lunedì 10 Novembre 2025
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La ricerca conferma: con la musica di Mozart si può trattare l’epilessia

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L’attività elettrica associata all’epilessia diminuisce nei pazienti con epilessia refrattaria, grazie alla musica di Mozart. In particolare, la Sonata per due pianoforti di Mozart in re maggiore (K448), riduce le IED (scariche epilettiformi interictali intracraniche). Per quanto si sappia ancora poco sul meccanismo alla base di tale “ascolto benefico”, i sedici soggetti protagonisti dello studio pubblicato a settembre 2021 su Scientific Reports, hanno vissuto dei benefici grazie alla Sonata del compositore austriaco, quando sottoposti all’ascolto dopo episodi di crisi. Lo studio aveva come scopo l’indagine approfondita del famoso “effetto Mozart K448”, di cui si parla fin dal 1993, anno in cui fu descritto per la prima volta da Gordon Shaw e Frances Rauscher.

L’associazione tra stimolazione musicale non invasiva e le riduzioni dell’attività interictale intracranica in persone con epilessia refrattaria è ormai da tempo protagonista di diverse ricerche. Quello del Dartmouth College di Hannover è però il primo vero studio volto a valutare sistematicamente la relazione tra i confini del segmento musicale e le variazioni di potenza spettrale in relazione “all’effetto Mozart K448”. Il team di scienziati guidato da Robert Quon ha indagato la correlazione tra la durata e i benefici dell’esposizione alla Sonata, chiedendosi se ci sia bisogno di una durata minima di esposizione. Nello studio sono anche stati messi alla prova i nuovi metodi di alterazione della musica, per capire se essi possano o no migliorare questo utile fenomeno. Nel dettaglio, i risultati dello studio derivano dalla sottoesposizione, almeno quattro ore dopo l’ultima crisi epilettica, dei sedici soggetti protagonisti dell’esperimento a una serie di clip di quindici o novanta secondi, tra le quali la Sonata sopracitata.

I suddetti risultati mostrano che innanzitutto sì, c’è bisogno di una durata minima poiché i benefici si attuino: è l’esposizione di almeno trenta secondi alla K448 a ridurre efficacemente i tassi di IED nei pazienti epilettici. Attraverso l’utilizzo di impianti Stereo-EEG intracranici, è stato dimostrato come la versione originale di K448 riduca i tassi di IED del 66,5 per cento, valore coerente con il limite superiore delle risposte IED al K448 riportato in passato. Invece, durante l’ascolto di una versione modificata della stessa Sonata, non sono state riscontrate diminuzioni tanto significative del tasso di IED. Allo stesso modo, l’esposizione dei soggetti epilettici ad altri stimoli musicali non ha dato risultati tanto utili. Così come un’esposizione a K448 troppo breve non ha fatto riscontrare risposte celebrali significative. Attraverso la nuova pubblicazione è quindi possibile comprendere quanto “l’effetto Mozart K448” sia da valutare come intervento non invasivo e non farmacologico per l’epilessia refrattaria. È necessario continuare ad analizzare gli effetti terapeutici che la stimolazione musicale può avere sul cervello, ma l’ultimo studio guidato da Quon è un buon motivo per comprendere quanto la musica possa essere utilizzata in un certo modo per curare e migliorare la vita di soggetti epilettici.

[di Francesca Naima]

Super Green Pass, dal 15 febbraio obbligatorio anche alla Camera

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A partire dal 15 febbraio sarà in vigore l’obbligo di Super Green Pass anche per i deputati che vogliano accedere alla Camera: è quanto comunicato da Montecitorio dopo la riunione dei capigruppo che ha approvato la proposta del Presidente Roberto Fico. La decisione sarà ratificata oggi dall’Ufficio di presidenza, che verificherà le modalità di attuazione. Non sarà quindi più possibile per i deputati accedere a Montecitorio senza la certificazione di aver ricevuto le tre dosi di vaccino, o le due dosi e la guarigione dal Covid.

Roma: 14 ambientalisti fermati e portati in Caserma

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Sono stati portati di peso in Caserma e denunciati per manifestazione non autorizzata i 14 ambientalisti che ieri mattina hanno organizzato un sit-in di fronte alla sede del Ministero della Transizione Ecologica (MITE) per chiedere un incontro pubblico con il Ministro Cingolani. Tra di loro vi sono anche cinque persone che da ieri portano avanti uno sciopero della fame. Il Ministro ha però fatto sapere, tramite il proprio portavoce, che accetterà un incontro solo dopo le pubbliche scuse del gruppo per il blitz al MITE del 2 febbraio. La richiesta è stata rifiutata dagli attivisti in quanto di toni “paternalistici” e in quanto il gruppo ha già comunicato di assumersi piena responsabilità delle azioni intraprese, volte all’unico scopo di portare l’attenzione su di una problematica che richiede iniziative quantomai drastiche e urgenti.

Non si fermano le azioni di disobbedienza civile portate avanti dagli attivisti di Ultima Generazione, progetto interno al movimento ambientalista Extintion Rebellion. Nella mattinata dell’8 febbraio in 14 hanno organizzato un sit-in di fronte al Ministero della Transizione Ecologica (MITE) per chiedere un incontro al Ministro Cingolani: tra questi, cinque sono da ieri in sciopero della fame. “Ho deciso che il mio corpo sarà il termometro dell’inefficacia e dell’inadempienza delle politiche di contrasto alla crisi ecologica e climatica di questo ministero e del governo italiano” ha affermato Laura, una degli attivisti in sciopero della fame.

L’intento del gruppo è poter avviare una discussione pubblica sulle modalità di gestione dell’emergenza climatica. Nella mattinata di ieri gli attivisti sono riusciti a ottenere un breve incontro con il Vice Capo di Gabinetto De Salvo, che ha riferito che Cingolani avrebbe accettato l’incontro solo dopo aver ricevuto delle pubbliche scuse per il blitz al MITE del 2 febbraio. “E’ una risposta paternalistica, che evidenzia ancora una volta come il Ministro e le istituzioni non abbiano reale consapevolezza di quanto grave sia il problema” scrive il gruppo sui propri social.

Dopo l’incontro con De Salvo, le 14 persone presenti al sit-in sono state portate via di peso dai Carabinieri e condotte in Caserma, dove sono state tutte denunciate per manifestazione non autorizzata. Azione che non ha intimidito la determinazione del gruppo: questa mattina, infatti, gli attivisti hanno organizzato un nuovo sit-in di fronte al MITE, decisi a non arrendersi.

Le Forze dell’Ordine presidiano l’ingresso del MITE durante il nuovo sit-in – Foto di Ultima Generazione

“Con i nostri corpi continueremo a ricordare che abbiamo bisogno di fatti e non di parole” afferma Laura con fermezza e invitando la popolazione a prendere parte alla protesta, per dare maggior risonanza alle rivendicazioni. Anche questa mattina, nonostante la protesta abbia mostrato di avere toni pacifici e non violenti, le Forze dell’Ordine hanno cercato di fermare gli ambientalisti e presidiato l’ingresso del MITE. Solamente i cinque attivisti in sciopero della fame e altre due persone sono infatti riuscite a raggiungere il Ministero, gli altri sono stati bloccati e identificati lungo la strada.

Da parte sua, Cingolani sembra riluttante a concedere qualsiasi tipo di confronto, nonostante le ripetute petizioni, raccolte firme e richieste avanzate dal gruppo. Resta da vedere quanto a lungo potrà ancora ignorare l’appello degli ambientalisti.

[di Valeria Casolaro]

Cile, non si ferma la repressione dello Stato contro gli indigeni Mapuche

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Il Parlamento cileno ha appoggiato la decisione del Presidente della Repubblica Sebastián Piñera di prorogare di ulteriori 15 giorni lo stato d’eccezione nella Macrozona Sud del Cile, che comprende le province di Biobío e Arauco, nella regione di Biobío, e Cautín e Malleco, nell’Araucanía. Si tratta di una misura adottata per la prima volta il 12 ottobre 2021 e rinnovata da allora ogni 15 giorni. Sarebbe necessaria, secondo il Governo, a causa dell’escalation di episodi violenti nel contesto dello storico “conflitto Mapuche”, il quale vede schierati su fronti opposti militanti della popolazione Mapuche e le Forze Armate e di polizia statali.

Con la proroga di ulteriori 15 giorni del cosiddetto Stato d’eccezione costituzionale d’emergenza (EECE) nella Macrozona Sud del Cile voluto dal Presidente uscente Sebastián Piñera, appoggiato dal Parlamento, il Governo cileno ha confermato la volontà di proseguire con un atteggiamento repressivo e violento nei confronti del popolo Mapuche. Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Interno Juan Francisco Galli, la misura è motivata dal “succedersi di fatti violenti”, in seguito ai quali il Presidente della Repubblica ha deciso di “mettere tutte le competenze statali in appoggio delle forze di polizia per prevenire ed evitare la violenza e contribuire a determinare la responsabilità di chi la mette in atto”. Secondo Galli, in questa maniera gli episodi violenti si sono già ridotti del 48%.

Gabriel Boric, presidente neoeletto che non entrerà in carica prima dell’11 marzo prossimo, ha già manifestato più volte il proprio disaccordo con l’adozione di tale misura e ha già annunciato di non avere intenzione di rinnovarla ulteriormente quando diventerà Presidente effettivo. “Uno stato di eccezione non può diventare la normalità” ha dichiarato Boric, soprattutto perché “non si sta dimostrando utile per raggiungere la pace”. Tuttavia lo stesso Boric non ha escluso di potervi fare ricorso in futuro: “Non si deve mai scartare uno strumento fornito dallo Stato di diritto” ha affermato.

Le zone interessate dal provvedimento sono l’oggetto di uno scontro tra Stato e comunità Mapuche per la sovranità sui territori, che negli ultimi mesi è andato aggravandosi. Il popolo Mapuche rivendica infatti un diritto ancestrale sulle zone, in quanto di proprietà delle popolazioni originarie alle quali sono state sottratte illegittimamente dal dominio coloniale. Sia lo Stato cileno che quello argentino, al fine di favorire gli investimenti stranieri, hanno concesso a grandi imprese private estere ampie zone dei territori indigeni: l’estensione delle terre sottratte illegittimamente è stimata intorno ai 500 mila ettari. Con l’instaurarsi dello stato d’eccezione in Cile, le Forze Armate potranno collaborare con le operazioni di polizia e aumentare la repressione nei confronti degli insorti.

Il conflitto Mapuche va inteso alla luce di un’esperienza storica di umiliazione e usurpazione, che ora spinge a una lotta per il riconoscimento e la restaurazione della propria dignità collettiva. L’azione repressiva dello Stato, nell’esercitare il proprio diritto a punire, ne mostra tutta la cecità e l’incapacità di risolvere la problematica alla radice con l’apertura di un dialogo e l’ascolto delle rivendicazioni indigene.

[di Valeria Casolaro]

Siria, attacco israeliano contro siti missilistici

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Nella notte tra l’8 e il 9 febbraio l’esercito israeliano ha portato a termine un attacco contro i siti di lancio dei missili terra-aria siriani, situati nei pressi di Damasco, colpendo anche i radar siriani e le batterie antiaeree. Un soldato è stato ucciso nel corso dell’azione, mentre altri cinque sono rimasti feriti. Gli attacchi aerei israeliani sono stati accompagnati dal lancio di missili terra-terra provenienti, secondo l’agenzia di stampa siriana SANA, “dal Golan occupato”. Le difese antiaeree siriane sarebbero riuscite ad abbattere alcuni dei missili.

Il sistema europeo Nutri-Score propone il bollino nero al vino: “massima dannosità”

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In questi giorni è scoppiata una nuova polemica intorno al sistema di etichettatura europeo a semaforo Nutri-Score. La diatriba si è scatenata in relazione alla produzione di vino e alcolici in genere. Gli studiosi francesi di Epidemiologia, che alcuni anni fa idearono questo metodo di etichettatura dei prodotti alimentari al fine di favorire la strategia comunitaria From farm to fork – finalizzata alla promozione di un’agricoltura “sostenibile” – hanno proposto alla Commissione europea un ulteriore sviluppo al modello già ben definito e prossimo alla approvazione finale. Si tratta dell’aggiunta della lettera F, di colore nero, al semaforo di lettere e colori che va dal verde (lettere A e B) al rosso (lettere D ed E). La variazione cromatica indica in questo sistema pericolosità e salubrità degli alimenti: il verde è associato al cibo salutare mentre il rosso indica i cibi da evitare o da consumare in maniera limitata. Ebbene, ora gli ideatori francesi propongono addirittura il colore nero come sinonimo di massima nocività per tutte le bevande che contengono alcol, anche quelle a basso tasso alcolico come la birra o a medio tenore come il vino.

La proposta francese ha subito scatenato indignazione e proteste, sia in Italia che in Francia, da parte di associazioni di produttori e anche politici. È il caso del sottosegretario alle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, che ha rivendicato il valore culturale del vino e la sua importanza nel contesto e nella tradizione della Dieta Mediterranea. Le associazioni di categoria dei viticoltori sostengono che questa demonizzazione dei vini sia “un affronto all’intelligenza dei consumatori” e “un attacco ad un modello di vita e di civiltà che dura da secoli”.

A questo punto, la patata bollente passa nelle mani dei legislatori europei che entro la fine del 2022 dovranno approvare (o rigettare) definitivamente, il sistema di etichettatura a semaforo Nutri-Score, per farne un modello valido in Europa e adottabile in tutti i supermercati europei; oltre a quelli francesi e tedeschi che lo hanno già adottato. Il Nutri-Score è nato infatti nel 2013 per iniziativa di ricercatori dell’Università di Parigi e dell’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina (Inserm). In Italia però, le resistenze verso l’adozione di questo modello sono sempre state forti: a Gennaio 2020, i politici – in accordo con associazioni industriali di produttori – hanno presentato alla Commissione europea un sistema di etichettatura alternativo al Nutri-Score, chiamato Nutrinform Battery.

Il modello del Nutri-score rivela dei limiti, nonostante le millantate virtù sbandierate da francesi e tedeschi, nell’ottica di contribuire a prevenire le patologie legate alle scorrette abitudini alimentari. Basti pensare che prodotti come Coca-Cola Zero, Red Bull sugar-free o cordon bleu industriali (pieni di conservanti e additivi) avranno il semaforo verde col Nutri-Score, in quanto non vengono dolcificati con lo zucchero e risultano avere un ridotto apporto calorico. Ma tutto sono fuorché cibi e bevande salutari.

Nel caso dei vini e delle bevande alcoliche, appare altrettanto chiaro che un giudizio netto e fortemente negativo come quello che viene proposto ora in Francia con l’utilizzo del colore nero, è del tutto slegato da un concetto di corretta informazione ed educazione alimentare nei confronti dei consumatori. Sebbene gli alcolici siano sicuramente bevande da evitare completamente nella fascia di età dei più giovani, lo stesso non si può applicare agli adulti e ad un consumo moderato e di qualità. Come sarebbero inaugurazioni, matrimoni e feste tradizionali come il Capodanno, senza un calice di vino o spumante?

Da sottolineare inoltre, è l’aspetto della sostenibilità ambientale, della formazione di generazioni future di consumatori più consapevoli e della vera prevenzione. Il cibo infatti, se ben conosciuto, è un’arma di prevenzione di massa; non è una semplice equazione a base di calorie e alcol, ma qualcosa che deve essere collegato a concetti di qualità alimentare, di filiere sostenibili e di basso impatto ambientale, per potersi definire davvero uno strumento di prevenzione e di aiuto per tutti i cittadini.

È nocivo un vino locale prodotto da piccole cantine che praticano un’agricoltura biologica e priva di pesticidi, oppure un vino industriale prodotto con una impronta ecologica negativa e destinato a invadere mercati globali come quello che tante multinazionali oggi promuovono? Anche in Italia vengono recati danni al patrimonio naturale ed alle popolazioni a contatto con vigneti trattati con sostanze chimiche tossiche, ma lo stesso dicasi per molti vini francesi.

Non sarebbe meglio concentrarsi sul regolamentare il processo produttivo (distruttivo) dei grandi gruppi industriali della birra che non fanno altro che espandersi, sottraendo terreno e possibilità di sviluppo al piccolo produttore e abbassando continuamente la qualità nutrizionale? Anche in questo settore si rischia di promuovere i profitti di gruppi industriali che devastano l’Ambiente e che col loro marketing influenzano il consumo irresponsabile e di bevande non salutari (sebbene non alcoliche) in un pubblico giovane e facilmente plasmabile. Serve imparare dunque, a dirimere le controversie sull’alimentazione e la produzione del cibo sulla base di valori come la qualità, la filiera, l’impronta ecologica, il consumo responsabile e lo sviluppo delle economie di piccola scala; che distribuiscono la ricchezza nelle mani di molti attori piuttosto che di pochi ricchi.

 [di Gianpaolo Usai]

Inquinamento atmosferico, nessuna città italiana è in regola

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Nessuno dei 102 capoluoghi di provincia italiani è riuscito a rispettare i nuovi limiti soglia d’inquinamento atmosferico imposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Al di sopra di tali valori si parla di concentrazioni rischiose per la salute umana, il quadro che si figura nella nostra Penisola è quindi tutt’altro che rassicurante. In particolare, sono stati oltrepassati i limiti di sicurezza per tutti e tre i parametri suggeriti dall’Oms: una media annuale di 15 microgrammi per metro cubo (μg/mc) per il PM10, di 5 μg/mc per il PM2.5 e di 10 μg/mc per l’N02. In termini di polveri sottili (PM10) sono 17 le città con valori più del doppio oltre la norma. Alessandria ha registrato una media annuale di PM10 pari a 33 µg/mc, seguita da Milano, Brescia, Lodi, Mantova, Modena e Torino. 11 quelle più inquinate dalle polveri ancora più fini (PM2.5), con Cremona e Venezia con picchi record. 13, infine, le città più inquinate da biossido di azoto (NO2). In questo caso, Milano e Torino registrano i livelli più allarmanti.

È quanto è emerso dal nuovo rapporto di Legambiente “Mal’aria di Città” riferito al 2021 appena trascorso. Complice le più stringenti soglie fissate al livello internazionale, la situazione in Italia appare critica. La normativa attuale ha tuttavia dei limiti più accomodanti, ma comunque non si può dire che nelle nostre città si respiri aria salubre. Per il PM10, 56 centraline di monitoraggio distribuite in 31 città (il 24% del totale) hanno superato per più di 35 giorni la media giornaliera di 50 µg/mc, cioè il limite previsto dalla legge vigente. Per il biossido di azoto (NO2), sui dati rilevati in 205 centraline, 13 di queste sono andate oltre la soglia normativa di 40 µg/mc. Per tutti gli inquinanti considerati, al di là del superamento o meno dei limiti, stiamo comunque parlando di valori di concentrazione estremamente alti in tutte le principali città italiane.

Con la regione padana che è la più inquinata al livello europeo, l’inquinamento atmosferico è una piaga per il nostro Paese. Industrie, densità di popolazione, trasporti e conformazione geografica concorrono a fare della più grande pianura italiana un pericoloso hotspot di contaminazione dell’aria. Da Nord a Sud, comunque, non se la passa bene nessuna grande città. E il cambiamenti climatico, con il relativo persistere anomalo di alte pressioni non fa altro che esacerbare la cosa. Nel Bel Paese, nel 2018 – secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente resi noti nel 2020 – i decessi correlati all’inquinamento atmosferico hanno toccato quota 66 mila unità. Con oltre 10 mila vittime, il nostro Paese si colloca in prima posizione per morti da biossido di azoto e, con più di 52 mila decessi, seconda solo alla Germania per vittime da polveri sottili. Per questo motivo, l’Italia è stata già più volte sanzionata dall’Europa e, senza misure immediate e concrete, la nostra posizione potrà solo peggiorare. Presto, infatti, la direttiva Ue sulla qualità dell’aria verrà revisionata in funzione delle nuove soglie suggerite dall’Oms. «Nel giro di pochi anni questi valori diventeranno vincolanti anche dal punto di vista legale – spiega Legambiente – con l’avvio di ulteriori procedure di infrazione per gli Stati membri inadempienti».

[di Simone Valeri]

Covid, Speranza firma ordinanza: stop mascherine all’aperto dall’11 febbraio

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Dall’11 febbraio non sarà più obbligatorio indossare le mascherine all’aperto: è quanto prevede un’ordinanza firmata oggi dal ministro della Salute, Roberto Speranza, la quale stabilisce altresì che a partire da tale data sarà però obbligatorio portarle con sé per indossarle «laddove si configurino assembramenti o affollamenti». Inoltre, le mascherine restano obbligatorie al chiuso fino al 31 marzo 2022: nell’ordinanza, infatti, si legge che fino a tale data «è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private». Tale obbligo tuttavia «non sussiste quando, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze
di fatto, sia garantito in modo continuativo l’isolamento da persone non conviventi».

La tutela dell’ambiente entra in Costituzione: ok definitivo della Camera

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Entra in Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi: la proposta di legge costituzionale avente ad oggetto la modifica a tal fine di due articoli della Carta – nello specifico il 9 ed il 41 – è stata infatti approvata in via definitiva da parte dell’Aula della Camera. Precisamente la proposta, alla seconda lettura della Camera, è passata a Montecitorio con 468 voti favorevoli, sei astenuti ed un solo voto contrario. Il testo, approvato dal Senato con la maggioranza dei due terzi nel novembre scorso, entra immediatamente in vigore e non potrà essere oggetto di referendum.

Cara Lamorgese, no: se la polizia picchia gli studenti non è solo un “cortocircuito”

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«C’è stato un cortocircuito». Nelle ultime ore stanno facendo molto discutere le parole utilizzate dalla ministra dell’interno, Luciana Lamorgese durante il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, tenutosi a Milano. La politica è intervenuta per commentare le polemiche generate dagli scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti in protesta dopo la morte di Lorenzo Parelli, il 18enne morto durante l’ultimo giorno di stage. Per parlare delle violenze della polizia ai danni di studenti disarmati, avvenute il 23 gennaio a Roma e il 28 a Torino e a Milano, Lamorgese ha detto che “Quando ci sono ragazzi che manifestano per questioni gravissime c’è da aver la massima attenzione, ma non possiamo ignorare che c’è una direttiva che impediva manifestazioni se non statiche per ragioni di salute pubblica”.

Insomma, la sua attenzione si è fondamentalmente focalizzata sulla violazione delle ordinanze anti Coronavirus, bypassando le teste rotte e i lividi sulla pelle dei giovani. Come a dire che se avessero rispettato le norme non sarebbero stati picchiati e quindi, in fondo, la responsabilità è soprattutto degli studenti stessi.

Non è tutto, la ministra ha inoltre aggiunto che in piazza c’erano “provocatori”, forse un termine eccessivo se si pensa che a manifestare c’erano, alla fine dei conti, degli scolari. Gestire un gruppo di adolescenti disarmati non sarebbe dovuto risultare così problematico per la polizia, e soprattutto non avrebbe dovuto includere così tanta violenza. Quando le hanno chiesto poi un’opinione riguardo ai codici identificativi da mettere sulle divise della polizia, per individuare gli agenti violenti (come succede in molti Paesi) Lamorgese ha detto che «Ci sono già in essere telecamere sui caschi di poliziotti e carabinieri. Non mi sposterei in questo momento sui codici».

Probabilmente la ministra è una delle poche a non essersi accorta dell’urgenza del provvedimento. Se n’era cominciato a parlare già dopo il G8 di Genova del 2001 e ora Amnesty International ha riportato in auge il tema. L’associazione ha consegnato qualche giorno fa una petizione con 150 mila firme sul tema, sottolineando che i codici in questione consentirebbero solo alle Procure di identificare i colpevoli (in pratica, per chi opera correttamente non ci sarebbe niente da temere). Nel 2017 Franco Gabrielli, all’epoca a capo della polizia diceva che quella doveva essere «una Polizia che non ha e non deve avere paura degli identificativi nei servizi di ordine pubblico, di una legge, buona o meno che sia, sulla tortura, dello scrutinio legittimo dell’opinione pubblica o di quello della magistratura».

Per la Lamorgese la soluzione però è un’altra: «Abbiamo un organico che andrà ad aumentare nell’arco di pochi mesi fino a 255 uomini. 198 saranno della Polizia, 150 alla questura di Milano. Gli altri sono appartenenti ai carabinieri ed alla Guardia di Finanza». Un paradosso, insomma: per ridurre e controllare le violenze della polizia, basta aumentare il numero dei poliziotti.

[di Gloria Ferrari]