D. Strommer hanno detto al Manifesto che «l’impatto sui bambini nativi americani è particolarmente devastante. Nel 2012 uno su dieci di età pari o superiore a 12 anni ha utilizzato oppioidi da prescrizione per scopi non medici, il doppio rispetto ai giovani bianchi e tre volte quello degli afroamericani». Gli oppiacei sono infatti considerati dei farmaci psicoattivi, che si comportano nel nostro corpo esattamente come farebbe la morfina o sostanze simili ad essa. È molto probabile, dunque, che una sensazione del genere crei nel corpo di chi la assume un certo desiderio di “averne ancora”.

In questo caso sono proprio i bambini nativi che soffrono maggiormente di astinenza e che fanno fatica a controllare e gestire questo istinto. E se l’impatto di queste sostanze incide già sulla vita dei più piccoli, è facile immaginare come esse possano influire su tutto il sistema delle società tribali: «La crisi degli oppioidi ha esaurito la forza lavoro delle imprese tribali, diminuendo la produttività, aumentando i costi amministrativi e facendo perdere opportunità di crescita e sviluppo tribale», ha ribadito a tal proposito l’avvocato.

Come è stato possibile arrivare fino a questo punto? Una grossa fetta della colpa è da attribuire alle case farmaceutiche, concentrate sul generare il maggior numero di profitti. Johnson & Johnson, ad esempio, ha descritto fin dal primo momento i propri oppioidi indicati per il trattamento del dolore cronico e minore. Medicinali, dunque, all’apparenza innocui, consigliati a tutte le fasce d’età e estranei alla dipendenza. Anche le altre aziende hanno agito nello stesso modo, quando invece «avrebbero dovuto segnalare le richieste eccessive di oppioidi da prescrizione da parte delle farmacie, fermando quindi la vendita di quella valanga di pillole». Ma alla fine il profitto vale più di ogni altra vita.

[di Gloria Ferrari]

Intimidazione ai No Tav: incendiato il presidio del movimento

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La casetta che ospitava il punto informativo del movimento No Tav nel presidio di San Didero, in val di Susa, è stata distrutta da un incendio questa notte. A denunciarlo sono proprio gli attivisti No Tav, i quali tramite un comunicato pubblicato sul sito notav.info hanno definito l’accaduto un «ennesimo gesto vile e intimidatorio» che però «non fermerà di certo la determinazione del Movimento No Tav di presidiare e stare nei luoghi teatro dello scempio nella nostra valle».

Si tratta del secondo atto ai danni dei presidi No Tav: gli attivisti specificano in tal senso che quanto accaduto fa seguito al «tentato incendio del tendone». Intorno alle ore 23:30 del 4 gennaio, infatti, una porzione del presidio No Tav di San Didero venne incendiata, ma il peggio fu scongiurato grazie all’intervento dei vigili del fuoco. Venne poi bonificata l’area dell’incendio andando a rimuovere la roulotte retrostante il tendone, dove le fiamme divamparono maggiormente per poi diffondersi solo parzialmente alla copertura ed alla struttura del tendone.

Già in quel caso i No Tav sostennero che la matrice dell’incendio fosse evidentemente dolosa, in quanto in seguito al confronto con i funzionari dei vigili del fuoco si andarono ad escludere una serie di possibili cause accidentali. Inoltre anche allora gli attivisti tennero duro e non mollarono di un centimetro, affermando che quanto accaduto non avrebbe fermato «il Movimento No Tav e le sue iniziative».

[di Raffaele De Luca]

M5S: sospesa dal tribunale di Napoli modifica statuto ed elezione Conte leader

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Le due delibere con cui, lo scorso agosto, il Movimento 5 Stelle ha modificato il suo statuto ed ha eletto Giuseppe Conte come suo presidente sono state sospese dal tribunale di Napoli, nell’ambito del processo intentato da un gruppo di attivisti del Movimento difesi dall’avvocato Lorenzo Borrè. A riportarlo è l’agenzia di stampa Adnkronos, la quale fa sapere che i provvedimenti sarebbero stati sospesi in via cautelare a causa della presenza di «gravi vizi nel processo decisionale», ossia l’esclusione dalla votazione di oltre un terzo degli iscritti ed il successivo mancato raggiungimento del quorum. Tale decisione, secondo quanto affermato dall’avvocato Lorenzo Borrè all’Adnkronos, determinerebbe il decadimento della «carica di Conte» nonché l’emergere della «incompatibilità di alcune attuali cariche negli organi di garanzia» in base alle «restrizioni previste dal precedente statuto, che è ritornato in vigore».

Roma Termini: vietato dare cibo ai senza tetto, allontanati i volontari

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Nella stazione di Roma Termini dei volontari intenti a dare cibo ai senzatetto sono stati allontanati dai Carabinieri. Un episodio, quello che ha riguardato i volontari della Casa Famiglia Ludovico Pavoni, che non rappresenta un fatto isolato. Ciò che è accaduto giovedì sera è un’ulteriore dimostrazione di quanto le regole siano più severe e i controlli intensificati. A risentirne sono ovviamente coloro che degli aiuti ne hanno bisogno. Specialmente dopo gli attacchi terroristici e il periodo pandemico, restrizioni sempre più severe caratterizzano i luoghi pubblici. Ma da tempo la stazione di Roma Termini rappresenta, specialmente in inverno, un luogo di rifugio per tanti clochard e misure più severe vanno fin troppo spesso a discapito delle persone in cerca di riparo.

Dal Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane comunicano che l’intenzione non è assolutamente quella di non aiutare i bisognosi, ma il tutto deve essere fatto con il rispetto di determinate regole. L’azienda ha inoltre ricordato che da anni si impegna in azioni solidali per i senzatetto. Azioni che, se davvero ci sono, sono evidentemente insufficienti dato che i senzatetto aspettano i volontari per molte esigenze primarie, come cibo e coperte. C’è da dire che una crescita della rigidità è anche dovuta a un riscontrabile cambiamento delle e nelle stazioni. Queste infatti ospitano sempre più negozi, ristoranti, somigliando sempre più a un centro commerciale piuttosto che a una stazione. Una “metamorfosi” fisica che è indirettamente causa, anche, di un inasprimento nei confronti dei clochard e della loro presenza in determinati punti. In buona sostanza, se le stazioni diventano sempre più luoghi dello shopping la presenza dei poveri diventa evidentemente sgradita, perché in contraddizione con quella di vetrina commerciale che le stazioni vogliono darsi.

Le diverse associazioni che da anni si impegnano per garantire almeno la sopravvivenza di alcuni senzatetto, stanno denunciando un atteggiamento reputato scostante e deludente, visto che “impedire” ai volontari di distribuire pasti ai senzatetto è, a loro dire, disumano. Inoltre, l’esercito risponde al Ministro della Difesa, Grandi Stazioni a Ferrovie dello Stato e quindi al ministro dei Trasporti, motivo per cui viene chiesto di evitare il verificarsi di scene come quella avvenuta giovedì nella stazione di Roma Termini. In una nota, Angelo Bonelli (co-portavoce di Europa Verde) e Nando Bonessio (Consigliere di Roma Capitale di Europa Verde) hanno comunicato di avere preso provvedimenti, presentando un esposto all’autorità giudiziaria e una denuncia alla Commissione europea, col fine di preservare quelli che sono dei diritti inalienabili, perché ovunque si vada, la povertà non può essere ignorata e calpestata per “salvaguardare il decoro“.

[di Francesca Naima]

Blitz anti mafia in provincia di Lecce: 15 arresti

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I carabinieri del comando provinciale di Lecce hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 15 individui – di cui 11 in carcere e 4 agli arresti domiciliari – coinvolti in un’inchiesta della Dda salentina per associazione mafiosa. Questi ultimi sono sono accusati a vario titolo di: usura, spaccio di sostanze stupefacenti e scambio elettorale politico mafioso. Stando a quanto emerso nel corso delle indagini le attività del gruppo criminale sarebbero state gestite da due esponenti della Sacra corona unita, l’associazione mafiosa attiva a cavallo tra le province di Lecce e Brindisi.

Il “team etico” lanciato da Google sta diventando un clamoroso boomerang

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La scorsa settimana altri due dipendenti Google hanno abbandonato il team etico che si occupa di supervisionare le strategie di sviluppo delle tecnologie di machine learning della Big Tech. Ad andarsene sono la ricercatrice Alex Hanna e l’informatico Dylan Baker, i quali sono defluiti direttamente nella Distributed AI Research (DAIR), non-profit fondata dall’ex donna a capo del Google’s Ethical AI.

Hanna ha giustificato le sue dimissioni lamentando che il clima lavorativo interno a Google sia «tossico» e incapace di dar voce a certe minoranze, Baker si è invece concentrato sul denunciare come la dirigenza sia sorda alle preoccupazioni dei suoi dipendenti. «La leadership di Google ha semplicemente reso ovvio che non sia interessata a permettere che i dipendenti possano influenzare la direzione presa dall’azienda, se detta direzione deve deviare da strategie fameliche e miopi, che puntano alla crescita a ogni costo», ha dichiarato senza peli sulla lingua.

Le motivazioni dei tecnici uscenti possono essere divergenti, tuttavia risulta chiaro che coloro che fanno parte del team etico di Google siano terribilmente insoddisfatti di Google stessa, la quale non perde l’occasione di dare l’impressione di aver fondato la sezione più come manovra di marketing che come tentativo di consolidare una bussola morale per il settore tecnologico. Le disavventure del Ethical AI sono infatti iniziate nel 2020, quando la co-leader del team, Timnit Gebru, ha pubblicato un report tutt’altro che favorevole nei confronti degli obiettivi dell’azienda, subendo pressioni perché il documento venisse ritirato.

Gebru sollevava allora perplessità sullo sviluppo delle intelligenze artificiali basate sui modelli di linguaggio, IA estremamente care alla Big Tech che la ricercatrice bocciava in quanto inquinanti, potenzialmente dannose nei confronti dei più vulnerabili e perché naturalmente portate a creare testi che si limitano a mimare contenuti preesistenti senza essere in grado di comprenderne davvero il senso. Dopo questo incidente diplomatico, l’atteggiamento di Gebru è stato giudicato «inconsistente con le aspettative riposte in un manager di Google» e il suo contratto è stato rescisso.

A distanza di qualche mese, la sua co-leader, Margaret Mitchell, è stata a sua volta allontanata e la gerarchia del gruppo etico è stata rivista silenziosamente così che Google potesse esercitare su di essa un maggiore controllo. In quei giorni la situazione era rovente e nessuno era rimasto sorpreso nello scoprire che diversi tecnici avessero immediatamente preso la decisione di andarsene in solidarietà con le due donne, tuttavia da allora la situazione si è raffreddata e queste ennesime dimissioni giungono come un fulmine a ciel sereno.

Ciò che si evince è che Google abbia deciso di spogliarsi di ogni vezzo etico per perseguire a pieno regime i suoi obiettivi e che la sua strategia odierna sia quella di sedare qualsiasi obiezione attraverso vacue rassicurazioni pubbliche e profondi legami economico-politici. Si prospetta dunque una battaglia per l’anima delle legislazioni occidentali: da una parte ci sono le Big Tech, le quali promettono ai Governi potenti mezzi con cui prosperare, dall’altra figurano invece realtà affini a DAIR, incentrate sulla promozione di leggi che vadano a inibire l’uso distruttivo del machine learning.

[di Walter Ferri]

 

Crisi Ucraina: vertice per la pace tra Putin e Macron

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Oggi il presidente russo Vladimir Putin e quello francese Emmanuel Macron si incontreranno in un vertice riservato a Mosca. Il leader francese intende tentare il ruolo di mediatore tra Russia, Ucraina e Stati Uniti verso un nuovo accordo di pace, forte anche della posizione tenuta fino ad oggi dalla Francia che, insieme alla Germania, è stato il paese europeo maggiormente cauto nella escalation contro Mosca. I due presidenti si sono detti d’accordo sulla “necessità di una de-escalation” e un “proseguimento del dialogo” in merito alla crisi Ucraina. C’è molta attesa in vista dell’incontro. Una nota del Cremlino ha definito l’appuntamento “molto importante” pur sottolineando come sia “difficile aspettarsi delle svolte decisive” nell’ambito dell’incontro. Anche perché chiaramente Macron non ha mandato di trattare per conto di Usa e Regno Unito, gli stati che fino ad oggi hanno scelto più degli altri di alzare il livello della tensione con la Russia.

Osman Erol, l’anziano signore che da solo ha piantato 40mila alberi

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Piantare 40.000 alberi nell’arco di 35 anni: è questo il risultato a cui è giunto Osman Erol, un uomo di 90 anni che vive nel piccolo villaggio di Hallaçlı, situato nella provincia turca di Çankırı. Erol, che ha cominciato piantando diversi tipi di alberi come pini, pioppi ed alberi da frutta, è arrivato col tempo a colorare di verde il suo villaggio. Grazie al suo intervento infatti Hallaçlı, che era una zona arida, è stata completamente rimboschita. Non è un caso dunque il fatto che – come riportato dall’agenzia di stampa di proprietà del governo turco Anadolu Ajansı – Erol abbia ricevuto anche un attestato di apprezzamento dal Governatorato di Kızılırmak, il distretto in cui si trova il suo villaggio.

Tuttavia questo riconoscimento evidentemente non ha rappresentato un punto di arrivo per Erol dato che egli tuttora non solo pianta alberi ogni giorno ma si prende anche cura di essi, sia in estate che in inverno. «Il mio lavoro non è solo piantare, mi occupo di loro tutto il tempo» ha in tal senso comunicato Erol all’agenzia Anadolu Ajansı, specificando che anche la notte, quando non riesce a dormire, passa il suo tempo a piantare alberi.

Tutto ciò nonostante tale attività non porti alcun vantaggio personale ad Erol, il quale infatti ha iniziato a piantare alberi per amore e con questo spirito continuerà a farlo fino alla fine dei suoi giorni. «Continuerò a piantare alberi fino alla morte, così che quando morirò le persone mangeranno i frutti e pregheranno per me», ha affermato a tal proposito l’uomo, ricordando altresì che già adesso gli abitanti del villaggio mangiano i frutti degli alberi da lui piantati. Le persone traggono dunque in questo modo beneficio dalla sua attività ma non solo, dato che riescono anche a trovare riparo grazie agli alberi. A tutto questo infine si aggiunga anche che Erol rappresenterà per le generazioni future un esempio positivo a cui ispirarsi in quanto, come sottolineato dal capo del villaggio Metin Çalış, «senza di lui ad Hallaçlı non ci sarebbe l’amore per gli alberi che adesso nutriamo».

[di Raffaele De Luca]

Da Alfredino a Rayan: la maledizione del pozzo

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L’”uomo ragno” se n’è andato poco più di tre mesi fa, a 77 anni, portato via da un diabete che se l’è mangiato poco alla volta. Lo chiamavano così, Angelo Licheri: l’uomo ragno, per via della sua agilità, della sua corporatura così sottile ed elastica. Angelo è stato l’ultima persona che ha visto Alfredino, anzi toccato, sfiorato. L’unico che è riuscito ad avvicinarsi abbastanza per cercare disperatamente di afferrarlo, tanto a lungo da martoriarsi il corpo, nel budello in cui quel bambino era precipitato, una sera di giugno di ormai 41 anni fa. Una sera gentile di inizio estate, una di quelle...

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Treviso: multato perché senza green pass, commerciante si da fuoco in strada

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Si chiama Nadeem Faraz, ha 37 anni, e in questo momento sta lottando tra la vita e la morte all’ospedale di Borgo Trento (Verona), ricoverato con ustioni sull’80% del corpo dopo essersi cosparso di benzina e dato fuoco davanti al proprio negozio di Kebab pochi minuti dopo aver ricevuto la seconda multa da 420 euro in due giorni, perché privo di regolare green pass.

I fatti: sabato 5 febbraio verso le ore 19, secondo quanto riportato dall’avvocato, Nadeem era nel suo esercizio commerciale quando, dopo aver ricevuto la multa, avrebbe perso la pazienza dichiarando a due clienti presenti nel locale che la sua vita ormai era finita. Si è versato sui vestiti la benzina contenuta in una bottiglietta già presente nel locale ed è uscito fuori dal locale, posto in via Roma nella cittadina di Oderzo in provincia di Treviso, dandosi fuoco e cominciando a camminare lungo la via mentre le fiamme lo avvolgevano. Ha percorso quasi 50 metri prima che un negoziante riuscisse a spegnerlo utilizzando un estintore. Ora, secondo quanto dichiarato dal suo avvocato al quotidiano La Tribuna di Treviso, le sue condizioni sono definite disperate, le fiamme gli hanno quasi carbonizzato il viso e il torace.

Nadee Faraz, sempre secondo l’avvocato, aveva ricevuto da pochi giorni la prima dose vaccinale, in ritardo non per sua opposizione ma perché impossibilitato a riceverla in quanto sottoposto a un obbligo di dimora, ricevuto per precedenti problemi con la giustizia, che gli impediva di recarsi all’hub vaccinale. Da tempo chiedeva aiuto e di essere seguito da un supporto psicologico, ma non lo ha mai ricevuto. Così, dopo aver ricevuto la seconda multa ha evidentemente pensato che l’ingiustizia subita fosse troppo grande e ha scelto di compiere l’estremo gesto. Il fatto è avvenuto ad appena 5 giorni di distanza dall’analogo gesto compiuto da un insegnante calabrese, anche se in quel caso le ragioni non sono conosciute.